Già è interessante vedere l'austerità dei Thera e vederli al contempo sorridenti (sia le persone "esistenti" sia le iconografie).
Tornando al discorso dell'esistenza di un Assoluto... il motivo per cui posso pensare che il "credere" in un Assoluto può ostacolare il Nibbana è come ben dici tu il fatto che non "lasci andare" i concetti. Quindi più che negare le filosofie "simil-monistiche" (veramente non so come chiamarle
), quello che si nega è la loro "utilità". D'altronde se io "penso" a Brahman mi vedo ancora "distinto" da esso, se dico "io sono uno con Brahman" è come se dicendolo non resto più "unito" a Brahman (questo se vogliamo è il paradosso del monismo). Motivo per cui "nirguna Brahman" è ineffabile: se ne parli automaticamente non sei "dissolto". Pensiamo al discorso della spontaneità. Abbiamo noi esseri non spontanei e pieni di dukkha un'idea di spontaneità, però per essere veramente spontanei dobbiamo lasciare andare anche quell'ultima idea (d'altronde i fiumi e le rocce pur essendo "reali" sicuramente non "dividono" la realtà in concetti e nemmeno pensano "io sono uno con la Realtà"). Qui appunto vorrei far notare come le tradizioni "monistiche" sono concordi con il buddhismo su questo punto: ossia che uno non può essere "cosciente" di essere "uno" con l'Assoluto. Se lo fosse allora non sarebbe più "uno" con l'Assoluto.
Utilizzando un dialogo zen (non mi viene in mente la fonte):
"come posso accordarmi alla Via?"
"se provi ad accordarti ti allontani!"
Le tradizioni monistiche e il buddhismo sono in realtà d'accordo su questo punto: la conoscenza "vera" della "Realtà" trascende i concetti. E non appena provi a parlarne in realtà non riesci a comunicarla (in modo più banale: non riesco a comunicare il gusto del gelato
). Infatti se le mie azioni sono spontanee mi "dimentico" di fatto sia di me stesso che della realtà, sia dell'io e che del non-io. Così dunque si può vedere come la "Realtà" e il "Nulla" in realtà si assomigliano: in ambo i casi "io" e "non-io" "non ci sono". E qui c'è il "problema" del Cambiamento. Se una "realtà" sostanziale cambia non rimane più sé stessa e il "nulla" non può cambiare. Ergo non rimane che questo: la Realtà è "senza identità" perchè è dinamica - la Realtà è il Divenire. Ma il "divenire" non può essere né concepito come "io" né come "non-io", perchè siccome "è dinamico" non può avere nulla di statico e siccome è però "qualcosa", non può essere definito "non-io". A questo punto però veramente il problema è meramente linguistico. Voglio dire se il "Divenire" lo chiamo "Brahman", "Sunyata", "Dao" alla fine intendo la "medesima" "cosa" (ok in realtà è una non-cosa ma spero di essermi chiarito
). Inoltre il Divenire "un continuo mutamento" si può anche pensarlo come "permanente", "senza mutamento" perchè dire "il divenire muta" è dire un'insensatezza. Sinceramente ho questo grande "sospetto": anche in oriente si lasciano ingannare dal linguaggio
altrimenti non mi spiego questa veemenza contro ogni concezione di "Assoluto". L'Assoluto può d'altronde essere anche un "Processo", non una sostanza. Su questo mi pare che i mahayana abbiano capito di più che il buddhismo non è poi così diverso da altre dottrine.
Tempo fa dicevo che appoggiavo l'interpretazione dell'anatta non come una teoria metafisica bensì come "esperienza meditativa". Credo proprio che sia questo "assorbimento" di cui parlo, l'esperienza diretta o immediata. La vita di tutti i giorni invece ci offre un'esperienza diretta in cui "l'io" si oppone al "non-io" e quindi non vi può essere un'esperienza diretta o un "assorbimento nell'azione"
non "credendo" personalmente nell'infallibilità del Buddha non posso appoggiare la sua dottrina come "la corretta teoria del Tutto" (motivo per cui per me non ha senso chiedersi se il buddhismo è compatibile col darwinismo, con la meccanica quantistica o altro - e anche con "daoismo" o l'"induismo"): però ritengo che se il Nirvana è questa "esperienza" in cui si è totalmente "abbandonati" al Divenire dell'Univero, allora posso concordare - così come posso concordare che se sono veramente "assorbito" in un'attività mi dimentico sia di "me" che di "ciò che non sono io" e rimane solo l'azione - ossia la realtà. Su questo mi sembra che Daodejing/Zhuangzi, buddhismo e simil-advaita concordino. Se poi il Buddha-Dhamma sia l'unico modo per raggiungere questo "stato" in modo "permanente" (ossia se è davvero l'unico modo per liberarsi di "dukkha") non lo so ovviamente dire, ma direi che ciò è ben altra cosa rispetto a dire che "il buddhismo è vero, l'advaita è falso (o vicerversa)", "l'io esiste", "non esiste alcun io" ecc.
Il mio problema con un approccio "settario" è che si perde proprio questo. E in questo senso vale il detto del Daodejing "chi sa non parla, chi non sa parla".
P.S. Un cristiano potrebbe anche lui fare un discorso simile con la "visione beatifica": quando "vedo" Dio non sono realmente "cosciente" di vedere Dio, bensì vedo (e quindi di fatto l'io e il non-io sparisce). Il motivo per cui mi piacciono queste tradizioni orientali è che appunto l'intuizione dell'"esperienza diretta" ,"pre-concettuale", "in cui di è dimenticato l'io e il non-io" sono veramente universali.
P.S. Sulla "natura" di un'azione spontanea può essere utile anche https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_(psicologia) nozione nata qualche decennio fa nella psicologia moderna.
Tornando al discorso dell'esistenza di un Assoluto... il motivo per cui posso pensare che il "credere" in un Assoluto può ostacolare il Nibbana è come ben dici tu il fatto che non "lasci andare" i concetti. Quindi più che negare le filosofie "simil-monistiche" (veramente non so come chiamarle
), quello che si nega è la loro "utilità". D'altronde se io "penso" a Brahman mi vedo ancora "distinto" da esso, se dico "io sono uno con Brahman" è come se dicendolo non resto più "unito" a Brahman (questo se vogliamo è il paradosso del monismo). Motivo per cui "nirguna Brahman" è ineffabile: se ne parli automaticamente non sei "dissolto". Pensiamo al discorso della spontaneità. Abbiamo noi esseri non spontanei e pieni di dukkha un'idea di spontaneità, però per essere veramente spontanei dobbiamo lasciare andare anche quell'ultima idea (d'altronde i fiumi e le rocce pur essendo "reali" sicuramente non "dividono" la realtà in concetti e nemmeno pensano "io sono uno con la Realtà"). Qui appunto vorrei far notare come le tradizioni "monistiche" sono concordi con il buddhismo su questo punto: ossia che uno non può essere "cosciente" di essere "uno" con l'Assoluto. Se lo fosse allora non sarebbe più "uno" con l'Assoluto.Utilizzando un dialogo zen (non mi viene in mente la fonte):
"come posso accordarmi alla Via?"
"se provi ad accordarti ti allontani!"
Le tradizioni monistiche e il buddhismo sono in realtà d'accordo su questo punto: la conoscenza "vera" della "Realtà" trascende i concetti. E non appena provi a parlarne in realtà non riesci a comunicarla (in modo più banale: non riesco a comunicare il gusto del gelato
). Infatti se le mie azioni sono spontanee mi "dimentico" di fatto sia di me stesso che della realtà, sia dell'io e che del non-io. Così dunque si può vedere come la "Realtà" e il "Nulla" in realtà si assomigliano: in ambo i casi "io" e "non-io" "non ci sono". E qui c'è il "problema" del Cambiamento. Se una "realtà" sostanziale cambia non rimane più sé stessa e il "nulla" non può cambiare. Ergo non rimane che questo: la Realtà è "senza identità" perchè è dinamica - la Realtà è il Divenire. Ma il "divenire" non può essere né concepito come "io" né come "non-io", perchè siccome "è dinamico" non può avere nulla di statico e siccome è però "qualcosa", non può essere definito "non-io". A questo punto però veramente il problema è meramente linguistico. Voglio dire se il "Divenire" lo chiamo "Brahman", "Sunyata", "Dao" alla fine intendo la "medesima" "cosa" (ok in realtà è una non-cosa ma spero di essermi chiarito
). Inoltre il Divenire "un continuo mutamento" si può anche pensarlo come "permanente", "senza mutamento" perchè dire "il divenire muta" è dire un'insensatezza. Sinceramente ho questo grande "sospetto": anche in oriente si lasciano ingannare dal linguaggio
altrimenti non mi spiego questa veemenza contro ogni concezione di "Assoluto". L'Assoluto può d'altronde essere anche un "Processo", non una sostanza. Su questo mi pare che i mahayana abbiano capito di più che il buddhismo non è poi così diverso da altre dottrine.Tempo fa dicevo che appoggiavo l'interpretazione dell'anatta non come una teoria metafisica bensì come "esperienza meditativa". Credo proprio che sia questo "assorbimento" di cui parlo, l'esperienza diretta o immediata. La vita di tutti i giorni invece ci offre un'esperienza diretta in cui "l'io" si oppone al "non-io" e quindi non vi può essere un'esperienza diretta o un "assorbimento nell'azione"
non "credendo" personalmente nell'infallibilità del Buddha non posso appoggiare la sua dottrina come "la corretta teoria del Tutto" (motivo per cui per me non ha senso chiedersi se il buddhismo è compatibile col darwinismo, con la meccanica quantistica o altro - e anche con "daoismo" o l'"induismo"): però ritengo che se il Nirvana è questa "esperienza" in cui si è totalmente "abbandonati" al Divenire dell'Univero, allora posso concordare - così come posso concordare che se sono veramente "assorbito" in un'attività mi dimentico sia di "me" che di "ciò che non sono io" e rimane solo l'azione - ossia la realtà. Su questo mi sembra che Daodejing/Zhuangzi, buddhismo e simil-advaita concordino. Se poi il Buddha-Dhamma sia l'unico modo per raggiungere questo "stato" in modo "permanente" (ossia se è davvero l'unico modo per liberarsi di "dukkha") non lo so ovviamente dire, ma direi che ciò è ben altra cosa rispetto a dire che "il buddhismo è vero, l'advaita è falso (o vicerversa)", "l'io esiste", "non esiste alcun io" ecc. Il mio problema con un approccio "settario" è che si perde proprio questo. E in questo senso vale il detto del Daodejing "chi sa non parla, chi non sa parla".
P.S. Un cristiano potrebbe anche lui fare un discorso simile con la "visione beatifica": quando "vedo" Dio non sono realmente "cosciente" di vedere Dio, bensì vedo (e quindi di fatto l'io e il non-io sparisce). Il motivo per cui mi piacciono queste tradizioni orientali è che appunto l'intuizione dell'"esperienza diretta" ,"pre-concettuale", "in cui di è dimenticato l'io e il non-io" sono veramente universali.
P.S. Sulla "natura" di un'azione spontanea può essere utile anche https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_(psicologia) nozione nata qualche decennio fa nella psicologia moderna.

anzi a volte si critica in modo pesante proprio ciò che si apprezza di più
Sono convinto che "anatta" non sia il nichilismo per ragioni che non posso comprendere ma qui a mio giudizio c'è un grosso problema. Mentre infatti nelle altre filosofie la "dissoluzione" può essere vista sia come un'affermazione che una negazione dell'Io nel buddhismo (specie del Canone Pali, ancor più di quello Mahayana - quindi dissento con l'affermare che Nagarjuna ha fatto la mossa "pericolosa") è enfatizzata solo la negazione e la mira a salvarsi, il che sinceramente mi sorprende. Con un approccio simile l'interpretazione nichilistica e perversa è facile da sostenere anche utilizzando i discorsi del Buddha. Il Risvegliato non ha più alcun desiderio, non ha più "sete dell'esistenza" (e come potrebbe averne visto che tutto è destinato a morire?). Siccome niente è "permanente" e non c'è nemmeno il "contentino" del "credere" a Brahman (o Dao ecc), l'esistenza è vista come una prigione da cui liberarsi il prima possibile - per cui bisogna salvarsi (visto che una "salvezza" collettiva è impossibile). "Metta" e "Karuna" non hanno valore intrinseco, bensì "strumentale"- quello che conta è prajna, ossia appunto la conoscenza, lo squarcio del "velo di Maya". Un "monista" invece pur in un certo senso essere riuscito a "trascendere" interpreta la cosa in modo diverso: "non è l'esistenza - nemmeno la "mia" esistenza - il problema - il problema è come "uso" questo mio io. Non è tanto pensare all'esistenza del mio "io" il problema. Infatti essendo io una "manifestazione" della Vita, come gli altri esseri, con determinate caratteristiche ho capito che il mio egoismo è un problema - per quanto riguarda la "sete dell'esistenza": io non ho sete individuale, visto che sono una semplice manifestazione della Vita". Perchè credere in Brahman, il Dao, l'Anima Mundi dovrebbe far persistere l'ignoranza, l'odio e la brama, quando in realtà si ben comprende la limitatezza della propria vita e si sa che ad esempio questo: quando muoio, i "resti" contribuiranno a formare altra vita, così come io sono stato "formato" dalla "morte" di altre forme e così via. Invece leggo che se io non credo all'insostanzialità di "tutto" (perchè?) perpetuerò la "mia" esistenza. Il problema che vedo io è il seguente: può andar bene ritenere esatto l'insegnamento per sé stessi ("io" così come sono non sono eterno e devo accettare la mia limitazione) ma perchè non pensare che la Vita, di cui io sono una temporanea (e spazialmente limitata) espressione, sia eterna? Che male fa se non accentuare "metta" e "karuna"? Perchè fissarsi con la questione dell'anatta applicandola a tutto l'universo - nirvana compreso, negando ogni tipo di "idea di Dio"?
"Mah vorrei ancora dire..." Zitto