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Messaggi - iano

#5626
@Epicurus.
Si può dimostrare che alcune delle nostre percezioni sono delle illusioni ,
Per chi attraverso i sensi è alla ricerca della verità queste illusioni hanno carattere negativo e connotano i nostri limiti. Più in generale il limite è costituito dal fatto che il nostro sistema percettivo ha per forza di cose un budget limitato.
Per chi pensa invece che i sensi sono un sistema economico di orientarsi nel mondo , investendo oculatamente quel badget a disposizione , si può dimostrare che le illusioni in gran parte sono funzionali a tutto ciò ,è solo in minima parte denunciano i nostri limiti.
Oggi la scienza sembra dimostrarci appunto che la percezione dello spazio e del tempo sono due di queste utili illusioni.
Già Newton , e non solo lui , sospettava ciò , limitandosi solo ad ipotizzare l'esistenza di spazio e tempo assoluti.
Naturalmente queste illusioni , come tutte le illusioni hanno una causa.
Nel caso del tempo si pensa che l'illusione nasca dalla constatazione dell'esistenza dei processi irreversibili ,laddove questi processi non sono realmente irreversibili , come ci ha insegnato Boltzman , ma lo sono in modo talmente improbabile da potersi considerare tali. Un modo tecnico per dirlo è che l'emtropia ha sempre valore positivo.
Quindi sembra esserci di fatto una direzione nello svolgersi degli eventi , e da ciò traiamo l'illusione che gli eventi,fisici o psichici che siano , siano immersi in un flusso a senso unico , che chiamiamo tempo.
Questo tempo , diversamente da quel che si crede , non può essere misurato , e quindi dal punto di vista fisico non esiste.
Non esiste non perché non è un oggetto , ma perché appunto non può essere misurato.
Gli orologi non misurano a rigore il tempo.
Un orologio può essere visto come un evento, ad esempio un pendolo che oscilla , il quale può essere posto a confronto con un altro evento, ad esempio il conteggio dei battiti cardiaci.
Per convenzione possiamo dire che il pendolo in questo confronto fa' la parte dell'orologio.
Ma con la stessa logica possiamo dire che i battiti del nostro polso sono l'orologio.
Quindi l'orologio è una convenzione, e quindi il tempo è una convenzione a sua volta.
Ma come è possibile allora che il tempo appare in tutte le equazioni della fisica?
In effetti non appare in tutte le equazioni.
Il,fatto è che le equazioni della fisica non ci dicono la verità, ma sono al pari dei nostri sensi una utile bussola per orientarci nel mondo.
Nelle equazioni della fisica quantistica ad esempio non appare più la variabile tempo.
Nella gravità quantistica , settore di ricerca avanzata , si riesce pure a fare a meno della variabile spazio.
Alla fine esistono solo eventi ai quali può essere,attribuito un ordine , ordine che , può essere utilmente approssimato nella nostra esperienza quotidiana dai concetti di spazio e tempo classici, concetti che noi tutti possediamo e sulla cui esistenza potremmo giurare.
Ma questo vale quel che vale se la scienza , come ha detto Pierò Angela stasera a Cartabianca , non è democratica .
#5627
Tematiche Filosofiche / Re:La capacità di credere.
22 Gennaio 2018, 23:49:29 PM
@ viator
Certamente la presa di coscienza della nostra mortalità deve essere stato un punto di svolta , ma è stato solo l'inizio da cui deriva Il nostro credere nell'al di là,come ben dici e questo credo diffuso, a cagione della causa psichica comune che lo genera , ha informato le nostre società.Questo è stato solo il primo passo di una lunga serie di acquisizioni di coscienza che nel bene e nel male ci ha cambiati.
Nella mia discussione voglio concentrarmi sui passi successivi adesso.

Ciò che noi chiamiamo realtà è il risultato di una percezione immediata , i cui meccanismi si sono evoluti però  in un lungo tempo.
La presa di coscienza di questi meccanismi è la scienza , la quale infatti conduce a sua volta a una sempre nuova "realtà compresa " sempre in evoluzione.
Nei meccanismi della percezione la coscienza non ha luogo , e ciò è da considerare come un vantaggio deciso dall'evoluzione fino a un certo punto.
Nella scienza la coscienza è richiesta.
Sembra che per noi l'evoluzione abbia preso una nuova strada.
La coscienza ha i suoi vantaggi e svantaggi.
La coscienza rallenta i nostri processi e questa è la notizia cattiva.
La notizia buona è che ci permette di condividerli.
Come tu dici bene in genere ci limitiamo a porre fiducia negli scienziati , più per necessità credo , che per scelta. In alternativa lanciamo sterili anatemi contro la scienza.

Tutti gli scienziati , a partire da Galileo , ci dicono che non è possibile  intendere la scienza se non se ne conosce il linguaggio , che è la matematica.Ma sappiamo bene quanto questa materia sia ostica per i più.
Una comprensione diffusa di questa materia è la nuova meta nell' acquisizione progressiva di coscienza a cui sembra siamo avviati.
Perché in effetti la matematica è sempre stato il nostro linguaggio , usato fuori di coscienza.
La realtà costruita dai nostri sensi è fatta della stessa materia con cui sono fatte le teorie scientifiche.
L'inspIegabile potere della matematica nel comprendere il mondo è così spiegata.
Ma in effetti non è neanche corretto dire che noi comprendiamo il mondo.
Quello che noi scopriamo sono in effetti sempre nuove teorie attraverso le quali ci interfacciamo col mondo e queste teorie si evolvono insieme a noi e cambia quindi il modo in cui ci rapportiamo con esso.
Abbiamo preso la strada giusta? Andrà tutto per il meglio ?
Io ci credo.

La apparente irruducibilita' fra Fede e scienza , fra sensi e strumenti di misura , è solo una questione di un po' di coscienza in più o in meno.
Perché l'evoluzione ha preso questa nuova strada?
Diciamo che la coscienza è un lusso che solo i padroni del pianeta possono permettersi e noi a un certo punto lo siamo diventati.Padroni coscienti e si spera pure coscienziosi. :D
#5628
Tematiche Filosofiche / Re:La capacità di credere.
22 Gennaio 2018, 02:12:16 AM
Citazione di: viator il 21 Gennaio 2018, 22:20:49 PM
Salve. Per Iano: Per credere in qualcosa non occorre nessuna specifica capacità, a meno che tu ti riferisca unicamente all'ambito razionale.
In questo caso avresti fatto bene a specificarlo.
Se guardiamo all'ambito irrazionale (la maggior e più importante parte delle cose in cui la gente crede appartiene alla sfera psichica o sensoriale) il credere di potersi arricchire con il gioco d'azzardo, il credere che il nostro coniuge ci sia fedele, il credere che la nostra morte riguarderà solo il nostro corpo...................figuriamoci di quali capacità abbisognano !!! Saluti.
Non ho specificato perché in effetti non capisco la distinzione che fai.Provo comunque a darti una risposta.
A livello sensoriale , se è vero che non percepiamo spazio e tempo allo stesso modo in cui percepiamo un oggetto, pure professiamo con pari certezza la loro esistenza.
Anzi in effetti non professiamo un bel nulla , perché non sentiamo neanche l'esigenza d farlo , tanto diamo per scontata la loro esistenza , dando ad essi carattere di evidenza banale.
Ma in effetti sappiamo bene che le cose non sono così banali , e credo ciò val'ha , se ci si riflette anche per la capacità di credere.
Non è qualcosa di scontato , e anzi è qualcosa di fondamentale.
Tutte le teorie , comprese quelle fisiche di successo , sono basate su ipotesi che sono finzioni alle quali siamo invitati a credere.Newton ad esempio ci invita , nella sua teoria , a credere all'esistenza di spazio e è tempo assoluto , sapendo di giocare facile nel convincerci , ma con la consapevolezza di star proponendo solo utili finzioni.
Ad alcune di queste finzioni non è difficile credere infatti in quanto per esse esiste in qualche modo un corrispondente nella nostra esperienza , corrispondente che però non ha necessariamente nessun legame con la teoria , che procede e si sviluppa in modo indipendente dalle nostre soggettive esperienze.
Il modo in cui una teoria si sviluppa inoltre non è alla portata di tutti.
Tuttavia l'esistenza di una corrispondenza , per quanto labile , fra le ipotesi della teoria , e la misura in cui i modelli della teoria stessa hanno un corrispondente nella nostra esperienza , fanno sì che accettiamo la teoria , pur non essendo addetti ai lavori e non potendone avere una completa comprensione.
Con la fisica quantistica sappiamo che le cose sono cambiate.
Particelle e onde hanno una corrispondenza nella nostra esperienza.
Ma un modello che ipotizza qualcosa che può essere sia una particella che un onda , invece no.
Un modo per provare a digerire tutto ciò è una medicina , che però ha più effetti collaterali di quanti possa averne positivi.
Questa medicina dice che in effetti particelle e onde , che sono concetti associati alla nostra esperienza , cose a cui noi crediamo , non esistono.
In fisica quantistica c'è una entità che si manifesta a noi a volta come particella a volte come onda , e ciò è contraddittorio , ma solo se particelle e onde esistono veramente.
Di fatto quindi una teoria fisica possiede ipotesi che hanno la stessa realtà delle ipotesi matematiche , quindi pure finzioni , sulle quali si basa la nostra capacità di comprendere il mondo.
Qualcuno in base a quanto detto fin qui potrebbe quindi , seppur con rammarico , sentire l'esigenza di ridimensionare il suo concetto di realtà. Amen.
Sia come sia rimane il fatto che tutto parte dalla nostra capacità di credere in qualcosa , che tanto utile si mostra , non però alcun carattere di necessità, e quindi non è affatto banale.
È invece fondamentale , sia che fingiamo in piena coscienza di credere , come quando usiamo ipotesi matematiche , sia quando nell'ambito della nostra esperienza diamo carattere di evidenza , quindi crediamo , a cose che a rigore si può dimostrare non esistono.
Non si tratta però di una dimostrazione nel senso classico.
Si tratta di una presa di coscienza di ipotesi fatte in modo inconsapevole.
Per Euclide era evidente l'esistenza di punti rette e piani.
La matematica moderna ha evidenziato che si tratta di ipotesi arbitrarie.
Oggi sappiamo che anche lo spazio assoluto in cui questi enti si muovevano e in cui noi stessi ci muoviamo ,o CREDIAMO di farlo ,è una ipotesi arbitraria , e lo stesso vale per il tempo assoluto.
Come facciamo a saperlo.
Semplicemente perché ipotesi nuove hanno scalzato dal piedistallo le vecchie.
Sento di dover chiudere questo post con qualcosa ancora , che però è troppo confuso nella mia testa al momento per poterlo esprimere, e quindi taccio.
#5629
Tematiche Filosofiche / La capacità di credere.
21 Gennaio 2018, 10:57:48 AM
Possiamo credere o non credere a qualcosa perché abbiamo la capacità di credere.
Ci sono cose dimostrabili e cose non dimostrabili .
Ci sono cose indimostrabili a cui alcuni credono e altri no. Esempio Dio.
Ci sono cose indimostrabili a cui tutti credono. Esempio lo spazio e il tempo , che sono le fondamenta principali della scienza.
Posto che ........ se tutti indistintamente credono a qualcosa , ciò non equivale alla sua dimostrazione.
In effetti in questa discussione sarebbe interessante indagare quale relazione  intercorre fra il concetto di dimostrazione e la capacità di credere e , per far buon peso , aggiungiamo anche la capacità di comprendere , volendo suggerire che ci sia un legame intimo fra le tre cose , che però non ho del tutto chiaro.
Azzardo una possibile gerarchia......credere , dimostrare , comprendere , con la quale suggerisco come la capacità di credere sia fondamentale.
#5630
Tematiche Filosofiche / Re:Le invenzioni non esistono
19 Gennaio 2018, 20:00:16 PM
Citazione di: epicurus il 16 Gennaio 2018, 12:35:36 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 16 Gennaio 2018, 05:55:27 AM
Forse in questa discussione c'è qualcosa di più profondo di ciò che può sembrare in apparenza.

Alla base vedo la distinzione aristotelica tra potenza e atto: per esempio, un bambino è in potenza un uomo; ma questo significa anche che l'uomo non è nulla di più di tutto ciò che il bambino era già in potenza. Allo stesso modo, ciò che in questa discussione avete cercato di porre in evidenza è che qualsiasi invenzione è solo un aver posto in atto qualcosa che in potenza già esisteva per intero.

Ora, questa mi sembra essere la logica che ha portato Severino (per quel poco che so e ho capito di lui) a negare il divenire: infatti, la distinzione aristotelica tra potenza e atto non è altro che un inglobare ogni evento all'interno della prospettiva dell'essere. Cioè, dire che un bambino è un uomo in potenza non significa altro che sforzarsi di inglobare la differenza, provocata dal divenire uomo del bambino, all'interno di una concezione comunque statica. Il bambino è (verbo presente: è già) un uomo in potenza. Insomma, non è altro che un trucco del linguaggio per unificare tutto nella prospettiva dell'essere. In questo senso il futuro non è altro che ciò che il passato era già in potenza. Tutto ciò che troveremo nel futuro si trova già interamente nel presente, in potenza, e sempre in potenza si trovava già interamente nel passato. Parlare di essere "in potenza" non serve ad altro che a conservare l'essere. Questo ha permesso a Severino di sostenere che, di conseguenza, il passato non smette mai di esistere: tutto ciò che esisteva nel passato esiste ancora nel futuro e viceversa; insomma, Severino, una volta che lo stratagemma dell'essere "in potenza" ha consentito di conservare il concetto di essere in riferimento a ciò che diviene, ha pensato giustamente di eliminare lo stratagemma e conservare l'essenziale, cioè l'essere. In questo senso è come se Severino dicesse: "Se dobbiamo dire che un bambino è in potenza un uomo, andiamo all'essenziale, alla sostanza del discorso, semplifichiamo e diciamo direttamente che un bambino è già l'uomo che sarà in futuro e l'uomo è ancora il bambino del passato". Tutto esiste in un eterno presente.

A questo punto è anche evidente l'errore di Severino: egli ha portato a coerenza massima la decisione di includere ogni concezione nella prospettiva dell'essere, ma ha tralasciato di sottoporre a critica proprio tale decisione: chi ha detto che quella dell'essere sia la prospettiva universale entro cui tutto va compreso? Non è forse vero che, tutte le volte che affiniamo la vista, sparisce ogni essere e ciò che ci appare sono solo particelle in divenire?

In questo senso, io personalmente preferisco (dico "preferisco", non dico che le cose stiano effettivamente come penso io) la prospettiva del divenire: tutto si crea in continuazione, nulla esiste in maniera statica, l'attimo presente è solo una nostra invenzione/astrazione mentale. Di conseguenza sostengo l'opposto: se un cercatore scopre una miniera d'oro, la sua scoperta fa esistere quella miniera in un tipo di esistenza che prima non c'era, quindi, in realtà, il cercatore ha reinventato quella miniera, l'ha creata come cosa nuova, poiché, dal momento della scoperta, quella miniera non sarà mai più ciò che era prima.

Nulla si scopre, tutto s'inventa e si crea in continuazione.

Ciao Angelo, capisco che il bandire il verbo "inventare" a favore del verbo "scoprire" possa poggiare sulla questione dell'essere in potenza e dell'essere in atto. Volendo tralasciare la prima questione, ci potremmo concentrare sulla seconda ma, temo, le mie risposte, nella sostanza, non cambierebbero.

(Premetto, non voglio parlare delle idee specifiche di Severino, ma solo sulla questione generale di potenzialità, attualità e affini.)

La questione, ancora, mi pare tutta linguistica, quindi non sostanziale. Vogliamo abbandonare il modo ordinario di parlare per parlare di "essere in atto" ed "essere in potenza", o addirittura spingerci a forme più contratte come "Un bambino è un adulto"? Ok, se si ha ben chiaro di cosa si sta parlando (cercando di porre sotto la lente di un'analisi linguistico-concettuale i termini e le espressioni usate), nessun problema. Ma questo è solo un altro modo di parlare, con tutte le sue peculiarità e con i propri scopi e limiti... Basta non farsi ipnotizzare dal nostro modo di parlare ritenendolo l'unico modo legittimo perché magicamente aderente alla realtà in sé.
Analisi illuminante.🙂
#5631
Quindi tu sai cosa sia un bitcoin. :)
Pensa...io devo ancora capire cosa siano i soldi.
#5632
Citazione di: karmelomale il 23 Ottobre 2016, 20:28:26 PM
Immaginate di avere a disposizione un genio della lampada onnisciente. Questo genio può rispondere ad una sola vostra domanda con un sì o con un no (badate bene, solo "sì" o "no"), dopodiché ritornerà per sempre nella sua lampada. Ricordate che la sua risposta è assolutamente attendibile, perché il genio non può mentire.

Secondo voi quale sarebbe la domanda più sensata da fare al genio, quella cioè con più implicazioni filosofiche/scientifiche/religiose ecc. quando la risposta sia esclusivamente un sì o un no?

A voi  :)
La mia domanda , qualunque sia, necessariamente sarà formulata in una particolare lingua , che l'essere onnisciente ovviamente comprende.
Ma per i limiti di ogni linguaggio essa non avrà un significato univoco.
L'essere onnisciente conosce tutte queste possibili interpretazioni , fossero anche infinite.
Ma a quale di queste interpretazioni possibili deve rispondere ?
Questo l'essere onnisciente non può saperlo , quindi non può rispondere limitandosi ad un si o un no.
Se potesse rispondere in modo libero risponderebbe sempre che la domanda non è ben formulata.
E non credo cambierebbe la situazione se usassi un supposto linguaggio univoco (la matematica? )
perché dovrei aspettarmi una risposta nello stesso linguaggio , e il si è il no non sono termini di quel linguaggio.
Ma volendo stare ugualmente al gioco io chiederei : "Esiste un linguaggio attraverso il quale un essere onnisciente possa esprimere in modo preciso ed univoco la propria onniscienza?
Il paradosso è che potrei avere una risposta solo se io avessi formulato la domanda in quel linguaggio , conoscendo quindi già la risposta.
La risposta , se viene data , può essere solo si.
Ma sarei sorpreso di ricevere una qualsiasi risposta.
Una qualsiasi risposta sarebbe la prova che quel linguaggio esiste e che io lo mastico.
#5633
Tematiche Filosofiche / Re:Lati oscuri
11 Gennaio 2018, 16:46:13 PM
Secondo me la prima categoria di fatto non esiste.
Perché nel momento che per loro si presenta una situazione nuova della quale quindi non hanno esperienza, il loro supposto autocontrollo viene messo alla prova.
Esempio.Metti in mano per la prima volta una pistola a una di queste persone.
#5634
Tema complesso.Ma dire che la scienza vuole mettere le mani sulla vita e manipolarla cosa significa?
Chi sarebbe questa scienza? Sono gli uomini che agiscono , non la scienza. sono gli uomini che hanno addomesticato gli animali usando la selezione delle specie , anche quando non ne conoscevano i meccanismi esatti.
Ciò che tu paventi è appunto una domesticazione dell'uomo , con le nuove tecniche messe a disposizione della scienza.
Questo è possibile , ma improbabile.
A chi dovrebbero servire questi uomini addomesticati nell'era dei robot ?
Improbabile in generale è che attraverso questa tecnica su porti avanti un programma chiaro e definito ,ma levolo o meno che sia.
La manipolazione genetica è dunque una nuova tecnica per fare cose sostanzialmente non nuove e che faremo presumibilmente allo stesso modo in cui le abbiamo fatte finora , e cioè con una certa dose di ignoranza e incoscienza.
Se le vecchie tecniche non hanno suscitato in noi apprensioni , perché le nuove lo fanno?
Probabilmente lo fanno perché il nostro grado di coscienza è aumentato.
In questa  domanda dunque si potrebbe riassumere la questione da te posta.
Il vero problema non è che c'è una scienza cattiva e malevola che sa dove vuole andare a parare e che nessuno potrà fermare.
Il vero problema al contrario è che non sappiamo esattamente dove andremo a parare , come probabilmente non lo sapevano i primi addomesticatori di animali.
Se anche la manipolazione genetica fosse usata esclusivamente a fin di bene , per eliminare ad esempio tutte le malattie , siamo sicuri che alla fine sarà un bene ? No.
L'unica cosa di cui siamo sicuri è che lo faremo e ciò di fatto costituisce un esperimento di cui non ci resterà che verificare i risultati.
Credo che lo faremmo perfino se fossimo certi di ottenere a lunga scadenza risultati disastrosi.
Su tutto ciò infatti io inizio a sospettare che ci sia una comprensibile umanissima reticenza.
Insomma , il problema esiste Socrate , ma forse è di tutt'altro tipo di quello che tu paventi.
Se anche queste tecniche fossero usate esclusivamente per scopi ritenuti da tutti validi , questo non ci garantisce che il risultato a lunga scadenza sarà valido.
In fondo una delle leggi fondamentali , ma non scritte , dell'evoluzione , è che non si può mai sapere dove va a parare , e noi ne stiamo vivendo una nuova fase.
Giusto e normale quindi essere preoccupati , ma non riesco a vedere nessun complotto dietro a ciò,né tanto meno perpetrato da una fantomatica scienza , cattiva per sua natura.
Ma non è la scienza che agisce , ma noi , e noi siamo noi e continueremo ad essere noi ,anche quando ,evolutici ,non saremo più noi. 
E noi non sapremo mai esattamente cosa siamo noi , forse perché non tutto dipende da noi.
Per quanto di pende da noi fai bene invece è faremmo bene a preoccuparci.
La maggiore consapevolezza aumenta i nostri timori e i nostri timori ci rendono accorti.
#5635
Citazione di: Dubbioso il 02 Dicembre 2017, 11:00:26 AM
si direbbe che l'uomo abbia voluto conoscere il bene e il male e al contempo emanciparsi dall' ubbidienza di Dio,  stabilendo lui  che cosa fosse giusto e no.   Ma mi chiedo se la colpa fosse dell'uomo o di Dio che l'ha fatto cosi.   Intendo  dire ,  Dio onnisciente ha fatto l'uomo a Sua immagine e somiglianza,  dunque doveva sapere che l'uomo anela alla libertà e alla volontà di conoscenza,  dunque perché arrabbiarsi e castigarlo?

Dio ha donato la liberta' all'uomo e poi lo castiga quando l'adopera, tutto cio' appare un controsenso,  aveva solo da non farlo a Sua immagine e somiglianza.
Non credo possa usarsi la ragione per dipanare le contraddizioni insite nel mito del peccato originario.
Questo mito sembra anzi il paradigma perfetto dell'irrazionalità che in certi frangenti è la nostra sola guida.
Il peccato universale è ciò che ci fa uomini quali siamo.
Infatti la storia del peccato universale raccontata nei testi sacri come un evento unico mi sembra abbia una perfetta corrispondenza con una storia che invece si ripete da sempre.
Ci racconta l'emancipazione dei figli dai genitori.
Più in generale il comportamento dei genitori e dei figli non ha nulla di razionale.
Se ci comportassimo in tal senso secondo ragione saremmo già estinti noi e tutti gli altri animali.
Personalmente porto sempre con me il ricordo vivo di quel tragico , ma necessario passaggio.
Se fosse dipeso da me quel passaggio non sarebbe mai avvenuto ,e immagino lo stesso sarebbe valso per i miei genitori.
Descrivere quindi l'atto di disubbidienza ,ciò che provoca la dipartita dall'eden , come un atto libero e volontario è una forzatura dove si tenta di descrivere questa dipartita come conseguenza appunto immediata di un atto istantaneo ed unico , laddove invece si tratta di una transizione continua che non dipende dalla nostra volontà.

L'uscita dall'Eden , che quindi nessuno ha cercato e voluto , è l'inizio vero della storia di ogni uomo laddove egli diventa responsabile del proprio destino , vendendogli a mancare quella guida che egli seguiva in modo acritico ( fase educativa) , ma che in se' non era né giusta ne' sbagliata , giudicandola col senno di poi.
Ma siccome ,come detto sopra , non stiamo certo parlando di una transizione che avviene dall'oggi al domani , l'impressione che ' c'è la siamo andata a cercare noi ' con relativo senso di colpa ci sta tutta.
Che sia un racconto sacro o che sia un rito di passaggio , non è quel racconto o quel rito la causa del passaggio , ma ua semplice descrizione o presa d'atto e pubblicizzazione sociale di quel passaggio.
Infine stiamo parlando solo della descrizione di un naturale atto di amore,anche se nella riduzione dei tempi imposta dalle necessità del racconto,si trasforma in tutt'altro.
Un atto di amore ,nulla quindi  che si possa tentare di raccontare in modo razionale senza introdurre paradossi grossolani nel racconto.
Come volevasi dimostrare.😊
#5636
La nascita della coscienza, che non credo essere comunque una esclusiva umana , ha i suoi pro e i suoi contro ,e la coscienza della propria morte lametterei fra i contro , ma senza giurarci.
Non credo però che il senso religioso possa avere questa come causa necessaria.
La venerazione dei propri cari estinti è molto diffusa in tutti i luoghi e in tutti i tempi , e non ha nulla ha che fare con la consapevolezza della nostra morte individuale , credo.
Ma , seppure questa coscienza non sia una causa necessaria alla nascita della religiosità, ovviamente , la influenza fortemente in senso universale , nel senso di un parentado più esteso da considerare,sia in morte che in vita.
Non è vietato poi ,se si vuole , allargarsi fino ad includere tutti i viventi e così via.
Se il gioco / invito era quello di far sintesi della questione , ho detto brevemente la mia.😊
#5637
Tematiche Filosofiche / Re:Le invenzioni non esistono
28 Novembre 2017, 19:02:50 PM
Citazione di: acquario69 il 30 Aprile 2016, 04:40:41 AM
Si sente dire spesso della creazione di nuove invenzioni,di qualsiasi natura,dal semplice manufatto o magari un opera musicale,letterale o altro ancora
ma si può sostenere il fatto che siano inventate o non sarebbe corretto invece dire scoperte?
per inventare credo venga comunemente inteso come il far "nascere" una cosa,e che questa sia dipesa da chi l'avrebbe appunto inventata,come se fosse lui l'autore,invece io sono del parere che quella cosa sia soltanto una scoperta di cio che già esisteva da prima e da sempre in potenza.

quindi secondo me non può esistere invenzione di nulla, perché si potrebbe anche banalmente dire che tutto e' creato al principio,(e anche dire più sottilmente,che nulla nasce e nulla muore),ma che si può solo arrivare a scoprirlo o anche rivelare e renderlo manifesto.
Bella scoperta....😄
#5638
Citazione di: Apeiron il 15 Luglio 2017, 16:29:59 PM
Ho notato che spesso molte incomprensioni nascono dal fatto che il nostro background culturale è differente e per questo motivo, per esempio, parole identiche (ad esempio "ente") le intendiamo in modo diverso. Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi. Primo: ci conosciamo meglio. Secondo: evitiamo di perderci in incomprensioni semantiche. Inizio io con filosofi e idee che mi hanno colpito (ma con cui non sono necessariamente d'accordo, quindi non tutto quello che scrivo qua sotto rispecchia le mie attuali opinioni) ecc:

1) Filosofia occidentale: Anassimandro (Apeiron  ;D, l'inguista lotta tra gli opposti, apeiron al di là di essi... ), Eraclito (Logos, unità-tensione opposti, divenire, "la vita è guerra"...), Parmenide & Zenone (il paradosso del divenire), Socrate (l'importanza della domanda nella filosofia), Platone (l'iper-uranio specie nella matematica, la Forma del Bene), Aristotele (logica classica, nomenclatura dei concetti filosofici...), Plotino, Agostino, Tommaso (se non ricordo male diceva che la creazione continuava ogni istante, ossia che Dio anche ora crea... se è falso ditemelo  ;) ), Occam, Niccolò Cusano (coincidentia oppositorum, Onnipresenza=essere da nessuna parte), Meister Eckhart (solo qualche idea, non l'ho studiato seriamente), Galileo (l'universo è un libro, qualità primarie e secondarie, scienza ed etica separate...), Spinoza (Natura Naturans, Natura Naturata, sub specie aeternitatis, necessitarianismo) Berkeley (c'è davvero qualcosa oltre quello che la mente può percepire?), Hume (il problema della causalità, il problema essere-dover essere, il problema dell'io), Kant (ahimé conosco poco, fenomeno-noumeno, condizionato-incondizionato, ragion pura-pratica, forme a priori), idealismo tedesco post-Kant (filosofia della "sola mente"), Schopenhauer (il primo filosofo ad aver parlato senza pregiudizi della sofferenza, dell'assurdità di un mondo senza Dio dominato dall'irrazionalità, velo di Maya, estetica, negazione della volontà - inoltre è stato grazie a lui che ho esteso la mia ricerca all'oriente), Marx ("dobbiamo trasformare il mondo", praxis), Nietzsche (filosofia come espressione libera dell'individuo, solitudine del filosofo, l'incoerenza della morale "imposta", l'attacco all'ipocrisia, eterno ritorno, nichilismo, divenire, volontà di potenza come "volontà creatrice", super-uomo=artista...), Wittgenstein (prima di fare la domanda guarda se ha senso, la scala del Tractatus, filosofia come terapia...), Popper, Kuhn, Simone Weil (bellezza del creato come "indicazione" di un reame superiore, decreazione,...), Pirsig (filosofia presente in ogni aspetto della vita, la Qualità...).

2) Filosofia Orientale: buddismo Canone Pali (esistenza condizionata, impermanenza, "dukkha", "non-sé", Nirvana come "completamente altro" rispetto all'esistenza ordinaria o Samsara, riflessioni sulla validità di alcune domande prima di porle, catuskoti, il problema del desiderio...), buddismo Mahayana (Prajnaparamita, Nirvana=samsara, Cittamatra - Solo Mente, mente luminosa, Natura di Buddha...), filosofia Vedanta (specie Advaita, Nirguna Brahman, Tam Tvam Asi, Maya...), filosofia taoista (Laozi e Zhuangzi, connessione opposti, limiti del linguaggio, Tao, il non-essere taoista come potenzialità e non come assenza, svuotarsi dei pregiudizi mentali, dei gusti personali ecc... parecchio interessante, peccato che poi è risultata una futile ricerca dell'immortalità in questa vita, il che fa ridere visto che Laozi dice di "essere senza desideri").

Un testo che mi ha influenzato molto "essere o avere " di Erik Fromm " .
Così ho deciso di essere un matematico , un filosofo e qualunque altra cosa , senza averne titolo.
Candidamente confesso che non so' cosa sia un ente.
Sono filosofo nel senso che esplico una naturale tendenza del mio essere uomo.
La mia non è certo una visione corrente, ma , se adottata ha il pregio di far fare pace all'uomo con se stesso , laddove la necessità della specializzazione nel mondo produttivo moderno , e l'impressione di dover acquisire titoli per potersi esprimere , rema in senso contrario.
#5639
Tematiche Filosofiche / Re:La realtà è illusione?
23 Novembre 2017, 15:44:42 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 22 Novembre 2017, 22:16:34 PM
Citazione di: iano il 22 Novembre 2017, 14:30:29 PMPer il resto  , che io sono io , funziona finché sono io , e non nego che questa sensazione possa essere confortante a livello personale e finché dura ,però non mi sembra una prova definitiva dell'esistenza di un bel niente di oggettivo.
Dico questo.
Il nostro accesso alla realtà esterna avviene non direttamente, ma attraverso la coscienza. Quel che noi sperimentiamo non è la realtà esterna in sé, ma solo delle sue rappresentazioni mentali. Su questo non ci possono essere dubbi.
Allora, se l'esperienza del mio io-sono non prova l'esistenza di nulla di oggettivo, tu dici, allora come si può pensare di provare in modo oggettivo l'esistenza della realtà esterna, che non possiamo "toccare direttamente", ma solo indirettamente attraverso la coscienza, che però tu dici non essere oggettiva?
Se non è comprovabile l'oggettività della coscienza, a maggior ragione non potrà esserlo quella della realtà esterna, che ci giunge attraverso la coscienza.

E comunque, anche la realtà esterna dura finché dura l'io-sono: quando si spegne l'io-sono, anche la realtà esterna si spegne...
Infatti , non credo si possa provare  l'esistenza di una realtà esterna , che rimane solo una buona rassicurante ipotesi.
#5640
Tematiche Filosofiche / Re:La realtà è illusione?
22 Novembre 2017, 14:30:29 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Novembre 2017, 21:50:29 PM
Bellissima questione.

Sì, la realtà che sperimentiamo, la realtà manifestata, è illusione.
Solo la realtà assoluta non lo è, ma la realtà assoluta non è sperimentabile perché è NON manifestata.

La realtà assoluta è il principio-radice, la sostanza unica da cui discende tutto il resto.
Questo principio (parabrahman per i Veda) è privo di attributi, non manifesto e quindi non conoscibile.
Il vuoto dei buddhisti (sunyata) ne è la rappresentazione simbolica migliore che la nostra mente possa concepire.

La realtà manifestata si dispiega, appunto come costruzione (illusoria, effimera impermanente etc) a partire da questo principio.
La nostra mente poi decodifica, con le sue regole illusorie (costruite, definite, come lo è un gioco alle carte), una realtà manifestata che già per conto suo è illusione: una quinta teatrale che resta in piedi finché ha la sua funzione da svolgere.

Concludo con un'osservazione sulla distinzione fra oggettivo e soggettivo.
La condivisibilità è un buon criterio di distinzione, ma non è sufficiente a mio avviso.
La realtà fenomenica dell'universo è condivisa, ma è un'illusione collettiva.
Per contro, l'esperienza autocosciente, l'io-sono, è assolutamente non condivisibile (solo io posso essere certo di essere io), ma è l'unica cosa di cui davvero non possiamo dubitare, l'unica cosa assolutamente "vera" (sono assolutamente certo di esistere, foss'anche solo come soggetto vittima di illusione su tutto quanto il resto).

Quindi, al criterio della condivisibilità io aggiungere quello della autonomia rispetto al soggetto: la realtà oggettiva è quella che il soggetto non può modificare con la sua volontà. Io posso evocare l'immagine mentale di una montagna e farla sparire, ma non posso fare altrettanto con una montagna "reale" (appunto per questo la chiamo "reale"). Pensiamo a una realtà virtuale tipo Matrix, in cui possiamo immergerci in modo straordinariamente convincente, e che possiamo alterare a nostro piacimento evocando gli scenari più desiderati: vacanze (da sogno, appunto...), denaro, sesso, potere... Tutto apparentemente "solido", ma falso.

Tanto più la realtà esterna è modificabile dal soggetto, tanto più si può dire che quella realtà da oggettiva, esterna, diventa soggettiva, interiore.
Sostanzialmente la pensiamo allo stesso modo , ma....
Il fatto che qualcosa sia condivisibile non significa che sia condivisa, e quindi non è automaticamente oggettiva.
Oggettivizzazione ,in questo senso riduttivo , assomiglia quindi a un processo democratico se non fosse che può esplicarsi attraverso i tempi evolutivi , più che attraverso un voto volontario e cosciente di ogni singolo.
OggettivOz azione ,  da questo punto di vista molto pratico  , assomiglia più a un referendum sempre in corso del quale si hanno sempre le proiezioni e i risultati parziali , senza poter avere mai il risultato finale.
Se tutto ciò funziona possiamo ben indurre che la causa sia una realtà oggettiva sufficientemente non aleatoria.
Per il resto  , che io sono io , funziona finché sono io , e non nego che questa sensazione possa essere confortante a livello personale e finché dura ,però non mi sembra una prova definitiva dell'esistenza di un bel niente di oggettivo.
Infatti , seppur fossimo certi di ciò che questo significa ,e di poterlo  quindi condividere ,non c'è dubbio che su questo punto si otterrebbe l'unanimita'.
Ma un politico che in un governo mondiale ottenesse il 100 % dei voti espressi liberamente, resterebbe solo un politico ne' più ne' meno che del suo avversario trombato😄
Resterebbe allora Loris , solo da analizzare questo nostro anelito verso una realtà oggettiva.
Il,fatto è che per quanto i più saggi fra noi conoscano e sperimentino il valore del dubbio , è di contro impossibile vivere in un paralizzante continuo dubbio.
Quindi ci "costruiamo"  una realtà oggettiva , nel senso che la prendiamo per buona e vi poniamo fede , allo stesso modo che assumiamo con convinzione  fidando cene , una medicina salvavita ,confortati dal fatto che altre volte ha già funzionato.
Fin qui tutto bene, se ti piace.
Il vero problema nasce quando arriva , e prima poi arriva , l'esigenza di rivedere la nostra "costruzione oggettiva ". ,laddove la fede che avevamo posto nella costruzione precedente diventa un ostacolo insormontabile oltre ogni ragione logica che ci venga portata.
Ecco perché ad esempio la super sperimentata e super utile meccanica quantistica,la quale ha superato tutte le prove possibili e immaginabili , resta per i più di noi inaccettabile.
È un po' come farsi cristiano per un musulmano , o viceversa.
Per quale motivo dovremmo cambiare religione?
Per poterlo fare dovremmo prima capire il come e il perché ci siamo ritrovati a far parte di una precisa religione?
La verità è che non lo sappiamo.
Semplicemente ci siamo trovati lì nel corso della evoluzione o della storia breve di ognuno di noi.