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Messaggi - Apeiron

#526
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
16 Novembre 2017, 12:33:47 PM
Eccellente post Sari  ;)  



L'ellenico Apeiron ovviamente rimane a pensare tutta la notte contemplando quel sorriso accennato del Tathagatha e dei suoi discepoli e delle sue discepole. Questi "strani" personaggi che con estremo coraggio ed estrema dedizione hanno disciplinato la loro mente e sostengono di aver raggiunto "l'Isola". Dinanzi all'incessante mutare del samsara questi hanno tutti invece un costante sorriso accennato. E non perchè dormono o sognano in quanto la loro consapevolezza è del massimo grado. Hanno abbandonato tutto: possedimenti, attaccamenti, bramosie, avversioni, paura, dubbi, idee di "sé" e anche la speculazione scientifica e filosofica. Il loro utilizzo della dialettica è meramente al servizio altrui e serve per demolire ogni convinzione che allontana da quel sorriso pacifico. Al contempo sembrano persone con un senso "pragmatico" molto sviluppato, sanno muoversi nel mondo, lo conoscono - il Buddha in fin dei conti parla anche di come governare, di come essere discepoli laici ecc. Il Buddha se la prende proprio con coloro che però gli assomigliano di più, i philosophos. I philosophos infatti continuano a cercare e ragionare, continuano a prendere elementi di realtà e gli analizzano con la loro ragione e costruiscono modelli, ragionamenti molto più precisi di quanto può sognare l'uomo "di mondo". D'altronde i mathematikoi (qui inteso nella sua accezione matematica) sono catturati dalle forme e dalle regolarità della natura e dal logos che pare manifestarsi nella natura stessa. Gli eventi sono ordinati e non disordinati, per quanto molteplice il mondo possa essere i mathematikoi vedono il "kosmos" l'ordine, la regolarità che si intravede ad esempio nell'"uso" della natura della spirale: galassie, uragani, nautilus ecc. Oppure nella capacità degli insetti (!) di costruire alveari, magnifiche strutture costruite per semplice e inconsapevole istinto. I mathematikoi invece si dilettono a vedere l'immanenza del logos: quanto ci è difficile d'altronde fare una descrizione di cosa avviene quando versiamo l'acqua in un bicchiere se non ignoriamo molti dettagli - eppure sappiamo che una descrizione minuta c'è e in perfetta armonia la si può portare a ciò che vediamo nel nostro mondo macroscopico. La physike e la mathema d'altronde sono aspetti della philosophia, ossia semplicemente la volontà di apprendere. Ma il "philosophos" non è solo uno dei "mathematikoi", a lui interessa anche l'axiologia, lo studio dei valori. E utilizzando i concetti imparati nella matematica vede anche qui un ordine nei valori stessi e nota che siamo mossi di più verso ciò che ha più valore. E se c'è qualcosa che ha un valore massimo... questa cosa ci attirerà più di tutto il resto. Così da buon elleno si mette a inventarsi il concetto di Supremo Agathou (Bene). Ma cos'è? Cos'è? Non è forse necessario dunque utilizzare il logos che ci ha mostrato il kosmos (l'ordine) dei fenomeni più semplici anche per il "supremo bene"? Il rigore del logos d'altronde è proprio ciò che è fonte di garanzia. Eppure questo Risvegliato sembra dire che tutta questa ricerca è una sorta di "ostacolo" alla realizzazione vera del Bene. L'elleno però analizza gli insegnamenti di questo Risvegliato e ne ha un'impressione duplice. Da una parte una profonda stima e rispetto: come non stimare uno che ha rinunciato a tutto e ha sempre stampato sul viso quel sorriso beato, imperturbabile, radiante di "karuna" e pacifico? Ma l'elleno si accorge anche dell'incompletezza dell'insegnamento e di come esso sembra rivolto "a sbarazzarsi" del mondo e della natura - natura e mondo che hanno suscitato quella meraviglia che ha generato il philosophos. Questo al philosophos sembra quasi un "tradimento" - eppure anche lui nota un grandissimo "valore" negli insegnamenti del beato Asceta che ha davanti e non nega la possiblità che forse è davvero un Risvegliato. Sembra intuire la "pienezza" dietro alla "vacuità", la "positività" dietro la "negatività" dei suoi insegnamenti. Eppure il philosophos che per sua natura è skeptikos (cercatore di "evidenze", di prove...) vorrebbe una "teoria" anche "positiva" e non "meramente" negativa. E così l'elleno durante la notte diparte dal Tathagatha e dal Sangha lasciando perplesso soprattutto il mite Ananda. Il confuso elleno se ne va con le idee ancora più confuse di prime, con mille domande che Aharants e Tathagatha equiparano alle domande di un uomo che colpito da una freccia continua a rifiutare la cura prima di sapere chi è stato a scagliare la freccia, perchè (forse il colpevole è per una volta proprio la vittima  ;D )... Il Dhamma rigoroso d'altronde è per chi ha risolutezza, non per gli skepticoi. Costoro se ne vanno nella notte accecati e turbati dal dubbio (pali: "vicikiccha"), dubbio nato però dalla contemplazione della regolarità del "kosmos". L'elleno dice: "E quesoto mi dice di rinunciare a logos e kosmos?". Perchè dovrei preferire la "vacuità" rispetto alla pienezza del "logos" che sembra evidente anche nel sasso che cade? Vorrebbe poi dimostrare l'esistenza dello stesso. Ma dall'altro lato vede il chiarore del viso di arhants e Buddhas che si godono la "vacuità" ;D



Eppure su una cosa philosophoi e il Buddha-Dhamma paiono essere d'accordo:
Vi è, monaci, un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato. Se non vi fosse quel non-nato — non-divenuto— non-creato — non-formato, non si potrebbe conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. Ma poichè vi è un non-nato — un non-divenuto — un non-creato — un non-formato, si può conoscere il processo di salvezza da ciò che è nato — divenuto — creato — formato. (Udana 8.3)

Su questo l'accordo c'è. Forse per il philosophos non è ancora tempo di apprezzare fino in fondo l'insegnamento? Forse è tutto rimandato alla prossima vita quando si capirà cosa c'entra il Buddha-Dhamma con la relatività e la meccanica quantistica  ::) Forse sì, forse no. Forse forse. Due "veicoli" di vita molto diversi che forse hanno tra di loro un mutuo rispetto  ;)

Il "kosmos" (l'ordine) d'altronde è visto come un "io" o no? ;)

Forse il Buddha-Dhamma è il più grande enigma.
#527
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
15 Novembre 2017, 19:43:08 PM
Ritengo di aver raggiunto di una conclusione (ovviamente è vero solo in parte  ;D ). La parola "bhava" si riferisce all'esistenza con un senso del sé. Un'esistenza alla quale c'è contrapposizione tra "io" e "non-io". "Abhava" si riferisce invece a quando non c'è un "io" dove dovrebbe esserci. Liberazione dal senso dell'io è quando questa contrapposizione finisce: non c'è più contrapposizione tra "io" e "non-io" - le rigide distinzioni sono finite.

Al che rimangono queste alternative:
1) al parinirvana non rimane che il Nulla (di permanente) - il cosmo è destinato a finire. (incondizionato=totale nulla -  posizione dei Sautrantika=nichilismo?) Se Buddha ha insegnato questo allora era un nichilista. Il che non inficia la mia stima verso il personaggio... però la sua filosofia è incompleta.
2) al parinirvana si torna alla "polvere", però il cosmo è eterno (ma ciclico?). La differenza col materialista in questo caso e nel precedente è la sola dottrina delle rinascite. Nuovamente la sua filosofia è incompleta perchè si riduce ad un materialismo (ancora compatibile con la posizione dei Sautrantika?=nichilismo?). E da qui ci si potrebbe chiedere: perchè la materia ha comportamenti regolari? perchè ci sono leggi fisiche ben determinate e non è meramente caos? Se non ci fosse niente di "mentale" (spero che questa parola non crei troppa confusione) nella materia perchè l'universo è regolare ecc. Ritengo interessante che certe forme di panteismo naturalistico vedono la morte come il "parinirvana" buddhista espresso in questi termini (e ovviamente anche nella posizione "1").
3) l'incondizionato è semplicemente la cessazione della distinzione dell'io/non-io. In questo senso si ha la "spontaneità" - il supremo abbandonarsi all'infinito si è raggiunta "l'immortalità" perchè nessun "io" può sperimentare la morte (o la nascita). L'incondizionato però è una realtà, o più precisamente è il "corretto" modo di vedere il samsara. Quindi non può essere definito non-esistenza. Non può cessare perchè altrimenti ci sarebbe qualcosa che cessa.  (Incondizionato=Divenire? posizione di Nagarjuna? posizione preferita dal Sari?   ). Notare la somiglianza che può essere vista con molti aspetti della filosofia del Chuang-tzu (se non ha insegnato l'immortalità dell'io) e di certe forme di filosofia vedanta (lo scrivo piccolo per evitare dispute dottrinarie  ;D )
4) l'incondizionato è una realtà trascendente - che non muta, aldilà dell'impermanenza - completamente distinta dal samsara. Sempre "presente" ma distinta dal samsara https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-1-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-1/, https://www.canonepali.net/2015/06/udana-8-3-nibbana-sutta-la-completa-liberazione-3/ (Buddhaghosa? Theravada Tradizionale?)
5) l'incondizionato è la "citta eterna" ("citta" in pali si riferisce alla "mente" - non ho dimenticato un accento  ;D ), la mente che ha trasceso spazio e tempo - o più precisamente è la vera natura della mente (Natura di Buddha? posizione della Tradizione della Foresta Thailandese (sottoscuola Theravada)? posizione del Sari?   )
6) Hua-yan/Avatamsaka: nirvana è la realizzazione che "una cosa contiene tutte le cose - tutte le cose contengono una cosa".
7) Il Buddha e gli ahrant esistono ancora individualmente (posizione della scuola Pugdavala - criticata da tutte le altre? Buddhismo delle Terre Pure?)

Se Buddha ha storicamente sostenuto la visione materialistica "raffinata" come nel caso "1" e "2" allora per me non era "Risvegliato" per il problema che nella nostra mente si formano concetti come "infinito", "eterno", "assoluto", "bene supremo" e non giustifica il fatto che la materia ha comportamenti regolari - che suggerisce che ci sia un "aspetto mentale" anche nella materia "inanimata" (inoltre queste posizioni paiono molto vicine alla posizione degli "annichilazionisti" (ucchedavada), di coloro che dicevano che alla morte un "io" moriva...). Riguardo alla "7" l'esistenza è ancora individuale e quindi pare contraddire l'affermazione che "il nirvana è la cessazione dell'esistenza (bhava)". Rimangono le posizioni "3","4","5","6" che forse sono molto più simili di quello che sembrano (se è una di queste la posizione del Buddha allora può essere stato un "Risvegliato")  ;)

Forse Buddha parlava sì di un "nulla" ma un nulla relativo (anche perchè d'altronde è la Via di Mezzo), un "niente" per tutti coloro che sono intrappolati nel samsara. Riporto una interessante citazione di Schopenhauer nuovamente per comodità:
"il concetto del nulla è essenzialmente relativo, e si riferisce sempre ad alcunché di determinato, ch'esso nega. Codesta relatività fu attribuita (specie da Kant) soltanto al nihil privativum, indicato col segno – in opposizione al segno +; il qual segno –, capovolgendo il punto di vista, poteva diventare +; e in contrasto con quel nihil privativum, si stabilì un nihil negativum, che fosse il nulla sotto tutti i rapporti, per esempio, del quale si cita la contraddizione logica, distruggente se stessa. Ma, guardando più da vicino, un nulla assoluto, un vero e proprio nihil negativum non si può neppure immaginare:ogni nihil negativum, guardato più dall'alto o sussuntoad un più ampio concetto, rimane pur sempre un nihil privativum....
Noi vogliamo piuttosto liberamente dichiarare: quel che rimane dopo la soppressione completa della volontà è invero, per tutti coloro che della volontà ancora son pieni, il nulla. Ma viceversa per gli altri, in cui la volontà si è rivolta da se stessa e rinnegata, questo nostro universo tanto reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, è – il nulla." (Arthur Schopenhauer)
#528
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
15 Novembre 2017, 13:09:09 PM
Togliamo per ora Wittgenstein e le sue riflessioni che hanno portato solo confusione  ;D Cerco di rispondere a tutti, cercando di essere più chiaro (ad occhio ritengo che Il_Dubbio, Phil e Domingo siano più vicini alla mia posizione però non ne sono veramente sicuro). Ora parlo solo dell'"etica" e non considero il "valore massimo"...



Anzitutto perchè secondo me i valori etici non possono venire dalla convenzione sociale. Semplicemente perchè, citando Phil - che in realtà pur facendo l'avvocato del "diavolo" è più vicino di quanto pensa alla mia posizione  ;) : "e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così". Appunto: questo mostra che la convenzione sociale non può essere alla base dell'etica. Questo deriva dal fatto che essendo l'uomo per sua natura limitato ovviamente limitata sarà anche la società e quindi è errato ritenere che una credenza condivisa sia in fin dei conti "la verità". Il problema del relativismo semmai è proprio questo: esistono solo condivisioni, quindi...
"Ogni azione è giusta", "ogni azione è ingiusta", "ogni azione non è né giusta né ingiusta", "ogni azione è sia giusta che ingiusta" (perdonate la logica indiana  ;D ) sono tutte posizioni valide, non valide, valide e non valide, né valide né non valide  ;D  vedete l'assurdità: l'aver tolto la possibilità che ci sia un'etica "oggettiva" in realtà produce una sorta di confusione. Ossia è proprio questo che in fin dei conti porta alla posizione che l'etica è una credenza condivisa! Motivo per cui sono costretto a dire che ad esempio il principio della "dignità dell'uomo" va bene perchè abbiamo deciso nel 1948 che va bene. Si potrebbe obbiettare dicendo che queste convenzioni si basano sulla scienza. Ad esempio sulla biologia, sullo studio dell'evoluzione ecc. Ma la scienza di per sé al massimo ci dice a sua volta che statisticamente gli umani ritengono che "X è sbagliato (o giusto)": può (almeno per ora, ma considerando che la nostra mente è "limitata" direi per sempre...) dare una giustificazione statistica all'eticità. Ma anche questo tentativo fallisce: nuovamente infatti non c'è in realtà nessuna ragione per cui ad esempio, utilizzando l'esempio de @Il_Dubbio possiamo considerare "pazzo" l'uomo che tenta di commettere la strage planetaria. Quello che abbiamo da offrire è solo una risposta per la quale lui è "diverso" e le sue azioni sono "diverse" dalle nostre. Inversamente facendo lo stesso esempio alla rovescia poniamo che un solo uomo ritenga che è sbagliato fare la strage: nuovamente la statistica ci direbbe che in realtà solo l'uomo che non vuole fare la strage è "pazzo". Utilizzando dunque la logica del convenzionalismo o del mero empirismo vediamo che in questa situazione rovesciata siamo costretti ad ammettere che non abbiamo alcuna ragione per fermare queste "scellerate" azioni...  ;) inoltre non capisco perchè dire che l'etica non dipende dall'educazione inficia il valore dell'educazione. Semmai è il contrario l'educazione - o più precisamente la "philosophia", la spinta a conoscere - che tende a ricercare di "migliorare" le attuali "convenzioni sociali". Ma se l'etica è meramente la convenzione sociale o "derivata" solo dall'osservazione empirica (l'osservazione "dei fatti" ovviamente è importante ma non riesce a spiegare tutto il problema) allora perchè dovrei cercare di "migliorare" la mia condizione, quella della società ecc? ::) Cos'è dunque che ci spinge a cercare il meglio? Chiaramente non è né l'educazione, né la convenzione sociale e nemmeno le parole del personaggio X che vuole indottrinarmi che un determinato tipo di morale è quella "giusta per me" (ovviamente può aver ragione ma può aver torto  ;) ).



@baylham scrive: "Dare alla vita di uomo o alla sua dignità un valore assoluto, universale, significa riconoscere in realtà che hanno un valore relativo: infatti per qualcuno la vita di un uomo non è un valore assoluto e gli omicidi accadono." Ehm... questo è proprio la conseguenza del nichilismo: ognuno interpreta come vuole tale dottrina. Ad esempio se "per me" è meglio rubare e "per te" no posso appellarmi alla mia "dignità" per giustificare la mia azione (magari non ho nemmeno bisogno di ciò che rubo e lo faccio solo per "passare il tempo"...). Questo in effetti è una logica conseguenza di un relativismo abbastanza ingenuo (che tra l'altro è diverso dal pensiero debole  ;) ...). Perchè dovrei concordare con te che "non devo rubare"? Per quanto dice il relativismo non ho alcun motivo per ritenere la tua posizione più "civilizzata" migliore della mia.



Qui entra il fallibilismo (che se vogliamo è una forma di pensiero debole visto che invoglia a "testare" i precetti morali prima di appoggiarli). Ritengo innegabile che tutti noi ricerchiamo ciò che ha più valore (ossia ciò che è più importante per noi). Per esempio per me è importante scrivere su questo Forum e quindi lo cerco di trovare il tempo per farlo. Empiricamente osserviamo che le persone a volte ritengono "importanti" cose che non lo sono per noi o cose che possono causare danno all'altro. Vediamo ad esempio che (per fortuna molto) pochi non danno valore alla vita altrui, mentre la maggioranza tende a valorizzare la vita propria e altrui. In fin dei conti però ci assomigliamo abbastanza e lo si vede semplicemente guardandoci. Quindi è facile inferire che in realtà almeno certe cose che sono importanti per me lo sono anche per un altro che magari non se ne rende conto. Analizzando razionalmente le cose posso a mio giudizio vedere per lo meno ciò che per me è importante e posso provare anche a dare insegnamenti agli altri (non è su questo che in fin dei conti si basa l'educazione?). Perchè non ammettere che la ragione può stabilire che ci sono delle azioni che sono giuste sia per me che per gli altri? Ma in tal caso io faccio un'assunzione importante: ossia che per così dire esiste una sorta di "legge naturale". No? E non è corretto dire che vista la somiglianza tra gli uomini certe azioni saranno per così dire considerabili "giuste" per tutti? E non è nuovamente facile dedurre che chi non è d'accordo è in uno stato di ignoranza (ben che vada...) rispetto a queste "leggi"? E se notiamo un numero elevato di opinioni a riguardo di una determinata azione non vorremmo noi capire il motivo per cui si ritiene una determinata azione "giusta" o meno? E non possiamo noi ammettere che una determinata azione deve essere sempre contestualizzata per essere definibile "giusta"  o meno? E tra "giusto" e "ingiusto" non riteniamo dunque che talvolta vi è una gradazione bene più complessa? E non riteniamo che l'etica in fin dei conti deve partire dall'individuo perchè è l'individuo che è mosso dal senso dell'importanza, della "giustezza"? E non riteniamo dunque che tra i vari individui ci siano somiglianze e che quindi ciò che è importante (o non importante o indifferente o molto importante) per uno possa esserlo anche per gli altri? E non diremo che il relativismo ha ragione nel considerare come il punto di partenza l'individuo ma ha torto quando non considera che tra gli individui ci sono in realtà importanti somiglianze? E a causa di queste somiglianze non potremo dunque dedurre che esistano anche delle gerarchie di valori condivise, anche se chiaramente la "valutazione" è prima di tutto individuale? E dunque non potremo proprio partire da qui a dire che l'educazione si fonda proprio sulle somiglianze e che quindi è possibile per un individuo dire, in linea di principio, ciò che è meglio per un altro individuo? E non potremo anche fare una comune ricerca per capire cosa è importante per ciascuno di noi?
#529
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
@Kobayashi,

quindi in poche parole secondo te è "giusto" pensare che l'uomo abbia una dignità perchè lo hai imparato a scuola, perchè lo dicono alla televisione ecc. Secondo me è una palese assurdità pensare una cosa del genere: veramente ritieni che i "valori" sono tali perchè l'educazione dice così?
La società occidentale non è arrivata a questa conclusione. La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca" - di relativismo qui ne vedo gran poco  ;)  è vero che la soggettività è qualcosa di confuso, plastico e malleabile ma ciò non toglie nulla all'esistenza di valori universali (lasciamo perdere il "bene supremo" che ad alcuni può dare fastidio, ma l'esistenza di valori universali è una cosa ben diversa...). Nella teoria della realtività ristretta i valori delle durate temporali sono relativi ad ogni osservatore: ciò non toglie però che le relazioni tra le misure di diversi osservatori sono invece qualcosa di "universale", su cui (secondo ovviamente questa teoria) tutti gli osservatori sono d'accordo. Nella scienza il relativismo non ha senso: si riconoscono che le misure sono "relative" ad ogni osservatore, ma se ci si fermasse qua il progresso scientifico non esisterebbe. Mi chiedo perchè un ragionamento di questo tipo non si faccia per l'etica. Inoltre i relativisti non riescono a dare alcuna risposta all'evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta". Dire che tale azione non è giusta per me perchè me lo hanno insegnato non risolve niente, anzi semplicemente riafferma il nichilismo. E lascia aperta la possibilità alla "volontà di prevaricazione" di creare continuamente conflitti, iniquità ecc perchè d'altronde ogni azione vale l'altra. Una posizione nichilistica come questa non può essere sostenuta. L'etica (e anche l'estetica  ;) ) non è solo educazione.
Wittgenstein secondo me ha centrato il punto in questo passo della Lezione sull'Etica (anche se non concordo fino in fondo con la sua pretesa che non si può fare una filosofia dell'etica...):
"Supponiamo che uno di voi sia una persona onniscente e per questo motivo conosca tutti i movimenti di tutti i corpi vivi o morti nel mondo e che conosca tutti gli stati mentali di ogni essere umano che abbia mai vissuto, e supponente che questo uomo scriva tutto ciò che conosce in un grande libro. Ebbene questo libro conterrebbe la totale descrizione del mondo; e quello che voglio dire è, che se questo libro non contiene niente che possiamo chiamare un giudizio etico e niente che logicamente implica un tale giudizio. Conterrrebbe ovviamente ogni giudizio relativo di valore e ogni vera proposizione scientifica che può essere fatta. Ma i fatti descritti sarebbero allo stesso livello così come le proposizioni starebbero allo stesso livello. Non ci sono proposizioni che, in un qualsiasi senso assoluto sono sublimi, importanti o banali. ..... Se per esempio nel nostro Libro leggiamo una descrizione di un omicidio con tutti i suoi dettagli psicologici e fisici la mera descrizione di questi fatti non contiene nulla che possiamo chiamare una proposizione etica. L'omicidio apparirà allo stesso livello di ogni altro evento, per esempio la caduta di una pietra. Certamente la lettura di questa descrizione potrebbe causarci dolore o rabbia o ogni altra emozione, o noi potremo leggere qualcosa a riguardo del dolore o della rabbia causata da questo omicidio in altre persone quando ne hanno sentito palare, ma ci sarebbero sempre fatti, fatti, e fatti ma non ci sarebbe l'Etica..."
Non pretendo di "convertirti" e di abbandonare il relativismo ma a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo (che ritengo tu stesso non puoi accettare). Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Riguardo al "bene supremo"... è una realtà prima di tutto ideale. Però ogni soggetto ha una chiara distinzione (almeno provvisoria) nella sua mente di qualcosa che è più o meno importante. Almeno a livello concettuale però è possibile pensare una cosa di questo tipo: per l'osservatore X, l'oggetto Y_1 ha un certo valore. Se Y_1 è l'ogggetto con il valore massimo allora non sarà possibile in linea di principio trovare un oggetto con più valore di Y_1. Viceversa se Y_2 ha per X più valore di Y_1 allora Y_2 o sarà l'oggetto di valore massimo oppure esisterà un altro oggetto Y_3 con valore ancora più grande ecc La paradossalità si crea se non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto. Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno possibile. (Secondo me è reale...)

Citazione di: InVerno il 14 Novembre 2017, 09:50:42 AM
Citazione di: Apeiron il 10 Novembre 2017, 23:03:22 PMP.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
Per sapere se possa essere considerato universale dovresti innanzitutto stabilire se la tua mente può contenere l'universale, Emily Dickinson pensava di si per esempio (mi hai fatto venire in mente questa poesia http://www.bartleby.com/113/1126.html) io penso di no per esempio, ma non ho poesie, anche se i continui dibattiti a riguardo penso dimostrino un che ne di poetico. Tuttavia l'acqua (specialmente la goccia) è un simbolo che ha a che fare con la circolarità e la non-forma, la liquidità, dai persiani verso l'oriente molto ricorrente. Al di la dell'interpretazione ostica e criptica del dao che accantonerei volentieri (sono andato a rileggerlo sulle mie 3 versioni del libro, senza venirne veramente a capo), il fatto che tu la ritenga corrispondente al vero dipende principalmente dalla tua sensibilità verso le proprietà liquide del famoso fluido che ha forma solo se contenuto (anche se poi il dao elogia la vacuità del vaso). Tu lo ritieni diverso dalla non-esistenza ma quella è una non-definizione, e onestamente l'idea di un esistenza che possa essere espressa solo tramite contraddizioni mi pare enigmatica, con il grosso rischio di indulgere in essa in tautologie misteriose ma che non muovono la questione di un millimetro per via della solo apparente illogicità.

Non ritengo che la nostra mente possa "contenere" l'universale tuttavia ritengo che Emily Dickinson qui sostenga un punto importante: esso non va ricercato "in capo al mondo", anzi per certi versi dobbiamo "cercare di non cercarlo"  ;D . (Più precisamente secondo me il "bene supremo" è "qui e ora"). E inoltre a pensarci bene in un certo senso tutta la nostra esperienza è qualcosa di "mentale", quindi prima di indagare il "mondo esterno" è bene anche indagare il "mondo interiore" perchè è molto più "vasto" di quanto crediamo. In esso ci sono molte ricchezze su cui per vari motivi passiamo oltre (e anche se non contiene il "bene supremo" forse è proprio il "mezzo" per giungere ad esso  ;) ).  

Riguardo al Daodejing in realtà alcune versioni cinesi (le più antiche tra l'altro) riportano che "l'acqua beneficia tutte le creature e contende, fluisce nei posti disprezzati dalla moltitudine... proprio perchè non contende non è trovata in colpa". Nella versione ricevuta la frase iniziale è "l'acqua beneficia tutte le creature e non contende". Ritengo più corretta questa seconda formulazione anche se forse è perchè ho un pregiudizio dovuto all'aver letto troppi testi buddhisti. Lo interpreto in questo modo: la più sublime contesa è la non contesa (lettura che tra l'altro è confermata da più o meno tutti gli altri capitoli anche delle versioni più antiche). Però è un testo oscuro, astruso, troppo sintetico. A me la metafora dell'acqua piace perchè appunto "beneficia tutte le creature (senza far distinzioni)". La vacuità la interpreto come uno stato mentale in cui liberandoci da pregiudizi vari diventiamo più aperti e siamo più pronti all'apprendere (quindi anche la vacuità è un modo per "adattarsi", quindi non è poi diversa dall'immagine dell'acqua). Il problema è che il Daodejing è un testo pieno di paradossi, molto oscuro, pare che sia stato modificato più volte nel tempo e così via. Io lo uso come "fonte di ispirazione".
Ad ogni modo non volevo dire che la nostra mente può "trattenere" il "bene supremo" né volevo dimostrare l'esistenza del "bene supremo". Semplicemente ho cercato di mostrare come la nostra mente naturalmente funziona, ossia nel ricercare le cose "importanti" (o di "valore"). Inoltre la nostra mente sembra costruire in modo automatico una gerarchia di cose importanti e inoltre sembra tendere sempre verso la "parte alta" della gerarchia. Il mio argomento in sostanza è che non solo la nostra mente ha un "senso" (mi si perdoni il termine  :-[ ) per cui "valuta" l'importanza delle cose, però ha anche la tendenza a costruire gerarchie e a tendere verso la parte più alta di essa, ossia verso un "sommo bene". Il quale se non esistesse sarebbe un semplice "fantasma". Se fosse semplicemente la non-esistenza allora tutte le cose avrebbero per così dire "valore negativo" oppure sarebbero "senza valore" (in quanto la non-esistenza non essendo qualcosa non ha nemmeno un "valore". Sarebbe per così dire un qualcosa di valore nullo e quindi in questo caso tutta l'esistenza in questo caso avrebbe valore al massimo nullo). Motivo per cui ritengo che il "sommo bene" sia una qualcosa di reale. Se però lo definissi in modo diverso dal fatto di "non essere la non-esistenza" dovrei dire cosa esso è. Qui ovviamente ho le mie idee ma almeno per ora è una questione, che al livello attuale della discussione, è prematuro indagare (per me non è semplicemente la non-esistenza però preferisco definirlo in modo negativo)  ;) (chi volesse farlo ovviamente può dire la sua...)
#530
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
13 Novembre 2017, 22:16:08 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Novembre 2017, 21:43:01 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Novembre 2017, 15:49:36 PMognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.
CitazioneCiò che necessariamente hanno in comune i beni supremi di tutti é solo il fatto che ciascuno di essi é il bene supremo per chi lo sente come tale. Che però in linea teorica, di principio può essere logicamente diverso per ciascuno, pur essendo per tutti il rispettivo (suo proprio di ciascuno) bene supremo (avendo in comune con tutti gli altri unicamente questo astrattissimo "primato per ciascuno". Non é logicamente possibile identificarlo necessariamente con un unico bene supremo per tutti: l' etica, intesa come un insieme coerente di valori da condividersi da parte di tutti, da tutti condiviso, non é dimostrabile (contro l' intenzione del comunque grandissimo Spinoza), né "geometricamente", nè in alcun altro modo. Credo che di fatto sia avvertita a posteriori in larga, importantissima misura da parte di tutti, ciascuno "dentro di sè" (salvo forse casi decisamente patologici) come insieme di tendenze comportamentali conseguenti l' evoluzione biologica da cui siamo derivati, che ci ha "prodotti".

Hai ragione, che erroraccio  :-[  Ho dato un argomento a favore dell'esistenza (chiarico: era un argomento, non dimostrazione  ;) )... per l'unicità ovviamente no  ;D mettiamola così: si può al massimo "dedurre" questo: visto che i soggetti sono simili (fatto piuttosto empirico) tra di loro allora  saranno "simili" anche le loro "concezioni" di "Valore Supremo" (e anzi in realtà anche la gerarchia stessa). Sono un forte sostenitore della filosofia del "conosci te stesso", la quale però è priva di senso se non siamo "simili".

Riguardo al relativismo (per @altamarea e @Kobayashi): i valori sono ovviamente concetti "relativi" (preferisco il termine "relazionali") nel senso che il valore di un oggetto è sempre riferito ad un soggetto (per il soggetto X l'oggetto Y è  un "bene"...). Anche un supposto valore "universale" d'altronde sarebbe "relazionale": infatti si avrebbe che per tutti i soggetti l'oggetto Y è bene. Su questo sono d'accordo e sono d'accordo sul fatto che ci sono differenze individuali ineliminabili tra le persone. Però non posso accettare che ad esempio un valore "universale" come ad esempio la "dignità dell'uomo" sia solo una convenzione sociale. Se poi una determinata cultura non credeva in questo principio non posso accettare che la loro visione fosse "giusta come" la nostra. Il problema del relativismo nel campo etico è che sostenendo che ogni "posizione" sull'etica è meramente convenzionale non vieta in linea di principio ogni azione. Un relativista potrebbe dire che conoscendo che la sua posizione non è "assoluta" non desidera imporla a nessuno, ma un altro relativista potrebbe invece imporla anche in modo violento giustificandosi proprio con il relativismo stesso. Per il relativismo nessuno dei due sbaglia, visto che non c'è alcun modo per stabilirlo. Il "fallibilismo" - ossia l'ammettere la propria limitatezza - evita a mio giudizio sia l'estremo dell'assolutismo violento che quello del nichilismo (conseguenza secondo me automatica del relativismo) pur essendo chiaramente una forma di assolutismo (in quanto stabilisce che esistano "verità universali")  ;) Comunque non riesco a capire la differenza tra "valore assoluto" e "valore universale": in ogni caso un "bene universale (o assoluto)" è "bene" per ogni soggetto (ossia non dipende dal determinato soggetto scelto). A meno che non si creda che il "valore universale" sia una generazione accidentale o una convenzione sociale (ossia si torna nel nichilismo)...  

@Giorgiosan: ricambio i saluti ;) benvenuto nel Nuovo Forum!

P.S. Ovviamente ho sbagliato a scrivere la locuzione latina per il "Sommo Bene". La scrittura corretta è "Summum Bonum" e non "Sommum Bonum" - perdonate l'errore  :-[
#531
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
12 Novembre 2017, 15:49:36 PM
Il problema di considerare i valori come il prodotto dell'interazione sociale è che come noto si finisce per attribuire valore ad una persona ad esempio sulla sua ricchezza o sulla fama. Lo stesso "amore" non appena viene codificato e messo come "valore convenzionale" finisce per diventare egualmente problematico. In fin dei conti avviene che un "ente" esterno come la società afferma che un certo essere umano vale "molto o poco". Nel mondo capitalistico moderno per esempio il valore è la "produttività". Se sono produttivo "merito", se sono improduttivo non merito nulla. Questo a mio giudizio crea un imprigionamento della persona.

Viceversa se dico che il valore di un pensiero, una parola, un'azione è una "proprietà" che lega sia il soggetto (io, tu...) all'oggetto allora non vi è più nesssuna "imposizione dall'esterno". Ad esempio se per me è importantissimo collezionare francobolli allora sono io che nella mia gerarchia metto al primo posto la collezione di francobolli. Al mio amico piace invece collezionare figurine e quindi nella sua gerarchia avviene che mette al primo posto la collezione di figurine. A questo punto avviene però una cosa paradossale: ognuno di noi ha una gerarchia diversa e ognuno di noi ritiene che essa sia quella "giusta". Questo è il relativismo. Ovviamente però anche nel caso del relativismo ognuno di noi ha un'idea di cosa è per lui il "massimo valore".

Qui però a mio giudizio abbiamo un paradosso. Ognuno di noi è mosso dal "valore": faccio questo perchè è importante, non faccio questo perchè non è importante o perchè è importante non farlo. Ognuno di noi quindi ha una certa misura del "valore" delle cose. E siccome nella gerarchia c'è una direzionalità è necessario che venga pensato un "massimo valore", un "Sommum Bonum" (anche solo in modo astratto) ;) Ergo abbiamo che ogni soggetto quindi ha una gerarchia e in modo astratto pensa ad un "Sommum Bonum" (o "Bene Supremo"). E in ogni soggetto ci sarà la ricerca a trovare appunto questo "Sommum Bonum" perchè è qualcosa che ha più "valore" di tutti per noi.

Secondo me quindi almeno da un punto di vista descrittivo della nostra mente abbiamo tutti l'idea che ci sia una gerarchia di "importanza" tra le "cose" e tutti possiamo pensare almeno come concetto astratto un "Sommum Bonum". Però è empiricamente visto dalla molteplicità delle culture che non tutti concordiamo su cosa è per noi la "giusta gerarchia" e il "giusto Sommum Bonum". Il relativista si ferma qui secondo me, ammettendo l'esistenza di più "gerarchie" e "Beni Supremi".

Se però non esistesse un "Bene Supremo" (ossia se fosse un mero concetto) avremo una sorta di "antinomia" e renderebbe la nostra vita completamente paradossale: la nostra mente infatti produce in questo caso un'idea della "cosa più importante" la quale però non esiste. In sostanza produce quindi un desiderio il quale non può mai essere soddisfatto. Infatti se non ammettiamo l'esistenza di un "Bene Supremo" ogni azione, pensiero ecc per arrivare ad un tale "Bene Supremo" (che è da noi ricercato, essendo all'apice della gerarchia) sarebbe futile. Ammettendo però l'esistenza della gerarchia e del "Bene Supremo" torniamo al discorso del relativismo.

Se fosse vero il relativismo allora a priori bisognerebbe ammettere la possibilità che esistono almeno due "Beni Supremi". Ma questo lo ritengo assurdo per questo motivo: ognuno dei soggetti ha in comune l'avere una gerarchia di valori. Ognuno cerca ciò che ha più valore e può pensare all'esistenza di qualcosa che ha più valore del resto (il Bene Supremo). Quindi questi soggetti in realtà hanno qualcosa in comune e quindi anche ognuno dei Beni Supremi deve avere qualcosa in comune con gli altri Beni Supremi. Ciò che accomuna questi Beni Supremi dunque sarebbe un Bene Supremo per tutti. Quindi esiste un unico Bene Supremo per ogni soggetto.

Da dove dunque nasce la molteplicità delle concezioni a riguardo del valore? L'unica risposta che mi viene in mente è che siamo in una condizione nella quale non conosciamo il Bene Supremo e quindi siamo costretti a rappresentarlo secondo una "immagine imperfetta".


@Kobayashi
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.


Eppure a me sembra che ognuno di noi agisca per (quello che pensa essere) il bene - la ricerca del bene parrebbe dunque essere qualcosa che ci accomuna. Quindi da questo punto di vista non è vero che siamo così tanto diversi noi esseri umani da dire che non è possibile formulare valori universali che valgono per tutti.
Non è per caso più corretto dire che siamo in una condizione di ignoranza per la quale non conosciamo ciò che è "meglio" per noi?


Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati".

P.S. Ovviamente il "valore" di per sé è un concetto "relazionale" (e quindi in un certo senso "relativo") perchè riguarda il rapporto tra un "soggetto" e un "oggetto": per Y è importante X.  Però questa relazionalità di per sé non implica il relativismo (inteso comunemente), perchè X potrebbe risultare importante sia ad Y che a Z e così via.
#532
Tematiche Filosofiche / Re:La realtà è illusione?
11 Novembre 2017, 13:20:35 PM
Citazione di: iano il 11 Novembre 2017, 07:05:37 AMSe io e te avessimo accesso alla realtà assoluta , quindi non costruita , come faremmo a comunicarcelo ? Come faremmo a condividerlo? Le filosofie orientali ci dimostrano che la realtà cui abbiamo accesso è costruita , dandoci un metodo per decostruirla. Ciò può essere comunicato e quindi può essere condiviso. Da qui partono due strade. Prendo atto che ciò che credevo realtà' è una illusione e quindi cercherò la via per giungere alla realtà assoluta. Questa è la strada delle religioni. In alternativa prendo atto che ,dopo aver decostruito la realtà ereditata per via culturale genetica , posso ricostruirla in modo alternativo . Questa è la strada delle scienze. Questa nuova realtà non ha necessariamente nulla a che spartire con la vecchia realtà , ma potrebbe essere la stessa realtà espressa in una forma diversa , così diversa da farla apparire inaccettabile. Essendo una realtà costruita deve avere una forma,che io la conosca o meno. Per le scienze la forma è quella matematica. L'ipotesi che la matematica sia la forma comune a tutte le realtà possibili non mi sembra alla fine così forte. Mi sembra ragionevole fino a prova contraria. Perché qualcosa possa essere oggettivo deve ,come prerequisito , poter essere condiviso,quindi deve essere qualcosa di costruito. Quando questa costruzione diventa oggettiva. È un processo democratico. Nel caso della realtà ereditata si chiama senso comune , per il quale ingenuamente , certe cose sono evidenti e non vanno spiegate.

Secondo te è possibile trovare un equilibrio tra le due tendenze? Essendo io un fisico affascinato dalle filosofie indiane per me trovare un equilibrio è molto importante  ;D
#533
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
11 Novembre 2017, 13:18:05 PM
Mmmm la distinzione tra principi e valori mi pare un po' artificiale in realtà. Diciamo che sono due modi diversi di vivere i propri valori. :-\

Però relegare i valori alle convinzioni non spiega "cosa" sia il valore, semmai spiega a cosa noi diamo "valore". Per esempio se per me ha valore "la libertà" certamente sono convinto che essa "è importante". Quello che mi chiedevo io era cosa è in fin dei conti questo senso "di ciò che è importante". Il problema del relegare tutta questa quesione alla "convinzione" è che diventano qualcosa di banale ::) . Mi spiego: gli aztechi hanno i loro valori, gli africani i loro, gli europei i loro e così via.

Oppure si può vedere la cosa in un altro modo: è proprio dai valori e quindi dalle convinzioni che si può vedere per così dire "chi siamo". Ossia che la nostra identità in un certo senso è data proprio dalle nostre convinzioni e dal modo con cui ci poniamo rispetto ad esse. In questo senso relegarli alle nostre "convinzioni" non è affatto banale, anzi. D'altronde le nostre convinzioni in realtà condizionano tutto. Perfino nella scienza si cercano le cose "ritenute importanti" - si scartano dati ritenuti non importanti e così via. Che dunque la nostra identità in fin dei conti sia data da ciò a cui diamo valore (e all'intensità con cui crediamo che ciò sia effettivamente di valore - intensità che si riflette in pensiero, parola e azione)? Però cos'è in fin dei conti il "valore"? L'"io", il soggetto? O meglio: l'identità di questo soggetto?

P.S. La mia attuale firma è "Il bene supremo è come l'acqua (Dao-De-jing, capitolo 8 )". Se in futuro dovessi cambiarla ovviamente il povero lettore sarebbe un po' confuso da post inziale LoL
#534
Tematiche Filosofiche / Il valore
10 Novembre 2017, 23:03:22 PM
Con "valore" in genere si intende ciò che rende importante qualcosa. Un esempio molto banale e molto evidente di "valore" è il valore economico ed è rappresentato grosso modo dal prezzo. Per esempio qualcosa che si trova raramente costa molto, così come costa in genere di più un'opera fatta artigianalmente da una fatta nell'industria. Tuttavia anche se il valore è "ciò che rende una cosa importante" è anche vero che tale "valore" deve essere importante per "qualcuno". Per me ad esempio è importante seguire la meteorologia, per altri invece non lo è. Se un giorno sarò costretto a non seguire più il meteo sentirò la mancanza di qualcosa di importante. Tuttavia la nostra mente cambia in continuazione e non è detto che ciò che è per me oggi importante lo sia anche fra qualche anno - ergo la rinuncia alla meteo forse fra qualche anno non avrà alcun effetto. Il "valore" quindi è ciò che muove ciascuno di noi: ognuno di noi persegue ciò che ritiene importante. Alcuni ritengono che il valore massimo della vita sia per esempio il piacere dei sensi. Altri la filosofia e così via. Per questo motivo è facile capire che il "valore" è un argomento che dovrebbe essere molto presente nella filosofia.

Chi ritiene ad esempio che non vi è nulla di meglio dei piaceri dei sensi si comporteranno di conseguenza, ossia saranno nella continua ricerca del piacere - questo se vogliamo è l'edonismo. Chi ritiene ad esempio che il massimo valore sia la filosofia probabilmente dedicherà la sua vita ad essa. Altri potrebbero scegliere il sacerdozio. E così via. L'etica - quella seria, non l'insieme bigotto di regolette - nasce dall'esigenza di stabilire ciò che è importante, quali comportamenti sono giusti e così via - quindi in un certo senso l'etica è lo studio di ciò che ha valore. E volendo lo è anche la spiritualità se la si intende come la ricerca del "Bene", ossia di ciò che ha più valore per lo "spirito". In genere sia le religioni che le religioni hanno cercato di raggiungere ciò che il "massimo valore" e lo hanno reso coincidente con l'Assoluto. In alcuni casi il Bene è una Persona, il Dio Personale. In altri casi è un assoluto non personale. Nel caso del buddhismo è l'Estinzione della Sofferenza (il Nirvana). Per Nietzsche era l'affermazione di sé. Per un nichilista non esiste e così via.

In genere il "valore" di qualcosa sembra crescere a seconda della sua "unicità", della sua "rarità", e del fatto che sia importante per più soggetti. Ergo si dice che il "Bene" più grande è unversale, è ciò che è più importante di tutti. Il fatto che è universale lo rende una sorta di "verità eterna", valida per ogni tempo. Curiosamente Kant si accorse che la nostra mente sembra, per così dire, "puntare" all'esistenza del "massimo bene", ossia sembra che il concetto del massimo bene sia intrinseco alla nostra mente (motivo per cui nella Critica alla Ragion Pratica postulò l'esistenza di Dio in modo da evitare il "paradosso" per cui la nostra mente è regolata da un'idea che riguarda qualcosa di completamente irreale).

Volevo chiedere agli amici dell'Hotel Logos:
1) cos'è per voi il valore?
2) esistono valori solo individuali o universali?
3) esiste il massimo valore?
4) esiste una gerarchia di valori? è universale?
5) l'idea del "massimo valore" si forma in "modo automatico" nella nostra mente?
6) se il massimo valore non corrisponde a qualcosa di reale perchè dovrebbe formarsi un'idea simile nella nostra mente?

P.S. Ovviamente come c'è scritto nella mia firma sono convinto che esista il "bene supremo" e che esso sia universale. Non capisco però cosa esso sia. Lo ritengo però diverso dalla non-esistenza.
#535
Tematiche Filosofiche / Re:La realtà è illusione?
10 Novembre 2017, 12:15:29 PM
Su questo tema consiglio di leggere questi argomenti: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/realta-e-rappresentazione/
e https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/cos'e-un-ente-perche-e-diverso-da-un-niente/

Ad ogni modo l'argomento del sogno (e le sue varianti) pur essendo estremamente interessante lo ritengo irresolvibile. Secondo me ha più senso chiedersi in che modo le nostre "rappresentazioni" concettuali della realtà sono legate alla realtà stessa. A mio giudizio se si parte con questo spirito si vede come quella che noi pensiamo essere "realtà" è invece una (auto-)illusione, motivo per cui tra l'altro mi piacciono molto le cosiddette "filosofie orientali".
#536
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
08 Novembre 2017, 17:21:32 PM
Caro Green,

Peccato volevo convertirti al daoismo (scherzo visto che nemmeno io lo sono e nemmeno un daoista vorrebbe convertirti)  ;D  A parte gli scherzi...

Voglio solo dire una cosa. Riguardo al "Silenzio" ero "semi-ironico". Ritengo vero che la "perfetta libertà dalla sofferenza" è essere come l'acqua che scorre, i pianeti che ruotano attorno al Sole ecc. Sono tutte azioni immediate e pure. Sono pure azioni senza sforzi. Ovviamente non essendo "cose animate" non si può parlare di "felicità" o di "beatitudine". Il Realizzato allo stesso modo non agisce con sforzo o facendo piani per vantaggio personale. Non ha più alcuna illusione di controllo. Quindi è come l'acqua che scorre, i pianeti che ruotano.

Per quanto riguarda il Divenire nell'advaita e nel buddhismo. Sì so che sono diversi ma in entrambi i casi si parla di "azione spontanea, senza [senso del] sé, no". Proprio come il gioco del fanciullo (lila) o l'acqua che scorre. Queste immagini mi danno l'idea di "libertà". Sinceramente non mi interessa più sapere quale delle "immagini" sia più "vera".

Il problema è semmai se il nirvana è o meno il "ritorno all'inanimato" - la "distruzione" totale della mente o solo la sua "cessazione". In un caso c'è il ritorno allo stato iniziale. Nel secondo si ha un salto dialettico.  

In questa discussione sono arrivato a questa conclusione: il Realizzato è l'essere più spontaneo di tutti. Questo perchè non c'è più intenzionalità, brama di affermazione, pianificazione ecc. Proprio come l'acqua che scorre.

Tutto il problema si riduce a questo "come". Come ben dici che cosa è davvero il vuoto buddhista, il Dao, l'assorbimento con Brahman ecc lo si saprà solo quando si è "raggiunto l'obbiettivo". Prima di allora non si può sapere. Bisogna per così dire "avere fede"  ;)

Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere (Wittgenstein) - così adesso aldilà di tutte queste discussioni provo a "tacere" perchè visto il ritmo dei miei messaggi, ormai tutto questo è diventato una sorta di "ossessione"  ;) (il che tra l'altro mi è possbile solo perchè facendo una tesi teorica lavoro comodamente a casa e nelle "pause" vengo qua a scrivere. Anche se la cosa mi piace molto, ho però capito che la moderazione è essenziale devo imparare a "togliermi anche questa dipendenza"  ;D ) Ergo cerco di tacere (ovviamente se hai domande cerco di risponderti ma non mi va di teorizzare ancora (almeno per un po'))

Ad ogni modo ci siamo capiti che sia il fanciullo, il Realizzato ecc sono tutti "spontanei" (proprio per questo non ha più senso parlare di "Storia" per loro - visto che la storia è fatta da interventi atto a "controllare" la direzione del mondo). La "vacuità" del senso del sé individuale ci porta proprio ad essere spontanei, contenti ecc ossia liberi. Personalmente ritengo che anche il "parinirvana" - ossia il nirvana dopo la morte - non sia il ritorno all'inanimato. Ma è solo una mia convinzione ;)

Si potrebbe pensare di cercare un compromesso tra la visione "non-storica" e quella "storica". Ma come ho detto per ora lascio perdere ;) vado a rifugiarmi nel silenzio !


Alla prossima!
#537
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
08 Novembre 2017, 15:01:15 PM
@Green ti mancano il Dao-De-Jing (o Tao Te Ching) e lo Zhuangzi (o Chuang-tzu o Ciuangtzé) e poi sei al completo  ;D ti posso garantire che questi due libri cinesi composti prima del 200a.c. sono dei veri gioielli. Anche se anche per essi puoi dire che la Storia non Esiste.


Riguardo all'inesistenza della storia. Sì hai ragione da un certo punto di vista. Però puoi anche pensare che la ruota del samsara sia una sorta di "caduta" e la liberazione sia la "redenzione". Quindi il processo dialettico c'è anche qui: tutto dipende da come interpreti il Ritorno. Più precisamente quello che esiste per il buddhismo è il Divenire. Ma questo "divenire" è vuoto di "entità": in sostanza la Storia non esiste perchè "tutto è bloccato" (pensa a Parmenide) bensì la Storia non esiste perchè nulla si evolve. Il mondo è una rete di avvenimenti, di eventi e di "fatti". Non di cose (e senza cose non avviene in verità nulla).

Ad ogni modo sull'illusiorietà della Storia pensa a questa frase:
Zhuangzi: "la soggezza degli antichi arrivava fino ad un limite. Quale limite? Quello per cui non credevano che esistevano cose. Di più non si può arrivare. Quelli dopo di loro ritennero che le cose esistevano ma non ponevano confini tra di esse. Quelli dopo ancora ponevano confini ma non distinguevano tra "accettabile" e "non accettabile". Fu quando si riconobbe la distinzione tra "accettabile" e "non accettabile" che la Via fu ferita"

La forte contrapposizione con il cristianesimo è che la storia delle distinzioni e dei concetti è "reale" per il cristiani: Gesù ad esempio è morto e risorto. Ovviamente non si può non rifersi ad un "sé distinto" in questo caso. Quindi la Storia di fatto è illusoria per le tradizioni advaita, daoismo e buddhismo. D'altronde per l'occidente cos'è la Storia se non la storia degli sforzi e le azioni degli uomini? Di certo non è la "non-azione" del corso dei fiumi o dei pianeti oppure di un Divenire senza "sé" separati e distinti! Questa è la grande differenza tra religioni come il cristianesimo e le religioni indiane e il daoismo.

P.S. Questa è pure la differenza tra la filosofia di Nietzsche e la filosofia indiana e daoista. Nietzsche cercava l'affermazione dell'uomo (e della storia), questo tipo di tradizioni invece preferisce la "non-affermazione". Pensa anche al fatto che Gesù si è incarnato una volta. Invece di Buddha ce ne sono stati molti e molti ancora ne verranno, idem per Krsna e il daoismo è stato insegnato fin "dai tempi antichi"...
#538
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
08 Novembre 2017, 12:41:38 PM
@Sari,
tu dici: "Quando Buddha indicò come concepiva l'anatta, il non-sé fu decisamente diretto e disse : "Non c'è in questo corpo nessun atta, perché se ci fosse atta in questo corpo, quest'ultimo avrebbe la possibilità di decidere se essere così o non essere così". L'anatta è dunque anche l'assenza totale di controllo, è l'idea di assenza totale di controllo di ciò che ci circonda e nella cui ricerca noi, esseri che vediamo il mondo come 'atta', riversiamo l'intera nostra esistenza. E', come hai scritto anche tu, un'intenzione 'rinunciante' al controllo..." Già! questo è il cuore dell'"anatta" - ossia il vedere che gli eventi non possono essere controllati. Anatta per come lo inteprepreto io è proprio la netta visione che la pretesa del controllo è illusoria. Non a caso: fiumi, nuvole, pianeti, stelle, galassie certamente "agiscono", "fanno qualcosa" ma le loro "azioni" sono prive dell'illusione del controllo che noi abbiamo. E anzi lo stesso vale per le piante, ossia per tutto ciò che non è "animale". Ma se vogliamo forse anche gli stessi animali sono liberi dall'illusione del controllo (almeno non hanno il concetto di "controllo", purtroppo hanno l'istinto del controllo, donde la loro sofferenza  :( ). Per quanto riguarda comunque gli essseri inanimati e gli esseri viventi diversi dagli animali le loro azioni sono spontanee, sono prive di preoccupazioni! Sono il perfetto esempio sia dell'"anatta" che del "wei-wu-wei" (ossia l'azione senza azione - senza pretesa di controllo). Questo secondo me è il segreto dell'"anatta".
Ma il controllo non è "qualcosa" di astratto, non ha senso parlare per esempio del "senso di controllo" o della "sofferenza" di un fiume. Il loro agire è "libero", libero da "agenda" (ossia da "pianificazioni", scopi, pretese, brame e avversioni). Motivo per cui dire "la roccia è anatta" è tautologico. Dire invece la frase che tu dici del corpo mette in luce tutta la questione. Siamo noi a dover rinunciare alla pretesa del controllo. La "caduta" è stata proprio la pretesa di poter controllare le cose - cosa che ha alimentato la brama di possesso e di "potenza"/dominio. Se uno agisce spontaneamente senza alcuna pretesa di controllo, senza alcuna idea di controllo per quale motivo potrebbe voler ad esempio essere violento? Ad esempio si ruba solo se si ha la pretesa che l'oggetto rubato è "nostro", oppure che la vittima del furto "se lo merita" e noi abbiamo il diritto di farlo. La realtà di anatta secondo me è questo. La verità in un certo senso più umile. Se ad esempio ci fosse un qualcosa fuori dall'universo di "permanente" che importanza avrebbe? Non servirebbe a nulla per il nostro controllo. Motivo per cui Buddha saggiamente non ha dichiarato "non c'è alcun "Sé"" oppure "nulla è permanente", bensì tutto ciò che ci riguarda è fuori in senso ultimo dal nostro controllo. Questo ritengo essre il grande messaggio, il vero significato di "anatta". E perchè dunque non possiamo controllare niente? Semplice: il mondo non è formato da "cose" ma da reti di processi e interazioni. Ergo il nirvana è anche la nostra "mente naturale" perchè d'altronde le azioni di chi non ha pretese sono appunto spontanee e naturali! Maledetto controllo! Però:
perchè un'intepretazione nichilistica ci riesce meno facile da accettare? Semplice perchè in tal caso la nostra vita è un mero errore. Se "nirvana" significasse semplicemente la distruzione della "mente" che differenza ci sarebbe tra un Realizzato e una roccia? Se l'obbiettivo finale è quello di essere spontanei d'altronde non è proprio voler tornare ad essere rocce. E qui ritengo il merito delle intepretazioni "sostanziali" del "nirvana": il ritorno forse non è un semplice ritorno. Forse non ritorniamo ad essere rocce, nel Silenzio della "non-azione" ossia dell'azione Spontanea di fiumi e rocce. Se fosse così allora la vita sarebbe un errore. No, il nirvana forse è una "vita" che ha le stesse caratteristiche di spontaneità e innocenza di fiumi e rocce, di pianeti e stelle - ossia è una sorta di "processo dialettico" (tesi-antitesi-sintesi? tesi: mondo naturale, antitesi: illusione del controllo sintesi: nirvana ?). Ma in effetti che ci sarebbe di male se tornassimo al "nulla" inteso come ritorno alla natura? Ritorno alla natura e alla spontaneità? Eppure siamo veramente soddisfatti di un tale esisto?  :( e qui che differenza pratica c'è tra buddhismo e altre tradizioni come il daoismo e l'advaita se il ritorno alla "spontaneità" è il tornare come "oggetti inanimati"? In tutti e tre i casi se il ritorno non è anche un superamento siamo veramente soddisfatti di un tale esito?  :(

Nota personale: Questo è il vero motivo per cui non sono ancora "convinto" di abbracciare questo tipo di tradizioni. Dicono la verità, ossia che non possiamo controllare nulla e quindi la "rinuncia" non è una vera "rinuncia" ma una sorta di liberazione. Ma si può davvero chiamare liberazione se l'obbiettivo è davvero quello di tornare ad essere rocce? (non intendo ri-iniziare il dibattito, voglio solo dire che mi rimane questo dubbio che finora non ho risolto - altri magari saranno più convinti di me. Forse il dubbio nasce proprio da quel desiderio di controllo. Forse) Ma è davvero un ritorno e non un superamento? Mah


Rigardo alla tua nota personale: il problema del cristianesimo tradizionalista, è che vieta il pensiero. O credi o non credi (se non credi sei fuori, anatema), non c'è una seconda possibilità o una possibilità di "provare di volta in volta", di testare, di mettere in dubbio - il dubbio è malvisto specie dai tradizionalisti (un po' meno in realtà dalla stessa Bibbia - dopotutto Tommaso non è stato ripudiato per il suo dubbio - e dalla Chiesa post-Concilio). Per una mente a cui "naturalmente" vengono dubbi è impossibile "mandar giù" sempre tutto. Sarà pure un peccato, ma non lo si risolve dicendo "credi" o "è un mistero" . Si lascia semmai correre il rischio di sbagliare, di andare nell'ortodossia - altrimenti non si fa che innalzare l'odio e il risentimento - invece "lasciando andare" forse il "miscredente" capisce l'errore. Questo è vero per il cristianesimo "conservatore". Meno per quello "post-concilio", che è molto più umano.

L'altro grande problema del cristianesimo è che pone barriere concettuali molto rigide (talvolta, bisogna riconoscerlo, plausibili. Ma altre volte sembra che escano dal nulla): l'uomo è totalmente un'altra cosa rispetto agli animali. Le cose sono separate e distinte, noi stessi abbiamo un'anima individuale che è nettamente separata dal resto. Invece empiricamente il mondo lo capiamo meglio proprio "smorzando" le distinzioni (oltretutto il "filosofo" non è "orgoglioso" di quello che sa, ma semmai rifiuta un dogma perchè "sa di non sapere"  ;) ). Forse daoisti, advaita e buddhisti sbagliano a non porre distinzioni (in realtà questa mia mancanza di accettazione completa della "non-separabilità" mi allontana dall'abbracciare le cose). Però smorzando le distinzioni posso essere più aperto all'altro, posso accettare i miei e gli altrui difetti, posso capire l'altro. E così via. Certamente anche nel cristianesimo ci si interroga molto sulla sofferenza (d'altronde il simbolo è la croce). Però ci sono anche molti, troppi dogmi. Si può volendo criticare buddhismo e advaita, magari si accettano in parte le loro dottrine ma comunque si può praticare - si può metterle in dubbio, d'altronde in questi casi è un "vieni a vedere". Recentemente anche nel cristianesimo è arrivata l'idea del "cominciare a credere", ossia che l'approccio corretto è graduale, si accettano gradualmente le "verità". Però non è mai un "vieni a vedere" concreto come il buddhismo, specie per chi ha una mente caotica e "vitale". Il buddhismo attrae perchè appunto tratta della sofferenza, un aspetto molto concreto (di nuovo lo fa anche il cristianesimo con "Dio che diventa Carne" ma non è così diretto).
A riguardo all'età, io sui diciassette anni ho avuto una vera e propria crisi esistenziale (ma è stato un processo al contempo improvviso e graduale), ho cominciato a vedere difetti in me e nel "mondo degli uomini". Ho cominciato a pensare molto alla morte e alla sofferenza e inoltre insiame a Spinoza, Schopenhauer era diventato il mio "preferito" (in realtà quest'ultimo fatto è avvenuto all'inizio del mio diciannovesimo anno d'età, però poco importa) - l'interesse per il cristianesimo nel frattempo era sparito (non c'è stata alcuna ribellione, semplicemente non mi sentivo più parte della comunità e non accettavo di andare a messa per "tradizione". Diciamo che non ne sentivo il bisogno). Per la prima volta mi sono cominciato a porre seriamente le domande sulla "spontaneità", sulla "libertà", sul "mondo dopo la morte" ecc. E ho cominciato ad essere attratto dalle filosofie orientali, prima il daoismo e poi il buddhismo (semplicemente perchè ho per caso trovato il testo del Daodejing). Schopenhauer a 17 anni ebbe la sua crisi che lo rese "pessismista" per tutta la vita. Quindi forse è normale  ;D  Secondo me la scossa è ciò che attiva la vita spirituale (oppure se già presenta la fa "esplodere"). Senza nessuno si mette a cercare, a mettere in dubbio come sta vivendo ecc. E d'altronde le tradizioni "non-duali" solitamente appunto smorzando le distizioni sono molto accoglienti e solitamente meno inclini ad "anatemizzare".
#539
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
07 Novembre 2017, 20:06:24 PM
Sì un discorso simile sul buddhismo del Buddha lo avevamo già fatto tempo fa  ;) Per esempio si potrebbe pensare che Cratilo con la sua filosofia che "non si può toccare nemmeno una volta lo stesso fiume" abbia per così dire "capito" la Vacuità. Oppure che Hegel dicendo che "tutto è Divenire" sia arrivato al Dhamma con una via diversa. Quello che manca in questi filosofi però è proprio la discussione che una mente veramente libera è "priva" di attaccamento/avversione, che ha "esperienza diretta" della realtà e così via - ossia manca l'aspetto "spirituale", ossia il come io mi rapporto alle cose. Viceversa un platonista, uno che dice che gli enti matematici esistono eternamente può secondo me pensare che il Dhamma sia giusto, visto che non è possibile "attaccarsi" ai concetti matematici. Ergo la "metafisica" intesa come postulare qualcosa di completamente astratto e "irraggiungibile" per un buddhista più che essere "falsa" è "inutile": non porta a niente di "concreto". Allo stesso modo però dimenticarsi che l'anatta è una "teoria" che riguarda principalmente il senso del sé (ossia se esiste nei cinque aggregati qualcosa che "controlla") e farne una teoria metafisica e dichiarare false tutte le altre teorie sulla realtà secondo me non ha senso  ;) e non facendo ciò ci si risparmia un sacco di polemiche e incomprensioni (anche tra le varie scuole  ;) )
#540
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
07 Novembre 2017, 19:38:53 PM
Citazione di: loreT815 il 07 Novembre 2017, 17:52:22 PM
Citazione di: Socrate78 il 07 Novembre 2017, 15:44:08 PMIl barbiere in realtà è la trasposizione dell'insieme di tutti gli insiemi che NON appartengono a se stessi. Un insieme di tal genere appartiene a se stesso? Per logica verrebbe da rispondere affermativamente (è pur sempre un gruppo, un insieme), ma se lo inserisco nella categoria ecco che necessariamente lo devo cacciar via, visto che viene meno il requisito fondamentale (la non appartenenza a se stessi). Ma se l'insieme NON appartiene a se stesso allora sì che paradossalmente viene inserito nel gruppo! Quindi ne deduco che il barbiere non può esistere, visto che in qualunque gruppo venga messo (quelli che si radono da soli o meno) si cade in contraddizione.
Si credo abbia senso. Russel d'altronde aveva formulato il famoso paradosso con (vorrebbe dire l'insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi) che dopo una serie di passaggi logici portava al'assurdo (cioè praticamente A conterebbe e non conterebbe se stesso allo stesso tempo, il che viola il principio di non contraddizione formulato dal nostro amico Aristotele), provando ancora un volta i teoremi di incompletezza di Godel. Credo che questa sia una esemplificazione del paradosso atrraverso la figura del barbiere (che quindi sarebbe A). Scusate la spiegazione molto matematica ma avete a che fare con un matematico :)

Complimenti per aver scritto la formula, mi fai sentire a casa (sono un fisico teorico però. Quindi non ti posso dare del "collega"  ;D ). Sì concordo con voi due, logicamente parlando siamo davanti ad un paradosso, ergo una tale situazione non può esistere logicamente...

Se questa non è la soluzione del Sari, forse è indecidibile? come "questa frase è falsa"? Butto lì l'idea :)  


P.S. Wittgenstein tentò, nel Tractatus, di smontare il paradosso originario (quello insiemistico) dimostrando che è un'insensatezza, in questo modo:
3.333    Una funzione non può esser suo proprio argomento, perché il segno funzionale contiene già l'immagine primitiva del suo argomento e non può contenere se stesso.

Supponendo infatti che la funzione F(fx) possa essere il suo proprio argomento; allora vi sarebbe dunque una proposizione: "F(F(fx))", e, in essa, la funzione esteriore F e la funzione interiore F devono avere significati diversi, poiché quella interiore ha la forma φ(fx); quella esteriore, ψ(φ(fx)). Comune ad ambe le funzioni è solo la lettera "F", che però, da sola, non designa nulla.

Questo diviene subito chiaro se noi, invece di:  "F(F(u))", scriviamo "(φ) : F(φu) . φu = Fu".

Con ciò s'elimina il paradosso di Russell.

In sostanza "l'insieme degli insiemi che non contengono sé stessi" secondo Wittgenstein si risolve quando si capisce che l'insieme degli insiemi non è dello stesso tipo degli insiemi che non contengono loro stessi...
Ovviamente ancora oggi si discute se Ludwig abbia davvero risolto qualcosa.