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Messaggi - iano

#5356
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 23:52:37 PM
Certamente. Ultimamente, grazie anche alla webdemocrazia, l'evoluzione umana tende superluminalmente alla supercazzola, ente che nessuna ragione, e scienza con essa,  può discernere.
In effetti l'elemento umano , quando i nuovi media lo mostrano per quel che è, molto al di sotto delle aspettative , è molto deludente.
Sarebbe interessante capire da dove nascessero quelle aspettative.
I nuovi media c'è lo mostrano diverso da come ci appariva.
Direi che siamo ancora in tema.
#5357
😄
Accumuliamo sempre nuove apparenze, e non perché cambia l'osservato , ma evolve l'osservatore nel suo rapporto con l'osservato.
Che questo accumulo di apparenze tenda a qualcosa è una ipotesi non necessaria,accettabile finché  non crea problemi, da scartare altrimenti.
L'evoluzione  stessa dell'uomo non tende a nulla che la ragione possa discernere , e la sua scienza con esso.
#5358
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 20:53:47 PM
Il fatto che finora questo cigno nero non è mai apparso: la leva di Archimede continua a sollevare il mondo e la scienza continua ad essere cumulativa. La Verità la lascio ai metafisici duri e puri. Mi bastano le piccole verità del vivere quotidiano e le piccole metafisiche che cercano di spiegarlo. Delle quali la scienza è la più affidabile.
E noi continuiamo a farci ingannare utilmente dalla percezione sensoriale.
Abbiamo creduto fino a un certo punto che ciò che ci appariva fosse realtà.
Continuiamo a credere che le teorie che appaiono sulle pubblicazioni scientifiche siano realtà, come se le teorie servissero a qualcosa di diverso da ciò a cui serve la percezione.
Cerchiamo soluzioni semplici , non andiamo a inventarci improbabili gradi di realtà che lasciano il tempo che trovano.
Non cerchiamo discontinuità dove non ve ne è, solo per poter dire che l'uomo di oggi , cioè noi , è tutta un altra storia , che i suoi nuovi sensi (strumenti scientifici) sono tutta un altra cosa , e noi con essi.
Usciamo fuori da questa centralità ( perché ve ne sara' sempre una in cui ci annidiamo ) e sarà un nuovo progresso , come sempre , che fara' impallidire la scienza di oggi , come quella di oggi ha fatto impallidire quella di ieri , grazie a sempre nuovi decentramenti.
Un continuo sfratto , dove non è la casa che cambia , ma l'uomo che la abita.
La pur caotica e mutevole "realtà " appare una statua di marmo rispetto al suo scultore , e nessun grande artista hai mai riprodotto il vero , ma lo ha solo fatto apparire come tale.
Mell'arte verità in se' non ha alcun fascino.

#5359
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2019, 16:19:40 PM
No, mi spiace per sgiombo e il suo Berkeley, ma non si possono ingannare una macchina fotografica o la legge di gravità.
Una volta si diceva che non si poteva ingannare lo sguardo.
In cosa differisce la tua posizione da quella degli antichi?
Il termine ingannare inoltre è inappropriato.
Da l'idea che il tuo scopo sia perseguire la verità.
In effetti sei tu che ti inganni pensando di fare fisica mentre stai facendo metafisica.
Chi ci impedisce di ipotizzare che domani disporremmo di una nuova classe di strumenti che faranno apparire gli attuali come ingannevoli ?
Ciò che non cambia è che coi sensi con gli strumenti , e coi nuovi eventuali iper strumenti non facciamo sostanzialmente nulla di diverso.
Certamente nella ricerca naturalistica , oggi scientifica, gli strumenti di misura sono più attuali , non più "veritieri".
Sembra una questione di lana caprina , ma se abbracci anche solo per ipotesi la mia proposta potresti verificare la sparizione di tanti problemi, che non sono problemi fisici , ma metafisici.
Mettere da parte la ricerca della verità non significa bloccare il progresso , ma il contrario.
Non ci giuro , ma siamo arrivati a un punto in cui vale la pena provare e sarebbe irragionevole non farlo.
Potresti dire che gli strumenti sono indubbiamente più precisi dei sensi , e perciò più veri.
Ma siamo sicuri che noi siamo alla ricerca della verità, altrimenti detta precisione?
Il pensarlo finora non ha prodotto problemi.Oggi inizia a porli.
Non indico questa nuova strada perché mi piace masturbarmi mentalmente (un poco anche 😊
#5360
Citazione di: Lou il 11 Febbraio 2019, 18:19:45 PM
L'attendibilità o meno di un bestiario, da cosa è data, a tuo parere, in sintesi?
Intendo ciò che intendi tu , ma propongo di sostituire attendibile con attuale , perché è un termine meno problematico e non apre la porta alla metafisica.
Ovviamente non sto parlando di un jeans alla moda.
Una mappa nuova non si costruisce per amore della novità.
Pensare che la successione delle mappe tenda alla verità non è cosa irragionevole ,ma è una idea problematica e non necessaria.
Non avrei problemi a dire che la MQ è più attendibile , ma se tu dovessi dire che è una nuova tappa verso la verità in che senso lo diresti ?
È più utile , si , ma non più vera , non più vera nel senso che abbiamo inteso tutti finora.
Oppure speri ancora che una interpretazione accettabile sia dietro la porta , dopo un secolo di vani tentativi?
#5361
Se il cibarmi non fosse un piacere mi lascerei morire di fame?
La risposta razionale è no . Mangio perché sennò morirei , e non perché godo nel farlo.
Eppure possiamo ben sospettare che il piacere qui non sia un di più superfluo.
Saremmo ancora qui , per la pura ragionevole volontà di sopravvivere , se il sesso non fosse un piacere?
Useremmo il linguaggio come un mezzo per giungere a fare cose razionali , se usarlo non fosse un piacere?
Evidentemente la ragione ha dei limiti e deve convivere in noi con un altro ospite.
Nei limiti in cui il linguaggio si presta ad essere strumento della ragione, per farne buon uso devo ben dominarlo , e lo domino bene se ho avuto, almeno da giovane, il piacere di giocarci , e la poesia è il gioco del linguaggio.
Quella in cui viviamo oggi è una società adulta , che si vergogna dei tempi dell'infanzia in cui giocava con le parole al gioco della filosofia e della poesia.
Dare maggior valore a ciò che meglio si comprende fra tutte le cose che facciamo , non sembra saggio , ma certo , costruire una città ideale non è un gioco da ragazzi , e possiamo scusare l'errore di Platone.
Ma come dice Cacciari questo problema c'è lo siamo trascinati dietro , così si può anche non capire il discorso di Cacciari , ma non si può non capire il suo appello , quando dice , se vuoi capire di cosa parlo guarda dentro te , perché tutti abbiamo ereditato questo problema.
In effetti poi dopo la chiara introduzione di Eutidemo il discorso di Cacciari fila liscio liscio e condivisibile.
L'arte non va' capita , ma praticata , e questa pratica ci aiuta a capire tutto il resto , nei limiti che il linguaggio consente , il quale è vivo e muta nella palestra della poesia  , al contrario di una città ideale e perfetta per la quale qualunque mutamento equivale a un degrado ,salvo che la città ideale è solo un idea di Platone che tale è restata.
Non ci rimane che rassegnarci e rivalutare i vecchi giochi di parole.
#5362
L'uomo fa' i media e i media fanno l'uomo ed ogni media lo fa' a modo suo.
Nessuna generazione come la nostra ha vissuto tutto ciò sulla propria pelle.
Si è sempre cercato perciò di addomesticare i media , ma inutilmente.
Ovviamente nel passare da un media ad un altro la prima riflessione è su ciò che si perde , ma poi bisogna concentrarsi su cosa si guadagna.
Cosa abbiamo guadagnato?
Siamo ancora li' a leccarci le ferite e a maledire e non siamo ancora abbastanza lucidi forse per rispondere a questa domanda.
Eppure l'esperienza col nuovo media è abbastanza matura per tentare una risposta.
Come questo media ha cambiato la nostra vita in positivo?
L'impressione immediata che se ne ricava è che uno vale uno , fosse anche un anonimo e in politica sappiamo a cosa ha portato.
Ma in effetti uno non vale uno e sono nati i conflitti fra uno e l'altro.
In teoria questa vicinanza, questo avvicinamento fra uno e l'altro , se ha aperto la porta ad un conflitto latente, finora rimasto inespresso per i limiti dei vecchi media , può comportare una crescita per gli uni e gli altri.
Ciò che sembra venire meno è l'autorita' di politici ,scienziati etc...
Ma ciò che in effetti la vicinanza a queste autorità ha fatto venir meno e il tipo di attestato di stima , che col vecchio media giocoforza viveva di fiducia.
Dal punto di vista politico stiamo verificando che chi agiva ,grazie alla nostra fiducia forzata , lo faceva non solo male , ma anche bene.
La democrazia rappresentativa, vista come limite necessario fino a un certo punto, ha dimostrato invece di essere un sistema , pur coi suoi limiti , virtuoso.
Siccome però non si può censurare la democrazia diretta , laddove i nuovi media la consentono, l'unica soluzione è una crescita culturale media , e si spera che i nuovi media possano contribuire anche a ciò.
Io , nel mio piccolo , in tal senso , sento di essere cresciuto e non saro' il solo.
Bisogna solo capire che non è come leggere un libro , ma tutta un altra cosa , che sappiamo cos' è perché la stiamo vivendo , anche se non sappiamo ancora bene esprimerla.

#5363
La realtà non è come ci appare.
Non siamo più così ingenui da credere in tutto ciò che vediamo.
Ma c'è stato un tempo in cui vedere significava credere.
Quello che ci è sempre sfuggito è che valeva anche il contrario : credere significava vedere.
I due postulati sono uno solo.
Se non riusciamo a credere nella MQ allora non riusciamo a vederla ,e quindi  non riusciamo a comprimerla e comprenderla in una immagine.
Qui Sciombro obietterà che lui ci crede nella MQ , e nel senso che intende lui ci credo anch'io.
Ma io intendo qualcosa di più sottile che spero salti fuori dalle tante , forse troppe righe scritte.
Non è questione di cambiare occhiali , bisogna proprio usare un altro senso.
#5364
Citazione di: Lou il 10 Febbraio 2019, 16:33:22 PM
Molto interessante e condivisibile, Donald, infatti a mio parere, sarebbe più corretto parlare di gradi di realtà, ad esempio l'unicorno pur essendo un essere irreale, ha un suo grado di realtà, l'immagine mentale dello stesso possiamo infatti esperirla. Tutto ciò che appare in qualche modo è, e questo "è" è, banalmente, sintomo di un grado di realtà, anche se l'unicorno, come ebbe a dire magistralmente Rilke, "Oh! questo è l'animale che non c'è".
Nei bestiari medioevali gli ippogrifi avevano realmente la stessa dignità dei leoni.
I nuovi bestiari disegnati dai naturalisti come Wallace , Darwin , e compagnia , introducono diversi gradi di realtà, aggiungendo "nuovi" animali , dei quali alcuni non meno fantasiosi dell'ippogrifo , che invece decade in buona compagnia dell'unicorno.
Quello che non cambia è che alla fine abbiamo sempre un bestiario, più o meno attendibile , che continua a servire a qualcosa.
Se tutto , vecchi e nuovi bestiari e altro , risiedono  , fino a prova contraria , solo nella nostra mente , possiamo tuttavia attribuire ad ognuna di queste immagini un diverso grado , e lo facciamo in base a un qualche algoritmo , che con un certo grado di semplificazione ( la mancanza di consapevolezza della quale equivale ad ingenuità) cataloga ogni cosa come vera o falsa , reale o immaginaria , e tutto ciò al minimo si rivela molto utile.
Ma chi ci impedisce di porre anche su un bestiario moderno , altrimenti certo e provato, il beneficio del dubbio ?
La sorpresa della non esistenza dell'ippogrifo , non minore di quella dell'esistemza dell'ornitorimco , non avrebbe dovuto insegnarci questo , in fondo ?
Ci fidiamo per buoni motivi nostri dei moderni bestiari , non meno di quanto gli antichi per buoni motivi loro si fidavano dei vecchi bestiari.
Di fatto quel che non è mutato è il nostro grado di presunzione , non per la permanenza eventuale dell'innocua ipotesi che una realtà esista fuori dalla nostra mente , ma per il continuare a credere indefessamente nel nostro bestiario .
Il fatto è che , seppure potrebbe essere così, non è necessario crederlo , ma è sufficiente usarlo il bestiario , sopratutto se inizia ad insinuarsi il sospetto che il crederlo possa comportare qualche inconveniente.
Questa successione di bestiari ,questa esperienza , non avrebbe dovuto insegnarci qualcosa di diverso rispetto a ciò che già sapevamo fare , e cioè credere nei bestiari.
Quella che noi chiamiamo realtà in breve è un bestiario, una sequenza di immagini , alla quale ogni volta crediamo , ricredemdoci.
Nessuno di noi darebbe a un bestiario medioevale il credito che diamo a un bestiario moderno.
Il fatto è che noi ci crediamo oggi non meno di quanto gli antichi ci credevano ieri.
Dunque di fatto che cosa è cambiato?
Che cosa abbiamo imparato?
Ciò che non sembra essere mai cambiato nella storia dell'uomo è che il tempo che esso vive goda di un privilegio, di una centralita' , e noi con esso.
Un paradosso , e anche al quadrato , se poi il tempo nel nuovo bestiario non c'è più.
Quello che noi vediamo è un bestiario, e vederlo vale come crederlo.
Questo è il meccanismo che ha funzionato alla grande e che ha affinato il nostro "senso di realtà " , che però adesso perde i colpi.
Ma siamo sicuri che non ci siano alternative , e magari già in atto?
Non riusciamo a credere alla MQ e perciò non la vediamo.
Ma questo non ci impedisce di usarla.
Quello che abbiamo perso però è una visione comune , una interpretazione, che non importa se di fantasia, purché ci "appaia " ovvia e , ovviamente funzionale.
Ma funzionale a cosa?
Ad una conoscenza per la conoscenza , magari pensata come reale e vera perché ovviamente condivisibile , oppure perché serve , essendo condivisa , a lavorare tutti insieme all'impresa scientifica, o meglio umana?
Certo noi siamo affezionati alle immagini che condividiamo , viviamo nell'epoca delle immagini.
Ma in fondo non è che una moda , seppure fosse durata milioni di anni, e le mode vanno e vengono è qualcosa di nuovo sta arrivando.
Cosa?
Oggi solo la filosofia può provare a rispondere a questa domanda?


#5365
Vediamo ciò che crediamo di vedere, non significa che vediamo ciò che ci piace vedere .
Significa che ciò che vediamo non è cosa immediata , ma mediata dalla cultura e dalla nostra storia comune.
#5366
Ciò che crediamo non è necessariamente ciò che è, come ciò che ci appare non è necessariamente ciò che è, ma possiamo ben sospettare che ci siano buoni motivi per vedere ciò che vediamo e per credere ciò in cui crediamo.
In un certo senso vediamo quel che crediamo di vedere.
Come è possibile ciò?
Credo abbia a che fare con una sopravvalutazione del libero arbitrio.
Ciò che liberamente pensiamo di credere forse non è così gratuito come ci sembra.
E presumibilmente c' è sempre un buon motivo per cui ciò accade.
Siamo così impegnati a cercare pagliuzze negli occhi altrui che non ci rendiamo conto di quante cose condividiamo , confondendole con ciò che è fuori di noi , con la realtà, quando invece condividiamo solo gratuite ombre  della realtà , illudendoci di condividerle in piena libertà.
Il libero arbitrio esiste , ma non tanto quanto crediamo , e la nostra individualità, il nostro forte io , altro non è essa stessa che una utile illusione ,che avrà un suo buon perché.
Ma se tutto ciò fosse vero a cosa servirebbe la coscienza di ciò ?
Non lo so'.
So' solo che nel momento in cui prendiamo coscienza di ciò che siamo noi diventiamo altro di ciò che eravamo , e che la scienza è un risultato di tale presa di coscienza.
E questa trasformazione tanto ci esalta quanto ci spaventa.
La realtà non è come ci appare , ma il modo in cui ci appare ha un suo perché.
È ragionevole credere che questo perché , qualunque esso sia , sia condiviso dalla percezione che costruisce le sue immagini come dalla scienza che costruisce le sue teorie.
E anche se queste immagini e teorie ben si prestano a una contemplazione estetica , come cosa in se' , forse non è questo il loro profondo perché.
#5367
È possibile che usi termini in modo improprio e da qui nasca la nostra inconprensione.
Non so cosa sia la visione cieca .
So' che non vediamo a volte ciò che c'è e vediamo ciò che non c'è, in seguito a una elaborazione dei dati sensibili che noi non decidiamo coscientemente.
Ad esempio dovremmo vedere al centro di ogni nostra visione un cerchietto nero, corrispondente al punto dove si innesta il nervo ottico nell'occhio .
Non solo non lo vediamo , ma al suo posto vediamo cose che non esistono, seppure congruenti al contesto.
Si può provare a dare una spiegazione sul perché il cervello faccia ciò, ma ciò che fa' non coinvolge la nostra coscienza.
Non siamo noi a decidere ciò.
Al contrario, seppur coscienti di tale " errore" , non siamo in grado di correggere la nostra sensazione visiva.
Quindi anche se uso i termini in modo improprio , dovrebbe essere chiaro cosa intendo da questo esempio , quando dico che la coscienza non interviene sempre nella percezione.
Menomazioni accidentali , come quello che porta alla visione cieca , che ben non ho capito , possono aiutarci a comprendere proprio come funziona il sistema percettivo.
Sembra che il cervello non sia molto interessato a vedere la realtà per quel che è,seppur in modo approssimato.
Ma la vede per quel che serve.
Vedere un cerchio nero al centro di ogni immagine è solo un fastidio.Meglio sostituirlo con qualcosa di così ben artefatto da essere credibile.
Questa è una possibile spiegazione , ma non l'unica , del fenomeno del punto cieco, che cieco non appare.
Il cervello ,sia come sia ,non sembra assecondarci nella nostra aspirazione a vedere la realtà per quel che è , ma per quel che serve.
Se l'evoluzione ha preso questa strada un motivo ci sarà.
L'evoluzione ha tolto gli arti ai serpenti quando questi non gli sono serviti più.
Se gli stretti dettami economici della vita , ai fini del suo mantenimento, fanno si che un arto di troppo non sia tollerabile, parimenti una conoscenza in se' , da contemplare, senza farne uso , è un puro abuso filosofico , slegato da quella realtà stessa a cui si aspira.
Se poi a noi viene naturale tendere alla conoscenza in se' , come anche a me viene , allora anche questo assomiglia ad un "errore " che avrà un suo buon perché , ma che sia un errore , un punto cieco della nostra mente , dovrebbe essere chiaro.

#5368
Citazione di: sgiombo il 06 Febbraio 2019, 22:31:20 PM
Sono medico, e anche nel tempo libero, per cultura generale, ho letto non poco di neurologia, fisiologia della visione e della coscienza, ma soprattutto di filosofia della mente.

Non per fare il bastian contrario ad ogni costo, ma a me non pare che siamo sostanzialmente d' accordo.

Per esempio mi par di capire (ma se mi sbaglio sarò ben lieto di venire a saperlo) che tu segui le interpretazioni "correnti" indeterministche ontologiche dell' indeterminismo quantistico, mentre io seguo quella indeterministica (meramente) epistemica - deterministica ontologica svolta da Plank, Einstein, de Broglie, Bohm e probabilmente (non ne sono sicuro) Bell.
Ammetto la mia ignoranza sulla lista di termini tecnici che dai.
Diciamo che seguo le mie idee , che accidentalmente possono incasellarti in qualche corrente , ma nessuna corrente mi sembra tanto soddisfacente da aderirvi.
Leggendo testi divulgativi mi sono fatto delle idee su come funziona il sistema percettivo.
Mi sono fatto quindi un'idea su come interviene e come non interviene la coscienza nel processo .
Mi è parso di capire che per te interviene sempre e a me non pare.
Ho portato anche qualche esempio.
Dove ho sbagliato?
Cosa non ho capito?
Grazie.
#5369
Siamo sostanzialmente d'accordo anche se ti piace fare il bastian contrario.
Da quello che dici però sembra tu non abbia alcuna cognizione sui processi percettivi.
#5370
@ Sciombro

Ho usato coscienza in questa discussione nel senso di consapevolezza.
Ti rispondo in ritardo perché non mi veniva il termine,che forse si differenzia per una sfumatura e forse no.
Gli esempi in cui ho tirato in ballo la coscienza dovrebbero però risultare più esplicativi.
Quando conpiamo un azione ,svolgiamo una procedura ,usiamo una quantità variabile di consapevolezza.
Quando siamo poco pratici del compito da svolgere usiamo molta consapevolezza in ciò che facciamo.
Man mano che acquisiamo pratica la consapevolezza usata diminuisce : lo facciamo senza più pensarci , e il processo si velocizza.
Più la pratica va' avanti più tendiamo a dimenticare la procedura , nel senso che perdiamo consapevolezza in modo sempre più marcato su quel che facciamo , o meglio sul modo in cui lo facciamo , al punto che se ci chiedono di spiegare come facciamo abbiamo serie difficoltà a farlo.
Questo è un esempio di cui penso ognuno può trovare riscontro nella propria esperienza.
La mancanza di una spiegazione non è tuttavia un limite per diventare bravi nel riprodurre un processo.
Infatti il cervello umano è ben programmato ad imparare per imitazione .
L'esortazione che diamo ai nostri ragazzi di fare quel che gli diciamo e non quel che facciamo cade nel vuoto sistematicamente infatti.
Questo tipo di apprendimento ha però il difetto di essere a corto raggio.
Va' bene per educare un garzone di bottega.
Male se la platea di garzoni si moltiplica.
In questo caso dare una spiegazione preliminare , dove si impiega la consapevolezza del processo , è più appropriata.
Questo fatto ha a che fare con la scienza , e col suo essere una impresa collettiva nella sua essenza , cosa su cui mi sembra non sei d'accordo.
Teoria e pratica non  vanno quindi d'accordo in modo automatico.
Forse anche per ciò ognuno potrà trovare riscontro nella propria esperienza lavorativa.
Dopo un corso teorico passando alla pratica è come se ci dimenticassimo della teoria , salvo poi recuperarla in un secondo tempo , ricucendo alla fine pratica e teoria , che mostrano di essere attori indipendenti , ma non inconciliabili  ,sulla scena.
Il pregio del sistema percettivo è quello di non usare consapevolezza nelle fasi del processo , o coscienza detto in modo forse meno appropriato  (o no ? ) .
Questo comporta una velocità del processo (perché non penso a quel che faccio e il pensare richiede tempo ) che lo rende efficace al suo scopo.
Sarà esperienza di ognuno di noi penso anche acquisire consapevolezza di una nostra azione solo dopo averla compiuta.
Ad esempio afferrare al volo un oggetto che cade.
Se dovessi pensare di prenderlo non riuscirei a prenderlo in tempo.
Parlo della consapevolezza/ coscienza in termini così terra terra dunque , e pratici , e provo fastidio quando si usa il concetto a prova della gloria umana , caricandola di significati metafisici, come fosse una metà e non un mezzo.
Condivido con te il piacere di una conoscenza in se' , ma non mi nascondo che tale acquisizione ha un costo che solo la sua applicazione può ripagare.
Da dove nasce questo disguido?
Sembra ormai acquisito il fatto che l'acquisiziome di una conoscenza non mirata ad uno scopo , sia il modo migliore per farne buon uso per i più diversi scopi non preventivati.
Come dire che il miglior modo per suicidarsi di una nazione è non investire in ricerca.
A cosa serve infatti pagare ricercatori che godono a farsi seghe mentali?
Ognuno di noi tende ad isolarsi nel suo piccolo compito svolto all'interno di un meccanismo sociale complesso , senza bisogno di averne consapevolezza , e dove ogni compito può essere utilmente disgiunto ed affidato a relativamente pochi individui a cui bisogna però passare uno stipendio.
Questa mancanza di consapevolezza, unita al pur benemerito sistema democratico, può sortire effetti rovinosi.
Ecco perché penso che la conoscenza/ scienza intesa come un bene in se , usabile a vanto del singolo scienziato o filosofo di turno , sia una trappola in cui cade chi ha la vista corta.
Se la storia della scienza si racconta come una successione di geni , da cui prendere esempio , è solo perché raccontarla giusta è impossibile per il suo complesso svolgersi e divenire .
Dovremmo infatti diversamente  parlare di ogni singolo uomo e del suo contributo dato.
E siccome la si racconta così alla fine può sfuggire il suo carattere di impresa collettiva.