Citazione di: davintro il 09 Giugno 2018, 16:46:52 PM
è diventato un luogo comune considerare la tassa di successione sulle eredità come "tassa liberale", anche facendo leva sul pensiero di alcuni teorici, comunemente ascrivibili alla corrente del liberalismo economico, che si sono favorevolmente espressi sulla legittimità di tale imposta. A me pare che ciò offra lo stimolo per rivedere e chiarire in modo decisamente più puntuale il significato che si dovrebbe attribuire a tale categoria politica. Di quale "liberalismo" staremmo parlando? A me pare che qualunque idea di "tassa liberale" non possa che essere un ossimoro. Qualunque tassa, senza eccezioni. Il liberalismo, almeno come da me inteso, consiste nel difendere le libertà individuali dal potere arbitrario del governo, e la tassa di successione, nella misura in cui impedisce a un individuo di destinare i propri averi post-mortem a chi desidera, non può che essere una contravvenzione ai principi ideologici di un liberalismo coerente, che dovrebbe identificarsi con l'idea di uno stato che interferisce con le scelte individuali dei singoli, solo nella misura in cui tale intervento è funzionale alla tutela dei diritti fondamentali, vita e proprietà privata, cioè una limitazione della libertà è lecita solo nella misura in cui è tutela di una libertà più importante ed urgente rispetto a quella che verrebbe limitata (che poi in certe situazioni di emergenza una tassa di questo tipo possa divenire necessaria è un altro discorso che ora non mi interessa toccare, una questione pragmatica-economica, che non tocca il tema della valutazione circa la coerenza delle implicazioni rispetto a una base valoriale-ideologica). I sostenitori della tassa di successione come "tassa liberale" fanno leva sul fatto che tale tassa, minimizzando la rilevanza della provenienza familiare sul destino economico delle persone, favorisca "l'uguaglianza dei punti di partenza", come se il compito della politica fosse quello di determinare un'idea di vita come una competizione sportiva dove "vinca il migliore", e la tassa di successione dovrebbe far sì che ciascuno scatti da dei blocchi di partenza posti nella stessa linea orizzontale. Ora, a mio avviso, questa concezione ideologica col liberalismo non ha nulla a che fare. Non è "liberalismo", ma "darwinismo sociale", una sua deviazione e (giudizio di valore personale soggettivo) degradazione in senso materialistico e calvinista, una mentalità che vede il successo economico come l'unica possibile dimostrazione della propria autorealizzazione personale, e come unica forma di contributo al progresso della società. Il vero liberalismo, un liberalismo coerente con l'idea di considerare la libertà individuale come valore centrale assoluto, dovrebbe invece avere una base spirituale, giusnaturalista, l'idea che ogni individuo abbia una dignità e diritti indipendentemente da ciò che combina nella società tramite il lavoro, perché sono la società e il lavoro che esistono in funzione del benessere e della libertà degli individui, non viceversa. Al liberale coerente non interessa l'uguaglianza dei punti di partenza nella competizione economica della vita, (solo quella formale di fronte alla legge, che impedisce che singoli o gruppi di persone possano assumere un potere politico superiore agli altri, che consentirebbe di essere legittimati a calpestare i diritti fondamentali degli altri), ma la libertà di ciascuno di vivere come meglio desidera, dunque anche di non partecipare alla corsa per il profitto, di non sentirsi costretti a imbarcarsi in lavori che non piacciono e che non corrispondono ai nostri reali interessi e capacità, quando si ha la fortuna di poter vivere bene anche con ciò che si ha sulla base della propria situazione familiare, godersi la vita, le proprietà in santa pace, lasciarle in eredità a chi vuole, avere tempo per dedicarsi, anche con impegno alle proprie passioni, indipendentemente dalla retribuzione economica, senza essere criminalizzati ed etichettati come "parassiti nullafacenti", come se il valore di ciò che si realizza dipendesse solo dal guadagno economico, e non dalla passione che ci si mette per l'azione in sé. A questo punto sembrerebbero profilarsi due antitetici modelli etico-ideologici del liberalismo, con il modello che incentra il liberalismo sul rispetto dei diritti naturali, compreso il rispetto del sentimento naturale familiare di voler permettere ai propri discendenti di poter godere, tramite l'eredità, una serenità economica, che rimanda ai valori umanistici della classicità, che vedono come fine più nobile per l'uomo la vita contemplativa e considera il denaro come semplice strumento per ottenere ciò di cui si ha bisogno, e non come traguardo, dimostrazione del proprio valore sulla base di ciò che tramite il lavoro si è riuscito a guadagnare (vedi Aristotele che poneva la vita contemplativa come ben più elevata e nobile, rispetto alle attività pratiche, mercantili finalizzate al guadagno), contrapposto a un modello tipicamente anglosassone, pragmatico e materialista, per cui il denaro non è mezzo, ma fine, traguardo della realizzazione personale in base a cui misurare le proprie capacità, mentre ogni attività non remunerativa economicamente è relegata all'idea di vizio e parassitismo. Una visione del denaro quasi feticista. Due figure ben simboleggianti questa deriva sono il personaggio di Zio Paperone, ispirato al dickensiano Scrooge, che ama il denaro non perché gli consenta di spenderlo per cose piacevoli, ma come valore in sé, in cui fare il bagno nel deposito, godendoselo come frutto delle sue fatiche, e Bill Gates, non solo favorevolissimo alla tassa di successione, ma che ha annunciato addirittura di non voler lasciar nulla in eredità ai suoi figli, perché "devono mostrare di meritarsi la ricchezza partendo da zero". In nome di questa mentalità, che vede solo nell'attività finalizzata al successo economico l'unico impegno degno di questo nome, si dovrebbero disprezzare, e tacciare di ozio parassitario un Platone, o la quasi totalità dei letterati della classicità, che con le loro opere, hanno gettato le basi della nostra identità culturale occidentale, quasi tutti provenienti da famiglie nobili e possidenti, che non avendo bisogno di lavorare per vivere, vivevano di rendita, ma che proprio per questo avevano la possibilità di dedicare il loro tempo non certo alla nullafacenza, ma allo studio e alla creazione di cultura, non per guadagno, ma per amore del sapere come virtù fine a se stessa (meno male che Platone non era figlio di Bill Gates verrebbe da dire...)
Inoltre i fautori della tassa di successione come "tassa liberale" utilizzano l'argomento della meritocrazia, che tale tassa dovrebbe favorire, sulla base dell'idea che la ricchezza che si eredita non è il prodotto del merito, dell'impegno della persona, ma dalla fortuna di essere nato in una certa famiglia. Che non ci sia alcun merito nella ricchezza ereditata è certamente un'ovvietà, ma il punto è... in che misura il valore della meritocrazia deve essere centrale in un'ottica di liberalismo coerente? A me pare che spesso la rilevanza del "merito" come fondamento di una visione liberale, sia un po' sopravvalutata. Il liberale vede lo stato come funzione, non come valore etico in sé, un servizio per garantire le esigenze degli individui, e che dunque ha il dovere di assicurare servizi il più possibili efficienti. E quindi la meritocrazia diviene ovviamente necessaria, e consisterà nel attuare criteri di selezione dei ruoli lavorativi per persone che sono per quei ruoli le più adatte, in modo che i servizi possa funzionare in modo più efficiente possibile per i bisogni degli individui. Questa è la meritocrazia che interessa al liberale, una meritocrazia che resta su un piano di necessità strumentale, non moralistica. Un conto è la meritocrazia nella selezione dei ruoli lavorativi, un'altra quella come selezione della redistribuzione del benessere economico. Cioè un conto è il riconoscimento della necessità che siano i più meritevoli a svolgere un'occupazione di un certo tipo, perché possa essere svolta al meglio, un altro l'idea che anche il benessere debba essere appannaggio dei meritevoli. Qui si entra nel campo dei giudizi morali soggettivi, che un vero liberale dovrebbe tenere ben separato da quello politico. L'idea di uno stato che si arroga la pretesa di imporre dei criteri meritocratici presunti oggettivi, in base a cui redistribuire il benessere (operando anche tramite tasse sulle eredità), è a mio avviso quanto di più lontano possibile dall'idea di stato liberale, ha a che fare piuttosto con l'idea di uno stato paternalistico che vuole "educare" gli individui, una figura quasi assimilabile a un Dio biblico Giudice supremo che distribuisce premi e punizioni, anziché limitarsi alla massimizzazione del benessere tra tutti i suoi cittadini, senza imporre giudizi moralistici soggettivi e arbitrari sul "merito". "Chi non lavora non mangia" è un assunto morale, soggettivo, condivisibile o meno, ma che un vero liberale non dovrebbe mai utilizzare come principio politico in base a cui limitare la libertà delle persone, compresa quella di lasciare in eredità ricchezze ai propri cari, anche se questi ultimi non se lo sono "meritate". Cioè il liberalismo si basa sulla distinzione fra giudizio morale personale e azione pubblica mirante all'incremento oggettivo del benessere e della libertà tra tutti i cittadini
Concluderei con un'ovvietà, anche se ribadirla può sempre essere utile... un conto sono le ideologie, un altro la coerenza delle persone, le prime non si misurano in base alle seconde, quindi il fatto come teorici etichettati come "liberali" come Einaudi o Mill possano essersi espressi favorevolmente sulla tassa di successione, non implica affatto che tutto ciò che hanno effettivamente sostenuto debba ricondursi al quel determinato filone ideologico, e che dunque sia lecito considerare quella tassa come "liberale". Appare inevitabile come la totale coerenza tra le idee di persone concrete e filoni ideologici a cui quelle persone dicono di richiamarsi non sia mai realizzabile tout court, e che solo un'analisi strettamente concettuale, e non riferimenti citazionisti, sia uno strumento valido di giudizio della coerenza fra una singola opinione e l'ideologia complessiva di riferimento
Ciao davintro, quando nel XIX secolo il pensiero liberale si sviluppa in opposizione a visioni tradizionalistiche che vedevano alcuni individui detenere il potere nella società per ragioni dinastiche, e quindi di nascita, il principio base che veniva sostenuto era quello delle pari opportunità, di rendere eguali i punti di partenza per tutti i cittadini, e di avere così il massimo riconoscimento al merito individuale.
Per cui mi spiace dirlo ma le tue idee, al di là della condivisibilità non sono liberali, e non lo sono proprio perché tu metti in discussione il principio del merito.
Naturalmente questo non vuol dire che l'imposta di successione è un'imposta liberale, le imposte sono necessarie e questo lo ammettiamo anche noi liberali (Lo ammetto sono liberale), la discussione poi sull'opportunità di una o dell'altra imposta è forse un po' più complessa. Certamente una logica come quella utilizzata in Italia, per la quale l'imposta si paga solo se non sei parente stretto, da l'impressione di essere poco liberale perché "premia" la nascita e non la scelta individuale.
Un saluto.