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Messaggi - Eutidemo

#5656
11)
 «Sto parlando del governante nel senso più stretto del termine», risponde Trasimaco. «Contrasta pure questa mia affermazione con giri di parole e calunnie, se ne sei capace, io non mi tiro indietro; ma non ci riuscirai». «Credi che io», replica Socrate, «sia così pazzo da tentare di tosare un leone e calunniare Trasimaco?» «Ma se hai cercato di farlo proprio ora», ribatte Trasimaco, «senza riuscire neanche in questo!». «Basta con simili discorsi!», taglia corto Socrate. 
COMMENTO
E fa bene a tagliare corto, perchè certe rimostranze di Trasimaco cominciano a diventare un po' stucchevoli; sebbene esse non siano del tutto infondate.

12)
«Piuttosto dimmi: il medico nel senso stretto del termine, di cui parlavi poco fa, è un affarista o uno che cura gli ammalati? Parla solo di chi è davvero medico». «Uno che cura gli ammalati», risponde. «E il timoniere? Chi è veramente timoniere è un capo di marinai o un marinaio?» «Un capo di marinai». «Non bisogna tener conto, credo, del fatto che egli si trova a bordo della nave, e chiamarlo per questo marinaio; infatti non si chiama timoniere perché naviga, ma per la sua arte e la sua autorità sui marinai». «E' vero», ammette Trasimaco. «Ciascuno di loro non ha un proprio interesse?» «Certamente». «E anche la loro arte», aggiunsi, «non ha per sua natura lo scopo di cercare e procurare a ciascuno il proprio utile?» «Sì, ha questo scopo», risponde Trasimaco. 
«E ogni arte ha forse un interesse diverso da quello di essere il più possibile perfetta?» «Che cosa significa questa domanda?» chiede Trasimaco.
COMMENTO
Lo chiederei anche io a Socrate, perchè la domanda mi pare alquanto malposta; ed infatti l'interesse di ogni arte è di produrre ciò a cui a destinata, ma, quello di riuscire a farlo in modo perfetto, è soltanto un desiderio dell'artista, e NON il fine specifico di una determinata arte.
Ma forse sono io che ho capito male...vediamo come ce lo spiega lui.

13) 
«Ad esempio», spiega Socrate, «se mi chiedessi se al corpo basta essere corpo o ha bisogno di qualcos'altro, risponderei: "Ne ha bisogno senz'altro! L'arte medica è stata inventata proprio per questo, perché il corpo è debole e non gli basta essere così com'è. Pertanto quest'arte è stata istituita per procurargli ciò che gli serve". Mi sembra che avrei ragione a parlare così; o no?» «Sì, avresti ragione», risponde Trasimaco. 
COMMENTO
Io, invece, non sarei tanto d'accordo, in quanto:
- al corpo "sano" basta benissimo essere così com'è, e non gi serve affatto un medico;
- un medico (forse) serve solo ad un corpo "malato".
Cioè, mi sembra alquanto incongruo confondere la condizione patologica con quella fisiologica; sarebbe come dire che, per respirare, i polmoni hanno bisogno della ventilazione artificiale anche quando funzionano perfettamente per conto loro.
Ma vediamo dove vuole andare a parare Socrate.

14)
Socrate dice:
«Allora la medicina in sé vale poco, oppure anche altre arti hanno bisogno talvolta di una qualità, come gli occhi hanno bisogno della vista e le orecchie dell'udito, e perciò necessitano, oltre che di questi organi, di un'arte che ricerchi e procuri ciò che serve al loro funzionamento? C'è dunque un difetto nell'arte stessa, e ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra dello stesso genere, e così all'infinito? O l'arte ricercherà da sé ciò che le serve? Oppure non ha bisogno né di se stessa né di un'altra per ricercare ciò che è utile a sanare il proprio difetto, poiché non ci sono difetti o errori in nessuna arte; e a un'arte spetta di ricercare l'utile solo per ciò che la concerne come arte, ma ciascuna arte in sé, se è autentica, non conosce danno o contaminazione finché resta qual è nella sua perfetta integrità? Esamina il problema col rigore di cui parlavi: le cose stanno così o diversamente?» 
COMMENTO
Sinceramente, a me pare uno sproloquio privo di senso, a meno che non serva a predisporre un'altra trappola dialettica per l'interlocutore; anche se, per il momento, io non la intravedo ancora!
Ed invero, a mio parere, non è affatto un "difetto" dell'arte, se ciascuna arte ha bisogno di un'altra arte che ricerchi ciò che le serve, e questa ne richiede a sua volta un'altra; ad esempio, non è è affatto un "difetto" dell'arte dentistica, quella di dover ricorrere all'arte dell'odontotecnico, e, questo, all'arte del protesiologo e così via.
E' vero che, all'epoca di Socrate non esistevano tante specializzazioni quante ne esistono adesso; ma, anche allora, l'arte guerriera necessitava dell'arte metallurgica, quella del cantore dell'accordatore di lira ecc.
Quindi, a me sembra normale che determinate arti vengano supportate da altre, senza che, per questo, le prime possano essere in alcun modo considerate "difettose".
Ma, forse, io ho frainteso ciò che Socrate intendeva dire...per cui andiamo avanti.

15)
«Pare che stiano così», Trasimaco conviene. «Pertanto», continua Socrate, «la medicina ricerca ciò che è utile non alla medicina, ma al corpo». «Sì», ammette Trasimaco. «E l'ippica ricerca ciò che è utile non all'ippica, ma ai cavalli; e nessun'altra arte ricerca l'utile proprio, giacché non ne ha bisogno, bensì l'utile di ciò che la concerne come arte». «Pare di sì», ammette Trasimaco. 
COMMENTO
Qui il discorso di Socrate si fa ancora più cervellotico!
Ed infatti, a prescindere dal fatto che, in medicina, agiscono soggetti diversi, alcuni dei quali dediti alla ricerca volta a migliorare l'arte medica in quanto tale, ed altri soggetti dediti esclusivamente a curare i corpi dei malati, anche a voler concedere che, all'epoca di Socrate, gli stessi soggetti si occupassero di entrambe le cose, mi sembra evidente che la ricerca di ciò che è utile alla medicina, è pur sempre "mediatamente" utile al corpo da guarire; cioè, "fuor di sofisma", ciò che è utile alla medicina, è utile anche al corpo da curare.
Lo stesso vale per l'ippica e per le altre arti, mi pare!
Ogni arte, cioè, se proprio vogliamo usare la terminologia di Socrate (che io trovo alquanto impropria), ricerca l'utile proprio proprio al fine di meglio procurare l'utile di ciò che la concerne come arte.

16
««Eppure, Trasimaco, le arti comandano e signoreggiano su ciò di cui sono arti». Dice Socrate, e Trasimaco Convenne anche su questo punto, con molta riluttanza. 
COMMENTO
Secondo me, personalizzare l'arte come se fosse un soggetto che "comanda" e "signoreggia", sia pure metaforicamente, è solo un espediente per confondere la carte in tavola.

17)
«Dunque nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa». Alla fine Trasimaco ammette anche questo, benché cercasse di far resistenza. 
COMMENTO
Io non lo avrei ammesso tanto facilmente, per vari motivi.
Innanzitutto, prima Socrate usava il termine "arte" (secondo me in modo assolutamente improprio), adesso, invece, senza renderci conto del cambiamento, in suo luogo usa il termine "scienza"; termine forse un po' più appropriato, anche se non del tutto, tenendo conto del tema. Ma, comunque, usa in modo sinonimico due concetti, a mio avviso, non omologabili.
In secondo luogo, un conto è dire, come faceva Trasimaco al principio, che i governanti tendono a far passare per "giusto" ciò che fa loro più comodo (o più "utile", se preferite), ed un altro conto è estendere impropriamente il discorso, come fa Socrate, ad altre attività, tipo quella del medico, che, con l'attività di governo non hanno niente a che vedere!
Anche tale genere di omologazione, a mio parere, è del tutto impropria!
Inoltre, che senso ha dire che "nessuna scienza ricerca e impone l'interesse del più forte, bensì quello di chi è più debole e soggetto ad essa"?
Ed infatti, mentre, in un certo senso, può anche essere lecito asserire che la "scienza di governo" impone (o non impone) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad essa, in quanto costui si trova suddito delle leggi emesse dal governante, questo non è vero per la maggior parte delle altre "scienze" (o "arti"), in quanto, chi le pratica non può imporre (o non imporre) l'interesse del "più forte", rispetto a chi è "più debole" e soggetto ad esse; ed infatti, circa la musica, la danza, la pittura ecc., non c'è un soggetto forte che la pratica, ed un soggetto debole che la subisce, e così è per la maggior parte delle altre arti!

18)
Quando vede che Trasimaco è d'accordo,  Socrate riprende il filo del suo (sofistico) discorso: «Non è forse vero che nessun medico, per quanto è medico, ricerca e impone ciò che è utile al medico, bensì ciò che è utile all'ammalato? Abbiamo convenuto che il medico in senso stretto governa i corpi, ma non è un affarista. O non l'abbiamo convenuto?» 
Trasimaco lo ammette. «Quindi anche il timoniere in senso stretto è capo dei marinai, non un marinaio?» «Siamo d'accordo». «Perciò un simile timoniere e capo non ricercherà e non imporrà l'interesse del timoniere, ma quello del marinaio e di chi gli è soggetto». Trasimaco lo ammette con riluttanza. «Di conseguenza, Trasimaco», conclude Socrate, «nessun altro uomo in nessun posto di comando, in quanto capo, ricerca e impone il proprio interesse, bensì l'interesse di colui che gli è sottoposto e per il quale esercita la propria funzione, e tutte le sue parole e le sue azioni mirano all'utilità e alla convenienza di quello». 
COMMENTO
Socrate conclude il suo sillogismo paralogistico, omologando ciò che omologabile non è; ed infatti, per esempio, non si può certo dire che un medico sia in "un posto di comando" alla stessa stregua di come lo è un "governante politico":
- sia perchè il paziente non è obbligato ad obbedire alle sue prescrizioni, e può scegliere benissimo un altro medico in qualsiasi momento, mentre il governato no;
- sia perchè il medico non ha un contrasto di interessi con il suo paziente, mentre un governante (intendendo per esso anche una fazione o una classe sociale), potrebbe benissimo averne con i governati, e, quindi, gestendo il potere, tendere a fare il proprio interesse, e non quello dei sudditi.
Per cui, l'assimilazione della "scienza" o "arte" di governo alle altre "scienze" o "arti", è semplicemente un espediente dialettico, per far indebitamente prevalere la propria tesi. 
Peraltro, restando alla sola "scienza" o "arte" politica, nel dibattito tra Socrate e Trasimaco, spesso il primo tende a confondere il piano "deontologico" con con quello "ontologico": ed infatti, è ovvio che, "nel mondo ideale", chi governa, "NON DOVREBBE" ricercare e imporre il proprio interesse, bensì l'interesse dei governati,  per i quali esercita la propria funzione.
Bella scoperta!
Ma quello che Trasimaco intendeva dire è che, a parte ciò che un governante dovrebbe fare "in teoria", di fatto non è quasi mai quello che fa "in pratica"; in quanto, appunto, in pratica, l'esperienza ci insegna che chi è al potere (democratico o meno che sia), tende a perseguire se non addirittura il proprio interesse personale, quantomeno l'interesse particolare del suo partito e/o della sua classe sociale.
E, avendone la "forza" (politica, militare e propagandistica), cerca, più o meno consapevolmente, di far passare i propri interessi, come il "GIUSTO" per tutti!
Forse Trasimaco, per farsi capire meglio da Socrate, non avrebbe dovuto dire che "Il giusto è l'utile del più forte", bensì che  "L'utile del più forte, è ciò che quest'ultimo cerca di contrabbandere come se fosse il Giusto".

19)
Quando arrivammo a questo punto della discussione e appariva evidente a tutti che la definizione di giustizia si era convertita nel suo contrario, Trasimaco, anziché rispondere, domanda: «Dimmi, Socrate: tu hai una balia?» «Cosa?», replica Socrate. «Non sarebbe meglio rispondere piuttosto che fare simili domande?» «Il fatto è», disse, «che ti lascia con il moccio al naso e non te lo soffia quando ne hai bisogno; e per merito suo tu non sai neanche riconoscere le pecore dal pastore». «E perché mai?», chiede Socrate. «Perché pensi che i pastori o i bovari ricerchino il bene delle pecore o dei buoi, e li ingrassino e li curino con uno scopo diverso dal bene proprio e dei loro padroni; allo stesso modo credi che i governanti delle città, quelli che detengono realmente il potere, abbiano verso i sudditi un atteggiamento diverso da quello che si può avere con le pecore, e ricerchino giorno e notte qualcos'altro che il modo di trarne un vantaggio personale. E hai fatto tanti progressi nei concetti di giusto e dì giustizia, di ingiusto e di ingiustizia, da ignorare che la giustizia e il giusto sono in realtà un bene altrui, cioè l'interesse di chi è più forte e comanda, e un male proprio di chi obbedisce e serve, mentre l'ingiustizia comanda su chi è veramente ingenuo e giusto, e i sudditi fanno l'interesse del più forte e lo rendono felice mettendosi al suo servizio, ma non procurano il benché minimo vantaggio a se stessi. Devi considerare, sciocco di un Socrate, che in ogni circostanza un uomo giusto ottiene meno di uno ingiusto. Innanzi tutto, nei contratti privati, quando due persone del genere si mettono in società, allo scioglimento del rapporto non troverai mai che il giusto possieda di più dell'ingiusto: possederà di meno; poi, nei rapporti con lo Stato, quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno, quando invece c'è da prendere l'uno non ricava nulla, l'altro ricava molto. E nel caso ricoprano entrambi una carica, il giusto, anche se non gli capita nessun altro guaio, subisce un danno negli interessi personali perché li ha trascurati e non ricava vantaggio dalla cosa pubblica per il fatto che è giusto, e oltre a ciò diviene inviso a familiari e conoscenti, se non è disposto a favorirli contro giustizia. 
All'ingiusto invece capita l'esatto contrario: mi riferisco, come dicevo poco fa, a chi sa imporsi sugli altri. Lo capirai nel modo più facile se giungerai all'ingiustizia più perfetta, che rende felicissimo chi la commette, e infelicissimi quanti la subiscono e non vorrebbero comportarsi ingiustamente. E la tirannide, che non si appropria dei beni altrui, sacri e profani, privati e pubblici, poco a poco, con l'inganno e la violenza, ma prende tutto in una volta. Se uno viene sorpreso a commettere ingiustizia in un singolo ambito, viene punito e riceve il massimo biasimo: non a caso coloro che si macchiano di queste colpe una alla volta sono chiamati sacrileghi, schiavisti, scassinatori, rapinatori, ladri. Ma quando uno ha ridotto in schiavitù i propri concittadini, oltre a essersi appropriato delle loro ricchezze, invece di questi nomi infamanti guadagna la reputazione di uomo felice e beato, non solo da parte dei concittadini, ma anche di chiunque altro venga a sapere che ha commesso l'ingiustizia più completa; infatti coloro che biasimano l'ingiustizia la biasimano per il timore non di farla, ma di subirla. Così, Socrate, l'ingiustizia, quando si realizza in misura adeguata, è una cosa più forte, più libera, più potente della giustizia, e come ho detto dall'inizio il giusto è l'interesse del più forte, l'ingiusto giova e conviene a se stesso». 
COMMENTO
Quella di Trasimaco, è una fotografia forse un po' troppo cinica e spietata della realtà; ma non si può negare che (almeno nella maggior parte dei casi) colga quasi sempre nel segno!
Oggi come allora, per esempio, chi mai potrebbe  negare che: "...quando ci sono tributi da pagare, a parità di mezzi l'uomo giusto paga di più, l'altro di meno!"; e lo stesso, indubbiamente, vale anche per MOLTE sue altre affermazioni, sebbene, a mio avviso, non proprio tutte.
Vediamo come reagiscono gli altri partecipanti al dibattito.
#5657
1)
«Ascolta», dice Trasimaco «Io affermo che il giusto non è altro che l'interesse del più forte. Perché non mi lodi? Certo non vorrai!». «Lascia prima che intenda il senso delle tue parole», risponde Socrate, «perché non lo capisco ancora. Tu affermi che il giusto è l'interesse del più forte. Ma perché mai dici questo, Trasimaco? Di sicuro non vuoi dire una cosa del genere: che se Polidamante, il lottatore di pancrazio, è più forte di noi e al suo corpo giova la carne di bue, questo cibo è vantaggioso e giusto anche per noi, che siamo inferiori a lui». 
COMMENTO
Socrate fa ricorso ad uno sfacciato espediente sofistico, perchè è ovvio che "il giusto" a cui si riferisce Trasimaco va inteso nel senso etico di "giustizia", e non nel senso di "opportuno" e "conveniente" dal punto di vista dietetico; si tratta, cioè, da parte di Socrate, di un mero trucco semantico, talmente elementare che, a mio avviso, il suo scopo non era affatto quello di "persuadere" l'avversario, bensì, semplicemente, di "irritarlo".
In buona sostanza, cioè, Socrate sta mettendo in pratica lo STRATAGEMMA N . 8 de "L'ARTE DI OTTENERE RAGIONE", di Arthur Schopenhauer, il quale consiste nel: "Suscitare l'ira dell'avversario, perché nell'ira egli non è più in condizione di giudicare rettamente e di percepire il proprio vantaggio. Si provoca la sua ira facendogli apertamente torto, tormentandolo e, in generale, comportandosi in modo sfacciato."
Il fatto che Socrate ricorra a tale (in verità alquanto discutibile) espediente retorico, secondo me ci lascia intuire una cosa molto importante; e, cioè, che, "probabilmente", in questo caso Platone ci sta riportando quasi in modo stenografico una disputa verbale, quasi "tel quel", così come effettivamente avvenne tra Socrate e Trasimaco.  

2)
«Sei disgustoso, Socrate!», esclama Trasimaco. «Interpreti il discorso in modo da stravolgerlo completamente!». «Nient'affatto, esimio!», replica Socrate. «Esprimi tu più chiaramente cosa intendi dire!» 
COMMENTO
Lo stratagemma di Socrate (ovvero quello n.8 di Schopenhauer), ha effetto, perchè Trasimaco comincia a perdere un po' le staffe.

3)
«Allora non sai», dice Trasimaco «che alcune città sono governate da tiranni, altre hanno un regime democratico, altre ancora un regime aristocratico?» «Come no?» «E in ogni città non comanda la forza che è al governo?» «Naturalmente». «E ogni governo stabilisce le leggi in base al proprio utile: la democrazia istituisce leggi democratiche, la tirannide leggi tiranniche, e così gli altri governi; e una volta che le hanno stabilite proclamano ai sudditi che il proprio utile è giusto e puniscono chi lo trasgredisce come persona che viola le leggi e commette ingiustizia. Questo, carissimo, è ciò che io chiamo il giusto, lo stesso per tutte le città: l'interesse del potere costituito. Esso ha dalla sua la forza, tanto che, se si fa un ragionamento corretto, il giusto si identifica ovunque con l'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il discorso di Trasimaco, secondo me, non fa una piega, almeno stando alla prevalente realtà storica; sebbene, come è tipico di quel periodo, Trasimaco tende un po' troppo ad omologare ciò che è "giusto" e ciò che, invece, è soltanto "legale"...due cose che, a mio avviso, non necessariamente coincidono!
Ed infatti, "violare le leggi", non necessariamente significa "commettere ingiustizia"; come l'Antigone di Sofocle ci insegna, e come ci insegnano gli esempi dei tanti che violarono le "leggi razziali" in nome, appunto, della "giustizia".
Io gli avrei obiettato questo.
Ma sentiamo, invece, cosa gli obietta Socrate.

4)
«Ora ho capito il senso della tua affermazione», dice Socrate, «e cercherò di capire se è vera o no. Dunque anche tu, Trasimaco, hai risposto che il giusto è l'interesse; eppure mi avevi proibito di rispondere così. C'è però un'aggiunta: "del più forte"». «Un'aggiunta da poco, forse!», aggiunge. «Non è ancora chiaro neanche se sia importante; è però chiaro che bisogna esaminare se dici il vero. Anch'io infatti riconosco che il giusto è qualcosa di utile, ma tu, con la tua aggiunta, dici che lo è per il più forte; e io non ne sono sicuro. Perciò bisogna esaminare questo punto». «Esamina pure!»
COMMENTO
Anche in questo caso, sia Trasimaco che Socrate tendono un po' troppo ad omologare concetti alquanto diversi, o comunque, non necessariamente "sovrapponibili": come, appunto, il "giusto" e l'"utile".
Ed invero, secondo me, occorre distinguere tra:
a) GIUSTIZIA,  che, almeno in via di principio, consiste nel "dare a ciascuno il suo", o, come più dettagliatamente e magistralmente enuncia  Eneo Domizio Ulpiano nelle sue Regole: "La giustizia consiste nella costante e perpetua volontà di attribuire a ciascuno il suo diritto. Le regole del diritto sono queste: vivere onestamente, non recare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo".
Tale concetto, però, è soggetto anche ad altri tipi di definizione, sia concettuali sia meramente semantici; così come meglio si vedrà in seguito.
b) UTILITA', che consiste nella idoneità, efficacia e proficuità  di determinati mezzi   per raggiungere determinati scopi,  i quali possono essere giusti, ingiusti o del tutto neutri; ad esempio, un buon vocabolario è utile per evitare errori di grammatica.
Quindi, almeno a mio parere, a differenza del concetto di "giusto", che fondamentalmente attiene ai "FINI", il concetto di "utile",  fondamentalmente attiene ai MEZZI, che possono essere utilizzati per gli scopi più diversi.
Perciò, quando Socrate dice: "Il giusto è qualcosa di utile", io obietterei:
- il vero "giusto" è fine a se stesso, quindi non è "utile" a niente;
- posto che fosse  "utile"  a qualcosa, diventando un "mezzo", perderebbe la sua caratteristica fondamentale, sebbene il suo scopo potrebbe essere egualmente encomiabile (ad es., la pace sociale).
Chiarito questo punto, sembra che sia Trasimaco che Socrate concordino nell'identificare il "giusto" con "l'interesse"; cosa, invero, molto discutibile, in quanto, se io trovassi un portafoglio in terra con i documenti del proprietario, non c'è dubbio che sarebbe mio "interesse" tenermi i soldi, però saprei BENISSIMO che, invece, sarebbe "giusto" restituirli al proprietario.
"Cuique suum!"
Ma, per il momento, sorvoliamo su tale punto, e concentriamoci sul fatto che Socrate vuole ora discutere circa l'"interesse" di chi; forse del "più forte", come dice Trasimaco?
O di chi altro, sennò?

5) 
Socrate domanda: «Rispondimi, dunque: non affermi anche che è giusto obbedire ai governanti?» «Certamente!». «Ma in ogni città i governanti sono infallibili e possono anche sbagliare?» «Sicuramente possono anche sbagliare», risponde. «Perciò, quando si mettono a istituire le leggi, alcuni le istituiscono correttamente, altri no?» «Credo di sì». «E legiferare bene significa stabilire ciò che per loro è utile, legiferare male stabilire ciò che per loro è svantaggioso? O com'è che poni la questione?» «Così». «Ma i sudditi devono fare ciò che essi stabiliscono, e questo è il giusto?» «Come no?» «Dunque, secondo il tuo ragionamento, è giusto fare non solo l'interesse del più forte, ma anche il suo contrario, ossia ciò che gli è svantaggioso». «Che cosa vuoi dire?», domandò. 
COMMENTO
Così come pure suggerisce Aristotele (in Topici,VIII, 1), qui Socrate si attiene allo strategemma dialettico per cui, quando si vuole trarre una certa conclusione non la si lascia prevedere, ma si fa in modo che l'avversario ne ammetta, senza accorgersene, le premesse.

6)
«Quello che dici tu, mi sembra; comunque esaminiamo meglio la questione. Non si è convenuto che i governanti, quando impongono ai sudditi di fare determinate cose, a volte non colgono nel segno riguardo a ciò che è meglio per loro, ma d'altra parte è giusto che i sudditi facciano ciò che ordinano i governanti? Non si è convenuto questo?» «Credo di sì», risponde. «Considera allora», proseguii, «che per tua ammissione è giusto fare anche ciò che è svantaggioso ai governanti e ai più forti, quando essi danno senza volerlo ordini contrari al proprio utile; ma d'altro canto tu sostieni che è giusto eseguire ciò che essi ordinano. Allora, sapientissimo Trasimaco, non ne consegue inevitabilmente che sia giusto fare il contrario di ciò che tu dici? Infatti al più debole si impone senz'altro di fare ciò che è svantaggioso al più forte». 
COMMENTO
Trasimaco, avendo accettato le "premesse", è ormai caduto nella trappola; per cui difficilmente, ora, potrà contestare le "conclusioni" che da tali premesse scaturiscono.
Praticamente, con il suo sottile ragionamento, Socrate prospetta una ETEROGENESI DEI FINI dell'ingiusto, cioè, quella che il filosofo e psicologo empirico Wilhelm Wundt sintetizza nell'espressione «conseguenze non intenzionali di azioni intenzionali».
Cioè, se un governo plutocratico ("il più forte") varasse una riforma fiscale a proprio "presunto" utile e vantaggio, ma, per un errore tecnico del proprio ministro delle finanze, essa, alla fine, si riverberasse a suo danno, per i sudditi sarebbe "giusto" adeguarsi alla legge di riforma varata dai plutocrati a loro presunto utile ma a loro sostanziale danno, ovvero sarebbe "giusto" non adeguarvisi, tenendo conto di quello che sarebbe l'effettivo utile e vantaggio del governo plutocratico?
Mi pare che Socrate intenda qualcosa del genere; ma a cosa ci porta questo?

7)
Sì, per Zeus», dice Polemarco, «questo è chiarissimo, Socrate!». «Se lo confermi con la tua testimonianza», interviene Clitofonte. «Che bisogno c'è di testimoni?», dice. «Lo stesso Trasimaco ammette che a volte i governanti danno ordini contrari al proprio utile, e comunque è giusto che i sudditi li eseguano». «Perché Trasimaco ha definito il giusto come l'eseguire gli ordini impartiti dai governanti, Polemarco». «E ha definito il giusto anche come l'interesse del più forte, Clitofonte. E una volta che ha posto questi due princìpi ha convenuto che talvolta i più forti impartiscono ai più deboli e ai sudditi ordini contrari ai propri interessi. Se si concede questo, ne consegue che l'interesse del più forte non potrà essere giusto più di ciò che gli è svantaggioso». 
COMMENTO
Polemarco sottolinea la contraddizione dell'assunto di Trasimaco, messa in evidenza da Socrate: se davvero il "giusto" consistesse nell'"interesse del più forte", i più deboli dovrebbero disobeddirgli quando il più forte, per errore, ordina cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
In effetti, si tratta di una questione alquanto pretestuosa, perchè quale mai sarebbe l'astratto principio in base al quale stabilire se il governante (forte) sta sbagliando oppure no, nel cercare di perseguire il suo interesse?
Cioè, posto che il "giusto" consista nell'"interesse del più forte", come fanno i più deboli a sapere con certezza che il più forte sta ordinando cose che, di fatto, contrastano con il suo interesse?
Non potrebbero errare anche loro, nel considerare errati gli ordini del più forte, in quanto per lui "disutili"?
Insomma, per me, è un po' un serpente che si morde la coda.
Ma torniamo al dialogo!

8)
«Lui però», dice Clitofonte, «ha affermato che l'interesse del più forte è ciò che il più forte ritiene utile per sé: questo deve fare il più debole, e questa è la definizione che è stata data di giusto». «Ma non si è espresso in questi termini!», ribatte Polemarco. «Non fa differenza, Polemarco», interviene Socrate. «Se ora Trasimaco la pensa così, accettiamo questa sua definizione. Ma tu dimmi, Trasimaco: era questo ciò che intendevi per giusto, ovvero ciò che sembra utile al più forte, che lo sia davvero o no? Dobbiamo dire che questa è la tua posizione?» 
COMMENTO
Socrate tenta di inchiodare Trasimaco alla sua contraddizione, sebbene anche il suo assunto, secondo me, ha un punto debole; che vuol dire "che lo sia davvero o no?"
In tal modo, infatti, si "decontestualizza" il problema, confondendo il piano concreto con quello astratto.

9)
«Nient'affatto!», replica Trasimaco. «Credi forse che io chiami più forte chi sbaglia proprio quando sbaglia?» «Per la verità», obietta Socrate, «credevo che tu dicessi proprio questo, quando hai ammesso che i governanti non sono infallibili, ma possono sbagliare in qualcosa». «Nei discorsi, Socrate, sei proprio un sicofante!», ribatte Trasimaco. «Ad esempio, tu chiami medico chi sbaglia a proposito degli ammalati per il fatto stesso che sbaglia? O computista chi sbaglia a fare i calcoli proprio nel momento in cui sbaglia, in virtù di questo errore? Mi sembrano piuttosto modi di dire le frasi del tipo il medico ha sbagliato, il computista ha sbagliato, lo scrivano ha sbagliato, ma secondo me ciascuno di loro, per quanto risponde alla definizione che diamo di lui, non sbaglia mai; perciò, a rigore di termini, dato che anche tu fai il meticoloso, nessun artigiano sbaglia. Chi sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, e in ciò non è un artigiano; di conseguenza nessun artigiano o sapiente o governante sbaglia quando è tale, sebbene chiunque possa dire che il medico o il governante ha sbagliato. In tal senso, quindi, interpreta ora la mia risposta. L'espressione più esatta è però la seguente: chi governa, per quanto è governante, non sbaglia e stabilisce senza sbagliare ciò che è meglio per sé, e al suddito tocca eseguirlo. Perciò, come dicevo dall'inizio, considero giusto agire nell'interesse del più forte». 
COMMENTO
Il ragionamento di Trasimaco, in questo punto, diventa alquanto contorto.
Ed infatti, se è in parte vero che l'artigiano che sbaglia lo fa quando viene meno la sua scienza, ciò non significa affatto che, per tale motivo, quando sbaglia non sia pur sempre un artigiano; ed infatti, non bisogna confondere ciò che si è (artigiano), con ciò che si fa (il prodotto della propria arte)...che può essere fatto bene o male, ma questo non cambia affatto la qualifica del soggetto agente.
Di conseguenza, secondo me, sia un artigiano, sia un sapiente sia un governante può benissimo sbagliare, pur restando tale.
Comunque, a questo punto, i due si mettono un po' a battibeccare come due comari.

10)
«Va bene, Trasimaco», dice Socrate. «Ti pare che io faccia il sicofante?» «Ma certo!», risponde quello. «Credi dunque che io ti abbia posto la domanda così per usare di proposito dei giri di parole?» «Ne sono sicuro!», ribatte (n.d.a. e non ha tutti i torti). «E non ti servirà a nulla, poiché non potrai sfuggirmi nei tuoi raggiri, e neppure sopraffarmi nella discussione senza che io me ne accorga». «Ma non ci proverei neanche, beato!», cerca di calmarlo Socrate. «Tuttavia, per evitare che una cosa del genere si ripeta, definisci se stai parlando del governante e del più forte "in maniera generica" o nel "senso stretto del termine", come hai fatto ora, precisando quale dei due è il più forte nel cui interesse sarà giusto che il più debole agisca».
COMMENTO
Se ho ben compreso, sia Socrate che Trasimaco intendono il governate ed il più forte "in maniera generica" quando può sbagliare, o "nel senso stretto del termine", quando non può sbagliare; distinzione che a me, sinceramente, pare alquanto astratta. 
Mi ricorda un po' (in un certo senso) il "mito della caverna", per cui:
- il governante nel "senso stretto del termine", sarebbe una sorta di "governante IDEALE", il quale, per sua natura, almeno "nel mondo delle idee", non potrebbe mai sbagliare;
- il governante "in maniera generica", invece, sarebbe la sua ombra sul fondo della caverna, e, cioè, un qualsiasi "governante CONCRETO".
#5658
"TRASIMACO" 
"Amicus Plato, sed magis amica veritas".
Domenica si vota, per cui, nell'ultima settimana pre-elettorale, ho ritenuto non inutile rileggere dopo tanto tempo (e per mio gusto commentare molto alla buona), il primo libro della REPUBBLICA di Platone; se volete, avete tutto sabato per dare un'occhiata anche voi!
Ricordo che, a circa undici o dodici anni di età, quando ancora ero un appassionato lettore di Topolino, non so come "mi punse vaghezza" di leggere qualcuno dei "DIALOGHI" di Platone; a posteriori, dubito fortemente che sia stata una buona idea, perchè non credo che sia una lettura molto adatta ad un ragazzo di quell'età...però ricordo che, pur capendoci poco, fu una lettura che mi piacque molto.
Mi dava molto ai nervi, però, di non poter partecipare direttamente alla discussione, dicendo anche la mia; per quel poco che potesse valere.
Non che adesso la mia opinione valga molto più di allora (ero un "enfant prodige", a tre anni avevo la stessa intelligenza che ho adesso :D ), però mi sono sono voluto togliere lo sfizio di "mettere bocca", molto alla buona, in uno dei dialoghi più intriganti, la "REPUBBLICA", e, in particolare, nella discussione tra Socrate e Trasimaco.
Sotto elezioni, infatti, trovo il tema molto appropriato, perchè ha un profilo politico molto intrigante; in sintesi, infatti, Trasimaco afferma che che il giusto non è altro che l'interesse del più forte (soprattutto in ambito politico, ma non solo), mentre Socrate contesta tale assunto.
Tale tema, invero, è trattato anche nel dialogo LEGGI (IV, 714c), laddove si sostiene e si contesta la tesi che il giusto sia l'utile del più forte, nel senso che nella "polis" le leggi sono poste sempre dal più forte, per conservarsi il governo e fare i propri interessi; quando si combatte per il potere, infatti, i vincitori si impadroniscono a tal punto degli affari della città da non lasciarne nulla (o quasi) agli sconfitti.
Ma, per ora, atteniamoci al dibattito con Trasimaco, che appare nel primo libro della "REPUBBLICA"; il testo di cui mi sono avvalso è il seguente, in modo che chiunque legga possa verificare la fonte su INTERNET:
http://www.ousia.it/content/Sezioni/Testi/PlatoneRepubblica.pdf
Però devo segnalare, per correttezza, che non ho confrontato tale testo con la versione originale in greco, per cui ho il sospetto che alcuni termini siano stati tradotti male; ed infatti, come si vedrà, talvolta il testo mi sembra assolutamente incongruo.
Mi riservo di fare un più accurato confronto in un secondo tempo, anche in seguito alle segnalazioni da voi ricevute.
Ho quindi frazionato il brano in sessanta "passi", ognuno dei quali con un mio breve commento; questo, per rendere più agevole la lettura...che, comunque, in molti punti diventa davvero alquanto farraginosa.
Ed infatti, Socrate, utilizza per lo più il seguente metodo "dialettico": quando vuole trarre una certa conclusione non la  lascia prevedere, ma  fa in modo che l'avversario ammetta senza accorgersene le premesse una per volta e in ordine sparso. 
Cioè, occulta il proprio gioco finché Trasimaco non abbia ammesso tutto ciò di cui  ha bisogno; e poi arriva al dunque partendo da lontano, secondo le regole suggerite da Aristotele (in Topici, VIII, 1), nonchè anche da Schopenauer ne "L'arte di ottenere ragione" (quarto stratagemma).
Per rendere i miei interventi più "realistici", visto che del dialogo in questione non ricordavo "pressochè" niente, mi sono astenuto dal rileggerlo in anticipo integralmente (o per riassunto) prima di commentarlo; in tal modo, quindi, la maggior parte dei miei commenti risultano più o meno gli stessi che avrei fatto se avessi assistito al dibattito in tempo reale ed in prima persona.
#5659
Ciaoooo Sgiombooooo!!!! :)
Che piacere risentirti!!!! :)
Non sono molto d'accordo ad omologare il concetto di "soprannaturale" con quello di "divino", perchè si tratta di concetti differenti; ed infatti (sempre ragionando in teoria), potrebbero esserci entità "soprannaturali", che, cioè, possiedono qualità "superiori" a quelle della natura umana, ma non per questo "divine", in quanto sono prive del connotato dell'"infinità".
In particolare, Satana non ha attributi  infiniti, almeno per la religione cristiana (salvo forse nell'eresia manichea), i quali, invece sono una caratteristica soltando di Dio! ;)
Però è vero che nel Mazdeismo sia l'entità benigna (Ahura Mazda) , che quella maligna (Ahriman), sono in usa situazione di sostanziale isostenia. ;)
#5660
Caro Epicurus, 
mi sa che siamo fondamentalmente d'accordo, ma non ci capiamo a causa delle mie troppo contorte e prolisse formule espressive.
1) 
Io ho detto che, se incontrassi qualcuno onnisciente, dovendo necessariamente trattarsi di un "essere infinito", mi parrebbe plausibile plausibile definirlo "di natura divina"; ho pure detto che, se per ipotesi tale essere avesse l'onniscienza, non per questo dovrebbe avere "ontologicamente" anche altre proprietà con grado infinito, perchè si tratta di cose diverse.
Ma ho solo detto che mi sembra plausibile supporlo, trattandosi di un essere divino; che non è logico presumere dotato di alcune qualità "infinite" ed altre, invece, "finite".
Che senso avrebbe un Dio onniscente, ma che non riesce a sollevare da solo neanche un sacco di patate?  ;D
Ma tutto questo lo dicevo solo per una sorta di "gioco intellettuale", non perchè io abbia una simile concezione della "divinità"!
2) 
Ok, devo vedere il LINK, ora, però, purtroppo non ho tempo.
Chiedo scusa.
3)
Giusta osservazione.
Ed infatti, come tu suggerisci, potrei chiedere, se mi interessasse una donna da sposare: "Considerando la mia idea di matrimonio felice, se io e quella donna ci sposassimo, avremmo un matrimonio felice?".
Se il genio mi rispondesse di NO, ovviamente, neanche proverei a chiederla in moglie.
Però, se il genio mi rispondesse di SI', ed io provassi a chiederla in moglie, ma lei mi rispondesse "picche" perchè ha un'opinione diversa da quella del genio...temo che passerei il resto della vita a rodermi il fegato! >:(
Quanto alla domanda "pragmatica" siamo d'accordo!!!!
#5661
Caro Inverno,
giustamente tu scrivi: "Personalmente penso che per considerare uomini queste specie, dovremmo fare dei rinvenimenti di arte (capacità avanzata di linguaggio) a loro attribuibili."
A dire il vero, ne abbiamo già fatti parecchi di tali ritrovamenti, tra cui quello di cui al seguente LINK è solo uno dei più recenti: 
https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/26796-uomo-neanderthal-pittura-rupestre
Quanto al flauto di Divje Babe, a cui accenni tu, se ne parla in quest'altro LINK.
http://storia-controstoria.org/paleolitico/flauto-di-neandertal-musica/
Tutti questi ritrovamenti, però, almeno a mio modesto parere, non ci danno la "certezza assoluta" che l'uomo di Neanderthal avesse davvero i requisiti minimi necessari per poter essere considerato un uomo come noi (sia pure molto primitivo), perchè alcuni reperti sono di dubbia interpretazione; diciamo però, che, almeno allo stato attuale della paleontologia, ce ne danno comunque una "certezza quasi assoluta".
Il che è già tanto! :)
Comunque anche io, al momento, penso che, forse, l'unica "specie" gettonabile (anche per la questione genetica) sia proprio quella di Neanderthal; però ho qualche dubbio anche per altre "specie". ::)
Ed invero, nel 2004, nell'isola di Flores, è stato rinvenuto un cranio di uomo primitivo risalente ad appena 18.000 anni fa, e, cioè, in epoca "protostorica";  esso, da parte di molti studiosi  è stato interpretato come la scoperta di una nuova specie umana, denominata "Homo Floresiensis". 
Avevano un cervello davvero minuscolo, ma questo non ha molta rilevanza, perchè, per esempio, il Neanderthal aveva un cervello più grande del nostro, ma ciò non vuol dire che fosse più intelligente di noi; ed invero, utensili litici rinvenuti nel sito, assieme ai reperti paleontologici suggeriscono che questi uomini avessero sviluppata una forma di cultura, nonostante le piccole dimensioni del loro cervello. 
Per altri ricercatori questi resti sono invece opera della specie di " homo erectus" vissuta anche essa sull'isola. 
Si tratta di una specie talmente recente, che alcuni antropologi ritengono che sparuti gruppi di "Floresiensis", denominati "Hobbit" dagli indigeni per le loro piccole dimensioni, possano ancora vivere in regioni forestali isolate dell'isola (Could 'Hobbit' Species Still Exist? Villagers Speak Of Small, Hairy Ebu Gogo, Villagers speak of the small, hairy Ebu Gogo - Telegraph, Dispatches From Turtle Island: More Hobbit Fossils Confirm Existence Of Species).
Io ne dubito fortemente; però, vi assicuro che la mia "colf filippina" potrebbe essere facilmente confusa con una "foemina floresiensis". ;D

Questa sopra, ovviamente, non è la foto della mia colf, che (per ragioni di privacy) non posso certo pubblicare qui, ma è la ricostruzione della "foemina floresiensis"...che è praticamente UGUALE!!! (Se vedeste la foto della mia colf, vi assicuro che mi dareste piena ragione!) :D
Voi la definereste un "animale", se la incontraste per strada, vestita di tutto punto? ::)
Ne dubito...anche se, spesso, l'apparenza inganna!
#5662
Caro Epicurus,
anche questa volta cerco di risponderti come meglio posso (fermo restando che le mie restano solo opinioni).
1) 
Sotto il profilo meramente "ontologico", essere "onnisciente" non implica affatto, intrinsecamente, anche essere "onnipotente", eterno, creatore di tutto, infinitamente buono, ecc., perchè si tratta di qualità diverse .
Mai io non ho mai asserito una cosa del genere!
Ho detto solo che, se correttamente riteniamo che un "essere finito" non possa avere una "conoscenza infinita" (perchè una tazza non può contenere il mare), nell'ipotesi che io incontri qualcuno che tale "conoscenza infinita" ce l'ha sul serio, dovendo necessariamente trattarsi di un "essere infinito", mi sembra plausibile definirlo "di natura divina"!
Per cui, a meno di non supporre che di Dei ce ne siano più di uno, ciascuno dei quali possiede una diversa "qualità infinita", ne deduco che, essendo tale essere "onnisciente" infinito, se è UNICO, egli abbia anche altre "qualità infinite", quali l'"onnipotenza" ecc.; sebbene, ovviamente, sotto il profilo ontologico si tratti di qualità diverse.
Ma, come avevo già detto, tale modalità "catafatica" di voler definire positivamente Dio, non mi aggrada molto, preferendo io, per diverse ragioni, la modalità "apofatica".
2) 
Seguendo la tradizione della teologia negativa, o "apofatica", non chiederei mai al genio "Esiste Dio?", perchè una risposta in "logica binaria" (sì/no), in tal caso, secondo me, non avrebbe molto senso.
Non voglio qui ampliare troppo il discorso, ma, in particolare, secondo me la  modalità "catafatica" di voler definire Dio con degli attributi, rischia di scadere nell'"antropopateticismo"; cioè, in quella forma di religiosità, la quale, pur superando  l'"antropomorfismo", continua però ad attribuire a Dio qualità tipicamente umane, come "conoscenza", "potenza", "bontà", "giustizia" ecc.
Il che, anche se potrei sbagliarmi, non mi pare molto congruo!
Perciò gli chiederei qualcos'altro.
Come ho già detto, un genio che risponda ad un'unica domanda, semplicemente con un SI' o un NO, ci servirebbe a ben poco...se non ad ingannarci; perchè la sua risposta avrebbe un significato diverso a seconda del SENSO che noi diamo alla domanda.
Per esempio, se io, avendo intenzione di provarci con una ragazza, chiedessi al genio: "Mi ama?", e lui mi rispondesse: "Sì, certo che ti ama!" io mi fionderei subito...e magari mi beccherei un rifiuto.
Ed infatti, come noto, esiste sia il cosiddetto "Amor concupiscientiae", sia il cosiddetto "Amor benevolentiae", che, in fondo, è quello più autentico, ed a cui farebbe riferimento il Genio!
Per cui, magari, quella ragazza, pur amandomi sul serio (come rivelato dal Genio), ma sapendo che data la diversità dei nostri caratteri non riuscirebbe mai a darmi ciò di cui ho davvero bisogno e mi farebbe soffrire, ricuserebbe le mie profferte, e mi inviterebbe a trovare un'altra donna più adatta al mio carattere! ;D
Ammetto che di ragazze così, nel mondo reale, ce ne sono davvero poche; per cui, se ti rifiutano con una motivazione del genere, di solito, è solo per addolcire la pillola...ma stiamo facendo un discorso teorico, no? ;)
Per cui, l'unico tipo di domanda sarebbe quella del genere più banale, ma la meno equivoca possibile, come, ad esempio: "L'azione X, tra dieci minuti, sarà salita?"
E, in base alla risposta, mi giocherei più soldi possibile facendo "scalping" online sulle OPZIONI BINARIE, che consentono solo scelte binarie a tempo determinato su singoli titoli o valute.
E' vero che dopo dieci minuti, "in teoria", il valore potrebbe restare identico, ma la cosa non è mai accaduta, perchè ha un livello di improbabilità che rasenta, di fatto, l'impossibile; per cui, se il Genio mi rispondesse "sì", dopo dieci minuti il titolo sicuramente salirebbe, ma, se mi risponde "no",  il titolo sicuramente scenderebbe.
La stessa cosa si potrebbe fare con il ROUGE e NOIR alla Roulette...ma il limite di puntata è troppo basso! :(
#5663
Citazione di: InVerno il 28 Febbraio 2018, 13:19:14 PM
Citazione di: Eutidemo il 27 Febbraio 2018, 06:35:36 AMSe è per questo l'"homo sapiens" è stato insuperabile anche nello sterminare diverse "razze" della sua stessa "specie"; ma non mi sembra che l'essere uno "sterminatore" lo qualifichi più "umano"  di chi è stato sterminato. ;)
Ne ha sterminato parecchie, l'ho detto, ma non l'ha eradicate, si è limitato a diatribe territoriali\linguistiche\culturali che si accendevano e spegnevano in zone circoscritte. Neanderthalis invece è stato trattato in maniera diversa, alla stessa maniera sconsiderata con cui ha trattato i generici "grandi mammiferi" causandone l'estinzione assoluta ovunque egli avesse messo piede (escluso i domesticati), neandarthalis è stato trattato da animale dagli uomini che lo hanno visto, difficile proporre analisi ulteriore senza prove importanti. Poi se ne vuoi parlare seriamente io ci sono, non sono molto attratto dall'incipit del tuo topic perchè mi sembra pretestuoso, ma diversi rivoli tutt'altro che pretestuosi potrebbero aprirsi da questa discussione.


Non hai tutti i torti: è difficile proporre ulteriori analisi senza prove definitive...che, forse, non avremo mai! 
Però, mentre mancano assolutamente prove che il Neanderthal fosse un semplice animale alla stregua degli altri grandi mammiferi, si vanno accumulando indizi sempre più numerosi ed importanti a favore della sua condizione umana a "quasi" tutti gli effetti.
Pur non essendo un paleontologo, oltre che di storia ho letto anche non pochi libri sulla preistoria, e ti garantisco che i più recenti (scritti da studiosi seri), propendono pressochè TUTTI per tale tesi.
Anche su INTERNET trovi parecchi siti al riguardo; non tutti affidabili, però.
Comunque, appunto, essendo il Neanderthal ormai estinto (sebbene parte minima di lui sopravviva nei nostri geni), non credo che lo cosa si potrà mai accertarla con assoluta certezza.
Salvo, forse, il giorno del giudizio, quando (pare) risorgeranno solo i corpi degli uomini, e non quelli degli animali! ;D
#5664
Caro Epicurus,
cerco di risponderti come meglio posso.
E' ovvio che io ho considerato il caso in cui l'"onniscienza" debba considerarsi una proprietà incoerente; ma, visto che l'"onniscienza del genio" mi era stata data come "postulato" anapodittico, ne ho tratto le uniche conseguenze logiche che potevano trarsene come mero esercizio intellettuale. :)
Ed infatti, casi sono due:
1°) O consideriamo il postulato impossibile, ed allora è inutile porlo a base del "gioco", e cercare di trarne conseguenze di qualsiasi genere.
2°) Oppure, qualora, per amore di esercizio intellettuale vogliamo ritenerlo possibile, se è indubbio che un "essere finito" non può avere una "conoscenza infinita", perchè sarebbe contraddittorio, dobbiamo per esclusione dedurne che ad averla deve per forza essere un "essere infinito". 
Se non ammettiamo tale deduzione, si torna inevitabilmente al caso 1...non si scappa!
Quanto al fatto che, "se un essere finito non può essere uno scapolo sposato, allora per esclusione potrà esserlo un essere infinito", il tuo esempio non calza per due ragioni:
- ipotizzare l'esistenza di uno "scapolo sposato" costituisce inequivocabilmente una proposizione  autocontraddittoria, mentre ipotizzare l'esistenza di un "essere che abbia una conoscenza infinita", può forse risultare una supposizione molto opinabile, ma non costituisce certamente una proposizione autocontraddittoria.
Diventa autocontraddittoria solo se riteniamo che tale "conoscenza infinita" ce l'abbia un "essere finito" (perchè una tazza non può contenere il mare); ma non lo è affatto se riteniamo che tale "conoscenza infinita" ce l'abbia un "essere infinito".
Quanto al fatto che debba necessariamente considerarsi incoerente il concetto stesso di "essere infinito", questo è un altro discorso...peraltro molto controverso, e che andrebbe esaminato a parte.
Ad ogni modo, ripeto, il mio ragionamento era legato al presupposto ipotetico ("SE esistesse un genio onnisciente..." ecc.), che io, per amore di esercizio intellettuale, ho preso per buono...con le conseguenze logiche -o metalogiche- di cui sopra.
Tutto qui! ;)
#5665
Citazione di: InVerno il 26 Febbraio 2018, 13:59:11 PM
Citazione di: green demetr il 24 Febbraio 2018, 14:11:47 PM1) Sì certo. Il Neanderthal era un uomo.
Non capisco come si possa asserire serenamente che si è certi esso fosse "umano", nel senso non che "sapeva", ma che sapeva di sapere, quello è il traguardo di cui parliamo e che li renderebbe "umani". Ci dev'essere stato un punto dove la capacità linguistica si è trasformata, i suoni hanno smesso di dominare l'uomo ma l'uomo ha dominato i suoni e li ha resi intellegibili. Ci sono una serie di teorie riguardo al Neanderthal, portate avanti a volte da paleontologi direttamente collegati con il successo turistico di alcune zone... Tutto bello e culturalmente valevole, meglio dei video della Nappi, ma per grandi teorie servono grandi prove, e non mi sembra che i rivenimenti Neaderthaliani attuali possano confermare che fossero capaci di linguaggio avanzato. Le tumulazioni rituali forse sarebbero il più importante indizio (molto più dei flauti), ma la verità è che esistono anche nel mondo animale tra gli elefanti e persino gli uccelli e.... indovina chi?

La notizia dell'ibridazione ha dato adito alle solite teorie del buon selvaggio, alcuni sostengono che l'estinzione dei neandarthalis sia avvenuta "dolcemente" tramite pressione sociale\ecobiologica, e l'ibridazione sia solo un esempio del fatto che le due specie vivessero in armonia e amore. In tal caso tuttavia la componente neandarthaliana del nostro DNA dovrebbe essere decisamente maggiore a testimonianza di lunghe e folli notti di sesso consenzienti, quella misera percentuale invece testimonia o la bassa fertilità delle coppie (incompatibilità genetica, altra specie), o il fatto che fossero "stupri di guerra" o altri eventi sporadici. Mi pare che non ci sia nessuna prova migliore del fatto che essi NON fossero umani del fatto che essi siano stati sterminati. Sapiens è sociale, collaborativo, con chi riesce a comunicare con lui.. gli "altri"vengono sistematicamente sterminati, e con neandarthalis non ci siamo fermati a zone linguistiche circoscritte, li abbiamo stermitati
tutti in tutta l'eurasia, non ne è rimasta nemmeno una sacca perduta in una palude della Siberia. Erano evidentemente dei concorrenti direttissimi alle fonti energetiche, come tanti altri gruppi di sapiens "altri" che parlavano altri idiomi, ma diverse culture sapiens sono rimaste, dei neanderthal nemmeno una traccia. Che altra prova si vuole di una incomunicabilità di fondo, ovvero della loro non-umanità?


Se è per questo l'"homo sapiens" è stato insuperabile anche nello sterminare diverse "razze" della sua stessa "specie"; ma non mi sembra che l'essere uno "sterminatore" lo qualifichi più "umano"  di chi è stato sterminato. ;)
#5666
Sapere e conoscere "TUTTO", è logicamente impossibile per qualsiasi "creatura", visto che nessun "essere finito" può avere una "conoscenza infinita" (per "la contradizion che nol consente"); e, quindi, se l'onniscienza è impossibile per qualsiasi "creatura finita"...per chi altro mai sarebbe mai possibile, andando per esclusione? ;)
Secondo me, andando per esclusione, se, per postulato mi si pone davanti ad un essere "veramente" onnisciente, visto che non può essere una "creatura finita", senza nemmeno chiederglielo, non avendo alternative, non posso dedurre altro che sia il "Creatore Infinito"!
Una volta dedotto questo, dal solo elemento "onniscienza", una volta appurato che sono in presenza del "Creatore Infinito", posso anche logicamente indurre la sua "onnipotenza, e tutto il resto.
Quanto sopra vale, per amore di ragionamento, se ci vogliamo attenere ad una concezione "catafatica" di Dio; sebbene io propenda per quella "apofatica". :)
#5667
Tematiche Filosofiche / Re:La vita fa schifo?
26 Febbraio 2018, 15:17:59 PM
Domanda: La vita fa schifo?
Risposta: Sì, perchè purtroppo mi è toccato di doverla assaggiare :'(
#5668
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
26 Febbraio 2018, 15:14:21 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Febbraio 2018, 01:43:46 AM
Personalmente trovo che questo criterio serva solo a massificarsi, a seguire il gregge. A questo punto nascerebbe la domanda: che criteri usare allora per individuare il meglio a cui vale la pena di dedicarsi durante la vita? La mia personale risposta è: lavorarci. Il lavoro non garantisce in maniera assoluta che si trovi il meglio, ma è lo strumento che fino ad oggi si dimostra essere il più efficiente per questo scopo. Ci sono poi tanti modi di lavorare, ma anche questo può essere un lavoro che vale la pena di compiere: lavorare, tra l'altro, anche per individuare i modi più efficienti di lavorare, così come uno zappatore non provvede solo a zappare, ma prova anche a pensare a come migliorare la zappa o il modo di usarla, o cambiare completamente mentalità e usare un trattore, eccetera.
Il criterio del lavorare significa, tra l'altro, non dare mai per scontato di aver trovato la soluzione definitiva ad un problema, né porselo come scopo, ma piuttosto riservarsi sempre anche degli spazi per migliorare la ricerca, metterla in discussione, rivederla sin nelle sue fondamenta.


Caro Cannata,
poichè questo tuo post richiama l'argomento di cui stavamo trattando nel "thread" "RELATIVISMO ASSOLUTO" (1), mi sono sentito in dovere di intervenire anche qui.
Sono perfettamente d'accordo con te, nel considerare deprecabile la tendenza (soprattuto per quanto concerne il "politically correct") ad intrupparci, a seguire il gregge; e, questo, solo perché fare ciò che fanno tutti gli altri ci dà sicurezza, conforto, serenità, mentre, viceversa, andare controcorrente comporta il prezzo di sentirsi soli, pazzi, scollegati dalla società, cioè un sentimento che per molti è proprio insopportabile.
Anche io detesto l'"omologazione" e non ho paura a lottare per andare contro corrente, però, sempre "a ragion veduta", e non semplicemente per distinguermi dalla massa; se la "massa" ha ragione, io gliela do volentieri, perchè fare il "bastian contrario" per partito preso mi sembra sciocco!
Per cui, per ricollegarmi al mio discorso dell'altro "thread" (1), se ormai da più di tre secoli la totalità degli scienziati ha accettato la dimostrazione fornita da Torricelli con il suo famoso esperimento sul "peso dell'aria", non vedo perchè dovrei esprimere una opinione soggettivamente contraria, solo per "distinguere" dagli altri la mia autonomia di pensiero; soprattutto se non ho alcun effettivo e valido argomento in contrario.
(1)
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismo-assoluto/105/
#5669
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
26 Febbraio 2018, 14:53:50 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 14:49:00 PM
Certo, senza linea bianca non è possibile, perché la figura può essere interpretata col piede destro che sta a terra e l'altro che gira, oppure col sinistro che sta a terra e il destro che gira. La linea bianca, a seconda di come viene segnata, costringe forzatamente la mente a stabilire che il piede che sta a terra è obbligatoriamente il destro oppure obbligatoriamente il sinistro.

Riguardo alle credenze, gli esperimenti valgono in ambito scientifico, ma non in ambito filosofico, perché la filosofia è più esigente della scienza. La filosofia ci fa osservare che qualsiasi esperimento è pur sempre soggettivo perché alla fine l'ultima parola siamo sempre noi a darla, cioè noi soggetti. Siamo noi a stabilire che 2+2 fa quattro; anche quando ci accorgiamo che il fare 4 è confermato da tanti altri tipi di calcoli e prove, ogni calcolo e ogni prova viene alla fine pur sempre valutato dalla nostra mente, quindi alla fine è sempre la nostra mente la quale, per verificare la propria affidabilità, non può fare a meno di ottenere risposte che in realtà vengono ultimamente fornite da essa stessa. Siamo tutti sempre nella situazione dell'oste: oste, com'è il vino? L'oste ti dice che è buono, perché è lui a produrlo. Non c'è verità che non sia inquinata dall'intervento della nostra mente.

***
LA BALLERINA
Caro Cannata,
come giustamente osservi tu, senza la linea bianca "di forzatura", la figura può essere interpretata col piede destro che sta a terra e l'altro che gira, oppure col sinistro che sta a terra e il destro che gira; però, la cosa strana è che, sottoponendo al test alcuni amici, quasi tutti tendono (come me) a vedere il movimento in senso orario. 
Eppure, in teoria, senza la linea bianca "di forzatura", non c'è alcun motivo logico per preferire una direzione invece dell'altra; ed allora perchè mai "si tende" a scegliere la direzione sinistra>destra?
Riflettendoci meglio, sempre ammesso che sia universalmente valida la mia minuscola rilevazione "pseudo-statistica" (il che sarebbe da verificare anche in questo "thread"), , secondo me, nel caso di specie, non si tratta di una mera "illusione ottica", come pensavo all'inizio; bensì potrebbe trattarsi di una predisposizione "tendenziale" del cervello umano a concepire il movimento -e non solo quello- da sinistra a destra.
Vi siete mai chiesti, infatti, perchè il rubinetto (come la vite), si ruota da sinistra a destra?
E perchè mai le porte, in genere, si aprano da sinistra a destra?
Ed il motivo per il quale, appunto, le lancette dell'orologio si muovano anche loro da sinistra a destra?
E come mai nella maggior parte dei videogiocchi a scorrimento orizzontale, ci si muove da sinistra verso destra? 
Per non parlare della scrittura (sebbene alcuni popoli scrivano da destra a sinistra e dall'alto in basso)!
Di primo acchito si potrebbe ipotizzare che ciò dipenda dal fatto che l'uomo è prevalentemente "destrorso", pare in conseguenza dell'iper-sviluppo dei centri di Broca e Wernicke; il che giustificherebbe varie cose (tipo l'apertura delle porte), ma non tutto.
Tra l'altro, tale tendenza sinistra-destra non vale solo in ambito "dinamico", ma anche per le immagini "statiche".
A tale riguardo, Peter Walker, docente presso l'Università di Lancaster, ha analizzato migliaia di dipinti e fotografie presenti su "Google Images",  e tale analisi ha confermato quanto già noto, e cioè l'esistenza di una convenzione grafica che "....prevede di rappresentare un soggetto inclinato nella direzione in cui si muove, e di aumentare l'inclinazione per suggerire una maggiore velocità"; ma l'aspetto originale della ricerca è l'avere evidenziato che IL VERSO DELL'INCLINAZIONE E' SEMPRE VERSO DESTRA! 
Stanislas Dehaene, parecchi anni fa, scoprì il cosiddetto "effetto SNARC" (Spatial-Numerical Association of Response Codes), in base al quale pare che il nostro cervello adotti un'organizzazione spaziale delle informazioni legate agli ordini di grandezza, e in particolare che esista una linea numerica mentale che posiziona a sinistra i numeri piccoli e a destra quelli grandi.
Però, a quanto ho visto su INTERNET, esperimenti condotti con individui di cultura araba (che scrivono e leggono da destra verso sinistra) non hanno consentito di fare chiarezza e di la comunità scientifica ancora discute sulla natura biologica e/o culturale dell'effetto SNARC.

***
CREDENZE ED ESPERIMENTI
Caro Cannata,
quanto al fatto che gli esperimenti valgono in ambito scientifico, ma non in ambito filosofico, pur essendo PERFETTAMENTE d'accordo che si tratta di due ambiti separati, non riesco a capire bene il senso di tale affermazione; sarebbe come dire il settebello vale a scopa, ma non a briscola! 
Come noto, invero, fu Galileo Galilei ad applicare per la prima volta il cosiddetto "metodo scientifico sperimentale", e, cioè:
1. Osservare un fenomeno e porsi delle domande.
2. Formulare un'ipotesi, cioè una possibile spiegazione del fenomeno.
3. Compiere un esperimento per verificare se l'ipotesi è corretta.
4. Analizzare i risultati.
5. Ripetere l'esperimento anche in modi diversi, e, soprattutto farlo ripetere da diverse persone (soprattutto da quelle che non ne condividono i risultati).
6. Giungere ad una conclusione e formulare una regola comunemente accettata, in mancanza di validi esperimenti in contrario.
Ma tale metodo, si scontrò con quello "filosofico dell'epoca"!
Per esempio, secondo l'"opinione" della filosofia scolastica allora vigente, i corpi celesti, essendo per logico postulato "perfetti", dovevano essere completamenti sferici e lisci; mentre invece, con il cannocchiale, Galileo si era accorto che la nostra luna è ricca di asperità naturali.
Poichè gli scolastici non ci volevano credere, Galileo  gliele fece vedere con il loro occhi attraverso il cannocchiale...ma quelli rimasero fermi nella loro opinione, sostendo che:
- "se è vero che tale strumento ingrandisce l'immagine, vuol dire che la distorce, per cui quel che fa vedere non è affidabile";
;D

- "anche ammesso che l'immagine sia affidabile, chi ci dice che l'intera superficie della luna non sia ricoperta per parecchi chilometri da una perfetta e glabra sfera trasparente di ghiaccio, che ingloba al suo interno le asperità che noi vediamo"?
;D

Ecco così "filosoficamente" salvata la presunta "perfetta sfericità" dei corpi celesti; come pure il fatto che la terra era ferma, ed il sole gli girava intorno.
Mera questione di contrasto tra opinioni soggettive?
Io non direi!
In realtà, come dicevo all'inizio, i due ambiti, pur essendo connessi, sono nettamente separati: la scienza si occupa della fisica e del mondo fenomenico, cioè della "trama" della realtà, mentre la filosofia si occupa della metafisica e del mondo noumenico, cioè dell'"ordito" della realtà.
Guai a confondere i due livelli: sarebbe come se degli scienziati si sentissero autorizzati a dimostrare sperimentalmente l'esistenza (o l'inesistenza) di Dio, ovvero dei filosofi si sentissero autorizzati a dimostrare l'esistenza (o l'inesistenza) del meccanismo evolutivo.
L'unico autentico ed indispensabile punto di contatto fra le due "aree", è tra quella parte della filosofia detta ETICA, e quella parte della scienza detta TECNOLOGICA; ed infatti, almeno a mio avviso, è lecito ed anzi necessario che la filosofia morale valuti l'impatto etico di certe scoperte, e, soprattutto, di certe invenzioni.
Ma questo è un aspetto specifico e particolare, che non va confuso con quello generale di cui sopra; e che riguarda precipuamente la RICERCA in quanto tale (scientifica e filosofica).
***
Alla luce di quanto sopra, passo a commentare le tue affermazioni, alcune condivisibili in pieno, altre meno.
1)
<<La filosofia ci fa osservare che qualsiasi esperimento è pur sempre soggettivo perché alla fine l'ultima parola siamo sempre noi a darla, cioè noi soggetti.>>
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Questo assunto è sicuramente vero, anche se direi che questo ce lo fa osservare il buon senso, ancor prima della filosofia; ed è proprio partendo da tale ovvia considerazione, che il metodo scientifico adotta tutte le cautele possibili ed immaginabili per rendere "il più oggettivo possibile" il risultato di una osservazione o di un esperimento.
Ciò in quanto:
a) Innanzitutto, un esperimento serio, ove possibile, viene sempre effettuato "in cieco o in doppio cieco";  il che descrive un modo per definire un esperimento scientifico dove viene impedito ad alcune delle persone coinvolte di conoscere informazioni che potrebbero portare a effetti di "aspettativa soggettiva", conscia o inconscia, così da invalidarne i risultati .
b) In ogni caso, anche se effettuato con tutte le cautele possibili (tra cui quella di sopra è solo una delle principali), un singolo esperimento vale meno che niente, se non viene confermato altrove anche da altri sperimentatori, tanto meglio se scettici al riguardo.
Tutto questo evita la possibilità di errori?
Sicuramente no.
La limita ad un minimo sostanzialmente irrilevante?
Sicuramente sì.
E quando una cosa è "definitivamente" ed "oggettivamente" dimostrata, l'ultima parola è detta, e non c'è diversa opinione soggettiva che possa smentirla.
Per esempio, il celeberrimo esperimento dell'argento vivo realizzato da Torricelli nella primavera del 1644 a Firenze, dimostrò  che la natura non aborre il vuoto e che l'aria ha un suo peso, a differenza da quanto allora sostenuto dai tolemaici; è una realtà ormai "oggettivamente" accertata, e, chi volesse "soggettivamente" sostenere il contrario, sarebbe ritenuto un imbecille o un ignorante.
E potrei andare avanti con migliaia di altri esempi di esperimenti ed osservazioni che hanno accertato realtà ormai universalmente riconosciute come "oggettive"; e che nessuno può più, ormai, "soggettivamente", contestare, se non passando, appunto, per un imbecille o un ignorante.
2)
<<Siamo noi a stabilire che 2+2 fa quattro; anche quando ci accorgiamo che il fare 4 è confermato da tanti altri tipi di calcoli e prove, ogni calcolo e ogni prova viene alla fine pur sempre valutato dalla nostra mente, quindi alla fine è sempre la nostra mente la quale, per verificare la propria affidabilità, non può fare a meno di ottenere risposte che in realtà vengono ultimamente fornite da essa stessa.>>
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Dire che 2+2 fa quattro non è una verità sperimentale acquisita dalla scienza; la quale, in base agli esperimenti, si occupa soltanto di "giudizi sintetici a posteriori", e non di "giudizi analitici a priori".
Dire che 2+2 fa quattro, infatti (come un po' tutta la matematica), è in fondo una "tautologia"; cioè, come dire che un quadrupede ha quattro zampe: ma, di sicuro, non è una "opinione soggettiva" (come non lo è il resto della matematica)!
3)
<<Siamo tutti sempre nella situazione dell'oste: oste, com'è il vino? L'oste ti dice che è buono, perché è lui a produrlo. Non c'è verità che non sia inquinata dall'intervento della nostra mente.>>
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Anche questo è molto vero, ma se interpretato nel modo sbagliato può essere anche molto fuorviante e pericoloso; ed infatti, se è vero che molte cose sono opinabili, molte altre non lo sono affatto.
Per esempio, se mi faccio la bizzarra opinione di poter volare fuori dalla finestra battendo le braccia come se fossero ali, temo, purtroppo, che farei una brutta fine in pochi secondi; ed infatti, la verità inesorabile della legge di gravità, non è certo modificabile dall'intervento della nostra mente. :D
#5670
Caro Iano,
premesso che (forse) possiamo azzardarci a dire qualcosa di positivo soltanto del mondo "fenomenico", ma, circa quello quello "noumenico", possiamo fare solo delle congetture (salvo rarissime esperienze spirituali dirette), secondo me, ciò che mi rende davvero unico e distinto, è la mia "psiche" individuale; quella, cioè, che risulta dall'intreccio e dal gioco continuo dei miei neuroni e dai vari mediatori chimici indispensabili al mio metabolismo cerebrale.
Una volta interrotto tale meccanismo, così come un giorno, pian piano, si è sviluppata, la mia individualità sarà bruscamente interrotta, e cancellata per sempre; anche perchè mi pare OVVIO che tutto quello che ha un inizio, debba pure necessariamente avere una fine.
Però, pur essendo pressochè certo di QUELLO CHE NON POTRA' MAI ESSERCI dopo la mia morte (anche solo cerebrale), e, cioè, la sopravvivenza del mio "EGO" psichico individuale, non sono però affatto certo di QUELLO CHE, INVECE, POTREBBE ESSERCI; cioè, se mi è lecito avanzare una mera ipotesi, potrebbe esserci la sopravvenuta consapevolezza di un'"onda" che, risvegliandosi, si accorge di essere soprattutto "mare".
D'altronde, lo stesso Paolo, che non era certo un "immanentista", dice che siamo tutti destinati ad essere, con Dio, "un solo Spirito".
UNO! :)