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Messaggi - doxa

#541
Buongiorno Pensar bene.

Hai scritto a Taurus:
CitazioneSe te ne freghi della ragione, perchè ragioni su cose di cui non ti importa niente?

Taurus, ed anche io, non crediamo nell'esistenza di Dio, ma culturalmente ci interessa moltissimo la religione. Ci piace constatare le "anomalie" nei cosiddetti "libri sacri" e condividere il nostro pensiero con i credenti, con la speranza di far vacillare le "certezze", specie nei "credenti tiepidi" o negli "atei devoti". Con i "credenti convinti" è inutile il dialogo.
 
Sono oltre duemila anni che il cristianesimo ci viene propinato dal clero come  un tutto dogmatico: questo è, questo devi credere e se contesti sia anatema, sia eresia::)

L'Inquisizione, anzi la "Santa Inquisizione" non c'è più. Nel 1908 venne denominata "Sant'Uffizio", successivamente "Congregazione per la dottrina della fede". Anche questa riciclata nell'attuale"Dicasterium pro doctrina fidei".

In Vaticano,  o meglio nella "Santa sede"  troppe cose vengono definite "sante", ma sante non sono.

La Chiesa cattolica sopravvive perché si adatta ai tempi.  Nei hai l'esempio  anche con le modifiche alle preghiere.


Sono d'accordo con te riguardo la problematica "salute mentale" di Paolo. Però aveva un'intelligenza superiore alla media e un'ampia cultura, in particolare filosofica e teologica, tale da permettergli di essere il "fondatore" della religione cristiana. Non ci sono prove, ma mi piace pensare che la sua formazione culturale sia avvenuta nell'ambito del rabbinato giudaico.


Lieta giornata
#542
Riflessioni sull'Arte / Re: Conversione di Saulo
17 Aprile 2023, 21:22:35 PM

Caravaggio, "Conversione di San Paolo (particolare), 1601

Il cardinale Gianfranco Ravasi sulla rivista cristiana "Jesus" dello scorso mese di gennaio ha scritto: "E' significativa una nota apparentemente marginale ma forse allusiva: Saulo rimane accecato per tre giorni (9,9) e quando viene battezzato si dice che i suoi occhi si illuminano ed egli 'si alza': il verbo greco anastàs, l'"alzarsi", è lo stesso che viene usato nel Nuovo Testamento per la risurrezione di Cristo. Ai tre giorni oscuri del sepolcro subentra il levarsi luminoso della risurrezione-rinascita: non si dimentichi che nella Lettera ai Romani Paolo descrive il battesimo in modo analogo, secondo lo schema della 'sepoltura-risurrezione' di Cristo (6,3-9).

Ai cristiani di Corinto Paolo evidenzia che Cristo, dopo le apparizioni pasquali alle pie donne e ai discepoli, "apparve anche a me".

Comunque, il racconto di questa esperienza è negli Atti degli Apostoli, scritti dall'evangelista Luca. Per tre volte è narrato l'evento della conversione del persecutore Saulo nell'apostolo Paolo.

La prima relazione è nel capitolo 9. Luca presenta quel momento come una visione: mentre Saulo sta recandosi a Damasco per arrestare i discepoli della nuova setta cristiana, "all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: 'Saulo, Saulo, perché mi perseguiti ?' Rispose: 'Chi sei, o Signore ?' E la voce: 'Io sono Gesù, che tu perseguiti' " (At 9, 3 – 5).

In questo racconto è evidente che non c'è la caduta da cavallo ma di una folgorazione che acceca Saulo per tre giorni
 (At 9, 9).

Quell'evento induce Saulo a cambiare nome in Paolo.

Il secondo resoconto dell'incontro col Risorto è nel capitolo 22 degli Atti.

La narrazione è in prima persona. Siamo nel tempio di Gerusalemme e Paolo sta per essere linciato dai suoi correligionari. Ma il comandante della coorte romana di stanza in quell'area lo sottrae alla folla e lo conduce nella fortezza Antonia (sede del governatore imperiale), ove gli concede di parlare alla folla a lui ostile, rievocando la storia della sua conversione al cristianesimo.

Mentre nel primo racconto solo Paolo fu il destinatario della visione divina, i suoi compagni "Sentivano la voce, ma non vedevano nessuno" (At 9, 7), nel secondo, anche i suoi compagni di viaggio "videro la luce, pur non udendo la voce di colui che mi parlava".

Quindi per Paolo fu un'esperienza personale e interiore. Alcuni critici definiscono quell'esperienza un'allucinazione.

In realtà, la menzione dei personaggi coinvolti (anche con nomi propri, come Giuda che ospita Paolo a Damasco nella sua casa sulla "via Dritta" o come il citato Anania) attesta il realismo dell'evento.

La terza testimonianza conferma quell'evento.

L'apostolo è agli arresti presso il governatore romano Festo nella città di Cesarea Marittima, la residenza degli alti funzionari imperiali in Palestina (qui si svolge anche la vicenda del centurione Cornelio, descritta nel capitolo 10). In visita ufficiale in quella città costiera si presenta la coppia principesca di Agrippa II, discendente del re Erode, e di sua sorella Berenice che era anche la sua compagna incestuosa.
Ebbene, Paolo davanti a loro – in attesa di essere trasferito a Roma per il processo d'appello da lui richiesto come cittadino romano – ripete la storia della sua conversione al cristianesimo (At 26, 12 – 23).

La sostanza dell'evento è sempre la stessa, ma appaiono anche alcune variazioni e novità.

Non è citato Anania; a terra oltre a Saulo cadono pure i suoi compagni di viaggio verso Damasco; Cristo cita un proverbio greco, attestato anche dagli scrittori Euripide e Pindaro, che è però detto, secondo l'affermazione dell'apostolo Paolo, in lingua ebraica: "Duro è per te recalcitrare contro il pungolo" ( At 26,14). Questo detto è desunto dal mondo agricolo: il contadino stimola l'animale da soma con un bastone chiodato in punta.

Comunque in questo racconto le parole di Cristo vanno oltre e delineano la futura missione dell'apostolo Paolo, "ministro e testimone": quella di «aprire gli occhi (a ebrei e pagani, proprio come era accaduto allo stesso Paolo) perché passino dalle tenebre alla luce, dal potere di Satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l'eredità» della salvezza (26,18). Sono queste le ultime parole di Cristo, negli Atti degli Apostoli, come suggello alla storia di un convertito, che per tutta la sua vita e con tutta la sua stessa esistenza ripeterà le prime parole di Gesù citate dai Vangeli: "Convertitevi e credete! (Marco 1,15).
#543
Riflessioni sull'Arte / Conversione di Saulo
17 Aprile 2023, 21:20:23 PM
L'apostolo Paolo in una lettera indirizzata ai cristiani residenti a Filippi (attuale Kavala, in Macedonia), narra la sua vicenda, accaduta mentre percorreva la strada per Damasco, ed usa il verbo greco katelémften (= fui afferrato, conquistato) da Cristo (3,12).

 In altri passi del suo epistolario allude alla divisione tra un "prima" e un "poi", linea di demarcazione tra il Saulo persecutore e Paolo apostolo di Cristo.
 
 Nella prima lettera ai Corinzi Paolo chiede con una domanda retorica: "Non ho io visto Gesù, il Signore?" (1Cor 9,1) e conferma: "Ultimo fra tutti apparve anche a me" (1Cor 15, 8).
 
 Per saperne di più di ciò che accadde su quella strada per Damasco dobbiamo leggere gli Atti degli Apostoli, scritti da Luca, che per un periodo fu con Paolo nei suoi viaggi missionari.
 
 In quel testo l'evangelista per tre volte narra la conversione che fece di Paolo un missionario di quella "setta" cristiana, che egli in precedenza voleva contrastare fin nel territorio della Siria.
 
 La prima narrazione è nel capitolo 9 degli Atti degli Apostoli: l'incontro di Paolo con Gesù e poi con un membro della comunità cristiana di Damasco di nome Anania, che non solo gli va incontro accogliendolo come un fratello, ma che lo libera anche dalla cecità causata dal bagliore della visione, che Luca così descrive: "All'improvviso lo avvolse una luce dal cielo e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Rispose: Chi sei, o Signore? E la voce: Io sono Gesù, che tu perseguiti!" (Lc 9,3-5).
 
 Questa frase evidenzia che Saulo non cadde da cavallo, come invece fanno immaginare i dipinti dedicati a quell'evento (ad esempio quello celebre di Caravaggio nella chiesa Santa Maria del Popolo a Roma), ma di una folgorazione che lo fa inciampare e cadere a terra.


 

Michelangelo Merisi, detto il "Caravaggio", Conversione di San Paolo (particolare), dipinto a olio su tela, Cappella Cerasi nella basilica di Santa Maria del Popolo, Roma
 
 La Cappella Cerasi è a fianco del presbiterio. Ma chi era Cerasi ? Il tesoriere del pontefice Clemente VIII. Fu quel Cerasi nel 1600 a commissionare due dipinti a Caravaggio: la "Crocifissione di Pietro" e la Conversione di Paolo". Questa fu realizzata dall'artista nel 1601: l'immaginaria scena si svolge sulla strada per Damasco. Saulo (è il nome ebraico dell'apostolo prima della sua conversione) stava andando in quella città per far incarcerare i discepoli di Gesù.
 
 
3 "E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4 e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». 5 Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! 6 Adesso alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». 7 Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce ma non vedendo nessuno. 8 Saulo si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco, 9 dove rimase tre giorni senza vedere e senza prendere né cibo né bevanda" (At 9, 3 – 9).
 
 Nel dipinto di Caravaggio Paolo è riverso a terra con le braccia spalancate, mentre ode la voce di Gesù Cristo che gli appare nella forma di luce folgorante.
 
 Il palafreniere regge le briglie di un cavallo nell'atto di alzare la zampa anteriore destra per non calpestare Saulo.
 
 E' il momento della conversione di Paolo, descritto negli Atti degli Apostoli (Atti 26, 12 – 18).
 
 L'audacia di Caravaggio è stata quella di far invadere la tela dal cavallo (non citato negli Atti degli Apostoli), trasformando la veduta quasi in un incidente di scuderia che preoccupa il palafreniere.
 
 segue
#544
Questo arazzo esposto alla mostra è il dossale del baldacchino del pontefice Clemente VII.

Il sostantivo dossale deriva da "dorsale", indica il  ricamato telo (o altri materiali) usato nel passato per coprire la parte posteriore dell'altare nelle chiese cattoliche, ed anche la parte posteriore del baldacchino papale.

Questo dossale, e l'altro descritto nel precedente post, per  secoli  sono stati usati nelle più importanti cerimonie religiose  che si svolgevano  in occasione della Pasqua, in particolare la Coena Domini e la Lavanda dei piedi.
 
Pieter van Aelst, Bruxelles,  Musei Vaticani, Città del Vaticano.

L'autore di questo arazzo nel 1502 fu scelto come maestro arazziere alla corte di Filippo il Bello, padre del futuro imperatore Carlo V.

Nel 1515 papa Leone X  gli dette l'incarico di realizzare 11 arazzi per la Cappella Sistina. I disegni  preparatori su cartone furono realizzati da Raffaello Sanzio e dai suoi collaboratori, traendo ispirazione dagli Atti degli Apostoli.
Il pittore Barent van Orley sorvegliava l'esecuzione.

Gli arazzi furono realizzati  tra il 1517 e il 1520.

Nel 1530 circa  altri arazzi con scene della vita di Gesù furono commissionati a Pieter van Aelst dal pontefice Clemente VII. I disegni su cartoni furono elaborati da allievi di Raffaello Sanzio. 

Nella parte alta dell'arazzo sono raffigurati due angeli, uno per lato.
Più in basso, le allegorie di tre virtù: al centro, la virtù cardinale della Giustizia, ai  due lati, due virtù teologali:  la Fede e la Carità.

La Giustizia è raffigurata come una solenne figura femminile: è assisa, ha la  testa coronata, i piedi poggiati sopra il globo terrestre.

Guardando la foto: la donna  con il dito indice della mano sinistra indica un putto alato vicino la sua gamba sinistra: è un angelo,  sorregge un gladio (?). La spada simboleggia la legge.

Con la mano destra  regge la bilancia con i due piatti: la bilancia è strumento e simbolo di valutazione e  di giudizio:  del bene e del male, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto.

Per sorreggere il peso della bilancia la personificazione della Giustizia viene aiutata dalla mano sinistra della Fede, anche questa in posizione seduta: con la mano destra sorregge lo stendardo con il simbolo delle "chiavi del cielo" dette anche "chiavi di San Pietro", antico segno della Chiesa universale. 

La base dell'asta è tra le zampe anteriori del leone, simbolo della forza ma anche simbolo di Cristo.
Dietro l'animale, sullo sfondo si vede un castello.

Nel paesaggio agreste c'è anche un altro leone sulla destra. Pure questo sorregge l'asta con lo stendardo che raffigura le "chiavi del regno dei cieli": sono incrociate  e simboleggiano la missione di Pietro e della Chiesa.

Sul fianco del drappo è simboleggiata la Carità, la giovane è seduta ed intenta ad allattare il figlio.

Nella religione cristiana la Carità simboleggia l'amore nei confronti di Dio e degli altri.

The end
#545


Questo arazzo con la raffigurazione dell'Ultima Cena venne realizzato tra il 1516 e il 1524, evoca  il dipinto di Leonardo da Vinci nell'ex refettorio del convento domenicano adiacente la basilica di Santa Maria delle Grazie, a Milano,  ma ci sono alcune differenze, la più evidente, sullo sfondo, ci sono  tre archi rinascimentali, oltre i quali s'intravede un paesaggio dominato da antiche rocche.

Il manufatto, sontuosamente realizzato in seta con fili d'oro e d'argento,  è completato con un bordo in velluto cremisi. Su tutta la bordura ci sono dei simboli sabaudi.

Nel 1533  fu donato dal re di Francia, Francesco I, al papa Clemente VII in occasione del matrimonio celebrato il 28 ottobre di quell'anno a Marsiglia tra la nipote del pontefice, Caterina de' Medici, ed Enrico di Valois, secondogenito del re di Francia, ed erede al trono.  Dopo il "Sacco di Roma" nel 1527 da parte dei Lanzichenecchi (soldati mercenari di fanteria)  inviati dall'imperatore Carlo V,  quelle nozze regali del 1533 sugellarono l'accordo tra Francia e papato, in chiave anti-asburgica.

Invece il  papa donò al re Francesco I un corno di cetaceo, fatto indorare dall'orafo Tobia da Camerino. L'oggetto venne presentato come un "corno di liocorno", ritenuto secondo un'antica tradizione un antidoto per proteggersi dal cibo avvelenato.

Nel passato, il Giovedì Santo questo arazzo veniva esposto in occasione del rito della lavanda dei piedi.

Invece durante la processione del Corpus Domini era affisso su una parete  nella "scala "regia",  che dalla Cappella Sistina conduce nella basilica di San Pietro.

Per tutelare questo grande telo il papa, Pio VI, che pontificò dal 1775 al 1799, anno della sua morte, ne  fece fare una copia per essere esposta al pubblico in alcune cerimonie.

Dal 1931 l'arazzo originale è conservato  nell'ottava sala della nuova Pinacoteca Vaticana, insieme ai capolavori raffaelleschi. 

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#546
A La Venaria Reale, vicino Torino, c'è  la mostra titolata: "All'ombra di Leonardo. Arazzi e cerimonie alla corte dei papi", aperta fino al 18 giugno prossimo.


Veduta dei giardini e degli edifici della reggia di Venaria Reale

In una delle "Sale delle arti" sono esposti due grandi arazzi, che rispettivamente rappresentano l'Ultima cena (che abbiamo vista dipinta da Leonardo da Vinci nell'ex convento dei Domenicani adiacente la basilica di Santa Maria delle Grazie, a Milano) e sulla destra (vedi la sottostante foto,  il dossale del baldacchino per il  papa Clemente VII (tuo corregionale, appartenente  alla famiglia de' Medici, che pontificò dal 1523 all'anno della sua morte, nel 1534).



Per semplificare la lettura descrivo i due  arazzi in modo distinto, nei successivi due post.

segue
#547
Buon pomeriggio PhiroSphera.
Per favore rendimi edotto. Tu ti chiami Mauro Pastore ed hai scritto il post oppure hai fatto il copia e incolla dell'articolo scritto da Mauro Pastore ?

Comunque, in entrambi i casi, ti sembra "normale" un post di tal guisa ?

In questo forum quanti sono gli "esperti" di fisica e chi sono ?

Qui abbondano i "filosofi" e i filosofi, si sa, sono noiosi, amano i contorcimenti, rendono difficili i concetti facili, per farsi considerare "intellettuali" ma io non riesco a considerarli tali. I bravi artigiani creativi sono più intellettuali di loro.

Se il post che hai allocato è farina del tuo sacco, allora debbo dirti che non potresti fare il giornalista. Per fare questo "mestiere" o professione la prima cosa che insegnano i magistri della carta stampata ai praticanti è quella di scrivere concetti complicati o argomenti difficili in modo semplice, per far comprendere il tema anche ai semi-alfabeti.

Io sono un semi-analfabeta. Per farmi capire il tuo involuto post potresti, per favore, riscriverlo in modo da farmi comprendere ed io ti possa rispondere ?  ::) ??? :)

 

#548
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 22:49:23 PM
Vi segnalo che nel mio secondo post per errore ho scritto:

"Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare convento dei frati domenicani", anziché 

 "refettorio". :(  
#549
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 21:27:01 PM
Per ulteriori dettagli ricolloco la foto del Cenacolo vinciano


 
 Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-1498, ex refettorio del Convento domenicano collegato alla basilica di Santa Maria delle Grazie
 
 La scena raffigurata da Leonardo è intuibile che derivi dal quarto vangelo, quello di Giovanni: c'è il "dialogo" tra Pietro e Giovanni e, diversamente dai tre vangeli sinottici, non c'è il calice sulla tavola, che viene ricordato durante la Messa per la consacrazione dell'ostia: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: 'Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati' " (Mt 26,27).
 
 Guardando l'immagine, sulla destra di Gesù c'è l'apostolo Tommaso col dito puntato verso l'alto. La sua figura è anatomicamente sproporzionata, ha un braccio troppo lungo, e pare collocata nell'unico spazio disponibile in modo un po' forzato. Secondo recenti scoperte sui disegni preparatori dell'opera, Leonardo per ricordarsi i nomi degli apostoli li aveva scritti sotto ciascuna figura, perciò si suppone che l'artista avesse dimenticato di inserire Tommaso e che abbia dovuto rimediare in tal modo.
 
 Altro dettaglio, dalle finestre dipinte sullo sfondo s'intravedono le montagne di colore "avio" (azzurro unito al grigio).
 
 La prospettiva creata dalla disposizione del tavolo, dagli arazzi raffigurati alle pareti e dal soffitto a cassettoni, induce lo sguardo dell'osservatore verso questo paesaggio naturale, esterno al Cenacolo.
 
 Nel suo "Trattato di pittura" Leonardo descrive la cosiddetta "prospettiva aerea", usata nel Cenacolo per realizzare i vari piani del dipinto. Tale prospettiva è qui rappresentata dallo spazio architettonico e dalla diversa cromia: colori "caldi" e tonalità "fredde", come il verde e l'azzurro.
 
 Testimonianza del modo di lavorare dell'artista per realizzare il dipinto con l'Ultima Cena l'abbiamo dal noto scrittore e vescovo Matteo Bandello (1485 – 1561), che in quegli anni era nel convento domenicano per motivi di studio. Nella novella 58, del 1497, scrisse:
"Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove".
 
 Leonardo non amava la tecnica della pittura ad affresco la cui rapidità di esecuzione, dovuta alla necessità di stendere i colori prima dell'asciugatura dell'intonaco, era incompatibile con il suo modus operandi, fatto di continui ripensamenti, aggiunte e piccole modifiche, come testimonia anche il brano di Bandello.
 
 Gli ultimi restauri hanno permesso di comprendere il suo procedimento nell'attività: dopo aver steso un ruvido intonaco e steso le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorava al dipinto usando la tecnica tipica della pittura su tavola.
 La preparazione era composta da carbonato di calcio e magnesio, uniti da un legante. Prima di stendere i colori passava sulla parete un sottile strato di biacca, per far risaltare gli effetti luminosi dei colori, che venivano stesi a secco.
 
 All'inizio del 1498 l'Ultima Cena era compiuta. Lo sappiamo da una lettera scritta il 4 febbraio 1498 da fra' Luca Bartolomeo de Pacioli, noto come Luca Pacioli (matematico ed economista, fondatore della ragioneria contabile), che nel 1497 accolse l'invito di Ludovico il Moro lavorare a Milano. In questa città il Pacioli conobbe l'artista toscano, al quale chiese di realizzare dei disegni in acquerello di 60 solidi geometrici, da inserire nella "Summa de Arithmetica, Geometria, Proportioni et Proportionalita e della Divina Proportione", che scrisse anche con la collaborazione di Leonardo, poi pubblicata alla fine del 1498.
 
 Causa la guerra iniziata dal re di Francia Luigi XII contro il ducato di Milano e la rivolta del popolo milanese oppresso dalle tasse, l'1 settembre 1499 Ludovico il Moro fuggì da Milano. Scapparono anche i cortigiani. Pure Leonardo da Vinci e il Pacioli lasciarono la città per recarsi a Mantova.
 
 segue
#550
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 20:42:28 PM

L'Ultima Cena è quella che Gesù fece con gli apostoli durante la Pasqua ebraica nel cosiddetto "Cenacolo", nella zona del Monte Sion, a Gerusalemme.
 
 Il racconto degli eventi dell'ultima cena di Gesù è presente nei Vangeli sinottici e in quello di Giovanni.
 
 Leonardo per questo dipinto trasse ispirazione dal Vangelo di Giovanni (13, 21 – 26). Ha rappresentato Gesù mentre è a tavola con i 12 apostoli ed annuncia che uno di loro lo tradirà. E' il momento più drammatico della cena: 
"In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse" (Gv 13, 21 – 22).
 
 Ogni apostolo si domanda, e chiede agli altri, chi può essere il traditore: Leonardo si concentra sull'effetto che le parole di Gesù provocano sugli apostoli, sulla loro reazione.
 
 L'agitata scena raffigura Cristo al centro della tavola, ha le braccia distese, è contornato dai discepoli, disposti in quattro gruppi di tre apostoli.
 
 Il primo discepolo da sinistra è Bartolomeo, che si trova all'estremità del tavolo e sembra alzarsi di impeto all'annuncio di Cristo: egli, infatti, poggia le mani sulla mensa e protende il corpo verso Gesù.
 
 Vicino a lui c'è Giacomo Minore, che vediamo di profilo mentre tocca la spalla del più anziano Andrea, il quale alza le mani, come a volersi discolpare da qualsiasi sospetto di tradimento.
 
 Andrea con la mano sinistra, quasi a chiedere conforto, tocca la spalla del fratello Pietro, che con la mano destra impugna il coltello

 
[img]http://https://cenacolovinciano.org/wp-content/uploads/2019/06/Museo-Cenacolo-Vinciano-Dettaglio-Ultima-Cena-Pugnale-Pietro.jpg[/img]
Dettaglio del coltello
Simon Pietro con la mano sinistra tocca Giovanni e lo incita a chiedere a Gesù chi sia il traditore: "Di', chi è colui a cui si riferisce?" (Gv 13, 24)
 E Giovanni reclinandosi verso Gesù gli dice: "Signore, chi è?" .Rispose allora Gesù: 
'È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò'. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone" ((Gv 13, 25 – 26).
 
 Giuda è raffigurato mentre poggia il gomito sul tavolo . Nella mano tiene la sacca contenente i 30 denari che ha ricevuto per il tradimento.
 
 Sulla destra, di Gesù c'è Giacomo Maggiore, che apre con sdegno le braccia mentre Tommaso, proteso verso Cristo, lo esorta a parlare tenendo l'indice della destra puntato in alto.
 
 Filippo si è alzato in piedi e, rivolto verso Cristo, porta le mani al petto con un'espressione di dolore sul volto.
 
 Vicino a lui c'è Matteo, che ruota le braccia verso Cristo. Il suo volto, però, è girato nella direzione opposta e rivolto verso Simone e Giuda Taddeo per richiamare la loro attenzione alle parole appena udite.
 
 Giuda Taddeo appare stupito. La sua mano sinistra poggia sulla tavola col palmo aperto, mentre con la destra l'apostolo indica sé stesso.
 
 L'anziano Simone, infine, con atteggiamento più pacato siede a capotavola e si rivolge a Giuda Taddeo e a Matteo.
 
 segue
#551
Riflessioni sull'Arte / Re: Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 18:59:05 PM
Nel 1494 Ludovico il Moro volle far decorare i lati minori del rettangolare convento dei frati domenicani.

Su uno dei lati il pittore milanese Donato Montorfano dipinse la "Crocifissione", terminata nel 1495.

Sull'altro lato minore del refettorio Leonardo da Vinci tra il 1494 e il 1498 dipinse "Ultima cena" o "Cenacolo" (460 x 880 cm), usando la tecnica mista a secco su intonaco, incompatibile con l'umidità dell'ambiente.
 

 
Su un doppio strato di intonaco, Leonardo applicò sul muro a secco la tempera mescolata all'olio. Tale modo di procedere permise all'artista di ottenere qualità di chiaroscuri più raffinati e di ritoccare e modificare l'opera giorno dopo giorno in base a ripensamenti successivi. Ma proprio per tale motivo l'affresco fu vulnerabile e non fu possibile il tentativo di rimuovere il dipinto dalla sede originaria senza danneggiarlo definitivamente.

I restauri hanno permesso di capire che l'artista, dopo aver steso un intonaco ruvido, e disegnate le linee principali della composizione con una specie di sinopia, lavorò al dipinto usando una tecnica tipica della pittura su tavola.

Leonardo usò le espressioni dei volti, dei gesti e la postura dei corpi degli apostoli per manifestare le loro emozioni, come la rabbia, la paura, lo stupore e il dolore.
Leonardo scrisse:

"I moti delle parti del volto, mediante gli accidenti mentali,
sono molti; de' quali i principali sono ridere, piangere, gridare, cantare
[...] ira, letizia, malinconia, paura".

segue
#552
Riflessioni sull'Arte / Cenacolo vinciano
02 Aprile 2023, 18:29:35 PM
Comincia la "Settimana Santa" e Venerdì ci sarà la "Celebratio passionis Domini".
L'evento fa volare il mio pensiero a Milano e al "Cenacolo vinciano".

Milano, Basilica di Santa Maria delle Grazie, prospetta sull'omonima piazza; sulla destra si vede un tratto di Corso Magenta.

Questa chiesa, dell'Ordine dei frati predicatori Domenicani, è adiacente al convento  con l'ex refettorio (diventato proprietà del Comune di Milano), nel quale si può ammirare il dipinto leonardesco dedicato all'Ultima Cena (o Cenacolo).
Questo complesso religioso fu avviato nel 1460. In quell'anno il conte Gaspare Vimercati (uno dei più influenti personaggi dell'entourage di Francesco Sforza, come consigliere di guerra, comandante delle milizie e gestore "di fatto" delle finanze sforzesche) concesse l'area in precedenza usata dal Vimercati per l'alloggiamento dei suoi reparti militari. Su quel terreno c'era anche una cappella dedicata alla Madonna delle Grazie.
Il Vimercati elargì ai Domenicani il denaro necessario per la costruzione del convento e la chiesa, che, come la cappella, fu dedicata  a Santa Maria delle Grazie.
Il progetto fu redatto dall'architetto Guiniforte Solari. I lavori cominciarono nel 1463.
Il convento fu completato nel 1469, la chiesa nel 1482.
Nel 1492 la basilica fu ingrandita perché il duca di Milano, Ludovico Maria Sforza, detto "il Moro",  la scelse per farne il mausoleo della propria casata.
Nel progetto di ampliamento forse partecipò il noto architetto Donato Bramante.
Furono aggiunte absidi di forma circolare, la cupola, un chiostro, un refettorio più grande per il convento.
La chiesa è caratterizzata da sette cappelle di forma quadrata, le quali sono disposte su ciascun lato: esse sono state realizzate quasi tutte dal Solari, ad eccezione dell'ultima dedicata alla Vergine delle Grazie.


veduta parziale dell'interno basilicale

Nel convento ci sono tre chiostri: quello sul lato nord è adiacente alla chiesa. Invece il refettorio è nel lato sud: nel suo interno è possibile ammirare "La crocifissione" (dipinto realizzato dall'artista milanese Donato Montorfano) e la celebre "Ultima Cena", realizzata da Leonardo da Vinci.


il "Cenacolo" com'era prima del restauro

 

"Ultima Cena" dopo i lavori per il restauro
 
L'ultimo intervento di restauro ha permesso di recuperare solo in parte il dipinto originale, rovinato sia a causa degli inadatti materiali utilizzati dall'artista sia per colpa dei vari restauratori che nei secoli XVII e XVIII eseguirono alcune ridipinture "estetiche". Ad esempio, quasi tutta la testa di Giuda è rifatta, dell'originale viso di Giovanni ne resta solo un decimo (le scaglie più chiare della parte alta del viso), e di Pietro solo la parte della fronte e dello zigomo.

Nel 1517, secondo la testimonianza di Antonio de Beatis, "è excellentissima, benché incomincia a guastarse non so se per la humidità che rende il muro o per altra inadvertentia".

Nel 1568 Giorgio Vasari scrisse che il dipinto è "tanto male condotto che non si scorge più se non una macchia abbagliata".

Per Francesco Scannelli, che descrisse il Cenacolo nel 1642, non erano rimaste dell'originale che alcune tracce delle figure, e anche quelle così confuse che solo a fatica se ne poteva ricavare una indicazione del soggetto. Proprio perché considerato ormai perduto, i Domenicani del convento nel 1652 non esitarono ad aprire una porta per dare accesso alle cucine, tagliando le gambe di Gesù e di due apostoli.

Tra il 1796 e il 1801 il refettorio venne adibito a scuderia per i cavalli dei soldati napoleonici, i quali alcuni di loro scagliarono pietre contro il dipinto che distrussero i corpi degli apostoli. Con punte metalliche sfregiarono anche gli occhi. Successivamente inesperti restauratori ridipinsero tutta l'opera.

Infine, il 16 agosto 1943, nel corso della seconda guerra mondiale, il convento di Santa Maria delle Grazie venne bombardato e il refettorio quasi completamente distrutto; il Cenacolo si salvò perché protetto da una impalcatura di tavole di legno e sacchetti di sabbia.
 

 
segue
#553
Tematiche Filosofiche / Re: Narciso
30 Marzo 2023, 22:31:22 PM
Il "narcisismo interiore" rappresentato dal mito di Orfeo ?

Narcisismo  collegato alla creatività e scollegato dall'amore ?

Che ne pensi dell'amore tra Narciso e l'oreade Eco ?


Nicolas Poussin: Eco e e Narciso, 1629

#554
Aspirante ha scritto
CitazioneIo non sono così sicuro che questa sia l'unica vita che abbiamo. Che senso avrebbe? Secondo me questa vita è una delle tante, effetto di quelle precedenti e causa di quelle future.
Ciao Aspirante, ma è proprio necessario credere o illudersi che dopo questa vita ce ne siano altre ? Nel tuo caso come risarcimento !

Sperare  di continuare a vivere post mortem con altre modalità serve soltanto a non accettare la finitudine e ad alimentare la necessità  dell'oltrevita, della consolazione religiosa di qualsiasi tipo.

So che dovrò morire ma non ne faccio un dramma. Così vuole la natura e così sia. Non ho bisogno di sperare o credere nell'aldilà o in vite successive.  ::)
#555
Ultimo libro letto / Re: Il sorriso di Caterina
23 Marzo 2023, 21:15:13 PM
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Il prof. Carlo Vecce lo scorso 19 marzo sul settimanale "Domenica" del quotidiano "Il Sole 24 Ore" ha pubblicato un articolo per la presentazione del suo libro, titolato "Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo" (Giunti editore).

L'autore ha preferito la forma romanzata per unire realtà e fantasia, quando serve, per sopperire alla mancanza di documenti probatori.

La commovente presentazione è un soliloquio di Vecce, che immagina di parlare con Caterina, la madre di Leonardo da Vinci.

L'articolo è questo:

"Caterina. Sei lì in piedi, e mi guardi. Non parli, perché sai che non capirei nulla di quella tua lingua antica come il mondo, la lingua di un popolo perduto che forse anche tu hai dimenticato. Preferisci restare così, in silenzio. Quello che hai da dire, sai comunicarlo benissimo senza parole. Con quegli occhi azzurri e profondi come il cielo delle tue montagne.

Ricordo la prima volta che ti ho vista. Non ti cercavo. Sei arrivata tu, quasi per caso. Ero sepolto in un archivio, la testa dentro le carte di un notaio fiorentino vissuto qualche secolo fa. Un tipo meticoloso, preciso, noioso: era il suo mestiere. Scrittura ordinata, sempre uguale. Ma quel giorno la penna correva per conto suo, dal calamaio alla carta, e ogni tanto la mano tornava indietro, cancellava, correggeva. Un giorno agitato, per lui, quel 2 novembre 1452, pochi giorni prima della festa di san Leonardo, il santo che libera i carcerati e gli schiavi. Il notaio sta rogando infatti la liberazione di una schiava, a istanza della gentildonna sua padrona: 'Caterina filia Jacobi, schlava seu serva de partibus Circassie': (= Caterina figlia di Jacob, originaria della Circassia).

Eri tu, Caterina, presente per dare la tua muta accettazione, e poi te ne sei andata, caricando su un carretto le povere cose che la padrona ti ha donato insieme alla libertà: una lettiera, una cassa con due serrature, una còltrice, un paio di lenzuola e una coperta. Nient'altro possedevi, perché, fino a un'ora prima, eri anche tu un oggetto posseduto da qualcun altro.

Non riuscivo a credere a quello che leggevo. Quel notaio era ser Piero da Vinci, il padre di Leonardo, avuto da una donna chiamata Caterina. Di lei si sapeva poco o nulla: e cioè che aveva venticinque anni quando partorì Leonardo il 15 aprile 1452, e che poi l'hanno maritata a un contadino di Vinci dal nome poco raccomandabile, l'Accattabriga, e che ha avuto altri figli da lui, e che a più di sessant'anni ha avuto il coraggio di partire e andare da suo figlio, a Milano, per morire tra le sue braccia.

Niente è più segreto di un'esistenza femminile, e nessuna esistenza sembra più segreta di quella della madre di Leonardo, come se di lei fosse stato tutto sistematicamente cancellato, dimenticato. Perché? Nessuna traccia, nessun legame col territorio di Vinci prima del 1452, niente di niente. Da dove veniva? Girava anche l'ipotesi che fosse una schiava. Non ci avevo mai creduto. Mi sembrava assurdo. La madre di Leonardo da Vinci, il più grande genio della storia, una schiava, una straniera? Che ci faceva una schiava a Firenze, nello splendore della civiltà del Rinascimento?

Sei tu, Caterina? È veramente possibile che il 2 novembre 1452 fossi tu lì «presentem et acceptantem» con la forza della vita e dell'amore, e in braccio il piccolo Leonardo di nemmeno sei mesi, che frignava perché voleva il latte? E che di fronte a te ci fosse quel notaio che era anche suo padre, il tuo Piero, che cercava di scrivere vincendo l'emozione? E tu lo guardavi e ti chiedevi che cosa c'era dentro il suo cuore? Mi sono fermato, ed è stato in quel momento che, per la prima volta, ti ho vista."

Dovevo capire, continuare a cercare. Negli anni, ti ho inseguita ovunque, e ho inseguito tutti i nomi che trovavo in quei documenti: la tua padrona; il cavaliere che ti aveva affittata come balia nello splendido palazzo fiorentino dove hai fatto l'amore con Piero e che è oggi il Museo Galileo; l'avventuriero che ti aveva portato a Firenze.

Ho cercato di dare un volto e una voce a ognuno di loro, ho cercato di legare le loro storie in un'unica storia: la tua storia. Una storia incredibile, impossibile, che si avvolgeva all'indietro senza fine, nel tempo e nello spazio: da Venezia a Costantinopoli, da Trebisonda alle colonie genovesi del Mar Nero, fino al Mare d'Azov e alla foce del Don, all'ultimo avamposto veneziano della Tana, punto d'arrivo della Via della Seta settentrionale, luogo d'incontro e scontro di popoli e civiltà, gli Sciti,i Bizantini, i Mongoli, i Tartari dell'Orda d'Oro, i Russi, i Turchi.

Il tuo mondo mitico e selvaggio si estendeva al di là di tutto questo, al di là della Storia, sulle valli e sugli altipiano del Caucaso scavati dalla forza di acque primordiali, fino alla doppia cima bianca dell'Elbruz, il sacro Oshamako.

Sei nata libera su quelle montagne, hai imparato ad amare la vita e le creature e a capirne i linguaggi, a cavalcare e tirare con l'arco, a danzare l'islamey. E' così che ti ho immaginato, luminosa come la principessa Bela di Lermontov.
Poi un giorno, come Bela, hai perso la libertà. Qualcuno ti ha trascinato dentro la storia. Hai attraversato il mare, ma non era un viaggio di piacere. Non eri più un essere umano, eri diventata una merce, registrata sui libri contabili come una "testa". E a questo punto la tua storia non ha più niente di esotico e fascinoso. E' la storia della schiavitù, lo scandalo, lo specchio nero della globalizzazione, lo sfruttamento del lavoro umano e delle risorse naturali, l'omologazione e la cancellazione delle culture, delle lingue, delle libertà.
E' cominciata allora, sulle navi dei mercanti in giro per il Mediterraneo, ed è andata avanti sull'Oceano, nel nuovo mondo scoperto da Colombo. E' questo che ci sconvolge, Caterina.

La tua storia, la storia di una ragazza a cui era stato rubato tutto, la libertà, il futuro, i sogni; è la realtà di oggi, e tu ci costringi a guardarla in faccia, una buona volta, ad aprire gli occhi.

E Leonardo, tuo figlio ? E' italiano solo a metà. Per l'altra metà, forse la migliore, è figlio di una schiava, una straniera al gradino più basso della scala sociale e umana, una donna scesa da un barcone e venuta da chissà dove, senza voce né dignità, che non sapeva né leggere né scrivere e che a stento parlava la nostra lingua.

Leonardo non appartiene in esclusiva a una singola nazione o civiltà. Appartiene a tutta l'umanità.

E tu, Caterina, cosa hai donato a quel piccolo bastardo bello come il sole e puro come l'acqua, oltre alla vita e all'amore ? Il tuo più grande desiderio: lo spirito di libertà, che per lui è diventata libertà assoluta di ricerca della verità e della bellezza, al di là di ogni costrizione, confine, pregiudizio morale o sociale.

E poi, l'amore per l'altra grande madre, la natura, e per la vita in tutte le sue forme, le piante e gli animali, le piccole persone del creato, i cavalli e gli uccelli del cielo.
E forse ancora la straordinaria disposizione all'immaginazione creatrice, come quando raccontavi al bambino le saghe del mondo favoloso da dove eri venuta, e gli facevi vedere, con gli occhi della fantasia, la tua altissima montagna sacra, Oshamako la montagna dell'Annunciazione.
Ma sarà il tuo sorriso, dolce e ineffabile, il dono più bello, che lui ha serbato in fondo al cuore. Con l'illusione di ritrovarlo, un giorno nel volto di una donna chiamata Lisa" (= Monna Lisa, la Gioconda).