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Messaggi - iano

#5671
Un bel post il tuo Carlo,dove si capisce cosa è l'io,il se',l'inconscio personale e collettivo,approvando io l'uso di questi ultimi termini.
Mi hai chiarito un bel po' di idee in proposito.Grazie.
C'è solo un passaggio che,per quel che ho imparato a conoscerti,mi mette in allarme.
Laddove parli di inconscio collettivo,quindi comune a tutti gli individui ovunque e in ogni tempo,QUINDI UNIVERSALE.
Questo chiamarlo universale mi sembra una promozione gratuita,perché non mi sembra indipendente dal luogo e dal tempo più di quanto lo sia l'umanità .
Dal mio punto di vista si può ipotizzare che l'inconscio collettivo sia una memoria remota molto capiente,ma per contrappasso di difficile accesso,ma non impossibile accesso.
L'inconscio personale invece è una memoria di scarsa capacità,ma di relativo facile accesso.
Per chi crede poi nell'evoluzionismo difficile non pensare ad un inconscio ancor più collettivo,o se preferisci ancor più universale,condiviso fra le diverse specie.
Mi chiedo e ti chiedo,se per Freud,per Joung,e per te portare a coscienza certi contenuti più o meno sepolti in noi abbia un connotato solo positivo.Cioe' se ciò sia sempre desiderabile.
In generale i contenuti di queste memorie più o meno remote hanno conseguenze automatiche sui nostri comportamenti,laddove in effetti li usiamo non sempre portandoli a coscienza,nel senso che non vi accediamo in modo volontario o cosciente,appunto.
Questo può essere,e io credo che lo sia,un modo economico di gestire il nostro archivio di memoria.
In questo senso la coscienza non sempre è utile.
Istintivamente mi piacerebbe avere controllo cosciente su tutti i miei comportamenti,ma questo sembra vada oltre le nostre limitate capacità,e l'inconscio si dimostra essere un utile espediente per superare questi limiti.
Si può vedere La questione sotto un altro punto di vista,laddove si consideri che i nostri comportamenti sono spesso tesi a salvarci la vita,e che a tal fine sono richieste reazioni rapide,laddove la coscienza richiede per esplicarsi un tempo che può essere eccessivo,con esiti fatali.
Ti faccio un esempio.
Se mentre attraversi la strada prendi coscienza,vedendolo,che una macchina sta per investirti,puoi salvarti la vita se hai un tempo di reazione buono.
In questo tempo di reazione è compreso il tempo in cui percepisci visualmente la macchina prendendone coscienza.Non è un tempo propriamente piccolo.Anzi è un eternità.
Gli scienziati hanno dimostrato che non riusciamo ad evitare la macchina perché la vediamo,e quindi con un azione cosciente,ma perché la udiamo senza avere la coscienza di farlo.
Ecco perché è molto più probabile oggi essere investiti da una macchina,se questa è elettrica,e quindi silenziosa.
A volte la coscienza serve a volte no.
Portare a coscienza certi contenuti sepolti idem,ed è meglio affidarsi a specialisti per capire se è un bene o è un male.
Sondare questi contenuti non è un bene in se,ma al massimo un mestiere,e ciò ha un senso nella misura in cui condividiamo questi contenuti (inconscio collettivo).
#5672
Sintetizzando.
Chi si sente parte del processo scientifico,senza magari saper dire di fatto il perche',esprime in molto minor grado timori per le conseguenze possibili del processo,rispetto a chi se ne crede fuori,come se chi è impegnato a fare abbia meno tempo per pensare ed immaginare ed evocare fantasmi.Per chi è parte del processo la soluzione per le conseguenze della scienza è la scienza stessa,così come la soluzione per le conseguenze dell'azione del singolo uomo è quell'uomo stesso.
Proviamo allora a metterla così.
La notizia cattiva è che la scienza logora chi non ce l'ha? ;D
La notizia buona è che credersene fuori è una illusione,singolare...a dir poco.
#5673
Citazione di: maral il 15 Settembre 2017, 11:27:23 AM
Direi che l'essere umano è l'unico a essere fondamentalmente tecnico, sono le tecniche che pratica nel corso del tempo a restituirgli il significato e il senso del mondo in cui vive, dunque il significato e il senso di se stesso, i modi socialmente condivisi che determinano il suo pensare, osservare, immaginare. La richiesta tecnica, che è richiesta sempre finalizzata a progetti, è dunque per l'uomo ineludibile, pena la perdita della sua stessa identità.
Il problema sorge quando la potenza tecnica sempre perseguita aumenta a tal punto di intensità dal giungere porsi in modo del tutto autoreferenziale, quando richiede all'individuo che essa forma di farsi puro strumento, un mero ingranaggio del macchinario che va continuamente allestendo. In questo caso l'equilibrio tra il fare tecnico e l'oggetto e il soggetto di questo fare si disintegra e la tecnologia diventa un fattore di enorme rischio, schiavitù e alienazione, rivelandosi come un incubo, una sorta di suicidio tecnologicamente perseguito.
Non ho idee chiarissime in proposito,ma provo ad esprimerle.
Si può riguardare la scienza come una forma di alienazione dell'individuo,ma non necessariamente in negativo.Noni più di quanto si possa guardare in negativo l'azione di un singolo individuo non alienato.
O meglio,se di alienazione vogliamo parlare,questa non è conseguenza della scienza e della tecnologia,ma è già insita nella scienza e nella tecnologia,al di là delle loro conseguenze.
Nel momento stesso in cui si decide di fare scienza si accetta,consapevoli o meno che si sia,un certo grado di alienazione.
La scienza  Infatti per sua natura è un opera collettiva.
Le sue conseguenze possono fare comprensibilmente paura,in quanto grande è il suo potere,ed è grande perché è il potere di una collettività.
In genere il potere della scienza viene legato non a ciò,ma al progredire della conoscenza.
Il carattere di questa conoscenza però è ben diverso dalla conoscenza che può acquisire il singolo,conoscenza che guida le sue azioni,ma che non richiede necessariamente di essere condivisa.
La caratteristica principale della conoscenza scientifica non è come si crede la capacità di acquisire la verità,ma la capacità di condividere la conoscenza.
Questa condivisione genera la possibilità di una reale azione collettiva,che trascende le capacità del singolo individuo,con un potere che può comprensibilmente allarmare il singolo individuo.
Lo allarma anche nella misura in cui questa collettività non ha contorni  ne scopi ben definiti.
Di contro un singolo ha contorni e scopi definiti,o si illude di averli,quanto basta per sedare i suoi timori,che sarebbero in questo caso timori di se stesso .
Non ci sono confini geografici,culturali che mi permettano di individuare questa collettività.
Ciò fa sì che se immagino quella collettività come un nemico,non poter ben individuarlo,mi rende del tutto impotente.
Così si inizia a pensare,come se ciò fosse possibile,che forse sarebbe meglio tornare indietro,e fare a meno della scienza.
Questo avrebbe senso se la scienza avesse un suo inizio ben definito,e si potesse tornare perciò indietro,ad un epoca antecedente in cui la scienza non c'era.
Ma ha veramente senso parlare di un inizio della scienza?
In altri termini,nel senso in cui ho voluto caratterizzare la scienza,come una azione collettiva,ha senso dire che c'è stato un inizio,e che questo inizio non sia coinciso con l'inizio dell'avventura umana ?
Certamente ai nostri occhi questa azione scientifica nella sua storia recente ha avuto un salto notevole,portandola alla coscienza di tutti,al punto da sembrare cosa nuova,che ha avuto un inizio e alla quale si può porre un termine,piuttosto che essere qualcosa di indissolubilmente legata all'uomo.
Si può avere timore a ragione della scienza,ma non più di quanto si possa avere timore dell'azione di un altro singolo uomo,se non fosse che trattandosi di una collettività,quel timore può essere moltiplicato per qualche miliardo.
In effetti tutto quello che ogni singolo può fare è decidere di far parte o meno di quella collettività.
O meglio sentirsi o meno parte di quella collettività,indipendentemente dall'aver fatto una scelta consapevole.
Chi ha scelto di starne fuori,o non se ne sente comunque parte,comprensibilmente proverà timore per il suo futuro.
Il punto è che io non credo che si tratti di una scelta possibile.
Non possiamo scegliere di essere uomini oppure no.
Si può parlare di costi e benefici della scienza intesa come opera collettiva?
Si può parlare di libero arbitrio e di responsabilità conseguente di questa collettività?
Difficile farlo,ma forse non meno difficile di quanto lo si possa fare per l'opera di un singolo individuo.
Non dovremmo temere la scienza più di quanto temiamo noi stessi,avendo magari buone ragioni per farlo.
Perché in fondo parliamo di noi nella misura in cui di noi crediamo di aver coscienza,e che non è comunque la grana parte.
Che si tratti di un singolo o ,a maggior ragione di una collettività,è questa ignoranza la vera causa del nostro timore.
Qual'e' la medicina che possa curare questo timore.
Se la medicina è aumentare quel grado di coscienza,allora la scienza è quella medicina,in quanto essa si connatura sempre più come presa di coscienza del nostro agire,che solo semplicisticamente può essere declinato al singolare.
La meraviglia e il timore che  proviamo deriva da questa amplificazione di coscienza,che comprende l'amplificazione del nostro senso di responsabilità,la quale,se declinata al singolare ci restituisce un senso di impotenza.
Noi singoli impotenti contro una entità indefinibile.
Tutto però nasce dal l'illusione di poter declinare tutto ciò al singolare,come cosa che possa avere un senso.
Il fatto è che TEMO non l'abbia.
#5674
Al rompicapo di Eimstein esistono diverse risposte e tutte sono le benvenute,anche le tue.
Rispondo solo alle cose che capisco,perché per mio limite non sono in grado di comprendere tutto quello che scrivi.
Per la parte che capisco non condivido nulla,ma non per questo devi mostrarti astioso,Carlo.
Se me lo chiedi in modo esplicito non ti rispondo più.
Secondo me sbagli su tutti i fronti,ma non credo di averti mai offeso.
Continuerò ad infinito a dirti dove sbagli,se me lo permetti.Fimche' me lo permetti.
Dimmi stop e io la pianto li.
Puoi citare chi vuoi,ma senza appellarti alla loro autorevolezza per portare acqua al tuo mulino.
Quello che dice Fragr,Galileo, Einstein,Carlo o Iano può essere a buon diritto criticato da tutti.
#5675
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Settembre 2017, 15:06:18 PM


<<La Logica matematica è una scienza delle leggi più generali dell'esser vero. (...) Così come un'isola deserta fra i ghiacciai è là molto tempo prima di essere scoperta, così pure le leggi matematiche valgono già da prima della loro scoperta. Pertanto, i pensieri veri, non solo sono indipendenti dal nostro riconoscerli tali, ma sono indipendenti anche dal nostro pensarli. Essi non appartengono a coloro che li pensano, bensì si presentano nello stesso modo a tutti coloro che li concepiscono. (...)
Un terzo regno va dunque riconosciuto. Ciò che vi appartiene concorda da un lato con le rappresentazioni, perché non può venir percepito con i sensi, e d'altro lato con le cose, perché non ha bisogno di alcun portatore ai contenuti della cui coscienza appartenere. Così il pensiero che articoliamo nel teorema di Pitagora è vero atemporalmente, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo ritenga vero. Non ha bisogno di alcun portatore. E' vero, cioè, non soltanto a partire dal momento in cui è stato scoperto, proprio come un pianeta è in un rapporto di azione reciproca con altri pianeti già prima che lo si scopra>>.   [G. FREGE, tratto da: "La filosofia di Gottlob Frege", di C. BIANCHI - pg. 150]




<<...C'è un rompicapo che ha disturbato gli scienziati di tutti i tempi: come è possibile che la matematica, che è un prodotto del pensiero umano indipendente dall'esperienza, si adatta così eccellentemente agli oggetti della realtà fisica? Può forse la ragione umana senza l'esperienza scoprire col puro pensiero le proprietà delle cose reali?..>>. [A. EINSTEIN, tratto da "Fisica senza dogma" di FRANCO SELLERI - pg. 46]


L'angolo musicale:
HAYDN: Duetto Adamo & Eva, op. La Creazione
https://youtu.be/KJhm9gO1fbY
Al rompicapo di Einstein ognuno dà la sua risposta,come ha fatto Frege,e come hanno fatto altri con argomentazioni alternative,tutte parimenti rispettabili.
Frege dice che la logica matematica è la scienza dell'essere vero.E io sono d'accordo.
Sostiene inoltre con Platone che la matematica vive in un regno tutto suo.E io non sono d'accordo.
Ma che la matematica viva in un regno tutto suo o che venga inventata lì per lì,più o meno alla bisogna,cosa cambia nella pratica e nelle applicazioni della matematica?
Direi nulla,se non fosse che cambia l'atteggiamento mentale di chi la matematica pratica,e quindi il modo e il percorso con cui giungono ai loro teoremi.
A parte ciò  l'idea che la matematica viva in un regno tutto suo è una fantasticheria superflua.
Una ipotesi non necessaria se non a tranquillizzare qualche matematico un po' ansioso.
La matematica dal mio punto di vista è uno dei tanti strumenti che usiamo per un dato scopo,che servono ognuno in genere a qualcosa di preciso,dimostrandosi più o meno adeguate allo scopo.
Poi succede che uno strumento si dimostri a volte più versatile del previsto,e questo è sicuramente il vaso della matematica.
A noi serve per interagire con la realtà.Punto.
Se Einstein pensava con le sue teorie di descrivere una realtà assoluta,era inevitabile che per contro si sorprendesse dell'inattesa efficacia della matematica allo scopo.
Se invece avesse visto alle sue teorie come un mezzo utile per interagire con realtà,allora la matematica sarebbe solo stata parte di quel mezzo,con nessuno motivo per non attendersi la sua efficacia allo scopo.
È bello meravigliarsi e stupirsi di fronte a certi misteri,oltre che indirettamente utile,perché ciò ci spinge sulla strada della conoscenza.
Sappiamo di aver raggiunto la conoscenza quando sparisce la meraviglia,non senza provare per ciò un umano disappunto,quando le cose si banalizzano.Questa è la notizia cattiva.
La notizia buona è che i motivi per meravigliarsi non finiscono mai.
Un po' come risolvere un cruciverba su "L'eternità enigmistica"🤓
P.S.Ovviamente ognuno cerca di portare prove alla propria teoria.
Una prova considerata forte riguardò al fatto che il teorema di Pitagora può  solo scoperto e non inventato,è il fatto che sia stato elaborato nel tempo da diverse culture e in diversi tempi in modo indipendente.A me non sembra un argomentazione così forte.
A meno che uno non pensi che la clava si a l'invenzione di un sol uomo e che da questi si sia diffusa all'intera umanità.
Ma certamente no.E' stata scoperta e riscoperta come il teorema di Pitagora,senza bisogno di inventarsi il favoloso mondo in cui vivono le clave.😄
#5676
Mario,non ho capito bene.
Però le leggi fisiche e le percezioni fanno a pugni.
#5677
Tematiche Filosofiche / Re: Dove c'è l'IO c'è Dio
13 Settembre 2017, 07:20:29 AM
La macchina di Turing è ideale.
In tal senso è lecito chiedersi se la m.di T.  è,intelligente ,e Turing ha ideato un famoso Test in proposito.
Ha senso chiedersi se l'uomo è una macchina di Turing,e io mi sono divertito a dimostrare che non lo è.
Ha senso chiedersi qualunque cosa,perfino se la m. Di T.ha una coscienza.
Queste domande hanno il pregio di costringerci a riconsiderare cosa è per noi intelligenza,coscienza e quant'altro,costringendoci a darne una definizione operativa.
Il test di Turing da appunto un tale tipo di definizione per l'intelligenza.
Non possiamo escludere a priori che una m.di T. sia dotata di coscienza finché non diamo una definizione operativa di coscienza.
Proviamo allora a proporne una.
La coscienza è un programma in grado di arrestare una macchina di Turing.
In base a tale definizione operativa possiamo escludere che la macchina di Turing sia cosciente,conseguendo ciò in modo evidente dalla definizione di macchina di Turing.
#5679
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Settembre 2017, 21:59:08 PM
Citazione di: iano il 12 Settembre 2017, 21:14:32 PM
Una verità non può che essere assoluta.

...E questo l'ho scritto anch'io più di una volta.

IANO
Si tratta di enunciati che vengono considerati "veri" fino a prova contraria.

CARLO
Quindi se io affermo che <<V=RI è vero fino a prova contraria>> ho detto semplicemente una verità (assoluta). Dico bene?


No,non si tratta di una verità assoluta.
Si tratta di qualcosa che tu sei libero di condividere.
Scienza è ciò che la comunità di scienziati dicono essere.
Gli scienziati sono uomini che nel tempo cambiano i loro paradigmi.
Non esistono verità nella scienza perché la scienza è un prodotto umano,e in quanto tale è soggetto alle mode e ai capricci dell'uomo.
Ad ogni epoca si trova un accordo di massima è quello dicesi scienza.
Un secolo fa c'era un accordo diverso e fra un secolo c'è da scommetterci che ce ne sarà un altro.
Non c'è mai un perfetto accordo fra gli scienziati,ma se anche occasionalmente ci fosse questo non cambierebbe nulla.
La scienza è un prodotto umano e ne eredita i limiti.
L'uomo non ha alcun attributo di assolutezza,e i suoi prodotti parimenti quindi non  l'hanno.
Se tutti gli uomini fossero d'accordo che qualcosa è vero,ciò non renderebbe vera quella cosa.
Gli stessi teoremi della matematica sono veri nel senso che i matematici sono d'accordo su ciò,con
la differenza non piccola che su quelli si raggiunge maggiore unanimità.
Ma questa unanimità non fa più veri quei teoremi.
Non si può mai escludere che fra mille anni qualcuno trovi un difetto alla dimostrazione del dato teorema
Non solo l'unanimita  non è dirimente,ma nella matematica moderna anche il concetto di dimostrazione muta.
In certi campi specialistici della matematica infatti pochi matematici sono in grado di verificare una dimostrazione,e spesso si fa uso dei computer in modo decisivo,cosicché anche l'idea di cosa sia una dimostrazione matematica è in evoluzione.
In genere esistono idee diverse su cosa sia una dimostrazione matematica corretta,e tutte convivono,con una di queste che va per la maggiore,quella più di moda.
L'insegnamento scolastico statale stesso risente di queste mode.
La matematica  stessa dunque non è fonte di certezze al pari della fisica,ma entrambi sono fonti di progresso,o di presunto progresso.
#5680
Quello che hai attribuito a Jean è mio.
Una verità non può che essere assoluta.
Una teoria fisica non esprime verità.Non è quindi neanche corretto dire che esprime verità parziali,perché verità parziale a rigore non significa nulla.
Al massimo possiamo parlare di "verità parziali" specificando cosa intendiamo con ciò di preciso.
In scienza si parla di "verità parziali" in modo colloquiale.
Si tratta di enunciati che vengono considerati "veri" fino a prova contraria.
Il fatto di non possedere verità,nel senso loro proprio di assolute,non è così destabilizzante come credi.
Possediamo teorie che hanno funzionato finora permettendoci di prevedere il risultato di una misura entro un margine di errore noto.Non mi sembra poco.
Per venirti incontro e cercare di dissolvere il tuo sentir la terra mancare sotto i piedi,ti faccio notare che il numero che esprime quel l'errore ha a che fare con le cosiddette costanti universali della natura.
Però che siano davvero universali nessuno può giurarci.Mi dispiace.
Non è proibito pensare che esistano verità fisiche,quindi assolute,ma il pensarlo non sembra che sia di alcuna utilità per la ricerca fisica.Mi dispiace.
#5681
Sono espresse,ma non ne derivano,quindi non ne ereditano gli attributi.
Per non dire che le leggi della logica da un pezzo non sono più considerate assolute.
Carlo,sei indietro di almeno un secolo.Non che le idee siano un fatto di moda......ma se le vuoi riattualizzare dovresti trovare argomenti più meditati e meno improvvisati lì per lì,per quanto a tale vizio io stesso sono solito adagiarmi,trovando però per ciò giustificazione nella mia ignoranza.
#5682
Tematiche Filosofiche / Re: Dove c'è l'IO c'è Dio
12 Settembre 2017, 18:36:36 PM
Citazione di: Mario Barbella il 10 Settembre 2017, 12:34:32 PM
Per comprendere il significato di questa particolare credenza e della sua fondatezza o meno potremmo richiamarci a molte riflessioni scientifico-matematiche, qui sceglieremo quella suggerita dal computer ideale immaginato da Turing (niente a che vedere con la famosa macchina che decriptava le comunicazioni militari tedesche nella seconda guerra mondiale). Ci riferiamo, invece, al suo astratto computer ideale pensato, sempre idealmente,per teorizzare e gestire,almeno in via di principio, calcoli aritmetici di qualunque complessità mediante sistemi combinati di computer elementari di quel tipo; accenneremo al funzionamento di questo computer elementare ideale evidenziandone i dettagli per questa discussione:

a)E' una scatola-computer capace di contenere ed interpretare dati di input grazie ad un programma di calcolo che l'Osservatore vi ha inserito, programma applicabile a sequenze di dati in entrata nel computer mediante un nastro di lunghezza infinita che la stessa scatola computer muove, in avanti e indietro a scatti in funzione sia dei dati stessi che del programma pensato ed inserito dall'Osservatore. I dati in sequenza del nastro, che transitano nella scatola, verrebbero così trasformati in nuove sequenze destinate all'uscita dalla scatola stessa e registrate sul nastro.
b)I dati in uscita consistono di sequenze che tenderebbero a quella risolutiva del problema e attesa dell'Osservatore.
c)Il nastro dei dati si muove, in avanti e/o indietro, per scatti interi, secondo le esigenze del programma ed in funzione di quanto si svolge nella scatola-computer, il tutto per le necessità del calcolo imposte dal programma dell'Osservatore.
d)Una volta terminato il calcolo, il nastro si arresterebbe secondo il programma, segnalando così all'Osservatore la disponibilità della soluzione rappresentata dall'ultima sequenza, quella risolutiva.  

        L'arresto del computer ideale di Turing è, dunque, il segnale conclusivo del programma di calcolo atteso dall'Osservatore che ha pensato e realizzato il programma che, appunto, dovrebbe fermarsi solo quando sono soddisfatte le condizioni di soluzione volute, programmate e trasferite sul nastro.

        Con l'ateso arresto del computer e del suo nastro, cessa la descrizione tecnica del computer ideale di Turing, ma ora è da analizzare il conseguente importante approccio dell'Osservatore cioè di chi ha voluto e gestito un qualcosa del Suo universo come questo computer attendendo un risultato conoscitivo.
        Nel significato ordinario del termine si pensa all'Osservatore come ad un tale che guarda, pensa ed agisce su qualcosa, quindi, un intelligenza che agisce nel Suo ed unico universo, ma è anche molto di più: è proprio l'Universo stesso che si auto-osserva. Supponiamo che l'Osservatore abbia avviato e sia in attesa dell'arresto del computer di Turing da lui programmato ed avviato. Si può verificare il caso fortunato che dopo pochi scatti il computer si arresti e contenga l'attesa soluzione del calcolo programmato. Ma, escludendo il caso di errori verificabili e riparabili, può verificarsi anche che il computer non si arresti o tardi ancora a lungo a farlo, cosa fare? Qui è il problema: come può, l'Osservatore capire se trattasi di ritardo nel completamento del ciclo risolutivo o che la voluta soluzione non ci sia? Non dimentichiamo, infatti, che il teorema di incompletezza di Gödel non assicura l'esistenza di una soluzione per ogni problema matematico. L'Osservatore può ricorrere all'arresto forzato della macchina perché potrebbe essere almeno utile  per escludere eventuali errori di programma o guasti della macchia stessa onde ripararli e riavviare il calcolo; in mancanza di arresto dovrà comunque decidere se attendere ancor a lungo l'arresto risolutivo o lasciar perdere tutto.

Così si evidenzia che la "macchina computer" o intelligenza artificiale è incompleta perché non garantisce tutte le soluzioni in tempi finiti, ciò ripete e concorda col teorema di incompletezza di Gödel. La incompletezza della macchina ha una travolgente importanza filosofica che ci lancia fuori dalla stupidissima idea che l'intelligenza artificiale possa prevalere su quella dell'IO cosciente (ovvero: l'Osservatore), ma soprattutto ci dice che l'Osservatore e la vera ed unica macchina intelligente e conclusiva dell'Universo, anzi, se ci si sforza a pensare, l'Osservatore è proprio l'Universo in sé e, se ci si sforza a pensare ancora meglio, è molto di più! A questo punto, però, e giusto che si lasci la palla di questa riflessione proprio a chi si sente di pensarci.
in effetti il teorema di Godel,trasposto in macchina di Touring da una illusione di banalità.
Ma una macchina di Touring è intelligente nel senso che una volta si dava ad intelligenza?
Cioè è capace di comprendere?
Quel che è certo è che noi siamo capaci di comprendere e che siamo fatti anche di macchine di Touring,e che di queste macchine la nostra capacità di comprendere fa' uso.
Ma cosa significa comprendere e cosa significa intelligenza?
Nel momento in cui vogliamo dare di esse delle definizioni operative ci troviamo costretti a ripensarle e quindi a riconsiderarle meglio e magari a ridefinire.
Se fossimo solo delle macchine di Touring,allora la coscienza sarebbe quel processo che pone termine al calcolo,se nel frattempo questo non si è arrestato da solo.
La necessità di arrestare il calcolo potrebbe farsi derivare dal fatto che la macchina dispone di risorse limitate da ripartire fra diversi diversi calcoli in modo utile.
Se fossimo realmente una macchina di Touring potremmo pensare che il nostro vero scopo sia portare a termine ogni calcolo,e non inizieremmo quindi un nuovo calcolo senza aver finito il precedente.
Se così fosse ci saremmo estinti da tempo a causa delle limitate risorse e del loro poco conveniente uso fatto.
Possiamo escludere quindi di essere solo delle macchine di Touring,ma non certamente che esse facciano parte di noi,parte di noi che siamo riusciti ad esplicitare in un computer.
Cos'è dunque un computer,al di là dei suoi componenti materiali?
È' la presa di coscienza,resa in solido, delle nostre routine interne le quali per funzionare non abbisognano della nostra coscienza.Almeno quando si arrestano da sole in un tempo congruente con le risorse disponibili.
In che modo allora viene da pensare oggi destiniamo risorse alla ricerca scientifica?
Mi sembra significativo il fatto che chi fa' ricerca non è chi la finanzia.
Uno scienziato può anche essere convinto di andare alla ricerca della verità assoluta,e potrebbe pensare di non arrestare la ricerca fin che non trova quel che cerca,ma non è certo per questo che viene finanziato,è tutto sommato glielo si può lasciar credere senza danno.
Anzi,se la testardaggine e la costanza servono alla causa,chi meglio può nutrirle del l'illusione della verità?
#5683
Citazione di: Sariputra il 12 Settembre 2017, 01:33:40 AM
Citazione di: Phil il 12 Settembre 2017, 00:33:51 AM
Citazione di: iano il 11 Settembre 2017, 21:44:00 PMTu ci vuoi riportare indietro di un secolo dimostrandoci di essere in errore. Una legge fisica non è vera oggi è falsa domani,ma è probabilmente verificata. Una legge fisica ci permette di fare previsioni attendibili entro un margine di errore noto. Dal punto di vista del l'utilità pratica e delle applicazioni tecnologiche tanto è sufficiente,e non occorre altro. Questo è il nuovo modo di vedere le cose in fisica oggi.Questa è la nuova moda,diciamo così.
Sono della stessa opinione (non verità assoluta ;) ). Quando esortavo a non restare fermi all'illuminismo, intendevo proprio questo: non rimanere incagliati nell'anacronistico fascino della ricerca della Verità; non usare la ragione umana per ricondurre anche il mistico e lo spirituale dentro una pseudo-episteme omniesplicativa; non "scientificare" la metafisica... già, perché la verità assoluta, una, inconfutabile, etc. è un filosofema della metafisica classica (che è stato identificato con l'acqua, o un "motore immobile", o una divinità, o l'essere...). Ad oggi la filosofia, come ben segnalato anche da Jacopus, può rivolgersi anche ad altro, di ben meno trascendente e meta-temporale (le vicissitudini umane, ad esempio ;) ), lasciando che siano i settori scientifici a porsi il problema gnoseologico di definire, calcolare, formalizzare, "probabilizzare" le verità immanenti...
Citazione di: iano il 11 Settembre 2017, 21:44:00 PMNon abbiamo necessariamente bisogno di verità assolute.
La non-necessità di verità assolute riecheggia sia nei problemi connessi al pensare il divenire con una logica che è invece "rigida" e "astratta", sia nella vita quotidiana che abbisogna di certezze affidabili, non necessariamente assolute... porsi il problema dell'assolutezza della verità, significa disconoscere l'urgenza di vivere nel presente, di orientarsi nel contingente e nell'accidentale (il prezioso "qui ed ora" che accomuna oriente ed occidente), significa non poter/voler sopportare il tracciare la propria vi(t)a passo dopo passo (e accettarne i passi falsi). Avere fame di verità assoluta assomiglia all'essere digiuni di arte culinaria, non aver voglia/capacità di cucinare ciò che si ha a disposizione, e sbattere quindi le posate sul tavolo credendo che tale baccano tribale evocherà il piatto pronto e definitivo (quello che sazia per sempre). Detto con altra immagine (non uso la logica, altrimenti alcuni fraintendono e mi scambiano per "sofista" e/o "paroliere" ;D ): per rincorrere la carota che altri ci hanno messo ad un palmo dal naso, non ci accorgiamo che stiamo già correndo in un campo di carote, calpestandone a decine, incantati e quasi accecati da quella singola carota, che ci sembra più grande solo perché è davanti agli occhi (e ci impedisce di guardare alle altre, che ci sazierebbero anche di più ;D ).

Mi sfugge la logica dell'accostamento di colui che aspira ad una verità assoluta ad uno che " non può/vuole sopportare di tracciare la propria vita passo dopo passo". Andare alla ricerca di qualcosa di assoluto non è precisamente un lavoro da fare passo dopo passo? Non si devono sopportare notevoli difficoltà e/o incomprensioni? Non è invece colui che si accontenta di verità parziali e relative che rifiuta/ non sopporta questa sfida immane e un pò folle? Non è precisamente lui che rischia di "accontentarsi"? Per quale ragionevole motivo uno che aspira a qualcosa di "assoluto" non dovrebbe accorgersi delle bellezze "relative" che incontra? Si può benissimo correre in un campo di carote  aguzzando la vista in cerca del "carotone" e nel frattempo caricarsi lo zaino di piccole "carotine"... ;D  Una cosa non esclude affatto l'altra. Anzi! E' proprio perché aguzzo allo spasimo lo sguardo che mi accorgo della bellezza anche delle piccole carotine che mi circondano... ;)

Fino a un certo punto tutti eravamo convinti dellà possibilità di giungere a verità,che in quanto tali sono assolute.
Tutti e a tutti i livelli,seppur consci delle difficoltà e con n vari gradi di fiducia e/o ingenuità,e senza distinzione di campi,fisica,matematica etc...
La verità assoluta raggiunta con la  geometria euclidea,stante il suo perfetto parallelismo con la realtà come ci appare/appariva,non ci dava motivo di credere che non potesse avere senso il poter accedere ad una realtà assoluta nel campo della fisica.
Questa posizione ,che potremmo chiamare ingenua col senno di poi,è ancora attuale,perché il mondo non ha certo smesso di presentarsi a noi con le sembianze della geometria euclidea.
Ho scritto appare/appariva perché non si può non tenere conto del fatto che oggi tutti,ognuno con la sua dose di ingenuità,ha aggiunto alla visione euclidea,quella di Einstein relativistica e persino quella quantistica.
La dose di ingenuità può essere tale da un n durare in effetti una visione totalmente opposta a quella ufficiale relativistica e quantistica.
Perché diciamo che sono cose non facili da digerire.
Ma ciò che è significativo è che non c'è nessuno che a,pur a modo suo,non si trovi in fase di digestione ,più o meno avanzata.
In tal senso il mondo fisico visto al modo di Euclide altro non è che un modo di vedere il mondo ben digerito da tutti e da molto tempo,tanto che noi di fatto lo abbiamo ereditato.
Così come l'embrione umano nel suo sviluppo sembra farsi un ripasso di tutte le fasi della evoluzione,allo stesso modo ogni bambino passa per la fase euclidea,anch'essa fase importante,ed ancora attualissima in verità,della nostra evoluzione.
Gli assiomi alla base della geometria euclidea erano per noi,e ancora lo sono volendo,evidenti,per il motivo che ciò pensavamo e di cui ragionavamo ed esponevamo dimostrazioni inconfutabili,coincideva con ciò che vedevamo.
In questo quadro dire che era possibile accedere alle verità assolute fisiche aveva la stessa evidenza di 2 più 2,4.
Oggi sappiamo che le diverse teorie fisiche sono diversi occhiali da indossare,laddove la teoria euclidea la indossiamo per default,senza neanche sapere di indossarla,perché in effetti corrisponde a nessun occhiale.
Che la realtà sia euclidea lo vediamo senza starci a pensare,e ad occhio nudo.
Però il fatto che gli occhi non vadano indossati non lo rende sostanzialmente diversi da un paio di occhiali.
Solo uno fra tanti.
Da quella coincidenza perfetta ed apparentemente unica tra ciò che pensavamo e ciò che vedevamo è nata l'illusione che la verità fisica fosse alla nostra portata.
Oggi possiamo considerarla una visione ingenua.
Comunque se invece di andare alla ricerca di "verità parziali" si va alla ricerca di verità assolute di fatto non cambia molto.
Ogni teoria in se è un pregiudizio,inteso in senso positivo.
Chi va in cerca della verità assoluta sono certo che qualcosa alla fine trova,e magari trova qualcosa che chi va in cerca di verità parziali non troverà mai,e viceversa.
Sono tutti i benvenuti in questa avventura.
#5684
Non ho conoscenze filosofiche.Parlo in modo spicciolo e spero comprensibile.
Sarà un secolo che il concetto di verità non è più di moda in fisica,rimanendo relegato al campo della matematica .
All'inizio del secolo scorso si credeva che tutte le verità della fisica fossero note,e si sconsigliavano gli studenti di intraprendere lo studio di una materia giunta al capolinea.
Carlo,tu mi sembri perfettamente in linea con quel modo di sentire,essendo comunque disposto a spostare quel capolinea, per l'evidenza delle nuove conoscenze intervenute nel frattempo,un po' più in là.
Tu ci vuoi riportare indietro di un secolo dimostrandoci di essere in errore.
Una legge fisica non è vera oggi è falsa domani,ma è probabilmente verificata.
Una legge fisica ci permette di fare previsioni attendibili entro un margine di errore noto.
Dal punto di vista del l'utilità pratica e delle applicazioni tecnologiche tanto è sufficiente,e non occorre altro.
Questo è il nuovo modo di vedere le cose in fisica oggi.Questa è la nuova moda,diciamo così.Non sei d'accordo?
Perché?
Non abbiamo necessariamente bisogno di verità assolute.
#5685
Wittgstein,cosa ha detto mi importa e non mi importa.
Mi importa quel che dice Carlo.
E spero a te importI quel che dico io.
Rispondi con parole tue.