Al di là del fatto di esserci progressivamente dotati di una struttura politica comune come l'Unione Europea, avente una certa similarità con l'ordinamento politico dei singoli stati nazionali (dotata di un parlamento, una presidenza un'organo esecutivo come la Commissione) ancora sembra lontano il formarsi di un autentico senso di appartenenza europeo da parte dei popoli che vivono nello spazio politico comune. Italiani, francesi, tedeschi, inglesi sembrano sentirsi ancora molto più legati culturalmente alle loro singole identità nazionali piuttosto che sentirsi interiormente europei. Limitarsi a riconoscere come difficoltà primaria le grandi differenze culturali e di mentalità storicamente sedimentate è certamente corretto ma ancora non ci aiuta a dare una risposta plausibile al problema
Pensiamo agli USA. La distanza di cultura e valori che separa un italiano da un danese o un greco da un tedesco non è poi tanto più ampia di quella sussistente tra un contadino dell'Alabama o dell'Arkansas profondamente religioso e credente in un'interpretazione letterale della Bibbia e un intellettuale newyorkese di tendenza progressista che ha studiato ad Harvard o Yale... eppure siamo abituati a considerare gli USA a differenza dell'UE come un tutt'uno, una nazione unita. E in effetti la cultura americana è fortemente impregnata di patriottismo e da ciò deriva la stabilità delle istituzioni federali centrali. Ma è sempre stato così? In realtà mi sembra che l'evento storico che ha segnato all'avvento di un processo di un'autentica unità politica e un auntentico sviluppo di un'identità culturale unitaria del popolo USA sia stata la guerra di Secessione. Prima di essa in fondo la situazione politico-culturale degli USA non era poi così dissimile da quella dell'UE attuale: grandi poteri lasciati ai singoli stati ciascuno dei quali impegnato a perseguire politiche autonome contrapposte tra loro. L'avvento di condizioni storiche favorevoli a un conflitto armato dai due modelli contrapporti, il Sud latifondista e agricolo e il Nord industriale e capitalista, ha portato alla distruzione del modello sudista e il trionfo di quello nordista come unico possibile. Da lì si è innestato quel processo per cui gli americani hanno sviluppato un vero senso di appartenenza a una nazione comune e il potere federale centrale si è rafforzato intorno a un modello politico-economico-sociale-culturale vincente che ha soppiantato il modello concorrente aristocratico-latifondista: il modello nordista capitalista celebrante la figura dell'individuo impegnato alla ricerca del successo economico con le sue doti di attivismo imprenditoriale, il mito del self-made-man. Oggi a parte qualche sventolare di bandiere confederate nessuno nel Sud si sognerebbe di riprovare la secessione: sanno che quel modello ormai si è rivelato perdente, ci hanno provato, è andata male, basta così. Quasi "hegelianamente"l'unità politica-culturale si è formata come sintesi dialettica che ha necessitato di passare per il "momento negativo" del conflitto e del conseguente rischio di dissoluzione. La sintesi si è realizzata attraverso l'antitesi
Questo ci appare come un precedente inquietante: la formazione di una coscienza nazionale europea dovrà passare come quella americana per una guerra, un conflitto attraverso il quale i vincitori imporrano le loro idee agli sconfitti? Certo, non ncessariamente. Più realisticamente credo che dovranno maturare determinate condizioni storiche per le quali un singolo paese europeo o anche un insieme, un'alleanza di paesi, possa giungere ad un livello di forza e di prestigio politico sulla scena non solo europea ma anche mondiale di molto superiore agli altri paesi europei cosicchè, nel tempo, progressivamente questi altri paesi, i loro governi, i loro popoli finiranno con l'accettare questo predominio e riconoscersi in un unico concetto di Europa presentato da chi detiene il predominio. Le difficoltà che si mostrano in questo processo di costruzione di un'identità unitaria europea potrebbe derivare (solo un mia ipotesi) dalla condizione attuale di relativo equilibrio geopolitico nel quale nessun paese europeo sembra tanto più forte e influente degli altri al punto di orientare in modo unitario una politica comune, estera, economica e presentare un modello culturale e valoriale unico intorno a cui comunemente riconoscersi. Probabilmente la Germania appare come lo stato europeo più forte, ma non lo è al punto che un governo francese, italiano, inglese debbano perdere le speranza di un futuro "sorpasso" e nell'attesa continuare a operare politiche nazionali autonome e non coordinate in modo europeo e i singoli popoli debbano rinunciare a riconoscere il loro stile di vita, i loro valori, la lorso storia come qualcosa da conservare come separato e vedere la "cultura europea" come una vuota astrazione indeterminata oppure come una mera sommatoria disordinata di mentalità diverse tra loro conflittuali. Pensiamo alla stessa costruzione dell'unità nazionale tedesca: non è certo sorta magicamente attraverso una pacifica volontà di armonia della miriade di statarelli della Confederazione germanica, ma attraverso le conquiste di un soggetto politico più forte degli altri (la Prussia di Bismark) che grazie alla sua superiorità ha creato l'unità politica e culturale della Germania.
Tutto ciò può insegnarci, da un lato, ad accantonare un'accezione troppo romantica ed ingenua del concetto di "unità culturale" qualcosa che si realizzerebbe attraverso un'armonica fusione delle differenze, ma come qualcosa che il più delle volte si dà attraverso i rapporti di forza per cui un sistema di valori si impone su altri che ad esso si contrappongono, dall'altro lo stretto collegamento tra la forza e la stabilità di sistemi e strutture politiche e un livello di omogeneità culturale che si sviluppa storicamente nel corso dell'esistenza dei popoli e dei rapporti con cui questi entrano in contatto reciproco
Pensiamo agli USA. La distanza di cultura e valori che separa un italiano da un danese o un greco da un tedesco non è poi tanto più ampia di quella sussistente tra un contadino dell'Alabama o dell'Arkansas profondamente religioso e credente in un'interpretazione letterale della Bibbia e un intellettuale newyorkese di tendenza progressista che ha studiato ad Harvard o Yale... eppure siamo abituati a considerare gli USA a differenza dell'UE come un tutt'uno, una nazione unita. E in effetti la cultura americana è fortemente impregnata di patriottismo e da ciò deriva la stabilità delle istituzioni federali centrali. Ma è sempre stato così? In realtà mi sembra che l'evento storico che ha segnato all'avvento di un processo di un'autentica unità politica e un auntentico sviluppo di un'identità culturale unitaria del popolo USA sia stata la guerra di Secessione. Prima di essa in fondo la situazione politico-culturale degli USA non era poi così dissimile da quella dell'UE attuale: grandi poteri lasciati ai singoli stati ciascuno dei quali impegnato a perseguire politiche autonome contrapposte tra loro. L'avvento di condizioni storiche favorevoli a un conflitto armato dai due modelli contrapporti, il Sud latifondista e agricolo e il Nord industriale e capitalista, ha portato alla distruzione del modello sudista e il trionfo di quello nordista come unico possibile. Da lì si è innestato quel processo per cui gli americani hanno sviluppato un vero senso di appartenenza a una nazione comune e il potere federale centrale si è rafforzato intorno a un modello politico-economico-sociale-culturale vincente che ha soppiantato il modello concorrente aristocratico-latifondista: il modello nordista capitalista celebrante la figura dell'individuo impegnato alla ricerca del successo economico con le sue doti di attivismo imprenditoriale, il mito del self-made-man. Oggi a parte qualche sventolare di bandiere confederate nessuno nel Sud si sognerebbe di riprovare la secessione: sanno che quel modello ormai si è rivelato perdente, ci hanno provato, è andata male, basta così. Quasi "hegelianamente"l'unità politica-culturale si è formata come sintesi dialettica che ha necessitato di passare per il "momento negativo" del conflitto e del conseguente rischio di dissoluzione. La sintesi si è realizzata attraverso l'antitesi
Questo ci appare come un precedente inquietante: la formazione di una coscienza nazionale europea dovrà passare come quella americana per una guerra, un conflitto attraverso il quale i vincitori imporrano le loro idee agli sconfitti? Certo, non ncessariamente. Più realisticamente credo che dovranno maturare determinate condizioni storiche per le quali un singolo paese europeo o anche un insieme, un'alleanza di paesi, possa giungere ad un livello di forza e di prestigio politico sulla scena non solo europea ma anche mondiale di molto superiore agli altri paesi europei cosicchè, nel tempo, progressivamente questi altri paesi, i loro governi, i loro popoli finiranno con l'accettare questo predominio e riconoscersi in un unico concetto di Europa presentato da chi detiene il predominio. Le difficoltà che si mostrano in questo processo di costruzione di un'identità unitaria europea potrebbe derivare (solo un mia ipotesi) dalla condizione attuale di relativo equilibrio geopolitico nel quale nessun paese europeo sembra tanto più forte e influente degli altri al punto di orientare in modo unitario una politica comune, estera, economica e presentare un modello culturale e valoriale unico intorno a cui comunemente riconoscersi. Probabilmente la Germania appare come lo stato europeo più forte, ma non lo è al punto che un governo francese, italiano, inglese debbano perdere le speranza di un futuro "sorpasso" e nell'attesa continuare a operare politiche nazionali autonome e non coordinate in modo europeo e i singoli popoli debbano rinunciare a riconoscere il loro stile di vita, i loro valori, la lorso storia come qualcosa da conservare come separato e vedere la "cultura europea" come una vuota astrazione indeterminata oppure come una mera sommatoria disordinata di mentalità diverse tra loro conflittuali. Pensiamo alla stessa costruzione dell'unità nazionale tedesca: non è certo sorta magicamente attraverso una pacifica volontà di armonia della miriade di statarelli della Confederazione germanica, ma attraverso le conquiste di un soggetto politico più forte degli altri (la Prussia di Bismark) che grazie alla sua superiorità ha creato l'unità politica e culturale della Germania.
Tutto ciò può insegnarci, da un lato, ad accantonare un'accezione troppo romantica ed ingenua del concetto di "unità culturale" qualcosa che si realizzerebbe attraverso un'armonica fusione delle differenze, ma come qualcosa che il più delle volte si dà attraverso i rapporti di forza per cui un sistema di valori si impone su altri che ad esso si contrappongono, dall'altro lo stretto collegamento tra la forza e la stabilità di sistemi e strutture politiche e un livello di omogeneità culturale che si sviluppa storicamente nel corso dell'esistenza dei popoli e dei rapporti con cui questi entrano in contatto reciproco