Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Kobayashi

#541
Una cosa su Dostoevskij.
C'è un aspetto che è sfuggito a molti critici ma che secondo me illumina la sua posizione su Cristo.
Il protagonista de "L'idiota", il principe Myskin, è uno dei personaggi che incarnano la "bellezza evangelica" (come Alesa de "I fratelli Karamazov", Sònja di "Delitto e castigo") - il concetto di bellezza evangelica è tipicamente russo o comunque appartenente soprattutto al cristianesimo orientale.
A un certo punto nel romanzo, nel corso della "spiegazione necessaria" di Ippolit (un giovane malato rancoroso che decide di suicidarsi davanti a un gruppo di conoscenti non prima di averne spiegato le ragioni filosofiche), salta fuori che alla provocazione di Ippolit che dice "secondo me il principe è un materialista", Myskin conferma (e lui dice sempre la verità).
Quindi uno dei suoi personaggi più evangelici è un materialista. Evidentemente non crede in Dio.
Che cosa significa?

Ipotesi: Dostoevskij partendo dalle preoccupazioni per le conseguenze sociali di un nichilismo del tipo "se Dio non esiste tutto è permesso" finisce per abbracciare, di nascosto, quasi inconsciamente, un'idea tipicamente cattolica: fare come se Dio esistesse (anche se non ci si crede più).
Non si tratta di un atteggiamento subdolo. Non siamo qui accanto ai religiosi che fingono di credere per costruirsi una carriera.
Piuttosto abbiamo a che fare con una melanconica determinazione a non staccarsi da qualcosa che si è amato profondamente e senza il quale ci si sente destinati all'orrore (della crudeltà, del crimine, appunto).
Da questo punto di vista l'umanità può elevare se stessa, redimere se stessa e il mondo, solo tenendosi stretta l'immagine di un Cristo in cui in verità non si crede più.

Inutile chiedersi se una cosa del genere possa funzionare...
#542
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
20 Novembre 2017, 11:01:38 AM
@green demetr
"Fin quando il filosofo non si rende conto sulla scorta di Nietzche che siamo dentro ai meccanismi del paranoico, e che dobbiamo sudare ancora molto per trovare una via di uscita a quella impasse, il rischio è quello di indicare un modello (agli altri o a se stessi) che è ancora dentro al paradigma della nostra civiltà, ossia alla sua immobilizzazione intellettuale (appunto competenza del filosofo)".

In che senso siamo interni ai meccanismi del paranoico? Cosa intendi per paranoico?
Per come la vedo io il paranoico è una specie di stato d'assedio: ci si sente attaccati da tutte le parti; l'altro trama per la tua rovina etc.
La società attuale, fondata sul principio della competizione, mettendo l'uno contro l'altro (vedi per esempio come si fomenta la competizione interna nelle aziende) di fatto costituisce il presupposto per la formazione di una mentalità paranoica... Per la verità non potrebbe nemmeno essere definita paranoica in quanto è una giustificata reazione ad una situazione di difficoltà oggettiva. Il pericolo è reale, insomma, per cui perché parlare di paranoia?

Nietzsche mi sembra più interessato alla logica del risentimento (la reazione subdola del debole che non potendo vincere in campo aperto cerca di conquistare il potere per altre vie - umiltà, altruismo, santità...).
Per N. i nemici sono una benedizione.

Il fatto è che ai nostri tempi quando qualcuno esce dalla caverna platonica, se ne guarda bene dal rientrarci per salvare gli altri, perché in verità è lui a doversi procurare una salvezza - gli altri, nel fondo della caverna prosperano e non vogliono sentire parlare di uscire all'aria aperta, ma lui è solo, circondato dai pericoli, dall'ostilità di tutti...
Questo per dire che la filosofia non può più essere pensata solo come dialogo.
Deve essere pensata come sintesi delle strategie di attacco e difesa nei confronti del mondo e del potere (e comprendere discipline che hanno a che fare con la salute, l'economia domestica, la guerra, la diplomazia - per costruire le alleanze necessarie).
L'unico esito sensato di questo faticosissimo percorso, di cui in fondo siamo quasi tutti nauseati, non può essere la vita privata, ma una comunità di persone affini.
Sempre il buon Byung-Chul Han fa notare che in tedesco antico la radice della parola "libertà" è la stessa di "amicizia": non c'è vera libertà se non insieme a veri amici.
Utopistico? Ridicolo?

Ps: mi sembra di avere parlato come la scimmia di Zarathustra... Del resto tu green demetr continui a scrivere come il cane di Derrida...
#543
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
14 Novembre 2017, 07:28:34 AM
@Apeiron
"Inoltre se il relativismo è corretto potrei pensare ad esempio che anche i "più mostruosi crimini" in fondo "non sono sbagliati"

No, non puoi pensare una cosa del genere (e infatti non lo pensi...) perché tu condividi inevitabilmente dei riferimenti etici che vengono dalla civiltà a cui appartieni.
Il relativismo "non ingenuo" implica che i valori della tua cultura (relativi alla tua cultura e quindi non necessariamente condivisi da altre culture) siano sentiti da te come assoluti (almeno alcuni), anche se quella stessa civiltà a cui appartieni, quella occidentale, è arrivata a metterne in discussione, dopo un lungo percorso di autocritica feroce, l'universalità.

Per quanto riguarda il discorso razionale che fai per dimostrare la presenza in noi di una comune ricerca del bene supremo... beh, per me la soggettività è qualcosa di più contraddittorio, confuso, plastico, privo di continuità etc.
Il bene supremo a me sembra l'idealizzazione di un semplice istinto alla vita, la spinta a prosperare, crescere, evolversi... Anche le piante hanno qualcosa del genere (probabilmente all'apice della loro gerarchia hanno "un po' di letame tra le radici"... Alcuni di noi invece "Dio"... Un'immagine su cui riflettere?)


@altamarea
Quei valori (pace, giustizia, etc.) sono diffusi solo perché la nostra cultura ha colonizzato le coscienze della maggior parte della popolazione mondiale.
E comunque che ci sia un consenso universale è tutto da dimostrare: una tribù yemenita seminomade crede in una concezione di pace e giustizia simile alla nostra? Non ne sarei tanto sicuro.
Qualcuno dirà: si evolveranno e alla fine la penseranno come noi!
Ed ecco saltare fuori il concetto di progresso... Ma è un nostro concetto, affonda le sue radici in profondità nella nostra cultura, quindi anche nei nostri convincimenti più radicali, così non possiamo fare a meno di sentirlo come vero e universale, ma non è così, è arbitrario, facciamocene una ragione...
#544
@Sariputra

Se il pensiero filosofico ha l'ambizione di salvare la mente degli uomini (per quello che ne rimane...) dalle manipolazioni della tecnologia e del capitalismo, beh, forse ha più bisogno di Nietzsche che di Tommaso d'Aquino...
Poi ciascuno, per salvare se stesso, è legittimato ad attaccarsi a qualsiasi cosa (io per primo ammetto, e quasi mi vanto, di avere tradito ogni "parrocchia" cui avevo giurato fedeltà eterna...).

In un testo di Claudel c'è un gesuita legato ad una croce di legno alla deriva nell'oceano. Che dire, finché galleggia... Se però avvistasse un'isola, fossi in lui, cercherei di abbandonare la croce e inizierei a nuotare in quella direzione...
#545
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
12 Novembre 2017, 09:44:28 AM
Parto dalla fine.
Non credo che esista un valore supremo. Il relativismo culturale, da cui non si può prescindere, ha già dimostrato abbondantemente l'impossibilità di parlare di valori universali.
Si potrebbe dire allora che i valori sono punti di riferimento per il soggetto.
In parte in linea con Nietzsche direi che i valori sono ciò che ti permettono di svilupparti meglio, di portare a perfetta espressione la tua persona.
Per chi ha un temperamento filosofico, per esempio, alcune cose sono considerabili dei valori o delle virtù perché permettono di vivere distaccati dalle turbolenze inutili del mondo, in modo che le energie migliori non vengano sprecate in faccende superflue.
Un filosofo del genere considererà la gentilezza un valore. Ma in tutt'altro modo di un cristiano.

Naturalmente la cultura di appartenenza determina fortemente il giudizio sui valori.
Per esempio noi occidentali non possiamo fare a meno di considerare un atto criminale l'infibulazione. In altre società viene considerata una buona tradizione.
Possiamo cioè anche considerarci relativisti ma nello stesso tempo non possiamo fingere di non essere il prodotto di una civiltà – la quale deciderà dentro di noi, che lo si voglia o no, ciò che è giusto... Un antropocentrismo ineludibile...

Ma al di là dei limiti di questo antropocentrismo "genetico", c'è spazio per scegliere una forma di vita che sia il più possibile funzionale al proprio temperamento.
La sfida per il soggetto, soprattutto in un tempo come il nostro in cui tutti sono separati e lontani, in cui si vive da soli o in micro-famiglie, e quindi un tempo in cui si subisce poco l'influenza "stilistica" degli altri, è la costruzione di un tipo di uomo da incarnare, partendo magari dalle piccole cose come alimentazione, ginnastica, tempo dedicato alla lettura, alla scrittura etc.

E su questo propongo un'idea: e se la funzione del filosofo del nostro tempo fosse proprio quello di creare tipi, modelli, etc., che poi possano servire da punto di riferimento per gli altri? Anziché produrre monografie specialistiche sulle più assurde curiosità storico-filosofiche...
#546
Valorizzare la rottura piuttosto che la continuità, o meglio valorizzare la capacità di lasciarsi alle spalle qualcosa che non fa che inchiodarti agli stessi circoli viziosi... non pensavo che tutto questo facesse di me un esponente della peggiore sottocultura della dimenticanza dei nostri giorni...
E mai avrei immaginato che problematizzare la vicenda di Edipo con la figura di Laio (vedi per esempio l'opera di Bettini e Guidorizzi) significasse rientrare nella categoria degli ottusi quarantenni super-giovani...
Non saprei come risponderti, caro Jacopus...

Ovviamente nella mia apologia della dimenticanza mi riferivo al fatto che forse, alla fine, risulta essere più patologico intrattenersi sempre nelle stesse sintesi culturali piuttosto che tentare qualcosa di nuovo (così come per Edipo è fatale lasciarsi ossessionare dalla minaccia paterna).
A volte per sopravvivere è necessario lasciarsi alle spalle alcune cose del passato.
Se il pensiero occidentale, che è in agonia da due secoli, vuole salvarsi deve provare, forse, a uscire dai soliti concetti della metafisica.
#547
È vero, Edipo è un uomo della conoscenza, che però finisce per accecarsi perché la verità trovata è orribile. In questo modo, fino alla fine, asseconda il motore del suo destino, ovvero suo padre, che secondo una versione antica della leggenda, prima di abbandonarlo sul monte gli aveva perforato le caviglie quasi per marchiarlo con il divieto di camminare sulle proprie gambe...

Adamo non è un bambino in balia di creature che si fanno gioco di lui. Un serpente che parla è un'assurdità, l'unico caso di un animale dialogante nella Bibbia (se non sbaglio): è un modo per dire che qui sta venendo fuori qualcosa di incomprensibile da Adamo stesso (che può essere rappresentato e pensato solo come proiezione), il sorgere del male come scelta che non ha nessuna giustificazione (ma che rimane comunque qualcosa che ha attinenza ancora, come per Edipo, con un padre).

Sia Edipo che Adamo restano con la testa rivolta all'indietro, verso le proprie origini, verso quei padri che invece avrebbero dovuto abbandonare senza il minimo rimpianto. E se Adamo e i suoi figli non faranno altro che mettere in scena quel patetico alternarsi di preghiera e bestemmie, di avvicinamento e fuga, almeno Edipo, che non avrà la forza di dimenticare si trafiggerà gli occhi.

Bisogna imparare a dimenticare.
Nel film "Adaptation" di Spike Jonz a un certo punto uno dei personaggi, uno strano botanico autodidatta, spacciatore di orchidee selvatiche, racconta di come da ragazzino aveva creato un'enorme collezione di pesci tropicali, aveva la casa piena di acquari, viveva solo per quello, una passione assoluta... Poi un bel giorno si alza e dice "fanculo ai pesci!", "Io ho chiuso con i pesci!", li da via tutti, dal primo all'ultimo, e da quel momento non vuole più sentire parlare di pesci tropicali e si rifiuta pure di nuotare nell'oceano...
Morale: l'adattamento, l'evoluzione degli esseri umani può anche avvenire per strappi, per rotture, per vuoti di memoria.
Mi chiedo: perché allora non farla finita con quelle tradizioni che abbiamo rimuginato fino alla nausea per millenni...
Ancora con questo "ebreo marginale"? direbbe Nieztsche...
#548
Perché?
Secondo il principio di Viator io sono legittimato a distruggere ciò che posso rigenerare.
Per esempio un castello di sabbia sulla spiaggia.
Naturalmente una volta distrutto lo deve rigenerare.
Il lavoro di rigenerazione è alimentato dal mio metabolismo.
Alla fine è chiaro che il mio metabolismo si scarica e inizia la dissoluzione del mio corpo etc., e quindi la morte, ma fino a quel momento sono libero dai vincoli della termodinamica.
#549
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
13 Ottobre 2017, 10:47:51 AM
Beh, l'autore del topic ha inserito un articolo che ha già pubblicato su una testata online.
Alla fine di esso ci sono le informazioni dell'autore, le sue pubblicazioni etc.
Non ti sembra una "manovra" pubblicitaria?
#550
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
13 Ottobre 2017, 08:50:49 AM
Sinceramente mi sembra un po' squallido pubblicare un proprio articolo nel forum, fare pubblicità a se stessi e alla rivista a cui si collabora, scrivere il proprio curriculum...
Caro Francesco D'Isa, non potevi sintetizzare le tue idee e basta?
#551
Sì ma a cosa servirebbe questa sintesi brutale?
Questo lavoro di sottrazione fino a ridursi ad un principio universale talmente generico e leggero da non dire quasi più nulla degli uomini?

Piuttosto bisogna sforzarsi di essere sempre più consapevoli delle visioni antropologiche particolari di cui siamo portatori.
Queste visioni vanno prima comprese (perché siamo attraversati da idee e forze che non ci appartengono etc.), poi portate avanti nello scontro globale.

Per esempio c'è una certa concezione dell'umanità definita dalla filosofia antica. E c'è il tipo di umanità disegnato dal paradigma del neoliberismo. Visioni chiaramente inconciliabili.
Non mi pare sia utile sapere se esiste celato da qualche parte un denominatore comune, è utile invece capire da che parte si sta e poi combattere (anche solo con il proprio sapere) sapendo che la propria visuale è parziale, particolare, interessata, dipende dalla propria storia, dal proprio potere economico etc.
#552
Tematiche Filosofiche / Re:Il filosofo riluttante
10 Ottobre 2017, 09:33:48 AM
Se ho capito bene quindi a te, caro Green Demetr, non interessa tanto il fenomeno quanto il suo effetto sulla soggettività. Se per esempio il fenomeno è qualcosa che ha a che fare con il potere, un'istituzione politica, la filosofia nella tua accezione deve occuparsi non tanto dell'analisi di quell'istituzione, ma delle trasformazioni che subisce l'Io del cittadino.
E queste trasformazioni sono manipolazioni che determinano una condizione di nevrosi perché la soggettività è ora abitata dai fantasmi generati appunto da queste manipolazioni.
Dunque il percorso del filosofo sarebbe un itinerario di analisi di queste immagini, di superamento dei propri fantasmi, di comprensione del fatto che questi fantasmi non sono Io, e poi... di ritorno al fenomeno? Guariti almeno parzialmente da questa nevrosi universale si ritorna ora al fenomeno, cioè, nell'esempio, all'istituzione politica, ... ma per fare? Per analizzarla da "sani"?
#553
Sì, in linea di massima ogni lavoro filosofico sembra articolarsi nei tre momenti di studio, creazione, critica.
Tuttavia le differenze che dipendono dalla finalità specifica di ciascun lavoro sono tali che viene il dubbio se sia legittimo parlarne come se appartenessero alla stessa disciplina...
Per esempio penso a Foucault, quel suo setacciare le tradizioni culturali e le istituzioni per comprendere come si sono formate le strutture del potere, poi penso a quei filosofi che invece hanno cercato di creare visioni del mondo da incarnare e da offrire ai lettori come consolazioni spirituali o qualcosa del genere.

La bella immagine della ricerca della vena d'oro, che hai utilizzato tu, ricorda naturalmente l'alchimia, che è forse la tradizione che incorpora tutte le contraddizioni che la filosofia ha sempre tenuto celate nella propria pancia: trasformare realmente la materia grezza in oro, ottenere realmente il potere di cambiare il mondo, fuori da ogni metafora, e nello stesso tempo, ritrarsi dal mondo, rientrare nella dimensione metaforica, simbolica, e intendere il proprio lavoro di alchimista come perfezionamento di se', come purificazione interiore.
Insomma, una continua oscillazione tra due poli: quello della realtà da comprendere e trasformare, e quello della vita da contemplare con i suoi simboli.
#554
Tematiche Filosofiche / Il filosofo riluttante
07 Ottobre 2017, 12:56:30 PM
Nelle ultime pagine di un suo breve testo dedicato agli effetti antropologici della rete ("Nello sciame. Visioni digitali"), il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han parla di un articolo della rivista Wired che ipotizzava la fine della teoria. In sostanza l'autore dell'articolo (Chris Anderson) sosteneva che la disponibilità di un'enorme quantità di dati insieme alla potenza straordinaria degli attuali sistemi informatici di analisi avrebbero portato ad una conseguenza precisa: il rifiuto nel fare ipotesi sul perché di un certo fenomeno sostituito dal come.
In pratica non si perderà più tempo a interrogarsi sulla causa di un fenomeno. Ci sarà la correlazione statistica a mostrare l'esistenza di un legame tra certi fenomeni. Dal software utilizzato emergerà questa misteriosa correlazione che ci dice che cosa accade nella realtà.
 
Sempre nello stesso testo Han fa notare che pensare significa fondamentalmente separare l'essenziale dall'inessenziale.
Siamo costantemente bombardati da flussi di informazioni ma queste ondate di dati non stimolano affatto la riflessione, anzi, piuttosto la soffocano. Per poter pensare bisogna fare silenzio, "scollegarsi". Bisogna sapersi concentrare su una sola cosa, guardarla da tutti i punti di vista possibili, avere il tempo e la capacità di concentrazione per rimanere in compagnia di quella cosa e delle sue infinite sfumature per ore.
È così difficile che si finisce spesso per inventare un alter ego con cui poi costruire un dialogo sull'oggetto della propria ricerca. Una psicosi controllata senza la quale non ci sarebbe mai stata la storia della filosofia...
 
Quindi l'attività del pensare, così come la conosciamo, è destinata a sparire.
Volendo essere ottimisti però possiamo pensare che continuerà a sopravvivere una minoranza ribelle, così come "la morte di Dio" non impedisce l'esistenza di qualche comunità monastica cristiana.
A che cosa assomiglierà il filosofo del futuro?
Al monaco di oggi?
Non avendo una lingua in comune con gli altri esseri umani come potrà comunicare la propria verità?
Con il proprio corpo? Incarnando la propria visione del mondo accettandone i rischi e i paradossi così come i primi monaci, con il loro ascetismo e l'accettazione del martirio, hanno mostrato la (loro) verità del cristianesimo?
#555
L'idea che noi abbiamo di Dio viene inevitabilmente dal cristianesimo, e il cristianesimo non ha fatto che riprendere il Dio dei Salmi.
E' nel Salterio che va ritrovata la costruzione di una certa immagine di Dio.
Ma in queste composizioni poetiche qual'è l'elemento dominante? Quello dell'uomo terrorizzato. L'uomo attaccato dai propri nemici, dalla povertà, dalla malattia etc.
Un uomo che si avvicina alla morte in solitudine. Ma l'uomo è un mammifero sociale, non è capace di affrontare il terrore da solo. Ha bisogno di essere accompagnato.
Così invoca l'aiuto di un Dio che gli sta accanto, che c'è, che è lì con lui.
E' un'immagine di Dio che nasce nel deserto, dal terrore specifico del deserto.
Finché l'uomo non si sente del tutto perduto, finché pensa di avere forze a sufficienza per rialzarsi da solo non conoscerà mai questa fede.
Nelle difficoltà normali della vita farà affidamento alla propria ingegnosità, al proprio patrimonio, al proprio nome. Avrà sì fede in queste cose, ma la sua sarà idolatria.
Quando invece non avrà più nulla a cui attaccarsi, ecco l'invocazione al Dio dei Salmi.
A quel punto la questione dell'esistenza di Dio non si pone nemmeno... Il vero problema è superare la notte.