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Messaggi - Eutidemo

#5641
Citazione di: sgiombo il 03 Marzo 2018, 17:57:53 PM
A Eurìtidemo.

Mi é sempre più chiaro che si considerano da parte nostra diversi aspetti, che possono anche essere considerati complementari almeno in qualche misura, del ragionare (né io né credo Epicurus, fra l' altro, siamo avvocati o giuristi. contrariamente a te, ed anche per questo ci interessano aspetti diversi dell' inferire o dedurre).

Sul male come assenza del bene (divino), se non ricordo male, questa era anche una tesi di Sant' Agostino.

Quanto al catechismo, beh, anch' io avrei bisogno di un ripasso per parlarne con cognizione di causa, per cui  le mia affermazioni sul demonio sono senz' altro da pendersi con le pinze.

A presto!

Hai ragione! :)
Ed infatti Sant'Agostino non ha fatto altro che riprendere e sviluppare "tomisticamente" la tesi di Sant'agostino! ;)
#5642
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
03 Marzo 2018, 18:05:01 PM
Citazione di: Jean il 03 Marzo 2018, 16:19:53 PM
Caro amico,

diverse ragioni (anche di salute, per cui ben ti comprendo) mi han fatto decidere di dismettere la frequentazione del forum quando avessi raggiunto i 300 post.

L'ultimo post scritto (30 dicembre dell'anno scorso) era per la (mia) discussione al di là dell'aldilà, e già lo stavo inviando quando mi son accorto che il mio totale non era 299 bensì 298...

Raramente erro con i numeri, così ho pensato che per qualche motivo sia stato eliminato un mio precedente post... poco importa, non mi son dato pena di scoprir quale... ma, accidenti, me ne mancava ancor uno..!

Considerandolo un segno del destino mi son detto che l'avrei scritto quando avessi sentito di poter dire qualcosa di significativo... o intervenire su qualcosa di significativo...

Bene, quel momento è alfine giunto a causa di quanto hai qui scritto e che ho apprezzato grandemente, dimostrando d'esser andato al di là di quelli ch'erano i tuoi convincimenti.

Quanto ho letto mi conferma dell'opinione che avevo di te: tanta sostanza in superficie... in attesa d'esser allagata da quella in profondità, d'altro tipo.

Son davvero contento d'averti conosciuto e frequentato e ti dedico questo mio ultimo post augurandoti innumerevoli anni a venire, parafrasando gli aforismi che ben conosci...


Essere è percepire che tutte le determinazioni lo negano.



Con affetto,

Jean




(PS- qualcosa d'ironico... qual luogo migliore di questo... https://youtu.be/LXJQUYjfW2E)


Caro Jean,
mi dispiace molto che tu abbandoni il FORUM :(
Non c'è modo di convincerti a restare, magari diradando un po' i tuoi interventi? ;)
#5643
Caro Green Demetr,
in primo luogo ti ringrazio per l'apprezzamento che hai avuto la gentilezza di manifestare per il mio commento, per la verità molto "alla buona", del dibattito (o meglio, "battibecco") tra Socrate e Trasimaco. :)
Quanto all'"eudaimonia", non ho assolutamente nulla contro di essa, in quanto la ritengo una modalità di vita a cui tutti dovremmo aspirare; nel mio commento, intendevo soltanto dire che non mi sembra che quello "eudaimonistico" sia il parametro più adatto per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no.
Ed infatti, almeno secondo me, la "giustizia" è un bene etico da desiderarsi di per se stesso, come un FINE, e non come un MEZZO per  trarre una (sia pur legittima) soddisfazione o autogratificazione per il fatto di sentirsi "giusti".
Detto questo, è sicuramente vero, come egregiamente scrivi tu, che la giustizia è il luogo di inveramento delle istanze storiche sociali, a seconda del particolare periodo epocale che l'umanità sta attraversando; ed è pure vero che le istanze storiche sociali dovrebbero essere progressive e non reazionarie o restaurative, se vogliamo proprio parlare di una idea di giustizia etica.
Non sono invece molto d'accordo sul fatto che Il capitalismo sia l'inveramento delle pretese <<"eudaimonistiche">>, in quanto penso che, piuttosto, esso costituisca la piena realizzazione delle mere aspirazioni <<"edonistiche">> dell'uomo; che sono cosa ben diversa!
Ed infatti, l'<<"eudaimonismo">> e l'<<"eudaimonìa">> derivano dal greco "εὐδαιμονισμός" e "εὐδαιμονία" che significa vivere guidati da un buon "δαιμον"(che, in greco, non significa "demonio", bensì "buon genio", "spirito guida"), il quale ci insegna come vivere in piena <<"felicità">> la nostra vita; ed invece, nonostante la quasi omofonia, l'<<"edonismo">> ha un significato, anche etimologico, completamente diverso, in quanto deriva dal greco antico "ἡδονή", che significa "piacere", e NON "felicità", che in greco si dice  "ευτυχία" (le quali sono due cose completamente differenti, sebbene non necessariamente incompatibili tra di loro)!
Ed il capitalismo, a mio avviso, tende in modo esasperato a procurarci il primo, cioè il "piacere", cercando di illuderci che esso sia l'unico mezzo per procurarci la seconda, cioè la "felicita"; mentre invece, almeno secondo me, non è affatto così! >:(
Per cui, come dicevo sopra, per me il capitalismo è precipuamente a sfondo "edonistico", e non affatto "eudaimonistico"! ;)
#5644
Cari Sgiombo e Epicurus, 
Quando io parlo di cose "presumibili" o "ragionevolmente credibili come verosimili", parlo di  qualcosa di diverso dalle "inferenze necessariamente implicate nelle premesse".   :)
Ho cercato di spiegarlo vanamente in molti modi, per cui non mi resta, ora, che "ricorrere in Cassazione", laddove essa spiega, sicuramente molto meglio di me, quanto segue: 
<<La presunzione semplice o praeseumptio hominis ex art. 2729 c.c., è il ragionamento logico lasciato al prudente apprezzamento del giudice che consente allo stesso di desumere l'esistenza di un fatto ignoto muovendo da un fatto noto, ma non comporta che la presunzione possa essere ammessa soltanto allorché il fatto ignorato sia l'unica conseguenza logicamente necessaria deducibile dal fatto noto, essendo sufficiente un rapporto di mera probabilità logica tra i due fatti secondo un criterio di normalità alla stregua dell'"id quod plerumque accidit".>> ;)
Spero che la Cassazione sia stata più chiara di me: questa è la differenza c'é fra "comportare naturalmente" e conseguire secondo una "necessità logica".
Per il resto, caro Sgiombo, fa piacere che tu ancora nutra qualche dubbio sulla mia possibile "onnipotenza"; ma fai benissimo a scommettere sull'opzione opposta! :D
Il che, è esattamente quello che volevo dire (in senso ovviamente contrario), circa il genio onnisciente. ;)
Quanto a Satana, mi dovrei ripassare il catechismo; ma, essendo Satana una creatura, insisto nel dire che non può avere alcun attributo infinito o illimitato...neanche il male.
Ad ogni modo, se ben ricordo, secondo San Tommaso, il MALE non è affatto un attributo in sè, ma solo la mancanza dell'attributo del bene, che Dio solo ha in quantità "infinita".
Il male di Satana, cioè, è l'assenza di Dio stesso; cioè, così come il buio non esiste, in sè, ma è solo assenza di luce, così  la cattiveria del Diavolo è solo la conseguenza  dell'assenza di Dio!  ;)
PORTA INFERI NON PREVALEBUNT!
#5645
Tematiche Filosofiche / Re:Filosofia e vita vissuta
03 Marzo 2018, 15:43:41 PM
Caro Sgiombo,
questa volta condivido pressochè tutto quello che hai scritto, e, soprattutto, il fatto di  considerare desiderabile la qualità della vita, e non la sua quantità; la vita è come una poesia, meglio breve e bella, che lunga e brutta.
Cos'altro ci sarebbe da aggiungere, per esempio, a questa? "M'illumino d'immenso!"
Prima di morire, però, io preferirei di gran lunga una barretta di cioccolato LINDT EXCELLENCE Noir "Orange Intense", perchè quello alla nocciola non mi è mai piaciuto.
Comunque sono perfettamente d'accordo circa il suicidio, che non ritengo affatto una follia, bensì, al contrario, l'atto più lucido e razionale che -in determinate circostanze- un uomo possa compiere; inoltre, secondo me, è MOLTO meno rischioso essere morto, e, quindi, in condizione di non poter più rimpiangere di non essere più vivo, che essere ancora vivo, ma in condizione di  dover rimpiangere di non essere ancora morto (come il mio caro amico Paolo, paralizzato dalla SLA).😟
Circa il miglior modo di togliersi la vita, invece, ci sono varie opinioni al riguardo; io, volendo, potrei usare il mio revolver S&W calibro 357 MAGNUM, però non è un sistema assolutamente sicuro...e, soprattutto, non è un modo molto "pulito" di morire.
Dopo attenta riflessione, invece, sono pervenuto alla conclusione che il modo migliore per suicidarsi -avendone la possibilità- sarebbe il seguente:
- recarsi in un albergo di alta montagna, possibilmente in prossimità di un ghiacciaio, ad una temperatura esterna di almeno 5/6 gradi sotto lo zero;
- allontanarsi verso l'una notte, in un bosco, portando con se almeno 2 bottiglie di vodka (possibilmente quella polacca, la "Spyritus", 96% vol.);
- in un posto ben nascosto e lontano dall'albergo, sdraiarsi sulla neve e cominciare a bere "a garganella";
- sebbene l'alcool dia una gradevole sensazione di tepore, è solo un'illusione, perchè nel giro di un'ora o due il corpo va comunque in "ipotermia", senza quasi accorgersene;
- a causa della scarsa ossigenazione del cervello, dovuta al rallentamento del metabolismo ed alla fibrillazione atriale, però, dopo una gradevole sensazione di stordimento dovuta all'acool, si scivola dal sonno alla morte nel modo meno doloroso possibile. 
Non è solo un'ipotesi, ma, purtroppo, una triste realtà sperimentata dai nostri centomila morti in Russia; la maggior parte dei quali, ubriachi, si è lasciata volontariamente scivolare il un piacevole assideramento, ignorando gli incitamenti a rialzarsi ed a proseguire la marcia da parte dei compagni. :'(
Tale metodo (se ben architettato), tra l'altro, presenta l'ulteriore vantaggio di consentire ai familiari di riscuotere una eventuale assicurazione della vita; ed infatti in un caso del genere, per i periti dell'assicurazione sarebbe alquanto arduo dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che si è trattato di un suicidio. ;)
Comunque, almeno per ora, lungi da me l'idea di togliermi la vita, in quanto, pur avendo subito l'asportazione di un rene a causa di un carcinoma (2003), poi della prostata (2012) e infine di un tumore al cervello (2013), in fin dei conti, a parte il fatto che ho mezzo cranio di plastica, non me la passo poi tanto male!
L'influenza annuale, infatti, finora, l'ho sempre evitata facendo ogni anno il dovuto vaccino! ;D
Però, viste le mie esperienze, ho realizzato ESATTAMENTE, quello che hai realizzato tu: e, cioè, che i casi della vita sono così imprevedibili che non é improbabile che una malattia mortale accompagnata da non trascurabili sofferenze ci colga "all' improvviso", senza che vi sia il tempo di prevenire il relativo carico di dolore con l' eutanasia.
Ed ho fatto pure il tuo stesso identico ragionamento: cioè che, forse, in fondo, sarebbe del tutto ragionevole provvedere subito a darmi l' eutanasia, dal momento che ulteriori gioie e soddisfazioni non aumenterebbero sostanzialmente la complessiva felicità della mia vita, mentre é del tutto ragionevole pensare che dalla mia ulteriore sopravvivenza potrebbero derivare in netta preponderanza sofferenze e dolori.
Anzi, invecchiando, direi che è pressochè certo, perchè, come diceva Cicerone: "Senectus ipsa morbus est!"
Non ho cambiato una virgola di quello che hai scritto, perchè sottoscrivo tutto parola per parola.
Però, se mi consenti, io aggiungerei una ulteriore riflessione: la vita, anche quando ci va tutto per il verso giusto, è come un gradevolissimo  "picnic" su un lago ghiacciato a primavera...come fai a gustarti il pranzo, sapendo che, da un momento all'altro, il ghiaccio si può rompere?
Ma, ancora peggio, quando sai che si può rompere in modo diversi; cioè, o uccidendoti subito quasi senza dolore, ovvero in modo lento e doloroso (come accade, più o meno, nel 90% dei casi)!
Come nel caso di un mio amico, che, da tre anni, ormai completamente paralizzato (una mente lucida sepolta in un corpo immobile) in un letto di ospedale, sta MOLTO lentamente morendo di sclelosi laterale amiotrofica!
Però, come te, anche io ho le tue stesse remore riguardanti i familiari, che, se mi suicidassi, soffrirebbero immensamente; e, per tale ragione, anche io sento un eventuale suicidio come profondamente ingiusto, cattivo, ed "infelicitante" anche per me stesso.
Per cui, come dicevo sopra, per adesso a suicidarmi non ci penso proprio!!!
Però, se mi dovessero diagnosticare un male orribile senza plausibile speranza di salvezza (come, appunto, la SLA), penso proprio che, "forse", mi toglierei subito la vita; ed infatti, visto che, tanto, i miei familiari dovrebbero comunque soffrire vedendomi morire atrocemente, tanto varrebbe farla finita subito, abbreviando sia la mia sofferenza che la loro!
O sbaglio?
#5646
Tematiche Filosofiche / Re:Cosa significa capire?
03 Marzo 2018, 07:47:13 AM
Sono d'accordo su quasi tutto ciò che avete scritto, almeno per quanto concerne il "linguaggio simbolico"; però non c'è solo quello! :)
Ed infatti, da un solo sguardo, si può *"capire"* molto di più che da un lungo discorso; anzi, a volte, sempre dallo sguardo del tuo interlocutore, "capisci" che il lungo discorso che ti sta facendo, pur essendo *semanticamente comprensibilissimo*, è però completamente *falso*. ;)
Ci sarebbe, poi, da fare un discorso a parte sulla cosiddetta "comprensione mistica", e, cioè, immediata, della realtà; vale a dire non mediata dal discorso simbolico. :)
Al riguardo, però, la questione diventa delicata, perchè, nella maggior parte dei casi, la  cosiddetta "comprensione mistica" è solo frutto di autosuggestione soggettiva (se non peggio); e, in ogni caso, anche nei casi in cui sia autentica -ammesso che possa esserlo-, è tecnicamente impossibile dimostrarlo. ;)
#5647
Caro Sgiombo,
mi dispiace che tu sia stato male (come me, d'altronde); ma, spero che tu, ora, stia meglio, come desumo dal vigore dei tuoi scritti  :) 
Riguardo a questi ultimi, osservo quanto segue:
1) NON C'E SOLO IL LOGICAMENTE NECESSARIO, E IL LOGICAMENTE POSSIBILE!
Che, per dedurre da una premessa una conseguenza necessaria, non basta che la seconda non contraddica la prima, occorre che la prima sia contraddetta dalla negazione della seconda, l'avevo già detto pure io, sostenendo che dall'onniscienza non si può dedurre, per logica "necessità", anche l'onnipotenza.
Sono anche perfettamente d'accordo sul fatto (peraltro incontrovertibile), che:
possibile =/= da necessario.
Ed infatti, come diceva un saggio: "Ab esse ad posse valet, sed a posse ad esse non valet consequentia"; cioè, se una cosa "è", per poter "essere" deve per forza essere "possibile"; ma il fatto che una cosa sia meramente "possibile" non significa che debba anche necessariamente "essere"!
Ma, mentre il "necessario" è "necessario"  e basta, il "possibile" può suddividersi in:
- più plausibile;
- meno plausibile.
Cioè, premesso che una cosa sia "possibile", essa, però, può essere più o meno "ragionevolmente presumibile"; per esempio, è "possibilissimo" che io sia Umberto Galimberti che scrive in incognito, ma, da quello che scrivo e da come lo scrivo, ritengo che la cosa appaia a tutti molto "improbabile".
Se non esistesse alternativa tra il mero *"possibile"* e il *"logicamente necessario"*, i giudici si troverebbero davvero in difficoltà ad emettere una sentenza, in base alle cosiddette *"presunzioni semplici"* di cui all'art. 2729 c.c.
Per restare al nostro tema, cioè, e come già avevo detto, ragionando "a contrario", se tu incontri un essere (come me) di cui puoi accertare direttamente solo una "conoscenza limitata", non ne puoi dedurre, per logica ed ineluttabile "necessità", anche una mia "potenza limitata"; però sono sicuro che la ritieni di gran lunga l'ipotesi più plausibile, e non ti verrebbe mai in mente di supporre che io possa essere "onnipotente".  ;)  
Analogamente, se tu incontri un essere (come il genio) di cui puoi accertare direttamente solo una "conoscenza illimitata", non ne puoi dedurre, per logica "necessità", anche una sua "potenza illimitata"; però non ti sembra che sarebbe ragionevole presumerla, così come -molto giustamente- presumi la mia "potenza limitata" dalla mia "limitata conoscenza"?  ;)  
2) NATURA ED ATTRIBUTI
Tu scrivi che, un essere che abbia una "conoscenza infinita", cioé "una natura infinita limitatamente all' attributo della conoscenza", non necessariamente, ma solo eventualmente, possibilmente, deve avere "una natura infinita in assoluto, né relativa a qualsiasi altra caratteristica, come ad esempio anche la potenza".
Su questo non sono d'accordo, perchè un conto è la "natura" di un essere, ed un altro conto sono gli "attributi" che può avere o non avere, in ragione della sua natura; determinate "nature", invero, comportano "naturalmente", anche se non in modo "logicamente necessario", determinati attributi, mentre altri no.
Per esempio, per tornare al mio esempio di prima, poichè io sono di "natura umana", una volta che tu hai inequivocabilmente accertato (soprattutto da quello che scrivo) che possiedo lo specifico attributo della "conoscenza limitata", da un punto di vista strettamente e formalmente logico, da tale attributo consistente nella mia "conoscenza limitata" non puoi "necessariamente" inferire un mio ulteriore attributo, consistente nella mia "potenza limitata"; cioè, da una mia "natura finita limitatamente all' attributo della conoscenza", non "necessariamente", ma solo "eventualmente", "possibilmente", puoi anche inferire in me "una natura finita in assoluto, relativa a qualsiasi altra caratteristica, come ad esempio anche la potenza". (ed infatti non sarebbe logicamente contraddittorio ritenere che io sia "onnipotente" -magari!-).
Però, sebbene non sarebbe logicamente contraddittorio, che io fossi "onnipotente", sono sicuro che tu, "dubbio filosofico" a parte, sei praticamente certo che io, avendo una conoscenza limitata, ho anche una potenza limitata.
Allo stesso modo, sebbene non sarebbe logicamente contraddittorio, che il genio "onnisciente" fosse, però, "pocopotente", io sono parimenti convinto che lui, "dubbio filosofico" a parte, avendo una "conoscenza illimitata", ha anche una "potenza illimitata"; se non altro per "esprit de géométrie" :)
3) SATANA
Ammetto di non essere un esperto di "demonologia", però, se non sbaglio, il Demonio è una "creatura", esattamente come noi esseri umani; e nessuna creatura ha attributi infiniti...nemmeno la "cattiveria" (necessarietà logica a parte). Ed infatti, per Origene, anche il diavolo, un giorno, sarà perdonato e verrà reintegrato, e con lui, ovviamente, tutti i dannati; ma questo è un altro discorso.
Peraltro, sempre se non vado errato, essendo una creatura, il diavolo è, sì, "immortale" (come noi), ma non è certo "eterno"; solo Dio è eterno, perchè è l'unico ente che esistesse PRIMA della creazione. ;)
#5648
Caro Epicurus,
ora cerco di risponderti sui vari punti.
Sicuramente concordiamo sul fatto che dall'onniscienza non si possa dedurre, per logica "necessità", anche l'onnipotenza; è stata colpa mia se mi ero espresso male! 
Intendevo solo dire che che non mi sembra ragionevole supporre l'esistenza di un essere  onniscente, ma che non riesce a sollevare, da solo, neanche un sacco di patate.
Tu, però, ritieni contrario alla logica e non fondato razionalmente in alcun modo il fatto  che si possano inferire altre proprietà, oltre a quella della "infinita conoscenza"; sul che, invece, non sono affatto d'accordo, in quanto:
- tale inferenza non è assolutamente contraria alla logica, in quanto non c'è nulla di autocontraddittorio nell'ipotizzare che un essere onnisciente sia anche onnipotente;
- anzi, se è vero che dall'onniscienza (almeno secondo noi due) non si può dedurre, per logica "necessità", anche l'onnipotenza, però (secondo me) la si può molto ragionevolmente inferire.
Ed infatti, un essere che possieda una "conoscenza infinita", deve anche necessariamente avere una "natura infinita"; per cui, per come la vedo io, mi sembrerebbe davvero strano se non avesse anche altre caratteristiche "infinite".
Cerco di spiegarmi meglio ragionando "a contrario"; se tu incontri un essere (come me) di cui puoi accertare direttamente solo una "conoscenza finita", non ne puoi dedurre, per logica "necessità", anche una mia "potenza finita", però sono sicuro che la dai praticamente per scontata, e non ti verrebbe mai in mente di supporre che io possa essere "onnipotente". ;D
Analogamente, se tu incontri un essere (come il genio) di cui puoi accertare direttamente solo una "conoscenza infinita", non ne puoi dedurre, per logica "necessità", anche una "potenza infinita"; però non ti sembra che sarebbe ragionevole presumerla, così come -molto giustamente- presumi la mia "potenza limitata" dalla mia "limitata conoscenza"? ;)
Per il resto,  è vero, io definisco come un "essere di natura divina" un essere che possiede almeno una delle caratteristiche tipicamente possedute dal dio monoteista, anche se ritengo molto irragionevole che ne possieda una sola; però, ammetto che si tratta di una scelta linguistica arbitraria. 
Quanto al fatto, infine, che io potrei chiedere al Genio:  "Considerando la mia idea di matrimonio felice, io e quella donna ci sposeremo e avremo un matrimonio felice?"  , mi pare che siano due domande:
PRIMA DOMANDA: Io e quella donna ci sposeremo
SECONDA DOMANDA: Io e quella donna avremo un matrimonio felice?
Non credo che il Genio si farebbe fregare così facilmente, divino o meno che esso sia! ;D
#5649
47)
«E anche se si manifesta in un solo individuo provocherà, penso, gli stessi effetti che per natura produce: anzitutto lo renderà incapace di agire per il dissidio interno e la mancanza di concordia con se stesso, poi lo renderà nemico di sé e dei giusti, vero?» «Sì». 
COMMENTO
Come l'ingiustizia possa manifestarsi in un solo individuo, mi risulta molto poco chiaro, perchè l'ingiustizia presuppone la prevaricazione di un uomo su un altro; ma uno non può mica prevaricare se stesso!
Anche qui, secondo me, Socrate usa il termine "ingiustizia" in modo improprio, perchè il dissidio interno e la mancanza di concordia con se stesso di una persona, non hanno niente a che vedere con l'"ingiustizia" in sè e per sè; se mai, tale dissidio interno può scaturire da un conflitto di coscienza, ma, in tal caso, si tratta di un discorso diverso.

48)
«Ma anche gli dèi, caro amico, sono giusti?» «Ammettiamolo», risponde. «Pertanto, Trasimaco, l'ingiusto sarà nemico degli dèi, il giusto sarà loro amico». «Saziati pure del tuo discorso senza timore!», dice. «Io non ti contrasterò, per evitare di essere inviso ai presenti». 
COMMENTO
Ma di quali dei sta mai parlando Socrate?
Se si riferisce a quelli dell'Olimpo, non credo che tra i mortali sia mai esistita una peggiore  combriccola di esseri ingiusti, capricciosi ed iniqui!

49)
«Su, allora», replica, «imbandiscimi anche ciò che resta del banchetto, rispondendo come fai adesso. è ormai assodato che i giusti si rivelano più sapienti, migliori, più capaci di agire, e gli ingiusti non sono in grado di agire congiuntamente, ma non siamo affatto nel vero quando diciamo che alcuni di loro, benché ingiusti, unirono validamente i loro sforzi in un'azione comune; non si sarebbero risparmiati tra loro, se fossero stati del tutto ingiusti, ma c'era evidentemente in loro una forma di giustizia che li tratteneva dal commettere ingiustizie reciproche, almeno quando arrecavano danno ai loro nemici, e permise loro di fare ciò che fecero».
COMMENTO
Come ho già scritto sopra, non necessariamente dovrebbe esserci in loro una forma di giustizia a trattenerli dal commettere ingiustizie reciproche, essendo sufficiente che ci fosse in loro -sebbene ingiusti- il buon senso sufficiente a capire che, per validamente congiungere i loro sforzi in una ingiusta azione comune, è più conveniente non intralciarsi a vicenda.
Tuttavia c'è anche da considerare un'altra circostanza: il "senso di giustizia" è molto "elastico"!
Ed infatti, ci sono comportamenti che non ci verrebbe mai in mente di tenere con membri del nostro "clan" (famiglia, amici, club, gang ecc.), in quanto la loro ingiustizia ci farebbe rabbrividire e ci disgusterebbe; gli stessi ingiusti comportamenti nei confronti di estranei, invece, non scuoterebbero minimamente la nostra coscienza.
In sociologia ed in psicologia, invero, è ormai stato appurato come le azioni basate sulla fedeltà al gruppo possono comportare, per certi versi, un sacrificio degli interessi puramente personali, proprio come, per altri versi, possono anche facilitare un maggiore appagamento degli interessi personali stessi; e questo spiega la "giustizia" all'interno delle associazioni di "ingiusti" di cui parla Socrate, le cui azioni comportano, però, conseguenze "ingiuste" per chi non è membro del gruppo.
Si pensi, solo come esempio, al cosiddetto "familismo amorale"!

50)
«Costoro si accinsero a compiere azioni ingiuste, ma erano ingiusti solo a metà, poiché coloro che sono pienamente malvagi e perfettamente ingiusti sono anche incapaci di agire». 
COMMENTO
Questo è verissimmo, perchè l'uomo è "un animale sociale", e, quindi, anche quando compie azioni ingiuste e malvage nei confronti di chi non è parte del proprio gruppo, resta quasi sempre "socialmente giusto" nei confronti dei membri del proprio gruppo.
E' quello che i militari chiamano "Spirito di corpo", e gli psicologi "Körper Geist"!
Coloro che sono davvero pienamente malvagi e perfettamente ingiusti  con tutti, sono effettivamente anche incapaci di agire, perchè l'uomo isolato "est imago mortis"; ed infatti, non vanno molto lontano, e spesso fanno una brutta fine (pensate al mafioso che tradisce la Mafia).
In genere, si tratta di "sociopatici" affetti da vera e propria deviazione mentale!

51)
«Per questo capisco che le cose stanno così, e non come tu hai stabilito in un primo momento; ma bisogna anche esaminare, come ci eravamo proposti di fare in un secondo tempo, se i giusti vivono meglio degli ingiusti e sono più felici. Da ciò che si è detto, mi sembra che appaiano tali già adesso; tuttavia la questione va esaminata ancora più attentamente. Infatti il discorso non verte su un argomento qualsiasi, ma su come si deve vivere». 
COMMENTO
E' vero!
Ed infatti, salvo che non siano psicologicamente malati, coloro che sono e si sentono "giusti", nei confronti della propria specifica comunità (di qualunque genere essa sia) vivono meglio degli ingiusti e sono più felici di loro; però, se si comportano ingiustamente nei confronti di chi è al di fuori della propria specifica comunità, vivono egualmente felici e contenti. 
Anzi, in caso di guerra contro i confinanti della propria comunità (anche se si tratta di una ingiusta guerra di conquista), magari si beccano pure qualche medaglia al valor militare!

52)
«Allora esamina», lo incita Trasimaco. «Lo sto facendo», ribatte Socrate. «Ma tu dimmi: ti sembra che esista una funzione propria del cavallo?» «Sì». «E questa funzione del cavallo e di qualsiasi altro essere, la si potrebbe definire ciò che si può realizzare solo con quello o nella maniera migliore con quello?» «Non capisco», dice. «Allora mettiamola così: puoi vedere altrimenti che con gli occhi?» «Certo che no!». «Ancora: puoi sentire altrimenti che con le orecchie?» «Nient'affatto». «Quindi diciamo a ragione che queste sono le loro funzioni?» «Senza dubbio». «Ancora: puoi tagliare un tralcio di vite con un coltello, un temperino e con molti altri arnesi?» «Come no?» «Ma con nessun arnese, credo, puoi eseguire il lavoro così bene come con una falce, che è stata costruita a questo scopo». «Vero». «Stabiliremo quindi che questa è la sua funzione?» «Sì, lo stabiliremo». «Ora credo che tu possa capire meglio la mia domanda di poco fa, quando ti chiedevo se la funzione di ciascuna cosa è ciò che essa sola può fare, o che essa fa meglio di ogni altra». «Capisco», disse, «e mi sembra che questa sia la funzione di ciascuna cosa». «Bene», riprende Socrate. 
COMMENTO
Come già avevo anticipato nella premessa, anche ora Socrate utilizza il suo solito metodo: quando vuole trarre una certa conclusione non la  lascia prevedere, ma si fa in modo che l'avversario ammetta senza accorgersene le premesse una per volta e in ordine sparso. 
Cioè, occulta il proprio gioco finché Trasimaco non abbia ammesso tutto ciò di cui  ha bisogno; e poi arriva al dunque partendo da lontano, secondo le regole suggerite da Aristotele (in Topici, VIII, 1), nonchè da Schopenauer ne "L'arte di ottenere ragione" (quarto stratagemma).

53)
«E non ti sembra che ciascuna cosa a cui è assegnata una funzione abbia anche una virtù? Ritorniamo agli esempi di prima: diciamo che esiste una funzione propria degli occhi?» «Esiste». «Quindi esiste anche una virtù degli occhi?» «Anche una virtù». «Ancora: esiste una funzione propria delle orecchie?» «Sì». «Quindi anche una virtù?» «Anche una virtù». «E riguardo a tutte le altre cose? Non è così?» «è così». 
COMMENTO
Credo che Socrate, per "virtù", intenda la capacità di una cosa di esercitare idoneamente la sua "funzione".

54)
«Allora fa' attenzione: gli occhi potrebbero assolvere bene la loro funzione senza la virtù loro propria, ma con un difetto in luogo della virtù?» «E come potrebbero?», risponde Trasimaco. «Forse stai parlando della cecità in luogo della vista». «Quale che sia la loro virtù», dice Socrate. «Non è ancora questo l'oggetto delle mie domande, bensì se gli organi assolveranno bene la loro funzione grazie alla virtù loro propria, e male per il difetto». «Quello che dici è vero», ammette Trasimaco. «Quindi anche le orecchie, private della virtù loro propria, assolveranno male la loro funzione?» «Certamente». «Stabiliamo dunque la stessa regola anche per tutte le altre cose?» «Credo di sì». 
COMMENTO
Quanto sopra è consequenziale a quanto detto sopra; Socrate allunga il brodo, per meglio piazzare meglio la corda al collo di Trasimaco.

55)
«Su, considera ancora questo punto. Esiste una funzione propria dell'anima che non si potrebbe compiere con nessun altro essere? Ad esempio dirigere, comandare, decidere, e tutte le altre azioni come queste, potremmo giustamente assegnarle, come sua caratteristica peculiare, a qualcosa di diverso dall'anima?» «No, a nessun'altra cosa». «E per quanto riguarda il vivere? Non diremo che è una funzione propria dell'anima?» «Senz'altro», risponde. «Quindi diciamo che esiste anche una virtù dell'anima?» «Sì, lo diciamo». «Ma l'anima, Trasimaco, potrà mai svolgere bene le sue funzioni se è priva della virtù sua propria, o è impossibile?» «è impossibile». «Perciò è inevitabile che un'anima cattiva comandi e diriga male, e un'anima buona svolga bene tutti questi compiti». «è inevitabile». 
COMMENTO
A questo punto Socrate abbandona il saldo terreno delle premesse "spicciole", e si avventura su un terreno che inizia a diventare molto "sdrucciolo"; ed infatti, il concetto di "anima" è molto ambiguo, sebbene, dal tenore del discorso di Socrate, con linguaggio moderno potremmo definirla "ego cosciente", ovvero la consapevolezza delle azioni che si stanno compiendo, e la capacità di riuscire controllare i propri impulsi al riguardo.
Ovvero ancora, in termini giuridici, la "capacità di intendere e di volere"!   
Comunque, secondo me, il "vivere" non è affatto una "funzione" propria dell'anima, sebbene, anche a voler vedere la cosa come la vedevano gli antichi, ne è semmai un "effetto"; ma questo, in fondo, non ha molta rilevanza ai fini del  discorso che sta facendo Socrate, per cui ritengo inutile approfondire la faccenda.
Ha invece molta rilevanza la sua successiva affermazione, e, cioè, che è inevitabile che un'anima "cattiva" comandi e diriga "male", e un'anima "buona" svolga "bene" tutti questi compiti; ed infatti cosa si intende per  "cattiva" e "buona"...e cosa significa comandare e dirigere "male" e "bene"?  
Tali termini, invero, (come al solito) possono essere intesi sia in senso "etico" sia in senso "tecnico", in quanto:
- nel primo senso, si intende condotta "bene" una azione moralmente meritoria, e, cioè, "buona" (ad esempio la carità);
- nel secondo senso, invece, si può intendere condotta "bene" anche una azione moralmente spregevole, se, però, messa in atto con mezzi idonei a perseguire il fine che ci si era riproposto (ad esempio una rapina in banca).
Per dirla in soldoni, un'"anima bella", ma un po' tonta, potrà fare "male" il "bene", se si fa raggirare da un imbroglione e lasciandosi così indurre a fare una donazione ai dei truffatori; in tal caso, invece, l'imbroglione avrà fatto molto "bene" il "male" che si riprometteva di perpetrare con la sua truffa.

56)
«Non abbiamo forse convenuto che la giustizia è la virtù dell'anima, l'ingiustizia il suo vizio?» «Sì, l'abbiamo convenuto». ««Quindi l'anima giusta e l'uomo giusto vivranno bene, l'uomo ingiusto vivrà male». «Pare di sì», risponde, «secondo il tuo ragionamento».
COMMENTO
Non mi pare affatto che l'abbiano convenuto in questi termini.
Ad ogni modo anche io condivido in pieno l'affermazione per cui la giustizia è la virtù dell'anima, l'ingiustizia il suo vizio; però, secondo me, si tratta solo di una scelta aprioristica di carattere morale, che ciascuno fa per una sua scelta di vita, ma che non può farsi derivare da alcun ragionamento di carattere logico (tantomeno dai sofismi di Socrate).

57)
 «Comunque chi vive bene è sereno e felice, chi non vive bene tutto il contrario». «Come no?» «Quindi il giusto è felice, l'ingiusto è infelice». «Ammettiamolo», dice Trasimaco. «Ma essere infelici non giova, essere felici sì». «Come no?» «Quindi, beato Trasimaco, l'ingiustizia non è mai più vantaggiosa della giustizia». 
COMMENTO
Questo non lo condivido affatto, perchè si tratta di una visione, in un certo senso "utilitaristica", o, quantomeno, "eudaimonistica" della giustizia; mentre invece, secondo me, il vero uomo giusto deve perseguire la "giustizia" in quanto tale, e non per trarne un vantaggio "eudaimonistico", sia pure perfettamente legittimo e meritato.
Anzi, il vero uomo giusto deve perseguire la "giustizia" anche a costo della propria personale infelicità, almeno su questa terra; ciò, in quanto, come dice Gesù, sono "Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, perché di loro è il regno dei cieli!"
Senza considerare che, a mio parere, l'ingiusto può vivere benissimo felice e contento (almeno su questa terra), a due imprescindibili condizioni:
-  di non avere scrupoli di coscienza;
- di essere abbastanza abile da perpetrare le proprie ingiustizie senza farsene accorgere.

58)
«E questo», dice Trasimaco, «sia il tuo banchetto delle Bendidie, Socrate!». «Grazie a te, Trasimaco», replica Socrate, «perché sei divenuto affabile e hai smesso di essere scortese. Tuttavia non ho banchettato bene, ma per causa mia, non tua; come i ghiottoni afferrano e assaggiano quello che viene via via portato in tavola prima di aver gustato a sufficienza la portata precedente, così mi sembra che anch'io, prima di aver trovato l'oggetto primario della nostra indagine, ovvero che cos'è il giusto, abbia abbandonato quel problema e mi sia lanciato a indagare se esso sia vizio e ignoranza oppure sapienza e virtù.» 
COMMENTO
Meno male che se n'è accorto pure lui!

59)
«Poi, essendo il discorso caduto sul fatto che l'ingiustizia è più vantaggiosa della giustizia, non mi sono trattenuto dal passare da quell'argomento a questo, cosicché ora mi trovo a non aver ricavato alcuna conoscenza dalla discussione» perché quando non so che cos'è il giusto, tanto meno saprò se è o non è una virtù, e se chi la possiede è o non è felice». 
COMMENTO
Sono d'accordo anche io, su questo!

60)
«Perché quando non so che cos'è il giusto, tanto meno saprò se è o non è una virtù, e se chi la possiede è o non è felice». 
COMMENTO
E' vero, anche se, come ho detto sopra, il parametro eudaimonistico non mi sembra il più congruo per identificare cosa sia la giustizia, e cosa no.
    
                                                                           FINE
#5650
40)
«Allora», continua Socrate, «il giusto è simile al sapiente e al buono, l'ingiusto al malvagio e all'ignorante». «Può darsi». «Ma noi abbiamo convenuto che ciascuno dei due ha gli stessi caratteri di colui al quale somiglia». «Sì, l'abbiamo convenuto». «Ecco che il giusto si è rivelato buono e sapiente, l'ingiusto ignorante e malvagio». Trasimaco ammise tutto ciò, non con la facilità con cui ora lo racconto, ma trascinato a forza e con riluttanza, grondante di sudore perché era estate; quella fu la prima volta che vidi Trasimaco arrossire.
COMMENTO
Io, invece, non ammetto un bel niente; a parte, forse, il fatto di essere un po' stupido, perchè la logica della conclusione di Socrate mi sfugge COMPLETAMENTE!
Ed infatti, posso essere benissimo d'accordo con lui sul fatto che «il giusto è simile al sapiente e al buono, l'ingiusto al malvagio e all'ignorante», ma non riesco assolutamente a comprendere come tale conclusione discenda dalle sue precedenti acrobazione semantiche.
Per me, la sua conclusione, assolutamente "non sequitur"!
Però capisco come mai Trasimaco sia grondante di sudore; lo sono anche io, benchè sia Inverno e le condutture mi si siano ghiacciate per il gelo! 
In conclusione, cioè, partendo da premesse insensate e contraddittorie, con tutto il rispetto, a me pare che Socrate sia pervenuto a conclusioni molto poco conseguenziali.
Ma, a quanto pare, non è ancora finita!

41)
A ogni modo, dopo aver convenuto che la giustizia è virtù e sapienza, l'ingiustizia malvagità e ignoranza, Socrate prosegue: «Bene, su questo punto restiamo d'accordo così. Ma abbiamo anche affermato che l'ingiustizia è forte. Te ne ricordi, vero, Trasimaco?» «Me ne ricordo», risponde, «ma non mi piace neppure ciò che dici ora, e ho qualcosa da obiettare. Se però parlassi, mi accuseresti di fare un'arringa, lo so bene! Perciò lasciami dire tutto quello che voglio, oppure, se vuoi pormi delle domande, chiedi pure: io risponderò "va bene" e farò cenno di sì o di no, come alle vecchie che raccontano favole». «Ma non rispondere il contrario di ciò che pensi», dice Socrate. «Cercherò di accontentarti», replica, «dal momento che non mi lasci parlare. Cos'altro vuoi?» «Nulla, per Zeus!», esclama Socrate. «Ma se hai davvero intenzione di fare così, fallo pure, e io ti interrogherò». «E allora interrogami!». 
COMMENTO
Divertente pantomima!

42)
«Bene, per procedere con ordine nella nostra ricerca, ti ripeto la domanda posta poco fa, ovvero quale rapporto intercorre tra la giustizia e l'ingiustizia. A un certo punto è stato detto che l'ingiustizia è più forte della giustizia; ora però», continua Socrate, «se è vero che la giustizia è sapienza e virtù, credo che risulterà senz'altro più forte anche dell'ingiustizia, dato che l'ingiustizia è ignoranza e nessuno potrà più disconoscerlo.»
COMMENTO
A mio avviso, asserire che l'"ingiustizia" è più forte della "giustizia", o viceversa, non ha senso, perchè entrambe le cose attengono alla "modalità etica" di chi agisce, e,cioè, per dirla modernamente, al "coefficiente psichico dell'azione" e non all'"efficacia" delle azioni intraprese, giuste o ingiuste che esse siano; intendo dire che sia l'uomo giusto, come quello ingiusto, possono prevalere o meno, non tanto in ragione del loro connotato morale "giusto" o "ingiusto", quanto, piuttosto, in ragione della loro "forza" e "sapienza" personale ed intellettuale...che non ha niente a che vedere con il loro carattere di giusto o di ingiusto!
E' vero che, generalmente, l'"ingiusto" tende a prevalere, perchè, avendo meno scrupoli nell'agire, incontra meno ostacoli nel perseguire i suoi piani; ma non è detto che un "giusto", più abile ed intelligente di lui, possa riuscire a contrastarlo ed a prevalere su di lui.
Voglio dire che la "giustizia" o l'"ingiustizia" in sè, in relazione alla "forza" (o meglio "efficacia") della specifica azione, c'entrano ben  poco!

43)
 «Ma io, Trasimaco, non desidero condurre l'indagine in maniera tanto semplice, e preferisco quest'altro punto di vista: secondo te è ingiusto che una città cerchi di asservire e abbia già asservito ingiustamente altre città, e ne tenga molte sottomesse al suo dominio?» «Come no?», risponde Trasimaco. «La città migliore e perfettamente ingiusta terrà proprio questo comportamento!». «Capisco che la tua tesi era questa», dice Socrate. «Ma voglio fare questa considerazione in proposito: la città che è divenuta padrona di un'altra città avrà questo potere senza la giustizia, o è necessario che lo abbia con la giustizia?» «Se le cose stanno come tu hai detto poc'anzi», risponde, «ovvero la giustizia è sapienza, dovrà averlo con la giustizia; se le cose stanno come ho detto io, con l'ingiustizia». 
COMMENTO
Anche in questo caso, secondo me Socrate e Trasimaco fanno una grande confusione di carattere semantico e concettuale: ed infatti un conto è definire "giusto" o "ingiusto", sotto il profilo etico, l'atto di impadronirsi di un'altra città, ed un altro conto è definire "giusto" o "non giusto" il modo con cui si cerca di porre in atto tale operazione.
Mi spiego con un esempio: fu senz'altro "ingiusto", da parte di Hitler, violare la neutralità dei Paesi Bassi, ma il piano con cui venne eseguita la loro occupazione militare fu concepito in modo molto "giusto" ed acconcio; perchè conseguì il risultato voluto.
Ed invero c'è sempre un modo tecnicamente "giusto" per ottenere il risultato voluto, per quanto esso sia eticamente "ingiusto"; così come  c'è sempre un modo tecnicamente "non giusto" per ottenere il risultato eticamente "giusto"!
Se si gioca troppo con le parole, come fa Socrate, si finisce sempre per incappare in questo genere di paradossi!

44)
«Sono molto contento, Trasimaco», dice Socrate, «che non ti limiti a fare cenno di sì o di no, ma risponda, e per giunta molto bene!». «è per usarti una cortesia», replica Trasimaco. «E fai bene. Anzi, usami anche questa cortesia e dimmi: credi che una città, o un esercito, o dei briganti, o dei ladri, o un qualsiasi altro gruppo che si associa per un'impresa ingiusta, potrebbero concludere qualcosa se commettessero ingiustizie reciproche?» «Certo che no», risponde. «E se non le commettessero? Non otterrebbero di più?» «Sicuramente sì». «Infatti, Trasimaco, l'ingiustizia provoca discordie, odi, contese reciproche, la giustizia concordia e amicizia. O no?» 
COMMENTO
Questo ragionamento è sicuramente vero, ma molto ambiguo!
Ed infatti, se un gruppo di ladri  o briganti si associa per un'impresa ingiusta, questa costituisce il fine dell'azione, che resta comunque eticamente ingiusto; ma è ovvio che, se detti delinquenti non sono completamente idioti, sanno benissimo che, se cercano di fregarsi a vicenda nel compimento dell'impresa ingiusta, è molto probabile che questa non vada a buon fine.
Per cui essi evitano di commettere, per così dire, "ingiustizie reciproche", ma non per senso di giustizia e di equità, bensì solo per perseguire meglio il fine criminale ed ingiusto della loro associazione a delinquere. 
Anche in questo caso, quindi, la parole "giustizia" ed "ingiustizia" vengono usate con DIVERSI significati valoriali e semantici.

45)
«E va bene», risponde, «così almeno non litigherò con te». «Fai bene, mio ottimo amico. E dimmi un po': se questa è l'opera dell'ingiustizia, suscitare odio dovunque si trovi, quando sorge sia tra uomini liberi sia tra schiavi non farà nascere in loro odi reciproci e discordie, rendendoli incapaci di un'azione comune e congiunta?» «Certamente». 
COMMENTO
Socrate continua a confondere il senso etico di coloro che si propongono fini giusti, con il senso meramente  pratico di coloro che che evitano ingiustizie reciproche, onde essere meglio capaci di un'azione "ingiusta" comune e congiunta.
Non sono due cose omologabili, secondo me!

46)
«E se nasce tra due persone? Non entreranno in dissidio, non si odieranno e non saranno nemiche tra loro e dei giusti?» «Lo saranno», risponde Trasimaco. «E se l'ingiustizia, mirabile uomo, si manifesterà in un solo individuo, perderà forse il suo potere o lo manterrà in uguale misura?» «Ammettiamo che lo conservi in uguale misura», risponde. «Non risulta quindi evidente che l'ingiustizia ha un potere tale per cui, dovunque sorga, che si tratti di una città, di un popolo, di un esercito o di qualsiasi altra comunità, innanzitutto rende impossibile un'azione congiunta a causa della discordia e del dissenso, poi rende tale comunità nemica di se stessa e di chiunque sia contrario ad essa e giusto? Non è così?» «Certo».
COMMENTO
A mio avviso Socrate dà troppo per scontato che l'"ingiustizia" provochi sempre e comunque "discordia"; a mio avviso, infatti, l'"ingiustizia" provoca "discordia" solo quando essa viene commessa in modo provocatorio e palese, altrimenti non provoca discordia alcuna.
Se, per esempio, io sottraggo dei soldi dal portafoglio di un mio amico senza che lui se ne accorga, io commetto senz'altro una azione "ingiusta" nei suoi confronti; la quale, però, non provoca tra di noi nessuna discordia.
Anzi, se io sono così bastardo da convincerlo che a commettere il furto è stato un altro nostro amico, io, ingiusto, senza essere in lite con nessuno, provocherei discordia tra due persone giuste.
#5651
34)
«E l'ingiusto», domanda Socrate, «è assennato e buono, il giusto invece non è né l'una né l'altra cosa?» «Anche questo va bene», risponde Trasimaco. «Allora», fa Socrate, «l'ingiusto assomiglia all'uomo assennato e buono, il giusto no?» «Perché non dovrebbe assomigliare a persone di tal genere», dice Trasimaco, «se è come loro, a differenza di quell'altro?» «Sta bene. Quindi ciascuno dei due è come coloro cui somiglia?» «C'è forse qualche dubbio?», ribatte Trasimaco. 
COMMENTO
O il testo a cui mi sono affidato presenta gravi problemi di traduzione, oppure fatico davvero a seguire le acrobazie semantiche di Socrate e Trasimaco.
Come si fa a definire "buono" colui che è "ingiusto"...forse nel senso che è buono a frodare, ingannare e a sopraffare gli altri (giusti o ingiusti che siano)?
Bisognerebbe verificare sul testo originario se Socrate abbia usato il termine "χρηστός" (buono in senso morale), ovvero "δεινός" (buono in senso tecnico, cioè, idoneo); ma è un tipo di verifica che, adesso non sono i grado di effettuare.
E come si fa a definire "assennato" colui che è ingiusto...forse nel senso che è molto astuto ed esperto nell'ingannare e a sopraffare gli altri (giusti o ingiusti che siano)?

35)
«D'accordo, Trasimaco. Tu distingui chi è musicista da chi non lo è?» «Certo». «Quale dei due giudichi saggio, e quale insipiente?» «Il musicista senza dubbio saggio, l'altro insipiente». «Quindi l'uno, in quanto saggio, è buono, l'altro, in quanto insipiente, è cattivo?» «Sì». «E nel caso del medico? Non è la stessa cosa?» «è così».
COMMENTO
Ora Socrate, come suo solito, salta di palo in fresca e attacca l'avversario partendo da lontano, con una similutidine di cui ci spiegherà meglio, successivamente, il senso; comunque qui ci fa capire che con l'aggettivo "buono" e/o "saggio" Socrate intende indicare chi "esperto nella sua specifica arte", sia essa musicale o medica o qualsiasi altra...e non chi è "moralmente buono"; cioè, suppongo, sul testo greco dovrebbe esserci scritto "δεινός" (buono in senso tecnico, cioè, idoneo).

36)
«Allora, grand'uomo, ti sembra che un musicista, quando accorda la lira, voglia superare un altro musicista e pretenda di avere la meglio su di lui nel tendere e nell'allentare le corde?» «Non mi pare». «E su chi invece non è musicista?» «è inevitabile», dice Trasimaco. «E il medico? Vorrebbe prevalere su un altro medico o sul suo operato nel prescrivere cibi e bevande?» «Sicuramente no». «E su chi invece non è medico?» «Sì». 
COMMENTO
A me, sinceramente, sembra l'esatto contrario, in quanto, quando un musicista accorda la lira, vuole superare proprio un altro musicista,  e non chi non è musicista; altrimenti si potrebbe sostenere che a San Remo i cantanti cerchino di battere in bravura gli spettatori, invece che battersi tra di loro per stabilire chi è il più bravo.
Lo stesso dicasi per i medici, in quanto sono in concorrenza tra di loro per primeggiare in rinomanza, non certo con il loro insipienti clienti e pazienti.
Ma forse Socrate vuole dire un'altra cosa; vediamo cosa.

37)
«Vedi un po' dunque se, in ogni genere di competenza e di incompetenza, ti sembra che un esperto qualsiasi vorrebbe prevalere negli atti e nelle parole su un altro esperto, anziché essere come il suo simile nello stesso campo d'azione». «Forse», disse, «è giocoforza che sia così». «E l'inesperto? Non vorrebbe prevalere ugualmente sull'esperto e sull'inesperto?» «Forse». «Ma l'esperto è sapiente?» «Sì». «E il sapiente è buono?» «Sì». «Quindi chi è buono e sapiente non vorrà prevalere sul suo simile, ma su chi gli è dissimile, anzi contrario». «Pare di sì», disse. «E chi è malvagio e ignorante vorrà prevalere tanto sul suo simile quanto sul suo contrario». «Così pare». ammette Trasimaco
COMMENTO
Ora a me pare che, adesso, Socrate dice una cosa che prima non mi pare avesse mai detto; cioè che l'inesperto vorrebbe prevalere ugualmente sia sull'esperto (ἔμπειρος?) sia sull'inesperto.
Ma tale affermazione appare del tutto gratuita, e non sufficientemente spiegata.

38)
«Dunque, Trasimaco», chiesi, «secondo noi l'ingiusto prevale tanto sul suo simile quanto sul suo dissimile? Non hai detto questo?» «Certo», ammette. 
COMMENTO
E su questo ci siamo!

39)
«Invece il giusto non prevale sul suo simile, ma sul suo dissimile?» chede Socrate «Sì» risponde Trasimaco.
COMMENTO
E su questo io dissentivo e dissento, perchè, di qualunque campo si tratti (politico, giudiziario sportivo ecc.), il giusto cerca sempre di prevalere su chiunque altro con il quale sia in competizione, simile o dissimile da lui; l'unica differenza rispetto all'ingiusto, è che lui cerca di prevalere in modo giusto e leale.
L'ingiusto, invece, in modo ingiusto e sleale.
#5652
27)
«Cosa vuoi dire con questo, Socrate?», chiede Glaucone. «Conosco le due ricompense, ma non ho capito qual è la punizione di cui parli come se fosse da annoverare tra le ricompense». «Allora non conosci la ricompensa dei migliori», spiega Socrate, «quella per cui governano gli uomini più valenti, quando sono disposti a farlo. O non sai che l'avidità di onori e di ricchezze è ritenuta un disonore, e lo è effettivamente?» «Sì, lo so», risponde. «Appunto per questo», riprende Socrate, «gli uomini onesti non sono disposti a governare per denaro o per gli onori. Infatti non vogliono essere chiamati mercenari esigendo apertamente un compenso per la loro carica, o ladri ricavandolo da questa carica di nascosto; lo stesso vale per gli onori, poiché non sono ambiziosi. Pertanto con loro, se accettano di governare, bisogna ricorrere alla costrizione e alla pena; da qui forse deriva il fatto che si ritiene disonorevole occupare una carica spontaneamente, senza attendere la costrizione. Ma la pena più grave, nel caso non si voglia governare di persona, sta nell'essere governati da chi è moralmente inferiore; questo è il timore che a mio parere spinge gli uomini onesti a governare, quando lo fanno. In tal caso assumono il potere non come se fosse qualcosa di buono in cui possono deliziarsi di piacere, ma come se andassero verso qualcosa di necessario, poiché non possono affidarlo a persone migliori o uguali a loro. Forse, se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del suddito; di conseguenza ogni persona fornita di discernimento preferirebbe ricevere vantaggi da un altro piuttosto che giovare al prossimo e avere per questo delle noie. Io comunque non sono assolutamente d'accordo con Trasimaco sul fatto che il giusto sia l'interesse del più forte."
COMMENTO
Il prosieguo del ragionamento di Socrate, in pratica, lo avevo già commentato in anticipo, essendo implicito in quanto aveva già detto in precedenza; però, ora aggiunge che gli uomini onesti,  che non vogliono esigere apertamente un compenso per la loro carica (o ricavarlo di nascosto da questa carica) nè vogliono trarne vantaggi ed onori, se accettano di governare, con loro bisogna ricorrere alla "costrizione e alla pena".
Ed osserva che da qui, forse, deriva il fatto che si ritiene disonorevole occupare una carica spontaneamente, senza attendere la costrizione; il che non mi è ben chiaro, salvo che Socrate non intenda riferirsi alle studiate messe in scena di ritrosia ad accettare le cariche, da parte dei più astuti politicanti, di ogni epoca e Paese.
Ad ogni modo, quanto alla "doppia pena":
- non mi risulta affatto che nessuno sia mai finito il prigione perchè si rifiutava di governare;
- mi risulta invece, che, sia pure in casi non molto frequenti, taluno abbia accettato il potere come qualcosa di necessario, non potendosi affidarlo a persone migliori o uguali a lui (ma non mi sovvengono esempi al riguardo).
Poi, Socrate, dice una cosa molto strana, con la quale, in buona sostanza, sembra di fatto dare ragione a Trasimaco; e, cioè, che, "...se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del suddito".
Appunto: "Se esistesse"!
Ma poichè una città del genere, di fatto, "non esiste", ne deriva che è vero proprio quello che Trasimaco affermava, e cioè che, in genere (e salve le eccezioni da me sopra considerate),   l'uomo di governo mira prevalentemente al proprio utile, e non a quello dei sudditi: utile proprio, che, ovviamente, può essere:
- personale, ma di vario genere (narcisistico, economico ecc.)
- di classe, di gruppo ecc. (finanziario, economico, etnico ecc.).

28)
Poi Socrate cambia argomento, e dice: «Ma questo punto lo riesamineremo in un altro momento: mi sembra molto più importante quello che dice ora Trasimaco, quando sostiene che la vita dell'ingiusto è migliore di quella del giusto.  Tu, Glaucone, quale tesi scegli? Quale delle due ti sembra più vera?» «Secondo me, la vita del giusto è più vantaggiosa». «Hai sentito», fa Socrate, «quanti sono i vantaggi della vita dell'ingiusto che Trasimaco ha enumerato?» «Ho sentito», risponde Glaucone, «ma non sono convinto». «Vuoi che proviamo a convincere lui che non dice il vero, se riusciamo a trovare il modo?» «Certo che lo voglio!», dice Glaucone. 
COMMENTO
A questo punto, viene completamente cambiato, per così dire, il tema "disputandi", in quanto Socrate intende ora discutere se la vita dell'ingiusto sia migliore di quella del giusto; ma, a dire il vero, non mi sembra che Trasimaco sia mai partito da una affermazione del genere...anche se adesso Socrate ce lo vuole condurre. 

29)
«Se dunque», prosegue Socrate, «opponendo discorso a discorso, diremo quanti vantaggi comporta l'essere giusti e ribatteremo alle sue repliche, bisognerà contare e misurare quanti vantaggi ciascuna delle due parti adduce alla propria tesi, e alla fine avremo bisogno di giudici che dirimano la questione; se invece condurremo la nostra indagine mettendoci d'accordo tra noi come prima, noi stessi saremo a un tempo giudici e avvocati». «Precisamente», dice. «Quale metodo preferisci?», domanda Socrate. «Quest'ultimo», risponde.
COMMENTO
Socrate non lo sa, ma, a sua insaputa, io, invece, ho preferito il primo; in quanto, con stolta improntitudine, mi sono voluto ergere a giudice della diatriba tra lui e Trasimaco.

30)
Socrate cerca di coinvolgere di nuovo Trasimaco nella discussione, che, per un po' era rimasto in silenzio ad ascoltare: «Su, Trasimaco», lo incita, «torna da capo e rispondici. Sostieni che la perfetta ingiustizia è più vantaggiosa della perfetta giustizia?» «Sostengo proprio questo», risponde quello, «per le ragioni che ho esposto». «Ma allora quali definizioni dai di esse? Chiami l'una virtù, l'altra vizio?» «Come no?» «Dunque chiami virtù la giustizia, vizio l'ingiustizia?» «Naturalmente, carissimo», risponde, «dal momento che affermo anche che l'ingiustizia è utile, la giustizia no!».
COMMENTO
Socrate induce Trasimaco a fare una duplice affermazione:
- l'ingiustizia è più vantaggiosa della giustizia;
- però l'ingiustizia è un vizio, mentre la giustizia è una virtù.
Non capisco però il nesso!
Che senso ha considerare virtù la giustizia, e vizio l'ingiustizia..."dal momento che l'ingiustizia è utile, la giustizia no?"
Bisognerebbe verificare il testo originale in greco.

31)
«E allora cosa vuoi dire?» chiede Soicrate «Il contrario», risponde Trasimaco. «Forse che la giustizia è un vizio?» «No, che è una nobilissima ingenuità». «Quindi tu chiami l'ingiustizia cattiveria?» «No, la chiamo accortezza». «E gli ingiusti, Trasimaco, ti sembrano forse assennati e buoni?» «Sì», risponde Trasimaco, «almeno quelli che sono capaci di un'ingiustizia perfetta e possono sottomettere città e popoli; ma forse tu pensi che io stia parlando dei tagliaborse! Senza dubbio anche simili azioni producono un vantaggio, se non vengono scoperte; non è però di questo che vale la pena di parlare, bensì dell'argomento che ho introdotto poco fa». 
COMMENTO
A me sembra che, in taluni punti, il discorso di Trasimaco si faccia un po' contraddittorio; ed infatti prima ha ammesso che l'ingiustizia è un "vizio", mentre adesso dice che gli ingiusti sono "buoni".
Peraltro, secondo me, Trasimaco confonde l'"ingiustizia" con l'"astuzia", mentre, invece, non è affatto così, trattandosi di due cose completamente diverse; ed infatti si può essere ingiusti in modo decisamente stupido, e giusti in modo molto astuto.
Non a caso, Gesù, diceva: "Siate puri come le colombe, ma astuti come serpenti!"(Matteo 10,16-18), e ne dette spesso anche dimostrazione pratica.
Però Trasimaco ha ragione, quando osserva che Socrate è andato "off topics", e, quindi, vuole tornare al tema in discussione.

32)
Socrate esclama: «Capisco ciò che vuoi dire, ma mi ha stupito il fatto che tu tenga l'ingiustizia in conto di virtù e sapienza, e l'ingiustizia nella considerazione opposta» (ci deve essere un errore nel mio testo di riferimento, perchè prima mi pare che sia stato detto il contrario). «Ma io sostengo proprio questo!». «Questa tesi, amico, ora è più solida e non è più facile avere da obiettare», replica Socrate. «Se tu sostenessi che l'ingiustizia giova, ma ammettessi come altri che è un vizio o qualcosa di turpe, avremmo qualcosa da dire, rifacendoci alle opinioni consuete; ora invece dirai chiaramente che essa è bella e forte e le aggiungerai tutti gli altri beni che noi abbiamo attribuito alla giustizia, dato che hai avuto il coraggio di tenerla in conto di virtù e di sapienza». 
COMMENTO
C'è qualcosa che non mi torna.
Poco fa Socrate aveva chiesto: «Dunque chiami virtù la giustizia, vizio l'ingiustizia?» e Trasimaco aveva risposto: «Naturalmente, carissimo!».
Adesso, invece, Socrate dice «Mi ha stupito il fatto che tu tenga l'ingiustizia in conto di virtù e sapienza, e l'ingiustizia nella considerazione opposta» (???). e Trasimaco  risponde «Ma io sostengo proprio questo!».
Deve esserci qualche errore nella traduzione del mio testo di riferimento.
Però, poi, Socrate dice chiaramente che Trasimaco ha avuto il coraggio di tenere l'ingiustizia in conto di virtù e di sapienza; per cui (salvo verifiche sul testo originale), per il momento ritengo di dover prendere per buono tale secondo assunto. 

33)
«Sei un indovino veridico!», esclama Socrate. «Tuttavia», prosegue, «non dobbiamo rinunciare a proseguire la nostra indagine, finché non sarò certo che dici ciò che veramente pensi. Mi sembra infatti che tu, Trasimaco, ora non stia affatto scherzando, ma stia esprimendo veramente la tua opinione»
«Che differenza fa per te», replica Trasimaco, «se io la penso davvero così oppure no? Perché non provi piuttosto a confutare il mio ragionamento?» «Nessuna differenza», ribatte Socrate. «Ma cerca di rispondere a quest'altra domanda: ti sembra che l'uomo giusto vorrebbe avere la meglio sul giusto?» «Assolutamente no!», risponde. «Non sarebbe semplice e ingenuo, com'è in realtà». «E vorrebbe prevalere su un'azione giusta?» «No, su un'azione giusta no», risponde. «E pensi che vorrebbe prevalere sull'ingiusto e riterrebbe giusto farlo, oppure no?» «Lo riterrebbe giusto», dice lui, «e lo vorrebbe, ma non ne sarebbe capace». «Non ti sto chiedendo questo», ribatte Socrate, «bensì se il giusto abbia la pretesa e la volontà di prevalere non sul giusto, ma sull'ingiusto». «Le cose stanno così», ammette Trasimaco. 
«E l'uomo ingiusto? Pretende di avere la meglio sul giusto e sull'azione giusta?» «Come no», risponde, «visto che pretende di avere la meglio su tutti?» «Quindi l'uomo ingiusto prevarrà anche sull'ingiusto e sull'azione ingiusta e lotterà per primeggiare su tutti?» «è così». «Dobbiamo dunque concludere», ripresi, «che il giusto non prevale sul suo simile, ma su chi gli è dissimile, l'ingiusto prevale tanto sul simile quanto sul dissimile?» 
«Ottima definizione!», conviene Trasimaco.
COMMENTO
Questo modo di argomentare mi sconcerta alquanto; ed infatti, a prescindere dal concetto un po' ambiguo del verbo "prevalere", se vogliamo intenderlo nel senso di "aver ragione di" esso ha un determinato senso, se, invece, vogliamo intenderlo nel senso di "sopraffare" esso ha un senso leggermente diverso.
E, comunque, poichè tale verbo viene attribuito da Socrate sia all'uomo giusto che a quello ingiusto, a mio avviso diviene davvero difficoltoso attribuirgli un senso davvero univoco; che, forse, è quello -abbastanza neutro- di "primeggiare", che adotta Trasimaco.
Per cercare di capire meglio, però, dobbiamo concentrarci sulla conclusione di Socrate, e, cioè che:
- il giusto non prevale sul suo simile, ma solo su chi gli è dissimile, cioè sull'ingiusto;
- l'ingiusto, invece, prevale tanto sul simile quanto sul dissimile. 
Ora, per quanto riguarda l'ingiusto, il concetto è abbastanza chiaro, univoco e condivisibile; mentre, per quanto concerne il giusto, a mio parere, lo è molto meno.
Ed infatti, sia che al verbo "prevalere" si voglia attribuire  il significato di "aver ragione di", "aver la meglio su", "primeggiare"...in tutte queste accezioni, bisognerebbe stabilire:
- in quale ambito (politico, giuridizionale, sportivo ecc.);
- in quale modo (giustamente o ingiustamente).
Poniamo, ad esempio, che l'ambito sia quello politico, e che, in lizza elettorale, ci siano tanto gli "ingiusti" quanto i "giusti".
Orbene, nel caso degli "ingiusti", come detto, essi cercheranno "per fas et nefas" e  in "modo fraudolento" di "prevalere" su tutti gli altri, giusti o ingiusti che essi siano; per esempio, comprando il voto degli elettori, seducendoli con false promesse, gettando fango sugli avversari, ricorrendo a brogli nel momento dell spoglio delle schede, e chi più ne ha ne metta.
Nel caso dei "giusti", invece, a mio parere ANCHE essi  cercherebbero anch'essi di "prevalere" elettoralmente su tutti gli altri, giusti o ingiusti che essi siano; ma, a differenza che nell'altro caso, in modo regolare, e senza ricorrere a "sporchi trucchi" di sorta.
E così in campo giudiziale, sportivo ecc.
Per cui, quello che afferma Socrate, e che Trasimaco approva, e, cioè, che il giusto non cerca di prevalere sul suo simile (gli altri giusti), ma solo su chi gli è dissimile (gli ingiusti), mentre l'ingiusto cerca di prevalere tanto sul suo simile (gli altri ingiusti), quanto sul suo dissimile (i giusti), non mi sembra affatto congruo.
A meno che Socrate per "prevalere", intenda implicitamente "sopraffare illecitamente", e, cioè, prevalere usando messi ingiusti ed iniqui; ma, se così fosse, chi è veramente giusto, non vorrebbe prevalere in tal modo nè a danno dei giusti, nè a danno degli ingiusti.
Ed invero, un "giusto", anche se facesse causa a un "ingiusto", non produrebbe mai in aula falsi  testimoni per batterlo!
Altrimenti, che "giusto" sarebbe?
In modo processualmente leale, invece, cercherebbe alla stessa stregua di prevalere sia sia su una controparte "giusta" che su una "ingiusta."
Ma vediamo come va a finire la faccenda.
#5653
20)
A questo punto Trasimaco avrebbe in mente di andarsene, dopo aver rovesciato giù dalle orecchie, come un bagnino, un bel diluvio di parole; ma i presenti non glielo permettono, ma, anzi lo costringono a rimanere e a rendere conto delle sue affermazioni. 
Socrate lo prega: «Divino Trasimaco, tu hai in mente di andartene dopo averci scagliato addosso un simile discorso, senza averci sufficientemente chiarito o aver appreso tu stesso se le cose stanno così o diversamente? O credi che sia cosa da poco accingersi a definire la condotta di un'intera vita, alla quale ciascuno di noi deve attenersi per poter vivere con il massimo profitto?» 
«E io la penso forse altrimenti?», ribatte Trasimaco. 
«Tu dai questa impressione», risponde Socrate, «oppure non ti curi affatto di noi e non ti importa se vivremo meglio o peggio ignorando ciò che tu dici di sapere. Piuttosto, carissimo, vedi di chiarire le idee anche a noi: non mancherai di trarre un guadagno dal favore che ci farai, poiché siamo tanti. ».
COMMENTO
A mio parere c'è poco da chiarire, perchè Trasimaco si è semplicemente limitato, come Machiavelli, a descrivere la realtà politica così com'è, e non come sarebbe teoricamente auspicabile che fosse; e, cioè, che, chi ne ha la possibilità o la forza (in senso lato, anche mediatico) cerca di far passare per "GIUSTO" quello che corrisponde al suo interesse personale, partitico, di classe, di categoria...e chi più ne ha ne metta!
Ma Socrate, a questo punto, quando afferma che non è cosa da poco accingersi a definire la condotta di un'intera vita, "...alla quale ciascuno di noi deve attenersi per poter vivere con il massimo profitto...", sembra voler prospettare una visione eudaimonistica della giustizia; cioè, come se l'essere "giusti" non fosse un bene etico da desiderarsi per se stesso, ma solo "al fine" di essere felici.  
Vale a dire che trasforma quello che, almeno secondo me, dovrebbe essere un "imperativo categorico", in un mero "imperativo ipotetico".

21)
«Quanto a me, voglio dirti la mia: non sono affatto convinto che l'ingiustizia sia più vantaggiosa della giustizia, neppure se le si permette e non le si impedisce di fare quello che vuole. Ammettiamo pure, mio caro, che uno sia ingiusto e possa commettere ingiustizia celandola o ricorrendo apertamente alla violenza; tuttavia non mi convince che tale condizione sia più vantaggiosa della giustizia. Forse c'è qualcun altro tra noi che la pensa così, non solo io; perciò, grand'uomo, cerca dì persuaderci bene che non è corretta la nostra risoluzione di tenere la giustizia in maggior conto dell'ingiustizia». 
COMMENTO
A questo punto, bisogna vedere cosa si intende per "VANTAGGIOSO", in quanto:
- se per "vantaggioso" si intende il gretto soddisfacimento del proprio interesse personale, partitico, di classe ecc., anche a scapito dell'equità, non c'è dubbio che anche un comportamento ingiusto (specie se abilmente dissimulato) possa senz'altro risultare "vantaggioso";
- se, invece, per "vantaggioso" si intende ciò che giova eticamente alla nostra integrità morale, nulla può risultare tale a scapito dell'equità, e non c'è dubbio nessun comportamento ingiusto possa considerarsi "vantaggioso" per un uomo dotato di retta coscienza (sebbene sotto una prospettiva più eudaimonistica che veramente etica).

22)
«E come potrò persuaderti?», dice Trasimaco. «Se non sei stato persuaso da ciò che ho detto poco fa, cos'altro potrei fare? Devo forse infilarti il discorso nell'anima con la forza?» «No, per Zeus, non farlo!», risponde Socrate. «Prima di tutto rimani fermo a quello che hai detto, oppure, se cambi opinione, cambiala manifestamente e non ingannarci.»
COMMENTO
La premessa di Socrate è molto insidiosa, per cui prevedo che stia per predisporre una ulteriore trappola dialettica a danno del povero Trasimaco.

23)
«Ora però, Trasimaco, per ritornare al discorso di prima, tu vedi che, se all'inizio hai definito il vero medico, in seguito non hai più ritenuto opportuno attenerti rigorosamente alla definizione del vero pastore, ma pensi che egli, in quanto pastore, pascoli le greggi avendo di mira non ciò che è meglio per le pecore, ma un banchetto, come un convitato che sta per mettersi a tavola, oppure la loro vendita, come un affarista e non come un pastore. Ma alla pastorizia non importa altro se non di procurare il meglio agli esseri cui è preposta, poiché per quanto si riferisce a se stessa, finché non le manca nulla per essere pastorizia, ha certamente provveduto in modo sufficiente alla sua piena realizzazione; analogamente credevo che ora fosse per noi necessario ammettere che ogni autorità, pubblica o privata che sia, in quanto autorità ricerca solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura.»
COMMENTO
Socrate torna a prospettare analogie tra l'attività del politico ed altre attività, che, secondo me, sono fuorvianti in un senso o nell'altro; e che, per giunta, non sono paragonabili neanche tra di loro.
Ed infatti, ai medici, in generale, importa  di procurare il meglio ai propri pazienti, in quanto si tratta di altri esseri umani; e, per lo più, di clienti paganti, i quali vengono attratti dai medici più bravi, dei quali è nota la cura che si prendono dei malati. Senza considerare il famoso "Giuramento di Ippocrate"; sebbene dubito che i medici dell'epoca lo prestassero, visto che Ippocrate era di dieci anni più giovane di Socrate.
Ai pastori, invece, non importa minimamente di procurare il meglio alle proprie pecore in quanto tali, ma gli interessa di curarle e trattarle bene solo per trarne un lucro meramente economico; da questo punto di vista, in effetti, il mestiere del pastore è più affine a quello del governante, almeno, se è vero che Vespasiano, con riferimento ai suoi sudditi, disse: "Boni pastoris est tondere pecus, non deglubere" ("Il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle"!) -Gaio Svetonio Tranquillo De Vita Caesarum, III – 32.
Che il pastore abbia di mira ciò che è meglio per le pecore, e non per se stesso (tosandole o vendendole, o mangiandone gli agnellini), è un'idea di Socrate che, con tutto il rispetto, non mi perito di definire alquanto bizzarra!
Quanto al fatto che ogni autorità, pubblica o privata che sia, in quanto autorità "dovrebbe" ricercare solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura, questo è indubbiamente vero sotto il profilo (come ho già detto) "deontologico"; come lo è per il medico,  ma non certo per il pastore, per il quale il benessere delle pecore è solo un mezzo per perseguire il benessere proprio, e non un fine in se stesso.
Sotto il profilo "ontologico", invece, non necessariamente è così; anzi, in genere, con il pretesto (abilmente propagandato, specie in sede prelettorale) di ricercare solamente il meglio per chi è soggetto al suo potere e alla sua cura, il governo o il regime del momento, tende precipuamente a fare l'interesse proprio e dei propri "apparatchiki".
Mi sembra che sia questo il punto su cui Socrate e Trasimaco non riescono proprio ad intendersi: uno chiede "Dove vai?", e l'altro risponde "Sono le quattro e mezza!".

24)
Socrate chiede:  «Tu pensi che i governanti delle città, quelli che lo sono veramente, governino volentieri?» «Per Zeus», risponde Trasimaco, «non lo penso: ne sono sicuro!» «Ma come, Trasimaco?», si stupisce Socrate. «Non ti accorgi che nessuno vuole ricoprire spontaneamente le alte cariche, ma chiedono un compenso perché pensano che dall'esercizio della carica non verrà un vantaggio a loro, bensì ai sudditi?»
COMMENTO
Che, all'epoca di Socrate, nessuno volesse ricoprire spontaneamente le cariche pubbliche, non mi risulta storicamente vero; come non mi risulta che sia mai stato vero in nessun'altra epoca...compresa la nostra.
Mi dispiace per Socrate (rectius; Platone), ma non gli credo affatto, circa questo punto!
D'altronde lo stesso Platone pare che, una volta, disse: "Amicus Socrates, sed magis amica veritas." (Olof Gigon - Vita Aristotelis Marciana, Berlino, Walter de Gruyter, 1962; cfr. Enrico Berti, La filosofia del "primo" Aristotele, Milano, Vita e Pensiero, 1997, p. 59 prima edizione Padova, CEDAM, 1962).

25)
Socrate continua il suo ragionamento:« Dimmi ancora una cosa: non affermiamo continuamente che ogni arte è diversa dalle altre per il fatto che ha una diversa funzione? E non rispondermi con dei paradossi, grand'uomo, in modo che possiamo arrivare a una conclusione». «Sì, la diciamo diversa per questo motivo», Ammette Trasimaco.
«Quindi ciascuna arte ci procura anche un vantaggio suo proprio e non comune, ad esempio l'arte medica ci procura la salute, quella del timoniere la salvezza nella navigazione, e lo stesso vale per le altre?» «Certamente». «E l'arte del mercenario non procura un compenso? Questa infatti è la sua funzione: oppure identifichi la medicina con l'arte del timoniere? O ancora, sempre che tu voglia dare definizioni precise, come ti sei proposto, se uno che fa il timoniere acquista la salute perché gli giova navigare per mare, per questo tu chiami la sua arte medicina?» «No di certo!», risponde Trasimaco. «E non chiami così neanche l'arte del mercenario, credo, nel caso che uno goda di buona salute grazie ad essa». «Sicuramente no». «E allora dobbiamo definire mercenaria la medicina, se uno riceve un compenso per guarire gli ammalati?» Trasimaco dice di no. «E non abbiamo convenuto che ciascuna arte ha un'utilità sua propria?» «è così», risponde. «Se dunque tutti gli artigiani ricavano un utile comune, è chiaro che lo ricavano da qualcosa di identico ed esterno alla loro arte, di cui si servono in comune». «A quanto pare», ammette Trasimaco. «Possiamo almeno dire che con il loro compenso gli artigiani ricavano un utile dal fatto di associare alla propria arte quella del mercenario». Trasimaco lo ammette con riluttanza. «Pertanto l'utile, di ricevere un compenso non viene a ciascuno dalla propria arte, ma, a voler essere precisi, l'arte medica procura la salute e quella mercenaria un compenso, l'arte edilizia costruisce una casa e quella mercenaria che le è connessa produce un compenso; lo stesso discorso vale per tutte le altre arti: ciascuna compie l'opera che le è propria nell'interesse di ciò cui è preposta.»
COMMENTO
Cosa significa: "L'arte del mercenario non procura un compenso? Questa infatti è la sua funzione!".
Ma, ovviamente, quella del "mercenario" (cioè di chiunque offra prestazioni dietro compenso, non del solo "soldato mercenario" in particolare), <<NON E' AFFATTO UN'ARTE A SE'>>, ma è semplicemente una delle due modalità economiche con le quali viene svolta una qualsiasi arte e/o professione, e, cioè:
- dietro compenso (mercenariamente);
- gratis (gratuitamente).
Se, invece, ho ben compreso il contorto (e truffaldino) ragionamento di Socrate, in buona sostanza lui vuole dire che il compenso non viene a ciascuno dalla propria specifica arte, ma dall'associata "arte mercenaria"; cioè, come testualmente dice, l'arte medica procura la salute ai pazienti, e quella mercenaria un compenso al medico...come se il medico svolgesse contemporaneamente due "arti".
Mentre quella "mercenaria", come sopra detto, non è affato un'arte, ma è semplicemente una delle due modalità economiche con le quali viene svolta una qualsiasi arte e/o professione.
Ed invero, secondo me, il compenso che ognuno trae dalla propria arte o professione, non è affatto un'altra arte associata alla prima, bensì semplicemente il sinallagma delle proprie prestazioni.

26)
Ciò premesso, Socrate chiede a Trasimaco: «Ma se ad essa non si aggiunge un compenso, può forse l'artigiano ricavare un utile dalla propria arte?» «Pare di no», risponde Trasimaco. «Ma non è utile anche quando lavora gratuitamente?» «Credo proprio di sì». «Allora, Trasimaco, è ormai evidente che nessuna arte o autorità procura il proprio utile, ma, come abbiamo detto da tempo, procura e impone l'utile del suddito, mirando all'interesse del più debole, non a quello del più forte. Per questo, caro Trasimaco, poco fa sostenevo che nessuno è disposto a ricoprire volontariamente una carica e a occuparsi dei mali altrui per raddrizzarli, ma chiede un compenso, perché chi intende esercitare bene la propria arte non fa e non impone mai il suo meglio, quando lo impone secondo la sua arte, ma il meglio del suddito. Ecco perché, a quanto sembra, chi è disposto a governare deve ricevere una ricompensa: del denaro, un onore, oppure una punizione se non governa». 
COMMENTO
A mio avviso, Socrate ha fatto un prolisso (e sofistico) ragionamento, per dire una cosa molto semplice: e, cioè, che, chi esercita un'arte (o meglio un "mestiere", come sarebbe più appropriato dire) lo fa per offrire un bene o un servizio a terzi, in cambio di un compenso proporzionato alla fatica e all'abilità con cui esercita la propria attività a vantaggio del prossimo.
Non ci voleva certo socrate, per scoprire che:
- la sua arte ricerca l'utile di terzi
- in cambio di un compenso da parte di detti terzi.
Il medico cura al meglio il paziente, a fronte di un onorario, l'avvocato difende al meglio il suo assistito a fronte di una parcella...e così via!
Affermato tale (ovvio) principio generale, Socrate lo estende anche ai "governanti", considerando anche costoro come soggetti che esercitano un'"arte" (o un "mestiere"); e ne trae la conclusione che nessuno è disposto a ricoprire volontariamente una carica pubblica e ad occuparsi dei mali altrui per raddrizzarli, se non riceve, per questo un apposito compenso.
A questo punto, però, occorre tenere presente che, ai tempi di Socrate, Montesquieu non era ancora nato, per cui c'era un po' di comprensibile confusione circa l'"esercizio dei poteri pubblici": legislativo, amministrativo e giudiziario, che, molto spesso, confluivano in uno stesso soggetto o in diversi soggetti indifferenziatamente.
Sia allora, come oggi, in genere (ma non sempre) era previsto un compenso a seconda delle cariche esercitate; ma:
- mentre per le cariche amministrative secondarie tale compenso era una sorta di "stipendio" (come per il "curatore delle strade");
- per i ruoli di effettivo potere "politico" dei membri del regime dominante, si trattava di meri "appannaggi" formali -quando c'erano-, che non costituivano certo l'incentivo prevalente ad esercitare il potere politico.
Esattamente come oggi!
Il potere "politico" (e non solo quello), infatti, in genere, è di per sè <<compenso a se stesso>>, perchè consente di meglio perseguire il propri interessi personali, quantomeno a livello di gratificazione narcisistica; come dicono in Sicilia, infatti, "Cumannari è megghiu di futtiri". 
Consente, inoltre, di meglio perseguire e far prevalere gli interessi del proprio partito, della propria classe, della propria razza e chi più ne ha ne metta, rispetto ad altri interessi "più DEBOLI"; per mezzo di cosa?
Della "FORZA", ovviamente, comunque la si voglia considerare: poliziesca e/o propagandistica. 
Alessandro Magno, infatti, una volta chiese ad un pirata che aveva catturato, come gli fosse sembrato  giusto di infestare il mare con la sua nave;  ed egli, con sincera arroganza, gli rispose  che gli era sembrato giusto allo stesso modo con cui, a lui Alessandro, era parso giusto di infestare la terra con le sue armate. E aggiunse: "Ma poichè io lo faccio al governo di una piccola nave sono chiamato predone, mentre tu, che lo fai essendo al governo di uno Stato, sei chiamato Re!".
Il che, è un po' la stessa cosa che dice Adelchi: "Una feroce FORZA il mondo possiede, e fa nomarsi  DRITTO!"
Insomma, almeno per i veri POLITICI, è assurdo  sostenere che non occuperebbero mai  volontariamente alcuna  carica pubblica, se non ricevendo, per questo un apposito compenso.
Benito Mussolini, non prese mai lo stipendio come Capo del Governo, e dunque non erano stati per lui versati i contributi, per cui la moglie si trovò in difficoltà a percepire la pensione di riversibilità; ma non credo che lo fece per mera "filantropia"! 
E' pur vero però, che, in determinati Paesi ed in certi periodi storici (come, in parte, oggi accade in Italia), c'è anche chi, non avendo nè arte nè parte, ed essendo sostanzialmente privo di qualsiasi idea o autentico interesse politico, intraprende tale carriera all'unico ed esclusivo fine di sbarcare il lunario; ed è già tanto se non arrotonda l'indennità in modo illegale, e se esercita in modo non troppo svogliato il proprio incarico pubblico.
Ciò non toglie che, al contrario, in taluni casi (molto rari, almeno per quanto mi risulta), c'è pure chi persegue il potere per pura passione  "ideale"; e, questo, in modo assolutamente disinteressato, all'unico ed esclusivo fine di rendere "migliore" la vita dei governati. Ovviamente, però, fa tutto ciò secondo la "sua" idea di ciò che è "migliore"; la quale idea non sempre è condivisa dai governati, e, soprattutto, non è spesso condivisa dalla "realtà".
Peraltro, come si sa, le vie dell'Inferno sono lastricate di buone intenzioni, per cui tra coloro che perseguono il potere per pura passione "ideale", la filantropia spesso si tramuta in fanatica "ideologia" alla Robespierre; e questo, non di rado con conseguenze peggiori, per i governati, che se fossero governati da cialtroni che mirano solo al loro interesse.
Ma torniamo al dialogo.
#5654
11)
 «Sto parlando del governante nel senso più stretto del termine», risponde Trasimaco. «Contrasta pure questa mia affermazione con giri di parole e calunnie, se ne sei capace, io non mi tiro indietro; ma non ci riuscirai». «Credi che io», replica Socrate, «sia così pazzo da tentare di tosare un leone e calunniare Trasimaco?» «Ma se hai cercato di farlo proprio ora», ribatte Trasimaco, «senza riuscire neanche in questo!». «Basta con simili discorsi!», taglia corto Socrate. 
COMMENTO
E fa bene a tagliare corto, perchè certe rimostranze di Trasimaco cominciano a diventare un po' stucchevoli; sebbene esse non siano del tutto infondate.

12)
«Piuttosto dimmi: il medico nel senso stretto del termine, di cui parlavi poco fa, è un affarista o uno che cura gli ammalati? Parla solo di chi è davvero medico». «Uno che cura gli ammalati», risponde. «E il timoniere? Chi è veramente timoniere è un capo di marinai o un marinaio?» «Un capo di marinai». «Non bisogna tener conto, credo, del fatto che egli si trova a bordo della nave, e chiamarlo per questo marinaio; infatti non si chiama timoniere perché naviga, ma per la sua arte e la sua autorità sui marinai». «E' vero», ammette Trasimaco. «Ciascuno di loro non ha un proprio interesse?» «Certamente». «E anche la loro arte», aggiunsi, «non ha per sua natura lo scopo di cercare e procurare a ciascuno il proprio utile?» «Sì, ha questo scopo», risponde Trasimaco. 
«E ogni arte ha forse un interesse diverso da quello di essere il più possibile perfetta?» «Che cosa significa questa domanda?» chiede Trasimaco.
COMMENTO
Lo chiederei anche io a Socrate, perchè la domanda mi pare alquanto malposta; ed infatti l'interesse di ogni arte è di produrre ciò a cui a destinata, ma, quello di riuscire a farlo in modo perfetto, è soltanto un desiderio dell'artista, e NON il fine specifico di una determinata arte.
Ma forse sono io che ho capito male...vediamo come ce lo spiega lui.

13) 
«Ad esempio», spiega Socrate, «se mi chiedessi se al corpo basta essere corpo o ha bisogno di qualcos'altro, risponderei: "Ne ha bisogno senz'altro! L'arte medica è stata inventata proprio per questo, perché il corpo è debole e non gli basta essere così com'è. Pertanto quest'arte è stata istituita per procurargli ciò che gli serve". Mi sembra che avrei ragione a parlare così; o no?» «Sì, avresti ragione», risponde Trasimaco. 
COMMENTO
Io, invece, non sarei tanto d'accordo, in quanto:
- al corpo "sano" basta benissimo essere così com'è, e non gi serve affatto un medico;
- un medico (forse) serve solo ad un corpo "malato".
Cioè, mi sembra alquanto incongruo confondere la condizione patologica con quella fisiologica; sarebbe come dire che, per respirare, i polmoni hanno bisogno della ventilazione artificiale anche quando funzionano perfettamente per conto loro.
Ma vediamo dove vuole andare a parare Socrate.

14)
Socrate dice:
«Allora la medicina in sé vale poco, oppure anche altre arti hanno bisogno talvolta di una qualità, come gli occhi hanno bisogno della vista e le orecchie dell'udito, e perciò necessitano, oltre che di questi organi, di un'arte che ricerchi e procuri ciò che serve al loro funzionamento? C'è dunque un difetto nell'arte stessa, e ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra dello stesso genere, e così all'infinito? O l'arte ricercherà da sé ciò che le serve? Oppure non ha bisogno né di se stessa né di un'altra per ricercare ciò che è utile a sanare il proprio difetto, poiché non ci sono difetti o errori in nessuna arte; e a un'arte spetta di ricercare l'utile solo per ciò che la concerne come arte, ma ciascuna arte in sé, se è autentica, non conosce danno o contaminazione finché resta qual è nella sua perfetta integrità? Esamina il problema col rigore di cui parlavi: le cose stanno così o diversamente?» 
COMMENTO
Sinceramente, a me pare uno sproloquio privo di senso, a meno che non serva a predisporre un'altra trappola dialettica per l'interlocutore; anche se, per il momento, io non la intravedo ancora!
Ed invero, a mio parere, non è affatto un "difetto" dell'arte, se ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra; ad esempio, non è è affatto un "difetto" dell'arte dentistica, quella di dover ricorrere all'arte dell'odontotecnico, e, questo, all'arte del protesiologo e così via.
E' vero che, all'epoca di Socrate non esistevano tante specializzazioni quante ne esistono adesso; ma, anche allora, l'arte guerriera necessitava dell'arte metallurgica, quella del cantore dell'accordatore di lira ecc.
Quindi, a me sembra normale che determinate arti vengano supportate da altre, senza che, per questo, le prime possano essere in alcun modo considerate "difettose".
Ma, forse, io ho frainteso ciò che Socrate intendeva dire...per cui andiamo avanti.

15)
«Pare che stiano così», Trasimaco conviene. «Pertanto», continua Socrate, «la medicina ricerca ciò che è utile non alla medicina, ma al corpo». «Sì», ammette Trasimaco. «E l'ippica ricerca ciò che è utile non all'ippica, ma ai cavalli; e nessun'altra arte ricerca l'utile proprio, giacché non ne ha bisogno, bensì l'utile di ciò che la concerne come arte». «Pare di sì», ammette Trasimaco. 
COMMENTO
Qui il discorso di Socrate si fa ancora più cervellotico!
Ed infatti, a prescindere dal fatto che, in medicina, agiscono soggetti diversi, alcuni dei quali dediti alla ricerca volta a migliorare l'arte medica in quanto tale, ed altri soggetti dediti esclusivamente a curare i corpi dei malati, anche a voler concedere che, all'epoca di Socrate, gli stessi soggetti si occupassero di entrambe le cose, mi sembra evidente che la ricerca di ciò che è utile alla medicina, è pur sempre "mediatamente" utile al corpo da guarire; cioè, "fuor di sofisma", ciò che è utile alla medicina, è utile anche al corpo da curare.
Lo stesso vale per l'ippica e per le altre arti, mi pare!
Ogni arte, cioè, se proprio vogliamo usare la terminologia di Socrate (che io trovo alquanto impropria), ricerca l'utile proprio proprio al fine di meglio procurare l'utile di ciò che la concerne come arte.

16
««Eppure, Trasimaco, le arti comandano e signoreggiano su ciò di cui sono arti». Dice Socrate, e Trasimaco Convenne anche su questo punto, con molta riluttanza. 
COMMENTO
Secondo me, personalizzare l'arte come se fosse un soggetto che "comanda" e "signoreggia", sia pure metaforicamente, è solo un espediente per confondere la carte in tavola.

17)
«Dunque nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa». Alla fine Trasimaco ammette anche questo, benché cercasse di far resistenza. 
COMMENTO
Io non lo avrei ammesso tanto facilmente, per vari motivi.
Innanzitutto, prima Socrate usava il termine "arte" (secondo me in modo assolutamente improprio), adesso, invece, senza renderci conto del cambiamento, in suo luogo usa il termine "scienza"; termine forse un po' più appropriato, anche se non del tutto, tenendo conto del tema. Ma, comunque, usa in modo sinonimico due concetti, a mio avviso, non omologabili.
In secondo luogo, un conto è dire, come faceva Trasimaco al principio, che i governanti tendono a far passare per "giusto" ciò che fa loro più comodo (o più "utile", se preferite), ed un altro conto è estendere impropriamente il discorso, come fa Socrate, ad altre attività, tipo quella del medico, che, con l'attività di governo non hanno niente a che vedere!
Anche tale genere di omologazione, a mio parere, è del tutto impropria!
Inoltre, che senso ha dire che "nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa"?
Ed infatti, mentre, in un certo senso, può anche essere lecito asserire che la "scienza di governo" impone (o non impone) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad essa, in quanto costui si trova suddito delle leggi emesse dal governante, questo non è vero per la maggior parte delle altre "scienze" (o "arti"), in quanto, chi le pratica non può imporre (o non imporre) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad esse; ed infatti, circa la musica, la danza, la pittura ecc., non c'è un soggetto forte che la pratica, ed un soggetto debole che la subisce, e così è per la maggior parte delle altre arti!

18)
Quando vede che Trasimaco è d'accordo,  Socrate riprende il filo del suo (sofistico) discorso: «Non è forse vero che nessun medico, per quanto è medico, ricerca e impone ciò che è utile al medico, bensì ciò che è utile all'ammalato? Abbiamo convenuto che il medico in senso stretto governa i corpi, ma non è un affarista. O non l'abbiamo convenuto?» 
Trasimaco lo ammette. «Quindi anche il timoniere in senso stretto è capo dei marinai, non un marinaio?» «Siamo d'accordo». «Perciò un simile timoniere e capo non ricercherà e non imporrà l'interesse del timoniere, ma quello del marinaio e di chi gli è soggetto». Trasimaco lo ammette con riluttanza. «Di conseguenza, Trasimaco», conclude Socrate, «nessun altro uomo in nessun posto di comando, in quanto capo, ricerca e impone il proprio interesse, bensì l'interesse di colui che gli è sottoposto e per il quale esercita la propria funzione, e tutte le sue parole e le sue azioni mirano all'utilità e alla convenienza di quello». 
COMMENTO
Socrate conclude il suo sillogismo paralogistico, omologando ciò che omologabile non è; ed infatti, per esempio, non si può certo dire che un medico sia in "un posto di comando" alla stessa stregua di come lo è un "governante politico":
- sia perchè il paziente non è obbligato ad obbedire alle sue prescrizioni, e può scegliere benissimo un altro medico in qualsiasi momento, mentre il governato no;
- sia perchè il medico non ha un contrasto di interessi con il suo paziente, mentre un governante (intendendo per esso anche una fazione o una classe sociale), potrebbe benissimo averne con i governati, e, quindi, gestendo il potere, tendere a fare il proprio interesse, e non quello dei sudditi.
Per cui, l'assimilazione della "scienza" o "arte" di governo alle altre "scienze" o "arti", è semplicemente un espediente dialettico, per far indebitamente prevalere la propria tesi. 
Peraltro, restando alla sola "scienza" o "arte" politica, nel dibattito tra Socrate e Trasimaco, spesso il primo tende a confondere il piano "deontologico" con con quello "ontologico": ed infatti, è ovvio che, "nel mondo ideale", chi governa, "NON DOVREBBE" ricercare e imporre il proprio interesse, bensì l'interesse dei governati,  per i quali esercita la propria funzione.
Bella scoperta!
Ma quello che Trasimaco intendeva dire è che, a parte ciò che un governante dovrebbe fare "in teoria", di fatto non è quasi mai quello che fa "in pratica"; in quanto, appunto, in pratica, l'esperienza ci insegna che chi è al potere (democratico o meno che sia), tende a perseguire se non addirittura il proprio interesse personale, quantomeno l'interesse particolare del suo partito e/o della sua classe sociale.
E, avendone la "forza" (politica, militare e propagandistica), cerca, più o meno consapevolmente, di far passare i propri interessi, come il "GIUSTO" per tutti!
Forse Trasimaco, per farsi capire meglio da Socrate, non avrebbe dovuto dire che "Il giusto è l'utile del più forte", bensì che  "L'utile del più forte, è ciò che quest'ultimo cerca di contrabbandere come se fosse il Giusto".

19)
Quando arrivammo a questo punto della discussione e appariva evidente a tutti che la definizione di giustizia si era convertita nel suo contrario, Trasimaco, anziché rispondere, domanda: «Dimmi, Socrate: tu hai una balia?» «Cosa?», replica Socrate. «Non sarebbe meglio rispondere piuttosto che fare simili domande?» «Il fatto è», disse, «che ti lascia con il moccio al naso e non te lo soffia quando ne hai bisogno; e per merito suo tu non sai neanche riconoscere le pecore dal pastore». «E perché mai?», chiede Socrate. «Perché pensi che i pastori o i bovari ricerchino il bene delle pecore o dei buoi, e li ingrassino e li curino con uno scopo diverso dal bene proprio e dei loro padroni; allo stesso modo credi che i governanti delle città, quelli che detengono realmente il potere, abbiano verso i sudditi un atteggiamento diverso da quello che si può avere con le pecore, e ricerchino giorno e notte qualcos'altro che il modo di trarne un vantaggio personale. E hai fatto tanti progressi nei concetti di giusto e dì giustizia, di ingiusto e di ingiustizia, da ignorare che la giustizia e il giusto sono in realtà un bene altrui, cioè l'interesse di chi è più forte e comanda, e un male proprio di chi obbedisce e serve, mentre l'ingiustizia comanda su chi è veramente ingenuo e giusto, e i sudditi fanno l'interesse del più forte e lo rendono felice mettendosi al suo servizio, ma non procurano il benché minimo vantaggio a se stessi. Devi considerare, sciocco di un Socrate, che in ogni circostanza un uomo giusto ottiene meno di uno ingiusto. Innanzi tutto, nei contratti privati, quando due persone del genere si mettono in società, allo scioglimento del rapporto non troverai mai che il giusto possieda di più dell'ingiusto: possederà di meno; poi, nei rapporti con lo Stato, quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno, quando invece c'è da prendere l'uno non ricava nulla, l'altro ricava molto. E nel caso ricoprano entrambi una carica, il giusto, anche se non gli capita nessun altro guaio, subisce un danno negli interessi personali perché li ha trascurati e non ricava vantaggio dalla cosa pubblica per il fatto che è giusto, e oltre a ciò diviene inviso a familiari e conoscenti, se non è disposto a favorirli contro giustizia. 
All'ingiusto invece capita l'esatto contrario: mi riferisco, come dicevo poco fa, a chi sa imporsi sugli altri. Lo capirai nel modo più facile se giungerai all'ingiustizia più perfetta, che rende felicissimo chi la commette, e infelicissimi quanti la subiscono e non vorrebbero comportarsi ingiustamente. E la tirannide, che non si appropria dei beni altrui, sacri e profani, privati e pubblici, poco a poco, con l'inganno e la violenza, ma prende tutto in una volta. Se uno viene sorpreso a commettere ingiustizia in un singolo ambito, viene punito e riceve il massimo biasimo: non a caso coloro che si macchiano di queste colpe una alla volta sono chiamati sacrileghi, schiavisti, scassinatori, rapinatori, ladri. Ma quando uno ha ridotto in schiavitù i propri concittadini, oltre a essersi appropriato delle loro ricchezze, invece di questi nomi infamanti guadagna la reputazione di uomo felice e beato, non solo da parte dei concittadini, ma anche di chiunque altro venga a sapere che ha commesso l'ingiustizia più completa; infatti coloro che biasimano l'ingiustizia la biasimano per il timore non di farla, ma di subirla. Così, Socrate, l'ingiustizia, quando si realizza in misura adeguata, è una cosa più forte, più libera, più potente della giustizia, e come ho detto dall'inizio il giusto è l'interesse del più forte, l'ingiusto giova e conviene a se stesso». 
COMMENTO
Quella di Trasimaco, è una fotografia forse un po' troppo cinica e spietata della realtà; ma non si può negare che (almeno nella maggior parte dei casi) colga quasi sempre nel segno!
Oggi come allora, per esempio, chi mai potrebbe  negare che: "...quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno!"; e lo stesso, indubbiamente, vale anche per MOLTE sue altre affermazioni, sebbene, a mio avviso, non proprio tutte.
Vediamo come reagiscono gli altri partecipanti al dibattito.
#5655
1)
«Ascolta», dice Trasimaco «Io affermo che il giusto non è altro che l'interesse del più forte. Perché non mi lodi? Certo non vorrai!». «Lascia prima che intenda il senso delle tue parole», risponde Socrate, «perché non lo capisco ancora. Tu affermi che il giusto è l'interesse del più forte. Ma perché mai dici questo, Trasimaco? Di sicuro non vuoi dire una cosa del genere: che se Polidamante, il lottatore di pancrazio, è più forte di noi e al suo corpo giova la carne di bue, questo cibo è vantaggioso e giusto anche per noi, che siamo inferiori a lui». 
COMMENTO
Socrate fa ricorso ad uno sfacciato espediente sofistico, perchè è ovvio che "il giusto" a cui si riferisce Trasimaco va inteso nel senso etico di "giustizia", e non nel senso di "opportuno" e "conveniente" dal punto di vista dietetico; si tratta, cioè, da parte di Socrate, di un mero trucco semantico, talmente elementare che, a mio avviso, il suo scopo non era affatto quello di "persuadere" l'avversario, bensì, semplicemente, di "irritarlo".
In buona sostanza, cioè, Socrate sta mettendo in pratica lo STRATAGEMMA N . 8 de "L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE", di Arthur Schopenhauer, il quale consiste nel: "Suscitare l'ira dell'avversario, perché nell'ira egli non è più in condizione di giudicare rettamente e di percepire il proprio vantaggio. Si provoca la sua ira facendogli apertamente torto, tormentandolo e, in generale, comportandosi in modo sfacciato."
Il fatto che Socrate ricorra a tale (in verità alquanto discutibile) espediente retorico, secondo me ci lascia intuire una cosa molto importante; e, cioè, che, "probabilmente", in questo caso Platone ci sta riportando quasi in modo stenografico una disputa verbale, quasi "tel quel", così come effettivamente avvenne tra Socrate e Trasimaco.  

2)
«Sei disgustoso, Socrate!», esclama Trasimaco. «Interpreti il discorso in modo da stravolgerlo completamente!». «Nient'affatto, esimio!», replica Socrate. «Esprimi tu più chiaramente cosa intendi dire!» 
COMMENTO
Lo stratagemma di Socrate (ovvero quello n.8 di Schopenhauer), ha effetto, perchè Trasimaco comincia a perdere un po' le staffe.

3)
«Allora non sai», dice Trasimaco «che alcune città sono governate da tiranni, altre hanno un regime democratico, altre ancora un regime aristocratico?» «Come no?» «E in ogni città non comanda la forza che è al governo?» «Naturalmente». «E ogni governo stabilisce le leggi in base al proprio utile: la democrazia istituisce leggi democratiche, la tirannide leggi tiranniche, e così gli altri governi; e una volta che le hanno stabilite proclamano ai sudditi che il proprio utile è giusto e puniscono chi lo trasgredisce come persona che viola le leggi e commette ingiustizia. Questo, carissimo, è ciò che io chiamo il giusto, lo stesso per tutte le città: l'interesse del potere costituito. Esso ha dalla sua la forza, tanto che, se si fa un ragionamento corretto, il giusto si identifica ovunque con l'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il discorso di Trasimaco, secondo me, non fa una piega, almeno stando alla prevalente realtà storica; sebbene, come è tipico di quel periodo, Trasimaco tende un po' troppo ad omologare ciò che è "giusto" e ciò che, invece, è soltanto "legale"...due cose che, a mio avviso, non necessariamente coincidono!
Ed infatti, "violare le leggi", non necessariamente significa "commettere ingiustizia"; come l'Antigone di Sofocle ci insegna, e come ci insegnano gli esempi dei tanti che violarono le "leggi razziali" in nome, appunto, della "giustizia".
Io gli avrei obiettato questo.
Ma sentiamo, invece, cosa gli obietta Socrate.

4)
«Ora ho capito il senso della tua affermazione», dice Socrate, «e cercherò di capire se è vera o no. Dunque anche tu, Trasimaco, hai risposto che il giusto è l'interesse; eppure mi avevi proibito di rispondere così. C'è però un'aggiunta: "del più forte"». «Un'aggiunta da poco, forse!», aggiunge. «Non è ancora chiaro neanche se sia importante; è però chiaro che bisogna esaminare se dici il vero. Anch'io infatti riconosco che il giusto è qualcosa di utile, ma tu, con la tua aggiunta, dici che lo è per il più forte; e io non ne sono sicuro. Perciò bisogna esaminare questo punto». «Esamina pure!»
COMMENTO
Anche in questo caso, sia Trasimaco che Socrate tendono un po' troppo ad omologare concetti alquanto diversi, o comunque, non necessariamente "sovrapponibili": come, appunto, il "giusto" e l'"utile".
Ed invero, secondo me, occorre distinguere tra:
a) GIUSTIZIA,  che, almeno in via di principio, consiste nel "dare a ciascuno il suo", o, come più dettagliatamente e magistralmente enuncia  Eneo Domizio Ulpiano nelle sue Regole: "La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo".
Tale concetto, però, è soggetto anche ad altri tipi di definizione, sia concettuali sia meramente semantici; così come meglio si vedrà in seguito.
b) UTILITA', che consiste nella idoneità, efficacia e proficuità  di determinati mezzi   per raggiungere determinati scopi,  i quali possono essere giusti, ingiusti o del tutto neutri; ad esempio, un buon vocabolario è utile per evitare errori di grammatica.
Quindi, almeno a mio parere, a differenza del concetto di "giusto", che fondamentalmente attiene ai "FINI", il concetto di "utile",  fondamentalmente attiene ai MEZZI, che possono essere utilizzati per gli scopi più diversi.
Perciò, quando Socrate dice: "Il giusto è qualcosa di utile", io obietterei:
- il vero "giusto" è fine a se stesso, quindi non è "utile" a niente;
- posto che fosse  "utile"  a qualcosa, diventando un "mezzo", perderebbe la sua caratteristica fondamentale, sebbene il suo scopo potrebbe essere egualmente encomiabile (ad es., la pace sociale).
Chiarito questo punto, sembra che sia Trasimaco che Socrate concordino nell'identificare il "giusto" con "l'interesse"; cosa, invero, molto discutibile, in quanto, se io trovassi un portafoglio in terra con i documenti del proprietario, non c'è dubbio che sarebbe mio "interesse" tenermi i soldi, però saprei BENISSIMO che, invece, sarebbe "giusto" restituirli al proprietario.
"Cuique suum!"
Ma, per il momento, sorvoliamo su tale punto, e concentriamoci sul fatto che Socrate vuole ora discutere circa l'"interesse" di chi; forse del "più forte", come dice Trasimaco?
O di chi altro, sennò?

5) 
Socrate domanda: «Rispondimi, dunque: non affermi anche che è giusto obbedire ai governanti?» «Certamente!». «Ma in ogni città i governanti sono infallibili e possono anche sbagliare?» «Sicuramente possono anche sbagliare», risponde. «Perciò, quando si mettono a istituire le leggi, alcuni le istituiscono correttamente, altri no?» «Credo di sì». «E legiferare bene significa stabilire ciò che per loro è utile, legiferare male stabilire ciò che per loro è svantaggioso? O com'è che poni la questione?» «Così». «Ma i sudditi devono fare ciò che essi stabiliscono, e questo è il giusto?» «Come no?» «Dunque, secondo il tuo ragionamento, è giusto fare non solo l'interesse del più forte, ma anche il suo contrario, ossia ciò che gli è svantaggioso». «Che cosa vuoi dire?», domandò. 
COMMENTO
Così come pure suggerisce Aristotele (in Topici,VIII, 1), qui Socrate si attiene allo strategemma dialettico per cui, quando si vuole trarre una certa conclusione non la si lascia prevedere, ma si fa in modo che l'avversario ne ammetta, senza accorgersene, le premesse.

6)
«Quello che dici tu, mi sembra; comunque esaminiamo meglio la questione. Non si è convenuto che i governanti, quando impongono ai sudditi di fare determinate cose, a volte non colgono nel segno riguardo a ciò che è meglio per loro, ma d'altra parte è giusto che i sudditi facciano ciò che ordinano i governanti? Non si è convenuto questo?» «Credo di sì», risponde. «Considera allora», proseguii, «che per tua ammissione è giusto fare anche ciò che è svantaggioso ai governanti e ai più forti, quando essi danno senza volerlo ordini contrari al proprio utile; ma d'altro canto tu sostieni che è giusto eseguire ciò che essi ordinano. Allora, sapientissimo Trasimaco, non ne consegue inevitabilmente che sia giusto fare il contrario di ciò che tu dici? Infatti al più debole si impone senz'altro di fare ciò che è svantaggioso al più forte». 
COMMENTO
Trasimaco, avendo accettato le "premesse", è ormai caduto nella trappola; per cui difficilmente, ora, potrà contestare le "conclusioni" che da tali premesse scaturiscono.
Praticamente, con il suo sottile ragionamento, Socrate prospetta una ETEROGENESI DEI FINI dell'ingiusto, cioè, quella che il filosofo e psicologo empirico Wilhelm Wundt sintetizza nell'espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».
Cioè, se un governo plutocratico ("il più forte") varasse una riforma fiscale a proprio "presunto" utile e vantaggio, ma, per un errore tecnico del proprio ministro delle finanze, essa, alla fine, si riverberasse a suo danno, per i sudditi sarebbe "giusto" adeguarsi alla legge di riforma varata dai plutocrati a loro presunto utile ma a loro sostanziale danno, ovvero sarebbe "giusto" non adeguarvisi, tenendo conto di quello che sarebbe l'effettivo utile e vantaggio del governo plutocratico?
Mi pare che Socrate intenda qualcosa del genere; ma a cosa ci porta questo?

7)
Sì, per Zeus», dice Polemarco, «questo è chiarissimo, Socrate!». «Se lo confermi con la tua testimonianza», interviene Clitofonte. «Che bisogno c'è di testimoni?», dice. «Lo stesso Trasimaco ammette che a volte i governanti danno ordini contrari al proprio utile, e comunque è giusto che i sudditi li eseguano». «Perché Trasimaco ha definito il giusto come l'eseguire gli ordini impartiti dai governanti, Polemarco». «E ha definito il giusto anche come l'interesse del più forte, Clitofonte. E una volta che ha posto questi due princìpi ha convenuto che talvolta i più forti impartiscono ai più deboli e ai sudditi ordini contrari ai propri interessi. Se si concede questo, ne consegue che l'interesse del più forte non potrà essere giusto più di ciò che gli è svantaggioso». 
COMMENTO
Polemarco sottolinea la contraddizione dell'assunto di Trasimaco, messa in evidenza da Socrate: se davvero il "giusto" consistesse nell'"interesse del più forte", i più deboli dovrebbero disobeddirgli quando il più forte, per errore, ordina cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
In effetti, si tratta di una questione alquanto pretestuosa, perchè quale mai sarebbe l'astratto principio in base al quale stabilire se il governante (forte) sta sbagliando oppure no, nel cercare di perseguire il suo interesse?
Cioè, posto che il "giusto" consista nell'"interesse del più forte", come fanno i più deboli a sapere con certezza che il più forte sta ordinando cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
Non potrebbero errare anche loro, nel considerare errati gli ordini del più forte, in quanto per lui "disutili"?
Insomma, per me, è un po' un serpente che si morde la coda.
Ma torniamo al dialogo!

8)
«Lui però», dice Clitofonte, «ha affermato che l'interesse del più forte è ciò che il più forte ritiene utile per sé: questo deve fare il più debole, e questa è la definizione che è stata data di giusto». «Ma non si è espresso in questi termini!», ribatte Polemarco. «Non fa differenza, Polemarco», interviene Socrate. «Se ora Trasimaco la pensa così, accettiamo questa sua definizione. Ma tu dimmi, Trasimaco: era questo ciò che intendevi per giusto, ovvero ciò che sembra utile al più forte, che lo sia davvero o no? Dobbiamo dire che questa è la tua posizione?» 
COMMENTO
Socrate tenta di inchiodare Trasimaco alla sua contraddizione, sebbene anche il suo assunto, secondo me, ha un punto debole; che vuol dire "che lo sia davvero o no?"
In tal modo, infatti, si "decontestualizza" il problema, confondendo il piano concreto con quello astratto.

9)
«Nient'affatto!», replica Trasimaco. «Credi forse che io chiami più forte chi sbaglia proprio quando sbaglia?» «Per la verità», obietta Socrate, «credevo che tu dicessi proprio questo, quando hai ammesso che i governanti non sono infallibili, ma possono sbagliare in qualcosa». «Nei discorsi, Socrate, sei proprio un sicofante!», ribatte Trasimaco. «Ad esempio, tu chiami medico chi sbaglia a proposito degli ammalati per il fatto stesso che sbaglia? O computista chi sbaglia a fare i calcoli proprio nel momento in cui sbaglia, in virtù di questo errore? Mi sembrano piuttosto modi di dire le frasi del tipo il medico ha sbagliato, il computista ha sbagliato, lo scrivano ha sbagliato, ma secondo me ciascuno di loro, per quanto risponde alla definizione che diamo di lui, non sbaglia mai; perciò, a rigore di termini, dato che anche tu fai il meticoloso, nessun artigiano sbaglia. Chi sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, e in ciò non è un artigiano; di conseguenza nessun artigiano o sapiente o governante sbaglia quando è tale, sebbene chiunque possa dire che il medico o il governante ha sbagliato. In tal senso, quindi, interpreta ora la mia risposta. L'espressione più esatta è però la seguente: chi governa, per quanto è governante, non sbaglia e stabilisce senza sbagliare ciò che è meglio per sé, e al suddito tocca eseguirlo. Perciò, come dicevo dall'inizio, considero giusto agire nell'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il ragionamento di Trasimaco, in questo punto, diventa alquanto contorto.
Ed infatti, se è in parte vero che l'artigiano che sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, ciò non significa affatto che, per tale motivo, quando sbaglia non sia pur sempre un artigiano; ed infatti, non bisogna confondere ciò che si è (artigiano), con ciò che si fa (il prodotto della propria arte)...che può essere fatto bene o male, ma questo non cambia affatto la qualifica del soggetto agente.
Di conseguenza, secondo me, sia un artigiano, sia un sapiente sia un governante può benissimo sbagliare, pur restando tale.
Comunque, a questo punto, i due si mettono un po' a battibeccare come due comari.

10)
«Va bene, Trasimaco», dice Socrate. «Ti pare che io faccia il sicofante?» «Ma certo!», risponde quello. «Credi dunque che io ti abbia posto la domanda così per usare di proposito dei giri di parole?» «Ne sono sicuro!», ribatte (n.d.a. e non ha tutti i torti). «E non ti servirà a nulla, poiché non potrai sfuggirmi nei tuoi raggiri, e neppure sopraffarmi nella discussione senza che io me ne accorga». «Ma non ci proverei neanche, beato!», cerca di calmarlo Socrate. «Tuttavia, per evitare che una cosa del genere si ripeta, definisci se stai parlando del governante e del più forte "in maniera generica" o nel "senso stretto del termine", come hai fatto ora, precisando quale dei due è il più forte nel cui interesse sarà giusto che il più debole agisca».
COMMENTO
Se ho ben compreso, sia Socrate che Trasimaco intendono il governate ed il più forte "in maniera generica" quando può sbagliare, o "nel senso stretto del termine", quando non può sbagliare; distinzione che a me, sinceramente, pare alquanto astratta. 
Mi ricorda un po' (in un certo senso) il "mito della caverna", per cui:
- il governante nel "senso stretto del termine", sarebbe una sorta di "governante IDEALE", il quale, per sua natura, almeno "nel mondo delle idee", non potrebbe mai sbagliare;
- il governante "in maniera generica", invece, sarebbe la sua ombra sul fondo della caverna, e, cioè, un qualsiasi "governante CONCRETO".