Volevo parlare del problema della critica della conoscenza, cioè di quell'ambito della filosofia, definibile come epistemologia, che si preoccupa di stabilire i principi e le condizioni fondanti la conoscenza scientifica. La mia opinione è che la possibilità di qualunque critica, di qualunque epistemologia, presupponga a sua volta un metalivello di conoscenza il cui riconoscimento dovrebbe portare a rifiutare certi modelli di conoscenza che presentino caratteristiche incompatibili con tale riconoscimento. Mi riferisco in particolare al paradigma empirisitico che, seppur riformulato con importanti varianti, ha pesantemente condizionato la gnoseologia kantiana con il suo rifiuto di una conoscenza razionale della metafisica (ridotta di fatto ad un'esigenza della morale). Per Kant il materiale di una conoscenza scientifica è sempre ricavato dall'esperienza sensibile, di una realtà spirituale o intellegibile come Dio o l'anima non possiamo, razionalmente, sapere nulla. Ora, la mia opinione è che queste tesi siano incompatibili con la possibilità di una critica della conoscenza stessa come prova a fare Kant, critica tesa a far emergere degli elementi della nostra mente che hanno un significato trascendentale, cioè indipendente dalla contingenza spaziotemporale della realtà sensibile, che rendano necessariamente possibile la conoscenza di tale realtà. In altre parole: come potrebbe Kant riconoscere la presenza di categorie trascendentali come "causalità", "tempo", "spazio" ecc. se poi sostiene che il materiale della conoscenza è solo sensibile e spazio-temporalmente delimitato? A mio avviso il tipo di conoscenza che rende possibile una critica della conoscenza, in cui possiamo parlare di concetti aventi valore universalistico come "tempo in sè", spazio in sè" "causalità in sè" non può essere dello stesso tipo di conoscenza che Kant vorrebbe fondata, quella conoscenza che esteticamente può solo ricevere materiale sensibile. E non basta per risolvere il problema dire che le categorie intelligibili sono solo "funzioni", mezzi che la mente usa per ordinare ai fini di una conoscenza scientifica il materiale dell'esperienza che è sempre sensibile. Non basta perchè, come è evidente, una cosa per "funzionare" non ha per forza bisogno di essere riconosciuta dal soggetto a cui le funzioni appartengono, potrebbe limitarsi a svolgere un "lavoro silenzioso". Nel momento in cui invece le condizioni a-priori della conoscenza divengono oggetti di un sapere, il sapere della critica, queste condizioni non sono più solo "funzioni" ma oggetti di una conoscenza (potremmo dire, una "metaconoscenza"), non sono più forme vuote da riempire con un materiale sensibile, ricavato dal mondo fisico, ma divengono esse stesse il MATERIALE della conoscenza, un materiale intelligibile, e bisogna dunque smentire l'idea che l'unico materiale sui cui l'esperienza umana può conoscere e giudicare sia sensibile. Così la possibilità della conoscenza che fonda la critica della conoscenza stessa riapre a mio avviso la strada per il riconoscimento di una conoscenza diretta della reltà intelligibile e dunque legittima il recupero di una metafisica e di un'ontologia razionale, presupposti necessari di qualunque critica della conoscenza, di ogni epistemologia
In fondo, è sempre stato questo il limite di ogni empirismo materialista affermante che tutto ciò che possiamo conoscere va appreso in modo sensibile e deve limitarsi alla realtà fisica delle cose che si manifestano nella contingenza e mutevolezza della conoscenza, mentre tutto ciò che va oltre la spazio-temporalità dovrebbe essere ridotto a dogmatismo e fideismo. Questa posizione si autocontraddice nel momento in cui usa la parolina "tutto", e si afferma così l'impossibilità assoluta di una conoscenza che vada oltre la realtà spazio temporale finendo con l' assumere un punto di vista a sua volta assoluto, che pretenda di valere al di là della limitatezza spazio temporale. Da dove si ricaverebbe l'idea di "tutto", di "totalità" in base a cui escludo la possibilità della conoscibilità di una realtà intelligibile indipendente dalla contingenza spazio-temporale? Non sarebbe questo ricavare a sua volta il frutto di una visione metafisica e sovrasensibile? Il concetto di totalità" è qualcosa di fisico e che sperimentiamo empiricamente in un certo tempo e luogo delimitato? Non credo proprio...
Il tema è ovviamente estremamente complesso e spero di aver realizzato un sintesi sufficientemente chiara... Buon ferragosto a tutti!
In fondo, è sempre stato questo il limite di ogni empirismo materialista affermante che tutto ciò che possiamo conoscere va appreso in modo sensibile e deve limitarsi alla realtà fisica delle cose che si manifestano nella contingenza e mutevolezza della conoscenza, mentre tutto ciò che va oltre la spazio-temporalità dovrebbe essere ridotto a dogmatismo e fideismo. Questa posizione si autocontraddice nel momento in cui usa la parolina "tutto", e si afferma così l'impossibilità assoluta di una conoscenza che vada oltre la realtà spazio temporale finendo con l' assumere un punto di vista a sua volta assoluto, che pretenda di valere al di là della limitatezza spazio temporale. Da dove si ricaverebbe l'idea di "tutto", di "totalità" in base a cui escludo la possibilità della conoscibilità di una realtà intelligibile indipendente dalla contingenza spazio-temporale? Non sarebbe questo ricavare a sua volta il frutto di una visione metafisica e sovrasensibile? Il concetto di totalità" è qualcosa di fisico e che sperimentiamo empiricamente in un certo tempo e luogo delimitato? Non credo proprio...
Il tema è ovviamente estremamente complesso e spero di aver realizzato un sintesi sufficientemente chiara... Buon ferragosto a tutti!