Eccellente post Sari
L'ellenico Apeiron ovviamente rimane a pensare tutta la notte contemplando quel sorriso accennato del Tathagatha e dei suoi discepoli e delle sue discepole. Questi "strani" personaggi che con estremo coraggio ed estrema dedizione hanno disciplinato la loro mente e sostengono di aver raggiunto "l'Isola". Dinanzi all'incessante mutare del samsara questi hanno tutti invece un costante sorriso accennato. E non perchè dormono o sognano in quanto la loro consapevolezza è del massimo grado. Hanno abbandonato tutto: possedimenti, attaccamenti, bramosie, avversioni, paura, dubbi, idee di "sé" e anche la speculazione scientifica e filosofica. Il loro utilizzo della dialettica è meramente al servizio altrui e serve per demolire ogni convinzione che allontana da quel sorriso pacifico. Al contempo sembrano persone con un senso "pragmatico" molto sviluppato, sanno muoversi nel mondo, lo conoscono - il Buddha in fin dei conti parla anche di come governare, di come essere discepoli laici ecc. Il Buddha se la prende proprio con coloro che però gli assomigliano di più, i philosophos. I philosophos infatti continuano a cercare e ragionare, continuano a prendere elementi di realtà e gli analizzano con la loro ragione e costruiscono modelli, ragionamenti molto più precisi di quanto può sognare l'uomo "di mondo". D'altronde i mathematikoi (qui inteso nella sua accezione matematica) sono catturati dalle forme e dalle regolarità della natura e dal logos che pare manifestarsi nella natura stessa. Gli eventi sono ordinati e non disordinati, per quanto molteplice il mondo possa essere i mathematikoi vedono il "kosmos" l'ordine, la regolarità che si intravede ad esempio nell'"uso" della natura della spirale: galassie, uragani, nautilus ecc. Oppure nella capacità degli insetti (!) di costruire alveari, magnifiche strutture costruite per semplice e inconsapevole istinto. I mathematikoi invece si dilettono a vedere l'immanenza del logos: quanto ci è difficile d'altronde fare una descrizione di cosa avviene quando versiamo l'acqua in un bicchiere se non ignoriamo molti dettagli - eppure sappiamo che una descrizione minuta c'è e in perfetta armonia la si può portare a ciò che vediamo nel nostro mondo macroscopico. La physike e la mathema d'altronde sono aspetti della philosophia, ossia semplicemente la volontà di apprendere. Ma il "philosophos" non è solo uno dei "mathematikoi", a lui interessa anche l'axiologia, lo studio dei valori. E utilizzando i concetti imparati nella matematica vede anche qui un ordine nei valori stessi e nota che siamo mossi di più verso ciò che ha più valore. E se c'è qualcosa che ha un valore massimo... questa cosa ci attirerà più di tutto il resto. Così da buon elleno si mette a inventarsi il concetto di Supremo Agathou (Bene). Ma cos'è? Cos'è? Non è forse necessario dunque utilizzare il logos che ci ha mostrato il kosmos (l'ordine) dei fenomeni più semplici anche per il "supremo bene"? Il rigore del logos d'altronde è proprio ciò che è fonte di garanzia. Eppure questo Risvegliato sembra dire che tutta questa ricerca è una sorta di "ostacolo" alla realizzazione vera del Bene. L'elleno però analizza gli insegnamenti di questo Risvegliato e ne ha un'impressione duplice. Da una parte una profonda stima e rispetto: come non stimare uno che ha rinunciato a tutto e ha sempre stampato sul viso quel sorriso beato, imperturbabile, radiante di "karuna" e pacifico? Ma l'elleno si accorge anche dell'incompletezza dell'insegnamento e di come esso sembra rivolto "a sbarazzarsi" del mondo e della natura - natura e mondo che hanno suscitato quella meraviglia che ha generato il philosophos. Questo al philosophos sembra quasi un "tradimento" - eppure anche lui nota un grandissimo "valore" negli insegnamenti del beato Asceta che ha davanti e non nega la possiblità che forse è davvero un Risvegliato. Sembra intuire la "pienezza" dietro alla "vacuità", la "positività" dietro la "negatività" dei suoi insegnamenti. Eppure il philosophos che per sua natura è skeptikos (cercatore di "evidenze", di prove...) vorrebbe una "teoria" anche "positiva" e non "meramente" negativa. E così l'elleno durante la notte diparte dal Tathagatha e dal Sangha lasciando perplesso soprattutto il mite Ananda. Il confuso elleno se ne va con le idee ancora più confuse di prime, con mille domande che Aharants e Tathagatha equiparano alle domande di un uomo che colpito da una freccia continua a rifiutare la cura prima di sapere chi è stato a scagliare la freccia, perchè (forse il colpevole è per una volta proprio la vittima
)... Il Dhamma rigoroso d'altronde è per chi ha risolutezza, non per gli skepticoi. Costoro se ne vanno nella notte accecati e turbati dal dubbio (pali: "vicikiccha"), dubbio nato però dalla contemplazione della regolarità del "kosmos". L'elleno dice: "E quesoto mi dice di rinunciare a logos e kosmos?". Perchè dovrei preferire la "vacuità" rispetto alla pienezza del "logos" che sembra evidente anche nel sasso che cade? Vorrebbe poi dimostrare l'esistenza dello stesso. Ma dall'altro lato vede il chiarore del viso di arhants e Buddhas che si godono la "vacuità"
Eppure su una cosa philosophoi e il Buddha-Dhamma paiono essere d'accordo:
Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. (Udana 8.3)
Su questo l'accordo c'è. Forse per il philosophos non è ancora tempo di apprezzare fino in fondo l'insegnamento? Forse è tutto rimandato alla prossima vita quando si capirà cosa c'entra il Buddha-Dhamma con la relatività e la meccanica quantistica
Forse sì, forse no. Forse forse. Due "veicoli" di vita molto diversi che forse hanno tra di loro un mutuo rispetto 
Il "kosmos" (l'ordine) d'altronde è visto come un "io" o no?
Forse il Buddha-Dhamma è il più grande enigma.

L'ellenico Apeiron ovviamente rimane a pensare tutta la notte contemplando quel sorriso accennato del Tathagatha e dei suoi discepoli e delle sue discepole. Questi "strani" personaggi che con estremo coraggio ed estrema dedizione hanno disciplinato la loro mente e sostengono di aver raggiunto "l'Isola". Dinanzi all'incessante mutare del samsara questi hanno tutti invece un costante sorriso accennato. E non perchè dormono o sognano in quanto la loro consapevolezza è del massimo grado. Hanno abbandonato tutto: possedimenti, attaccamenti, bramosie, avversioni, paura, dubbi, idee di "sé" e anche la speculazione scientifica e filosofica. Il loro utilizzo della dialettica è meramente al servizio altrui e serve per demolire ogni convinzione che allontana da quel sorriso pacifico. Al contempo sembrano persone con un senso "pragmatico" molto sviluppato, sanno muoversi nel mondo, lo conoscono - il Buddha in fin dei conti parla anche di come governare, di come essere discepoli laici ecc. Il Buddha se la prende proprio con coloro che però gli assomigliano di più, i philosophos. I philosophos infatti continuano a cercare e ragionare, continuano a prendere elementi di realtà e gli analizzano con la loro ragione e costruiscono modelli, ragionamenti molto più precisi di quanto può sognare l'uomo "di mondo". D'altronde i mathematikoi (qui inteso nella sua accezione matematica) sono catturati dalle forme e dalle regolarità della natura e dal logos che pare manifestarsi nella natura stessa. Gli eventi sono ordinati e non disordinati, per quanto molteplice il mondo possa essere i mathematikoi vedono il "kosmos" l'ordine, la regolarità che si intravede ad esempio nell'"uso" della natura della spirale: galassie, uragani, nautilus ecc. Oppure nella capacità degli insetti (!) di costruire alveari, magnifiche strutture costruite per semplice e inconsapevole istinto. I mathematikoi invece si dilettono a vedere l'immanenza del logos: quanto ci è difficile d'altronde fare una descrizione di cosa avviene quando versiamo l'acqua in un bicchiere se non ignoriamo molti dettagli - eppure sappiamo che una descrizione minuta c'è e in perfetta armonia la si può portare a ciò che vediamo nel nostro mondo macroscopico. La physike e la mathema d'altronde sono aspetti della philosophia, ossia semplicemente la volontà di apprendere. Ma il "philosophos" non è solo uno dei "mathematikoi", a lui interessa anche l'axiologia, lo studio dei valori. E utilizzando i concetti imparati nella matematica vede anche qui un ordine nei valori stessi e nota che siamo mossi di più verso ciò che ha più valore. E se c'è qualcosa che ha un valore massimo... questa cosa ci attirerà più di tutto il resto. Così da buon elleno si mette a inventarsi il concetto di Supremo Agathou (Bene). Ma cos'è? Cos'è? Non è forse necessario dunque utilizzare il logos che ci ha mostrato il kosmos (l'ordine) dei fenomeni più semplici anche per il "supremo bene"? Il rigore del logos d'altronde è proprio ciò che è fonte di garanzia. Eppure questo Risvegliato sembra dire che tutta questa ricerca è una sorta di "ostacolo" alla realizzazione vera del Bene. L'elleno però analizza gli insegnamenti di questo Risvegliato e ne ha un'impressione duplice. Da una parte una profonda stima e rispetto: come non stimare uno che ha rinunciato a tutto e ha sempre stampato sul viso quel sorriso beato, imperturbabile, radiante di "karuna" e pacifico? Ma l'elleno si accorge anche dell'incompletezza dell'insegnamento e di come esso sembra rivolto "a sbarazzarsi" del mondo e della natura - natura e mondo che hanno suscitato quella meraviglia che ha generato il philosophos. Questo al philosophos sembra quasi un "tradimento" - eppure anche lui nota un grandissimo "valore" negli insegnamenti del beato Asceta che ha davanti e non nega la possiblità che forse è davvero un Risvegliato. Sembra intuire la "pienezza" dietro alla "vacuità", la "positività" dietro la "negatività" dei suoi insegnamenti. Eppure il philosophos che per sua natura è skeptikos (cercatore di "evidenze", di prove...) vorrebbe una "teoria" anche "positiva" e non "meramente" negativa. E così l'elleno durante la notte diparte dal Tathagatha e dal Sangha lasciando perplesso soprattutto il mite Ananda. Il confuso elleno se ne va con le idee ancora più confuse di prime, con mille domande che Aharants e Tathagatha equiparano alle domande di un uomo che colpito da una freccia continua a rifiutare la cura prima di sapere chi è stato a scagliare la freccia, perchè (forse il colpevole è per una volta proprio la vittima


Eppure su una cosa philosophoi e il Buddha-Dhamma paiono essere d'accordo:
Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. (Udana 8.3)
Su questo l'accordo c'è. Forse per il philosophos non è ancora tempo di apprezzare fino in fondo l'insegnamento? Forse è tutto rimandato alla prossima vita quando si capirà cosa c'entra il Buddha-Dhamma con la relatività e la meccanica quantistica


Il "kosmos" (l'ordine) d'altronde è visto come un "io" o no?

Forse il Buddha-Dhamma è il più grande enigma.