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Messaggi - Apeiron

#541
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
07 Novembre 2017, 12:49:14 PM
Già è interessante vedere l'austerità dei Thera e vederli al contempo sorridenti (sia le persone "esistenti" sia le iconografie).

Tornando al discorso dell'esistenza di un Assoluto... il motivo per cui posso pensare che il "credere" in un Assoluto può ostacolare il Nibbana è come ben dici tu il fatto che non "lasci andare" i concetti. Quindi più che negare le filosofie "simil-monistiche" (veramente non so come chiamarle  ;D ), quello che si nega è la loro "utilità". D'altronde se io "penso" a Brahman mi vedo ancora "distinto" da esso, se dico "io sono uno con Brahman" è come se dicendolo non resto più "unito" a Brahman (questo se vogliamo è il paradosso del monismo). Motivo per cui "nirguna Brahman" è ineffabile:  se ne parli automaticamente non sei "dissolto". Pensiamo al discorso della spontaneità. Abbiamo noi esseri non spontanei e pieni di dukkha un'idea di spontaneità, però per essere veramente spontanei dobbiamo lasciare andare anche quell'ultima idea (d'altronde i fiumi e le rocce pur essendo "reali" sicuramente non "dividono" la realtà in concetti e nemmeno pensano "io sono uno con la Realtà"). Qui appunto vorrei far notare come le tradizioni "monistiche" sono concordi con il buddhismo su questo punto: ossia che uno non può essere "cosciente" di essere "uno" con l'Assoluto. Se lo fosse allora non sarebbe più "uno" con l'Assoluto.

Utilizzando un dialogo zen (non mi viene in mente la fonte):
"come posso accordarmi alla Via?"
"se provi ad accordarti ti allontani!"
Le tradizioni monistiche e il buddhismo sono in realtà d'accordo su questo punto: la conoscenza "vera" della "Realtà" trascende i concetti. E non appena provi a parlarne in realtà non riesci a comunicarla (in modo più banale: non riesco a comunicare il gusto del gelato  ;D ). Infatti se le mie azioni sono spontanee mi "dimentico" di fatto sia di me stesso che della realtà, sia dell'io e che del non-io. Così dunque si può vedere come la "Realtà" e il "Nulla" in realtà si assomigliano: in ambo i casi "io" e "non-io" "non ci sono". E qui c'è il "problema" del Cambiamento. Se una "realtà" sostanziale cambia non rimane più sé stessa e il "nulla" non può cambiare. Ergo non rimane che questo: la Realtà è "senza identità" perchè è dinamica - la Realtà è il Divenire. Ma il "divenire" non può essere né concepito come "io" né come "non-io", perchè siccome "è dinamico" non può avere nulla di statico e siccome è però "qualcosa", non può essere definito "non-io". A questo punto però veramente il problema è meramente linguistico. Voglio dire se il "Divenire" lo chiamo "Brahman", "Sunyata", "Dao" alla fine intendo la "medesima" "cosa" (ok in realtà è una non-cosa ma spero di essermi chiarito  ;D ). Inoltre il Divenire "un continuo mutamento" si può anche pensarlo come "permanente", "senza mutamento" perchè dire "il divenire muta" è dire un'insensatezza. Sinceramente ho questo grande "sospetto": anche in oriente si lasciano ingannare dal linguaggio  ;) altrimenti non mi spiego questa veemenza contro ogni concezione di "Assoluto". L'Assoluto può d'altronde essere anche un "Processo", non una sostanza. Su questo mi pare che i mahayana abbiano capito di più che il buddhismo non è poi così diverso da altre dottrine.

Tempo fa dicevo che appoggiavo l'interpretazione dell'anatta non come una teoria metafisica bensì come "esperienza meditativa". Credo proprio che sia questo "assorbimento" di cui parlo, l'esperienza diretta o immediata. La vita di tutti i giorni invece ci offre un'esperienza diretta in cui "l'io" si oppone al "non-io" e quindi non vi può essere un'esperienza diretta o un "assorbimento nell'azione"  ;) non "credendo" personalmente nell'infallibilità del Buddha non posso appoggiare la sua dottrina come "la corretta teoria del Tutto" (motivo per cui per me non ha senso chiedersi se il buddhismo è compatibile col darwinismo, con la meccanica quantistica o altro - e anche con "daoismo" o l'"induismo"): però ritengo che se il Nirvana è questa "esperienza" in cui si è totalmente "abbandonati" al Divenire dell'Univero, allora posso concordare - così come posso concordare che se sono veramente "assorbito" in un'attività mi dimentico sia di "me" che di "ciò che non sono io" e rimane solo l'azione - ossia la realtà. Su questo mi sembra che Daodejing/Zhuangzi, buddhismo e simil-advaita concordino. Se poi il Buddha-Dhamma sia l'unico modo per raggiungere questo "stato" in modo "permanente" (ossia se è davvero l'unico modo per liberarsi di "dukkha") non lo so ovviamente dire, ma direi che ciò è ben altra cosa rispetto a dire che "il buddhismo è vero, l'advaita è falso (o vicerversa)", "l'io esiste", "non esiste alcun io" ecc.

Il mio problema con un approccio "settario" è che si perde proprio questo. E in questo senso vale il detto del Daodejing "chi sa non parla, chi non sa parla".

P.S. Un cristiano potrebbe anche lui fare un discorso simile con la "visione beatifica": quando "vedo" Dio non sono realmente "cosciente" di vedere Dio, bensì vedo (e quindi di fatto l'io e il non-io sparisce). Il motivo per cui mi piacciono queste tradizioni orientali è che appunto l'intuizione dell'"esperienza diretta" ,"pre-concettuale", "in cui di è dimenticato l'io e il non-io" sono veramente universali.

P.S. Sulla "natura" di un'azione spontanea può essere utile anche https://it.wikipedia.org/wiki/Flusso_(psicologia) nozione nata qualche decennio fa nella psicologia moderna.
#542
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
07 Novembre 2017, 12:12:22 PM
Il Sari è un "fanciullo imberbe"  ;D oppure al Sari non è mai cresciuta la barba visto che è "sempre" ben sbarbato. 
Infatti se non ci sono altri barbieri oltre al Sari non è possibile che qualcun altro faccia la barba al Sari e se il Sari si facesse la barba da solo contraddirebbe i suoi principi di aiutare solo coloro che ne hanno veramente bisogno (ossia coloro che non riescono a farsi la barba da soli)  :D 

Oppure un tempo aveva la barba (ma questo contraddice la parola "sempre") e poi spontaneamente la barba è caduta e non è più ricresciuta. Essendo un'azione spontanea non è possibile ritenere alcuno responsabile  ;D quindi nessun barbiere ha sbarbato il Sari.
#543
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2017, 19:26:34 PMX Baylham Premesso che per "mente" intendo la componente non materiale della coscienza, distinguendola dalla componente materiale (grosso modo le cartesiane res cogitans e res extensa), mi sembra che la scienza in senso stretto (le scienze naturali) possa studiare il cervello e non la mente. Il cervello é un oggetto materiale perfettamente inserito nel modo (fenomenico) materiale - naturale intersoggettivo e misurabile quantitativamente, che alla materia in generale e alla leggi del suo divenire può essere "perfettamente ridotto"; che dunque le scienze naturali studiamo benissimo: la biologia evolutiva per quanto riguarda la sua comparsa nei vertebrati e il suo sviluppo, in particolare, nei primati e nell' uomo, la neurofisiologtia e la neuropatologia per quanto riguarda il suo funzionamento normale e patologico e la ricerca di terapie farmacologiche o chirurgiche. Ma la coscienza (e in particolare la mente) non é il cervello e il suo funzionamento, non é nulla che possa trovarsi nel cervello (é anzi il cervello a trovarsi nella coscienza di chi lo osserva), bensì qualcosa che diviene "di pari passo al cervello (in determinate condizioni funzionali; non nel sonno senza sogni o in anestesia o in coma)" ma che in esso non si trova, da esso non emerge, ad esso non sopravviene. "Ciò che la scienza [neurologica] può fare", come ha già ben detto Apeiron, "é associare ogni fenomeno mentale a qualcosa di neurologico. Ma Il problema di ogni teoria scientifica della coscienza è che fin dal principio esclude la possibilità che esista qualcosa di "non rilevabile" [aggiungerei a quanto afferma Apeiron: intersoggettivamente, "in terza persona"]. "Ergo l'esperienza soggettiva può essere certamente associata a fenomeni "oggettivi" però per sua natura non può essere rilevata [intersoggettivamente]". E dunque non può essere studiata scientificamente (per lo meno intendendo la scienza, "in senso stretto" e non nel senso delle cosiddette "scienze umane").

Concordo anche con le tue doverose aggiunte  ;) la coscienza la "postuliamo" per "esperienza diretta", non perchè i dati osserviamo implichi l'esistenza della coscienza  :)

Un po' come dice Wittgenstein:
Se io scrivessi un libro "Il mondo, come io lo trovai", vi si dovrebbe riferire anche del mio corpo e dire quali membra sottostiano alla mia volontà, e  quali no, etc., e questo è un metodo d'isolare il soggetto, o piuttosto di mostrare che, in un senso importante, soggetto non v'è: D'esso soltanto, infatti, non si potrebbe parlare in questo libro. -

In un'analisi strettamente scientifica non si potrebbe nemmeno parlare della  propria esperienza, figuriamoci l'altrui!
#544
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
06 Novembre 2017, 22:50:04 PM
Anzitutto grazie!
Lasciami però precisare che non volevo "accusare" il buddhismo Theravada o rinnegare il valore di Nyanaponika (motivo per cui ho cercato di precisarlo)  ;)  Riguardo a quest'ultimo volevo dire che lì quello che ha scritto secondo me è una lettura superficiale (prima ha precisato che nessuna concezione di Dio va bene per i buddhisti, poi ha affermato che le altre religioni sono visioni "dannose". Cosa che a mio giudizio è sbagliata anche dal punto di vista del buddhismo stesso).

Riguardo alla scuola Theravada e il Canone Pali. Si può interpretare la continua esortazione a "trascendere" in modo molto positivo, ossia nell'affermazione che ogni nostro concetto che ci facciamo sulla realtà non riuscirà mai a catturarla completamente. Si può poi affermare che tutte le dottrine "positive" in realtà sono presenti anche nel Canone Pali - per esempio anche la dottrina per la quale "ogni cosa è priva di un sé" può essere letta quasi in modo opposto - ossia che tutto ha valore. Quello che mi spaventa però è appunto che le sutra mahayana e la letteratura chan/zen è nata molto tardi e come ben fai notare tu citando il Nuovo Testamento ciò può significare che è più probabile che queste non siano più "buddhismo vero". Lo stesso vale per Dogen. D'altronde il continuo richiamo alla spontaneità ha un sapore molto più "cinese" che "indiano" (o "nepalese" visto che Buddha è nato là  ;D ). Tuttavia lo stesso buddhismo Theravada ci tiene a precisare che le interpretazioni nichilistiche sono errate. Oltre a questo poi come non si può descrivere se non come "spontanea" e "libera" l'azione di un uomo con una mente priva di attaccamento e avversione?  ;)  Tuttavia quello che volevo dire è che troppo spesso vedo associata l'idea "metafisica-sete dell'esistenza". Nell'antica Grecia gli dei erano immortali, gli uomini invece no (e alla morte o non c'era alcun aldilà oppure c'era l'Ade, un posto non molto bello, dicamo  ;D  lo stesso Epicuro dice che ci sono gli dei ma gli uomini sono mortali e non vi è aldilà. Gli stoici pur affermando l'esistenza di una "Anima Mundi" non credevano nell'esistenza di un'aldilà ;) ). Motivo per cui non ha senso secondo me la critica a ogni concezione di Dio se è motivata dall'assunzione (sbagliata) "Dio (o qualcosa di permanente)=sete di esistenza (personale)". 


Chiedo ancora perdono se ho ecceduto con le critiche. Purtroppo a proposito delle ambiguità del linguaggio l'equivoco è facile da creare  :-[  anzi a volte si critica in modo pesante proprio ciò che si apprezza di più  ;D
#545
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
06 Novembre 2017, 20:06:14 PM
Grazie  Sari ;)  Ancora non vedo però nessuna ragione per preferire "anatta/sunyata" a concetti come "Dao", "Brahman" ecc - se non la "fede" nell'infallibilità del Buddha. Quello che segue è un commento, so benissimo che "anatta" nel Canone Pali non si deve interpretare come segue. Mi metto dal punto di vista di un "monista" (il fan del buddhismo theravada lo consideri un esercizio intellettuale utile a togliere interpretazioni sbagliate)...
,
Ad ogni modo vorrei a questo punto virare il discorso sulla relazione Buddha-"monismo" - se vogliamo è una critica all'anatta (ti prego di portar pazienza  ;D ). Uno dei motivi per cui l'anatta può causare l'apatia potrebbe proprio ricercarsi nel rifiuto di una sorta di "monismo". Per esempio una semplicissima analisi naturalistica suggerisce che l'uomo e gli animali sono imparentati. Motivo per cui già questo dovrebbe suggerire che anche gli animali debbano essere trattati con rispetto. Un monista direbbe: tu non sei diverso da quello, quindi rispettalo. Ergo "metta" e "karuna" (ossia la compassione) in un monismo sono ovvietà, così come la Regola d'Oro. Se poi guardiamo alla fisica vediamo che i pianeti si attraggono, le galassie si attraggono e così via. Nulla è "isolato". L'universo, la natura è vista come una "rete". Questo tipo di visione rafforza ancora di più "metta" e "karuna" perchè da un lato fa comprendere che si è parte di qualcosa di più grande; dall'altro lato può ad esempio suggerire la metafora della libertà delle rocce e dei fiumi, ossia della spontaneità. Tutto questo crea un senso d'appartenenza molto profondo, un senso di vicinanza perfino con gli oggetti inanimati. Non a caso sono nate le dottrine dell'Anima Mundi, del Dao, Brahman ecc e in tutte queste per lo meno il rispetto delle creature è molto enfatizzato.
(In realtà anche nelle religioni devozionali la compassione può essere rafforzata dall'idea che "Dio ama" ma visto che il buddhismo esclude categoricamente l'esistenza di un Dio Personale Creatore, non ne voglio parlare qui)
Il problema è che l'Ego, ossia la tendenza a "pensare solo a sé" con questo tipo di filosofie cala, proprio perchè si ha questo aumentato senso di appartenenza. Ma allo stesso tempo non si può dire che il "sé" è abbandonato bensì ridefinito e il senso di identità è anche un senso di appartenenza - si ama il mondo.  Apparentemente l'identità si rafforza e non a caso questo tipo di filosofie è molto consistente nell'arrivare a dire "sii uno con l'Infinito".
Ma poi arriva il Buddha e dice: "tutto questo è falso". Brahman non esiste, Dao non esiste, Anima Mundi non esiste ecc, tutte queste filosofie sono "erronee" perchè si basano sulla sete dell'esistenza. In realtà qualsiasi "forma di vita" prima o poi deve seguire la ferrea legge dell'impermanenza. Quindi l'uomo deve rinunciare a tutto, avere "nibidda", abbandonare tutto e lasciare andare tutto. Solo così si estingue  :o Sono convinto che "anatta" non sia il nichilismo per ragioni che non posso comprendere ma qui a mio giudizio c'è un grosso problema. Mentre infatti nelle altre filosofie la "dissoluzione" può essere vista sia come un'affermazione che una negazione dell'Io nel buddhismo (specie del Canone Pali, ancor più di quello Mahayana - quindi dissento con l'affermare che Nagarjuna ha fatto la mossa "pericolosa") è enfatizzata solo la negazione e la mira a salvarsi, il che sinceramente mi sorprende. Con un approccio simile l'interpretazione nichilistica e perversa è facile da sostenere anche utilizzando i discorsi del Buddha. Il Risvegliato non ha più alcun desiderio, non ha più "sete dell'esistenza" (e come potrebbe averne visto che tutto è destinato a morire?). Siccome niente è "permanente" e non c'è nemmeno il "contentino" del "credere" a Brahman (o Dao ecc), l'esistenza è vista come una prigione da cui liberarsi il prima possibile - per cui bisogna salvarsi (visto che una "salvezza" collettiva è impossibile). "Metta" e "Karuna" non hanno valore intrinseco, bensì "strumentale"- quello che conta è prajna, ossia appunto la conoscenza, lo squarcio del "velo di Maya". Un "monista" invece pur in un certo senso essere riuscito a "trascendere" interpreta la cosa in modo diverso: "non è l'esistenza - nemmeno la "mia" esistenza - il problema - il problema è come "uso" questo mio io. Non è tanto pensare all'esistenza del mio "io" il problema. Infatti essendo io una "manifestazione" della Vita, come gli altri esseri, con determinate caratteristiche ho capito che il mio egoismo è un problema - per quanto riguarda la "sete dell'esistenza": io non ho sete individuale, visto che sono una semplice manifestazione della Vita". Perchè credere in Brahman, il Dao, l'Anima Mundi dovrebbe far persistere l'ignoranza, l'odio e la brama, quando in realtà si ben comprende la limitatezza della propria vita e si sa che ad esempio questo: quando muoio, i "resti" contribuiranno a formare altra vita, così come io sono stato "formato" dalla "morte" di altre forme e così via. Invece leggo che se io non credo all'insostanzialità di "tutto" (perchè?) perpetuerò la "mia" esistenza. Il problema che vedo io è il seguente: può andar bene ritenere esatto l'insegnamento per sé stessi ("io" così come sono non sono eterno e devo accettare la mia limitazione) ma perchè non pensare che la Vita, di cui io sono una temporanea (e spazialmente limitata) espressione, sia eterna? Che male fa se non accentuare "metta" e "karuna"? Perchè fissarsi con la questione dell'anatta applicandola a tutto l'universo - nirvana compreso, negando ogni tipo di "idea di Dio"?

E qui sinceramente vedo una grossa differenza tra Mahayana e Theravada e preferisco di gran lunga i Mahayana. Infatti mentre nel Theravada c'è solo l'enfasi del "vuoto", i mahayana  parlano di "Natura di Buddha" accanto al "vuoto". Mi piace particolarmente lo Hua-yan (in italiano "ornamento fiorito") e il Chan/Zen perchè la Natura di Buddha è "ovunque", ogni cosa ha valore e la Vita è vlorizzata al massimo (Dogen: "l'impermanenza è la Natura di Buddha" - ma allora che differenza c'è con Anima Mundi, Dao, Brahman? Dire "il Cambiamento è la Natura di Buddha"....). Solo con questa enfasi posso capire il Metta Sutta del Canone Pali. Ma questa "enfasi" che ti fa vedere il Buddha anche nei granelli di sabbia è quasi un punto di vista opposto a quello "negazionista" del Canone Pali stesso. Ma più che "eliminare" il sé, questa dissoluzione dell'Ego, questo riconoscere che perfino le "cose" hanno valore mi pare una sorta di "affermazione" del Sé, della Vita ecc. Affermazione che posso trovare ben esplicita in molti pensatori Mahayana e in particolar modo del buddhismo cinese (quello tibetano in realtà lo conosco molto poco...). Quando i Theravada criticano le varie idee di Dio come dovute alla "sete dell'esistenza" o a false consolazioni per restare "pigri" nella pratica spirituale (perchè un "Altro" pulisce il mio karma) mi sembra che siano molto superficiali (lo stesso Nyanaponika Thera credo che abbia totalmente sbagliato a "capire" il vero significato dell' "idea di Dio", anche quella del Dio Biblico - le sue analisi delle altre religioni mi sembrano - e mi spiace molto dirlo - molto superficiali - almeno da ciò che si legge qui https://en.wikiquote.org/wiki/Nyanaponika_Thera  - questo ovviamente non toglie la grandezza dello stesso come maestro spirituale  ;)  non voglio essere offensivo). Ecco mentre lo Zen/Chan e in genere il buddhismo dell'Asia Orientale (cinese, giapponese, vietnamita come il contemporaneo Thích Nhất Hạnh ecc) è abbastanza esplicito nel vedere la vacuità in entrambi i suoi aspetti di "vacuità" e di "assoluto/Natura di Buddha": così infatti come i "monisti" vedo il "Valore" affermato in tutto (dire che ogni cosa è un'espressione della Vita conferisce Valore ad essa).
Affermazione che sono sicuro essere presente anche nel Canone Pali e nella scuola Theravada ma la dottrina del "vuoto" rischia veramente di trasformare il buddhismo in una sorta di nichilismo. Specialmente quando vedo che la prima cosa che viene detta agli occidentali è "ogni cosa è senza un sé". 

P.S. Questo non vuole essere un attacco alla tradizione Theravada o al Canone Pali, che ritengo tra le massime "meraviglie" presenti su questo sofferente e ferito mondo. Ma vuole essere un'obiezione all'importanza eccessiva data all'insegnamento del non-sé. I Mahayana devo dire che con i loro "assolutismi" hanno capito il problema.
#546
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
06 Novembre 2017, 11:42:40 AM
@Sariputra, Grazie per le parole  ;)  in sostanza riconosco il paradosso della ricerca della conoscenza, tuttavia l'unico modo per cui la "brama" dell'infinito può spegnersi è quella di "avere la certezza" che ci sia qualcosa di "infinito"/"eterno"/"illimitato". Motivo per cui una volta che si ha "quella certezza" il fuoco si spegne. E a differenza di quanto viene affermato da chi è convinto del "positive thinking", la libertà non sta nell'affermazione ma nella dissoluzione. Tuttavia... la "dissoluzione" ha un duplice aspetto, uno perverso e uno "sperato". Quello perverso è quello nichilistico e sinceramente a me fa rabbrividire il fatto che molti sono "contenti" del nichilismo. L'altro "sperato" invece è l'"Eterno Riposo" - che può essere per certi versi pensato come lo scorrere di un fiume senza impedimenti ("il rivo stramazzato" di Montale - se si pensa che l'incondizionato non ci sia secondo me è dare la vittoria proprio a ciò che causa i problemi).

Per quanto riguarda la libertà degli esseri inanimati... ecco essi sono il perfetto esempio di "libertà"  ;D Questi processi semplicemente "avvengono", non hanno alcuna preoccupazione. Tuttavia l'avere una coscienza implica la "caduta": si forma il senso dell'io e del mio e quindi ciò che "ci va bene" e ciò che "non ci va bene" - ossia le preferenze, gli obbiettivi, gli scopi. La grande intuizione che ho trovato nell'oriente è proprio questa e l'ho trovata in ogni filosofia buddhista, advaita (e simili) e daoista. Mi sembra che il loro obbiettivo sia quindi una sorta di "vita spontanea" proprio come le rocce e i fiumi. La libertà piena (veramente è una metafora che mi piace molto. Anzi dopotutto è molto più che una metafora)  ;D come non vedere la libertà nella formazione delle nuvole, dei temporali, dei cicloni, delle eruzioni vulcaniche, delle rivoluzioni dei pianeti ecc. Come non vedere la bellezza di questa armonia silenziosa? Come non vedere dunque questa attività "rilassata", libera e innocente? Come non osservare in contemplazione questo silenzioso gioco cosmico? Le nebulose non si sforzano ad essere tali, i pianeti non si sforzano a seguire la loro armonia e le galassie non si sforzano nel loro moto attorno al centro dell'ammasso galattico. Tutto va, libero e innocente. Tutto "al di là del bene e del male". Solo chi parla, chi teorizza "vuole" afferrare qualcosa e per questo comincia a combattere, cerca di afferrare ecc. 



La grande "caduta" perciò è davvero quella di non riuscire a "stare al proprio posto". Così l'uomo, il più complesso degli animali, quando non è più capace di stare nella sua armonia silenziosa finisce per averne nostalgia. Non rimane che l'io nel suo isolamento. "Infinito", "eterno" ecc concetti inventati dal ricordo di quella libertà "assoluta". Assolta ossia incondizionata. Perchè possiamo esseri liberi dalle faccende quotidiane, possiamo essere liberi di fare questo e quello, ma sono tutte libertà relative e non "incondizionate". Così l'uomo comincia a ricercare questo "assoluto". Lo cerca e non lo trova. Si rende conto che non lo troverà mai. Si dispera. Legge i "saggi" e vede come tutti questi dicono "smetti". Però vede una cosa: questo smetti potrebbe essere una resa che non sottointende alcuna vittoria, la resa del nichilista colui che preferisce l'eterno nulla all'"eterno riposo" e al "movimento rilassato" dei pianeti e delle galassie. Vede gente dire che la vita è dolore e dunque bisogna "estinguerla" - rabbrividisce a sentire questo. No "sunyata" non è questo, nirvana non è questo. Vuole però "esserne sicuro": studia e studia. E finisce per rendersi conto che "tutto è paglia"  ;D  poi se lo dimentica e la ricerca riparte perchè dopo aver abbandonato la ricerca non ha trovato alcun "di più" e quindi ricomincia. E rifinisce. E ricomincia  ;D  Che il "filosofo spirituale" sia una sorta di mentecatto? D'altronde perchè farsi tutti questi problemi se si è già Buddha?  ;D



Forse proprio perchè è proprio quando si è al culmine dell'impegno - ossia al culmine dell'allontanamento - che "scatta" il "ritorno". Ecco questo è il significato di una pratica atta a "dominare la mente", tutto questo controllo che si esercita sulle nostre pulsioni serve a rendersi conto che "il controllo è illusione"? Però chi agisce spontaneamente sembra proprio essere chi è il "peggiore", chi non si fa scrupoli ecc. Quindi perchè avviene ciò? Chi segue ciecamente gli istinti d'altronde non agisce in modo spontaneo? E dunque il Dubbio torna da queste osservazioni empiriche.



Quella che è sparita forse è la "fede". D'altronde come non leggere anche nella "fiducia nella Provvidenza" delle religioni devozionali l'abbandono dell'io? Forse. Come non leggere saggezza e libertà nella contentezza di stare vicino al focolare? Ma d'altronde se uno ha completamente abbandonato l'interesse per sé è contento con... "niente"  :o  

Perchè crucciarsi con la differenziazione tra "vuoto" e "non-esistenza" se poi chi ha completamente abbandonato tutto è contento con "niente"?  ;D D'altronde il nichilista dice: ebbene se è senza desideri uno può ben essere contento con la prospettiva della "non-esistenza" e il tuo crucciarti nella distinzione tra "vuoto" e "non-esistenza" è un altro modo per allontanarti da ciò che cerchi! Cosa è tutto questo discorso sul "valorizzare" la vita e l'eternità se non una "sete inestinguibile" da "condannare"/rinunciare? Il Risvegliato non avendo brame sarebbe ben contento anche nel nulla. Questa è la Libertà. Eppure... Non è forse questo uno dei Mistero dell'Esistenza? Voler di meno significa essere più liberi. Voler niente significa la libertà assoluta che accomuna il Risvelgiato alla roccia e al fiume. Eppure i non-risvegliati nel loro profondo cercano la Vita (la beata "vacuità"?) e non la "non-esistenza". Forse che i non-risvegliati hanno un po' di saggezza dietro al velo delle illusioni?  



Questa è la Grande Confusione. La vita a quanto pare è un lunghissimo koan. (Per @Green il koan del pino credo che sia chiaro alla luce di tutto questo).



Riguardo all'antica università è un interessante esempio di sincretismo antico. Cosa che fa molto riflettere anche sulla risoluzione di questo enigma  ;D
#547
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
05 Novembre 2017, 23:43:27 PM
@Sariputra, nel mio caso credo che sto continuando a girare attorno al problema (e alla soluzione forse) ormai da anni. Quanto tu dici è affascinante, davvero. Una visione delle cose molto bella che ricorda... il daoismo  :o  mi spiego meglio: se il Vuoto è la "Vita", tutta la danza delle formazioni dell'esistenza condizionata è manifestazione di questa "Vita". Se ci fosse qualcosa di "sostanziale" sarebbe come una "diga" a questo "fiume di vita". La sofferenza come ormai ripetiamo da non so quanti interventi ( ;D )  nasce dal voler aggrapparsi alle forme di questa "danza cosmica". Perchè dicevo che è simile al daoismo? Perchè d'altronde un'azione veramente libera è spontanea come lo scorrere dell'acqua in una cascata. La Vacuità di cui parli mi pare simile alla "spontaneità". Però rimane un altro problema: questo Processo è eterno o meno?  ;D probabilmente il Buddha non avrà voluto rispondere  :-[ O meglio il Nirvana è eterno "e vuoto".  

Altra cosa: perchè nella nostra mente ci formiamo concetti di "eternità", "infinito" e così via se poi non alludono a niente? Anzi sono le cose che paiono dare il senso dell'esistenza umana. Sembrano richiedere che "qualcosa" sia eterno (fai conto che ci sono filosofie che tengono conto dell'esistenza di qualcosa di eterno ma che ritengono che dopo la morte fisica non ci sia nulla, quindi la presenza o meno di qualcosa di eterno non c'entra con la sete di "vivere").  Immagino che anche qui c'è il Nobile Silenzio   :-[

Perchè è iniziato il samsara? Altro Nobile Silenzio  :-[
Forse la cosa frustrante per il filosofo è proprio quella di dover smettere di fare filosofia. La filosofia è come una sorta di "sospetto": vogliamo capire prima di. E questo funziona sempre a parte le cose più importanti. Forse.
Non rimane dunque che smettere, lasciare la scena. Ritirarsi. Eppure una decisione del genere significa terminare l'attività per cui ci si è resi conto che bisogna terminare la stessa. 

Riguardo alle aspettative sulle religioni. Vero ne ho molte: ma i "religiosi" non ne hanno di meno. Sono convinti che la loro religione sia la verità  ;D io la cerco pur sapendo che è fuori dalla mia portata  ;D



Anche i fiumi e le rocce non hanno aspettative. Diventare senza aspettative è come diventare (in un certo senso) fiumi e rocce, esseri inanimati. Un'immagine al tempo stesso nichilistica e piena di libertà. Come il nirvana. Ma cosa significa quel "(in un certo senso)"? Questo è il problema filosofico. Vita spontanea. Ma l'uomo virtuoso è meno spontaneo dell'ubriaco, quindi la spontaneità deve essere "assoluta". Perchè chi cerca la spontaneità più vera è anche il meno spontaneo? L'essere meno spontaneo è quindi "la caduta"? Se sì perchè parlare della spontaneità assoluta? Perchè parlare del vuoto? Perchè fare in modo che la gente lo cerchi se non si può trovare? Perchè parlare in modo contraddittorio? Non è un modo per allontanare la gente dal Nirvana? Perchè parlare di "libertà", far ragionare su concetti di infinito e incondizionato se poi chi ritiene che ci si può aggrappare a qualcosa di incondizionato si allontanano dalla verità? E qui immagino un altro Nobile Silenzio  :-[  ;D (questo è un esempio di girare in tondo)


Bene dai altra nottata di confusione  ;D

Ma Apeiron allora l'obbiettivo della tua vita spirituale è diventare come una roccia o come l'acqua della cascata, come un essere inanimato? "Sì e no, voglio essere libero come una cascata o una roccia." Ma cosa significa "sì e no"? "Beh forse significa... "Taci Apeiron, per favore  >:(  "Mah vorrei ancora dire..." Zitto  >:(  "Ma..."  ;D
#548
Ok penso d'aver capito Green. Grazie!

Sì ammetto che è "fede". Come ho già detto dal mondo empirico non si ricava niente di quello che ho detto sul fatto che è preferibile comportarsi in un certo modo, ossia del non essere "affermativi"  ;D
#549
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
05 Novembre 2017, 21:16:14 PM
@Green: non posso definirmi buddhista  ;D  uno che non crede né alle rinascite e ha un'interpretazione eretica del Nirvana non può ahimé essere chiamato buddhista.

Per la rete e i nodi: pensala così. In genere noi pensiamo alla realtà fatta di "cose" che interagiscono, ossia di una rete in cui i "nodi" interagiscono attivamente tra di loro. Il buddhismo suggerisce che i nodi non hanno esistenza intrinseca, ossia sono come il gioco della sabbia di Eraclito (secondo Nietzsche) senza nessun Eone che giochi con sé stesso.

La questione della dicotomia vacuità-niente è una delle maggiori difficoltà del buddhismo (nel senso che è difficile da accettare). Se togli i nodi non rimane nemmeno l'interazione perchè non c'è niente che interagisce (e le interazioni cessano). Però "qualcosa" deve rimanere. E qui avviene ciò che mi fa tormenta. Perchè se rimane "niente" allora si sprofonda nel nichilismo. Se rimane "qualcosa che non è niente" rimane qualcosa, ma dire che rimane qualcosa è dire che rimane qualcosa di sostanziale e questo non si riconcilia con l'anatta come Sariputra ben puntualizza. E ad una mente logica tutto ciò è una sorta di tormento (e siccome i logici sono masochisti spesso si divertono a soffrire per trovare la soluzione di paradossi insolubili  ;D ).

Recentemente alcuni favoriscono l'interpretazione "nichilistica" perchè è "logica": se non rimane niente di sostanziale allora non rimane niente. Storicamente pochi hanno appoggiato una tale interpretazione. E visto che "logicamente" asserire che "qualcosa" è "né esistenza né non-esistenza" non ha senso la cosa un po' mi da un certo "fastidio". Per questo appoggio una interpretazione molto vicina ad una sorta di "monismo" pur sapendo che è in possibile contraddizione con le "scritture" stesse.


P.S.
Comunque non sono solo queste perplessità che non mi fanno abbracciare il buddhismo. Ce ne sono molte. Anzi nessuna religione o filosofia mi soddisfa veramente. Tutte mi sembrano incomplete. E al contempo interessanti. Però l'avere una forte propensione alla spiritualità E alla filosofia che ti porta a essere al contempo interessato alle tradizioni religiose e insoddisfatto con tutte ti porta molto spesso ai limiti della pazienza  ;D

@Sari Personalmente mi ritengo un "mistico logico". Devo dire che è una sorta di sindrome delle identità multiple. La parte mistica è pronta a credere e a rinunciare ad ogni istante. La parte logica invece vuole chiarire tutto, a livelli quasi ossessivi. La cosa interessante è che anche nelle tradizioni stesse ci sono "mistici logici". San Tommaso d'Aquino per esempio era un logico fino a quando disse dopo un'epserienza visionaria che tutto ciò che aveva scritto era "paglia". Wittgenstein è uno dei perfetti esempi di incarnazione di estremo razionalismo ed estremo irrazionalismo - anzi gli piaceva la mistica proprio perchè lo faceva smettere di pensare. Personalmente assomiglio a Wittgenstein, mi riconosco molto nella sua esperienza di vita. Però come nel suo caso la parte logica non ti fa smettere mai finché sei arrivato "veramente a destinazione". Su Nagarjuna posso darti quasi ragione. D'altronde la logica vuole capire, il misticismo vuole "arrendersi". Sono due tendenze opposte e talvolta ti portano veramente a perdere la pazienza   ;D
#550
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
05 Novembre 2017, 20:54:07 PM
Già  ;)  ed è proprio la compassione/metta/karuna ciò che lega queste "vie". La pratica meditativa certamente è utile per comprendere le cose.



In sostanza: in entrambe le tradizioni l'obbiettivo è valorizzare la vita. In un certo senso è passare dalla "vita" alla "Vita". Per dirla in modo "paradossale": la massima "rinuncia" è la massima realizzazione, la massima resa è la massima vittoria e così via.


In genere il problema del matematico "stereotipato" è che pretende chiarezza. Per sua natura ciò che è vago lo spaventa. E inoltre cerca anche una certa coerenza con tutto il suo pensiero.

La mente razionale è come una sorta di "coltello di precisione". Divide e separa, cerca di rimuovere ogni ambiguità. Purtroppo questo non è sempre possibile quindi si rende conto che qualcosa superi la sua "zona di competenza". Finisce per "venerarla" e fare in modo che ogni descrizione "sbagliata" di essa venga rimossa. Motivo per cui l'apofatismo in genere piace ai matematici. Però il rischio dell'apofatismo è che continuando a rimuovere non rimane niente.

Si potrebbe passare a discutere poi della relazione matematica-filosofia indiana. Ci sono molti spunti interessanti. Però è proprio la matematica (e la fisica) una delle cose che mi trattiene dall'abbracciarle. In particolare ho un fortissimo fascino del platonismo, anche questo è molto comune. Concetti di infinito, perfezione ecc sono concetti molto "affini" alla matematica. Idem per la fisica: il mondo è ordinato. Sembra davvero che ci sia un "logos" dentro di esso.

Per quanto riguarda Brahm mi sorprende la sua scelta perchè ha scelto una tradizione molto disinteressata alla scienza. Però tale scelta può essere vista proprio come un'espressione di venerazione dell'"ordine" naturale stesso. Si riconosce che è "oltre" la nostra comprensione e quindi si rinuncia anche a questo. Così come si rinuncia alla filosofia. Se non si rinuncia a scienza e filosofia (che si fondano proprio sul continuo metttere in discussione e voler conoscere cose nuove) è impossibile abbracciare una tradizione rinunciante (in toto). Al massimo si può essere dei "ammiratori e critici" esterni come furono Einstein, Bohm, Schroedinger ecc.  ;)
#551
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
05 Novembre 2017, 19:25:45 PM
A me sincerament ela differenza tra le varie tradizioni non mi entusiasma molto se esiste un'unica via per la liberazione. Però posso capire chi invece l'apprezza. Ma non posso condividere. Se la Liberazione è qualcosa di possibile ritengo che siano possibili più vie e che queste possano essere descritte in vario modo. Ad ogni modo vorrei puntualizzare che qui non è la questione di prendere un estremo o l'altro. Nella visione nichilistica non si da alcun valore alla vita. Nella visione non-nichilistica invece si cerca di cambiare "tipo" di esistenza, un'esistenza nuova senza "io" e senza sofferenza. Ma in questa seconda visione si riconosce il valore dell'esistenza comune. In sostanza si vede come un miglioramento. 

Inoltre una mente matematica non può accettare che qualcosa che "non è esistenza" non sia "esistenza"  ;)  motivo per cui ho grosse difficolta a capire Ajahn Brahm  ;D (scherzo, ma solo in parte)

Ad ogni modo vorrei far notare come nell'advaita Brahman non è visto come un Dio Personale. Si parla di "Nirguna", senza attributi.

P.S. Ho eliminato una parte di troppo
#552
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
05 Novembre 2017, 12:18:58 PM
Mah sono sempre più convinto che la tendenza a voler vedere le distinzioni crei molti più conflitti dove questi non dovrebbero esserci...  ;D
Faccio un dialogo immaginario tra un advaitin (A) e un buddhista (B)...
A: per i non-realizzati cosa succede secondo la tua dottrina: rinascono, non rinacono, rinascono e non rinascono, non rinascono e non non rinascono? per me rinascono
B: rinascono
A: ok. Questo perchè sono convinti di avere un'esistenza separata e intrinseca, il "jivatman".
B: sì infatti in ognuno dei 31 piani di esistenza si parla di "essere", inteso come essere individuale. Su questo direi che concordiamo, caro rivale.
A: E non è vero che nascita e morte ecc visto che sono concetti sensati quando si pensa all'esistenza di "qualcuno", un individuo separato, in realtà non sono che illusioni (visto che richiedono che tale essere sia distinto dal "resto")?
B: su questo ti posso dare ragione. Infatti il Buddha-Dhamma dice che le "cose condizionate" in realtà non sono "cose". Questa è "anatta", l'inesistenza di un'identità intrinseca delle cose. Vorrei però adesso parlare dell'incondizionato, d'altronde se non ci fosse l'incondizionato come potremmo liberarci dal condizionato?
A: L'incondizionato esiste e lo chiamo Brahman. Jivatman, l'io individuale, abbiamo concordato che è illusorio. Ma "atman", il vero io, in realtà non è diverso da Brahman, la Realtà Incondizionata. Però noi vediamo illusoriamente distinzioni dove in realtà queste non ci sono.
B: Qui amico mio dobbiamo però non essere d'accordo. Pensare a Brahman è pensare ancora ad un sé. Esso è prodotto da ignoranza, attaccamento e odio.
A: Mah, tu che non riconosci Brahman non sei libero da ignoranza, attaccamento e odio. Ad ogni l'incondizionato, il nirvana, è la semplice liberazione dai condizionamenti?
B: sì.
A: e tolti i condizionamenti rimane qualcosa o no?
B: (non parla)
A: per me quello che rimane è proprio Brahman. Infatti il Realizzato non è più convinto di possedere un "io", ma il suo "io" si è per così dire dissolto. Questo è il riassorbimento in Brahman.
B: Anche per il Buddha-Dhamma il senso dell'io si dissolve. Ma l'unione con Brahman è falsa perchè è un concetto.
A: e il tuo no? Ad ogni modo Brahman è oltre ogni concetto, quindi ciò che ho detto è solo un dito per puntare alla luna.
B: no. Il tuo dito crea attaccamento, odio e ignoranza. "Atman= Brahman" è falso.
A: tu sei nichilista, tu crei attaccamento, odio e ignoranza. Eretico. Non a caso se neghi che "nirvana=nulla" allora affermi che il nirvana esiste. Viceversa se neghi che "nirvana= qualche forma di esistenza" sei nichilista.
B: tu sei l'eretico.
Ecc... a me sembrano tremendamente simili le loro posizioni. Le distinzioni nette mi sembra che creino solo settarianismi e incomprensioni (ahimé da entrambe le posizioni). Se in entrambi i casi viene negata l'esistenza di un'identità separata e il senso dell'io-mio, che senso ha continuare a fissarsi sulle distinzioni? Mi pare ben chiaro che puntino a "quella cosa" entrambi. La descrizione di "quella cosa" è ovviamente diversa. Ma è davvero utile, produttivo fissarsi in questo modo sulle distinzioni? Mah. Rimango sempre più convinto che la verità trascenda ogni dottrina e queste dispute su dettagli simili mi sembra che siano un buon contributo a dukkha (che poi ovviamente fu Sankhara il primo a non capire il buddhismo e tacciarlo di nichilismo perchè negava "atman".... non sto facendo un'apologia dell'advaita  ;) ).

Per quanto riguarda il vero motivo per cui preferire uno o l'altro. Secondo me il buddhismo è molto più pratico per la pratica individuale. Però l'induismo oltre a cercare di spiegare la "sofferenza" cerca anche di spiegare perchè ad esempio il mondo ci appare regolare (perchè gli oggetti cadono sempre verso il basso e così via). Nei testi buddhisti non ho mai visto nessuna filosofia della natura, non ho mai visto alcuna curiosità per capire perchè la materia anch'essa si comporta in modo regolare. Questo è il grosso limite del buddhismo secondo me, così come il buddhismo è certamente migliore dell'induismo per altri aspetti. Ma proprio perchè il loro approccio alla realtà è diverso, diversa è anche la "zattera". Fare disquisizioni su quale delle due sia più "vera" secondo me crea solo conflitti.

Il buddhismo cinese in genere si è anche interessato della natura. Ritengo che per esempio la filosofia per la quale "ogni cosa contiene la saggezza del Buddha" ha il grande merito di riconoscere che anche nella natura "inanimata" esitono "regolarità" (e spesso questo tipo di filosofie non è molto distante da tradizioni che puntano ad una sorta di "monismo"...). Non capisco sinceramente la tendenza anche di questo tipo di religioni e filosofie (che non sono filosofie e religioni del Libro) a mettere in risalto così tanto le differenze, ossia ad essere rigide con i dogmi. Posso capire la rigidezza delle religioni devozionali, ma qui la religione e la filosofia sono fuse nel tentativo di comprende la realtà (a partire dalla nostra natura). Motivo per cui quando leggo le espressioni a riguardo della "liberazione" fatte da questo tipo di tradizioni tendo a vedere più somiglianze che differenze.

Buona Domenica.

P.S. Ovviamente buddhismo e advaita sono diversi. Ma il motivo della loro differenza è il loro approccio iniziale alla realtà. Differenza che poi si riflette anche nella descrizione della "verità ultima". Purtroppo devo dire che anche gli "orientali" mi deludono per quanto riguarda il dogmatismo.

Modifica: personalmente ritengo entrambe le visioni incomplete. Al di là della differenza, così ben evidente dal messaggio di Sariputra, vorrei precisare come nonostante la differenza tra i due approcci (il Buddha si interessa della "sofferenza" dell'individuo e del modo per estirparla. Un indù si interessa invece del rapporto tra l'individuo e il "resto".) la descrizione della "verità ultima" contiene notevoli somiglianze. Ovviamente un buddhista può rimanere tale senza riconoscere alcun merito alla filosofia induista e viceversa. Quello che mi fa specie però è la rigidità con cui anche in queste tradizioni si tratta l'altro. Il Buddha è "l'unico insegnante" per i buddhisti (gli altri sono degli eretici, dei folli ecc) e un eretico per gli indù. Osservando come ci sono vari approcci alle cose ritengo totalmente inutile questo tipo di comportamento. Perchè non cercare di armonizzare ed andare oltre i punti di vista delle sette?  Che differenza c'è tra il "dissolvimento dell'io", "il riassorbimento in Brahman" ecc? E la mia domanda non è meramente "cosa mi succede alla morte?" quanto invece "qual è la natura della realtà?": qual è la differenza del significato di queste espressioni (e non meramente delle espressioni stesse)?

Ossia oltre ad osservare le espressioni ed evidenziare le differenze, dovremo chiederci qual è il loro significato. C'è differenza ontologica tra le varie descrizioni? Perchè se il nirvana non è semplicemente "la cessazione" ma anche una realtà "positiva" allora la differenza a livello ontologico è veramente piccola. Il Daodejing dice: "tutti al mondo dicono che la mia Via è vasta e somiglia a nessuna cosa. Proprio perchè è vasta che somiglia a niente. Se somigliasse a qualcosa, sarebbe diventata, molto tempo fa piccola." (capitolo 67). Ossia ciò che trascende la nostra capacità di comprendere può essere sì indicato in molti modi. Ma c'è veramente un modo "giusto" per indicarlo? O ci sono diversi modi "giusti"? Nuovamente l'unico modo per dire che c'è solo un modo giusto è equivalente a ritenere che un determinato maestro è infallibile e - mi si lasci dire anche "onniscente" (ossia che conosce tutto ciò che si può conoscere). Motivo per cui paragonare queste tradizioni è come paragonare le mele alle pere, dicendo che le mele (o le pere) sono migliori. Dire che "anatta" o la "vacuità" falsificano il "riassorbiomento" in Brahman significa dire che Buddha e gli advaitin usano il termine "atman" allo stesso modo. Non c'è alcuna evidenza di ciò. Vorrei ricordare come equivoci millenari nascono proprio dall'uso della stessa parola per dire cose diverse. In ambo le tradizioni la liberazione è legata al non ritenere che si ha un'identità distinta e in entrambe le tradizioni l'idea è che "ciò che rimane" va oltre le nostre possibilità cognitive. In fin dei conti atman è solo una parola...
#553
Ok credo che ci sia un fraintendimento. Lasciate perdere i riferimenti alle tradizioni cinese e indiana che noto portano fuori strada. Torniamo a Nietzsche.

La morale racchiude in sé due cose: l'intenzionalità e la responsabilità! Se anche togliamo la responsabilità rimane l'intenzionalità. Bene. Ora pensiamo al super-uomo: vuole affermare la sua volontà di potenza (leviamo ogni discorso metafisico e diamo un significato solamente psicologico al termine "volontà").

Pensiamo alle tragedie ed al titanismo. A Nietzsche piacevano le tragedie perchè i protagonisti avevano un "grande obbiettivo" e combattevano per esso. OK. Analogamente l'oltre-uomo deve sempre cercare di "auto-superarsi" e/o di "trasvalutare i valori". Quindi in ogni momento della sua esistenza "combatte" per un fine. Ma siccome stiamo negando la metafisica (e simili cose) e stiamo affermando questa "volontà" attiva allora l'obbiettivo dell'oltre-uomo è essere sempre "attivo" o "vitale".

Questo a me non sembra un obbiettivo da ricercare. A differenza infatti di chi soffre per la pace (anche solo interiore), qui si "soffre per soffrire", ossia si rimane attivi per rimanere attivi. Nietzsche afferma che questo è "spontaneo" e "naturale". Invece mi sembra che ciò abbia lo stesso problema della moralità: la volontà ha sempre un fine ossia il suo continuo auto-superamento. Un'azione VERAMENTE spontanea (e quindi libera) è come quella dell'acqua che fluisce in un fiume, ossia un'azione che non ha alcun fine. Ossia il sogno di Nietzsche di "tornare fanciulli" non mi sembra veramente attuabile investendo su qualcosa il cui fine continuo sia l'auto-superamento.

Dove sbaglio? (Garbino e green, per favore fate riferimento a questo messaggio  ;)  l'inconsistenza che mi pare di trovare è la netta differenza che c'è tra lo "spirito che diventa fanciullo" e qualcosa che ha come obbiettivo il suo continuo auto-superamento.)
#554
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
04 Novembre 2017, 16:11:09 PM
Provo a dirti la mia a tuo rischio e pericolo ;D


La prima cosa che mi è venuta in mente, è cosa distingue induismo e buddismo?
Risposta breve: se per "induismo" intendi l'advaita (o tutte le filosofie che mirano all'unione dell'atman con Brahman), il buddhismo rifiuta l'esistenza di atman E brahman.

Risposta lunga: sinceramente qui mi pare più chiaro l'induismo mentre il buddhismo rischia una facile degenerazione nichilistica - specie quello del Canone Pali (uniche scritture riconosciute dalla scuola Theravada). Stando alla dottrina "ufficiale" l'assunzione fondamentale che unisce buddhismo e induismo è che i non-realizzati dopo la morte rinascano (nel Canone a seconda del karma la destinazione è uno dei 31 piani di esistenza). Come l'induismo il buddhismo dice che i piani di rinascita sono TUTTI impermanenti. Sul concetto di "realizzazione" però le due filosofie divergono. L'induismo è molto coerente e facile da capire: si rinuncia alla propria esistenza individuale e si "ritorna" a Brahman (il "vero" atman). Nel buddhismo invece l'idea è che vige l'anatta e che la morte quanto la nascita è illusoria: non perchè il PROCESSO in sé non sia reale bensì perchè "nessuno" nasce e nessuno muore. Il problema che si forma adesso però è come interpretare questo. E qui ritengo che gli stessi buddhisti si siano sbizzarriti. Alcuni (i Sautrantika e diversi pensatori moderni della scuola Theravada) ritengono che l'Incondizionato che compare nei testi buddhisti non abbia alcuna esistenza, ma sia semplicemente un modo più "positivo" per definire il Niente (Anatta=non-esistenza=abhava?). Altri invece ritengono che il Nirvana sia un altro tipo di esistenza e che sia un assoluto ontologico (es. Dharmakaya). Molti altri rigettano entrambe le posizoni dicendo che sono due estremi. Ad ogni modo una lettura molto letterale dei suttas favorisce la prima lettura, ma non appena a mio giudizio si pensa con la propria testa ci si rende conto che la posizione "anatta=nulla" è come quella di un cieco che nega l'esistenza di persone che percepiscono i colori. La cosa interessante però a questo punto è che cosa veramente rende DIVERSO in ultima analisi il buddhismo dall'induismo (e dal daoismo) a livello di "verità ultima". Su questo non so risponderti. Personalmente ti posso dire che ritengo le ontologie leggermente diverse ma molto simili. Ma dovrai accontentarti di ciò.

Ma appunto che idea vi siete fati della vacuità?

L'inesistenza di "qualcosa" che abbia un'esistenza separata dal resto, la realtà è meglio pensarla come una rete (i nodi sono "agglomerati" di una rete che SEMBRANO esistere in modo distinto). Il Nirvana perciò sarebbe un "dissolvimento" in questa "rete". Ritenere che esistano "cose" distinte è una illusione "di comodo". Su questo le tradizioni advaita e simili nell'induismo (credo), daoismo (credo), e buddhismo (credo) concordano.

Cosa ne pensate di chi pensa che il buddismo abbia una corrente di destra (elitaria) e una di sinistra (sociale). Appunto il Theravada e il Mahāyāna.
La vera differenza è l'idea Bodhisattva. I Mahayana ritengono che siccome il Dhamma trascende anche l'insegnamento del Buddha storico è "più giusto" cercare di fare in modo nel corso delle varie rinascite che più persone "entrino nella corrente". I Theravada invece ritengono che anche se il Dhamma trascende il Canone Pali, essendo la liberazione una cosa molto difficile tale "speranza" dei mahayana rischia di "trattenere" le persone nel samsara. Così almeno è come la vedo io. Ad ogni modo la distinzione tra i due percorsi è meno "netta" di quello che sembra.

Seguendo una argomentazione logica, d'altronde è per me ovvio, che siamo tutti già Buddha.
E che si tratti "semplicemente"(per modo di dire) di consapevolezza.
Ma voi siete ascoltatori o avete superato già qualche ruota?

Nel buddhismo "atman" non è mai esistito, ergo nascita e morte di "qualcuno" sono illusioni perchè quel "qualcuno" in ultima analisi non c'è. Quindi sì in un certo senso puoi dire che siamo già Buddha. Le interpretazioni "nichilistiche" dicono che rimosse le illusioni e cessati i condizionamenti non rimane che il nulla (e sono talvolta pure contenti di dire ciò  ;D ). Altri ritengono che è come purificare l'oro dalle impurità e quindi qualcosa rimane. Stando a quanto mi pare di capire dal Canone Pali la mia posizione è più simile a quest'ultima. Per inciso la mia scuola "preferita" è lo Huayan anche se a dire il vero la conosco molto superficialmente (l'interpentrazione dei fenomeni - la rete di Indra ecc). Per quanto mi riguarda non sono buddhista, l'anatta non mi convince ancora (anche perchè le interpretazioni nichilistiche hanno molto supporto e a me sinceramente il nichilismo non mi piace. Se i nostri valori, la nostra coscienza ecc sono tutte illusioni allora la vita è un semplice errore. Siccome credo invece che la vita abbia valore non sono d'accordo). Questo mi costringe a dire che NON ho superato alcuna "ruota" (inoltre non credo nemmeno alla dottrina delle rinascite se non come metafora - probabilmente se non avessi studiato qualcosa di scientifico avrei accettato questo "dogma".).

Riguardo al commentatore del XI secolo ha per certi versi ragione. La verità eterna è il Nibbana: solo il Nibbana è incondizionato per il semplice motivo che "non si rinasce più". Lo stesso Nobile Ottuplice Sentiero è "condizionato" ("mondano" lo eviterei come termine, per noi significa dire tutt'altro. Di certo i "deva" e gli "inferni" non sono mondani). Tuttavia il Dhamma almeno è un "assoluto epistemologico" ma le sua attualizzazioni chiaramente sono "condizionate" (un concetto simile lo dice Laozi nel Daodejing: "il Dao di cui si può parlare non è l'eterno Dao...i maestri dei tempo antichi praticavano l'insegnamento non detto...colui che sa non parla, colui che parla sa" ecc. Il discorso è che l'espressione della verità incondizionata è condizionata). Il Karma pur essendo "condizionato" è molto vicino ad essere considerato una "legge morale" così "forte" da essere analoga alla "legge di gravità" (questo significa che il buddhismo non è relativista).

N.B. Personalmente ritengo che il "Dharma" ossia la "Verità" non l'abbia (ancora) detta nessuno. Motivo per cui ritengo che sia improprio parlare di "false religioni" anziché di "religioni incomplete".

P.S. La componente "mitologica" del Buddhismo è un altro indizio che fa capire come il Processo della storia secondo il buddhismo non sia illusorio (idem per l'induismo, altrimenti non servirebbero i riferimenti ai kalpas). Però secondo entrambe le tradizioni (così come per il daoismo) la rete concettuale di astrazioni con cui "comprendiamo" la storia è qualcosa da trascendere. Proprio perchè bisogna "trascendere" non riesco a capacitarmi di una possibile concezione nichilistica e la componente "mitologica" è un forte indizio contro a questa.

Nota sul nichilismo: il nichilismo sostiene che esiste solo l'elemento "mondano", ossia che esistano solo i condizionamenti. Tolti i condizionamenti non rimane niente. Lo stesso "incondizionato" d'altronde può essere letto come "libero da condizionamenti" e la "non-esistenza" è libera da condizionamenti. Ad ogni modo il punto che maggiormente sostiene questa lettura è l'ambiguità del Buddha (e di Sariputra, il suo numero due ;)) riguardo a "cosa rimane" tolti i condizionamenti. Siccome in nessun testo c'è scritto che "Nirvana non è non-esistenza" allora chi propone questa lettura dice che in caso contrario una frase del genere dovrebbe esserci stata.
#555
C'è da chiedersi se Nietzsche non tradì in fondo i sensi anche lui  ;D 

Rilevo poi un'interessante differenza tra il "daoismo" e la volontà di potenza nietzscheiana. Nel daoismo la creazione e la distruzione - come fenomeni "naturali" - sono spontanei quindi senza alcun obbiettivo e scopo (motivo per cui si parla di "non-azione"). L'azione è totalmente spontanea. Il grande problema del daoismo è la sua errata idealizzazione della natura: l'acqua non è "più naturale" del fuoco, ergo se ci si limita alla mera osservazione empirica posso vedere che la stessa acqua non sempre "ben giova alle creature". Nella loro idealizzazione i daoisti invece ritengono che il comportamento più "naturale" dell'uomo è come quello più naturale del "Dao", ossia quello per cui l'acqua "ben giova alle creature e non contende...". Ad ogni modo l'azione della "natura" qui è vista come qualcosa di spontaneo.

La volontà di potenza invece NO. Nietzsche credeva molto quasi nel "dovere" dell'uomo di sforzarsi, di "creare" nuovi valori, di dominare ecc. Ora come può dirsi "spontanea" un'azione che ha un fine? Come può dirsi "libera dalla morale" ogni vita che si pone un "obbiettivo"? Ossia come può qualcosa di spontaneo volere/mirare a qualcosa? In sostanza per come la vedo io, il "tu devi" per Nietzsche da un'imposizione esterna si è trasformata in una sorta di "imposizione interna", ossia in una sorta di uno sforzo titanico (e tragico), di un tentativo di affermazione. Così infatti come nelle tragedie quello che ci provoca dispiacere è che le cose vadano contro la volontà dei protagonisti (e il dispiacere aumenta all'aumentare della nobiltà e alla "bontà" degli obbiettivi dei protagonisti), così l'aspetto "tragico" e "vitale" dell'oltre-uomo è il suo tentativo di "affermarsi" e di "trasvalutare" tutti i valori. Posso comprendere come questa "azione" possa essere vista come naturale. Però è anche vero che non mi pare veramente fuori dai concetti che solitamente si attribuiscono a morale ed etica, ossia lo "sforzarsi" di raggiungere un certo obbiettivo  ;) su questo punto ha quasi ragione Schopenhauer (e i vari "rinuncianti"): è proprio l'azione che "non mira a nulla" ad essere veramente spontanea. Questa a mio giudizio è un'obiezione molto interessante per quanto riguarda la supposta spontaneità della "volontà di potenza". Può definirsi spontaneo qualcuno che agisce sempre per realizzarsi?


N.B. Vorrei far notare che questa mia obiezione può essere basata su un equivoco. Però quello che volevo far notare è che la stessa volontà di potenza "amorale" può essere capita in termini di obbiettivi e quindi in ultima analisi in termini "morali".