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Messaggi - doxa

#571
Storia / Re: I cardinali con il colore sbagliato!
13 Dicembre 2022, 18:13:57 PM
Buonasera Eutidemo,

l'abito talare dei cardinali è di colore "rosso ponsò": colore tra il carminio e l'arancio. Tecnicamente si chiama "rosso ponsò" e così è definito  dalle sartorie ecclesiastiche.

Ti segnalo come lettura l'Istruzione della Segreteria di Stato "Ut sive sollicite", circa le vesti, i titoli e le insegne di Cardinali, Vescovi e Prelati minori, firmata dal cardinale Amleto Giovanni Cicognani il 31 marzo 1969, ed entrata in vigore la Domenica in albis dello stesso anno. Il documento fu ratificato dal papa Paolo VI.

Per farti sorridere ti mostro alcune foto di cardinali in cappa magna, ancora non abolita dal Vaticano.

La cappa magna è a forma di campana con strascico posteriore lungo alcuni metri, che viene tenuto dalle braccia del caudatario: questo sostantivo deriva dal latino "cauda" (= coda).

Il 30 novembre 1952 con il motu proprio "Valde solliciti"  il pontefice Pio XII accorciò di metà lo strascico delle cappe dei cardinali (prima 12 metri, oggi 6).


Pare esagerare il cardinale Antonio Canizares, spagnolo, che nel  dicembre 2008 fu nominato  dal papa "Prefetto della Congregazione del Culto Divino".
 

Cardinale George Pell, australiano.
È uno dei cardinali che "per protesta"  celebrarono la messa tridentina dopo la riforma liturgica, ed è  il prelato coinvolto in Australia in casi di pedofilia.
 

 
 

Il cardinale Giuseppe Siri in cappa magna, sopra di essa la mozzetta con la pelliccia di ermellino.
#572
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Il dono di Toth
07 Dicembre 2022, 18:33:55 PM
/5

Nel I millennio a. C. dalla scrittura ieratica derivò una forma semplificata, detta "demotica".
 
Questo tipo di scrittura, a differenza di quella  ieratica e quella geroglifica, non era utilizzato nei testi letterari o nelle iscrizioni funebri, ma nei documenti per scopi commerciali e letterari,  mentre la ieratica veniva riservata per la redazione di testi religiosi.
 
Scrittura "demotica", dal greco dēmotikós (= popolare, derivato da "démos" = popolo): questo nome le fu attribuito  dall'antico storico greco Erodoto (484 a. C. – 425 a. C.) per designare la forma popolare di scrittura accanto a quella ieratica e a quella geroglifica.
 
Dagli Egiziani  la demotica veniva denominata  "sekh shat": significa "scrittura per documenti, ma foneticamente evoca il nome della dea Seshat, divinità protettrice della scrittura.
 
La fase finale della lingua egizia fu l'alfabeto copto, basato sull'alfabeto greco, con l'aggiunta di 7 grafemi derivanti dal demotico per trascrivere altrettanti fonemi non esistenti nella lingua greca.
 
Con l'utilizzo dell'alfabeto greco, per la prima volta nella storia della lingua egizia furono trascritte anche le vocali, non esistenti nei precedenti sistemi di scrittura della lingua; la scrittura va da sinistra verso destra, in linee orizzontali, senza separazione fra le parole, seguendo l'uso greco da cui era stata derivata.
 
the end
#573
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Il dono di Toth
07 Dicembre 2022, 18:32:37 PM
/4

Il termine "geroglifico" deriva dal latino hieroglyphicus, parola composta dall'aggettivo hieròs (= sacro)  + il verbo glýphō (= incidere): [segni] sacri incisi. Infatti i geroglifici venivano incisi su pietra, utilizzati come sistema di scrittura  riservata, come già detto nel precedente post, ai templi, ai monumenti, alle tombe dei sovrani, ecc..


Obelisco con geroglifici in piazza San Giovanni in Laterano, Roma


la tomba di Ramses IV è una delle meglio conservate della Valle dei Re. All'interno ci sono delle iscrizioni con dei testi funerari mirati a facilitare il viaggio del faraone nell'aldilà

Ogni glifo  della scrittura geroglifica corrisponde a un segno della scrittura ieratica.

Il rapporto fra i geroglifici e lo ieratico è confrontabile con quello attuale fra lo  stampatello e il corsivo.

La scrittura geroglifica si può leggere in entrambe le direzioni: da sinistra a destra oppure da destra a sinistra, a seconda dell'orientamento dei segni.
Invece la ieratica si legge soltanto da destra a sinistra. Inizialmente poteva essere scritta sia in righe sia in colonne, come i geroglifici, ma dopo la XII dinastia  venne standardizzata la scrittura orizzontale.

La parola "ieratica", da hieròs,  significa (scrittura) sacra, deriva dalla lingua greca antica. Per secoli erroneamente si credette  che la scrittura ieratica  fosse utilizzata soltanto dai sacerdoti egizi.  Il fraintendimento derivò dal fatto che nell'epoca in cui i Greci arrivarono in Egitto essi notarono che i documenti conservati negli archivi dei templi  erano scritti in ieratico e credettero che questa scrittura fosse tipica dei testi religiosi. In realtà gli archivi dei templi non contenevano solo testi religiosi, ma anche opere letterarie, scientifiche e militari, dal momento che nei templi avveniva anche l'istruzione dei futuri professionisti dello Stato.

A far entrare l'Egitto nell'orbita della Grecia furono le conquiste di Alessandro Magno nel IV sec. a. C.. Dopo la sua morte l'impero macedone fu diviso tra i generali che lo avevano accompagnato nelle spedizioni militari. Vennero costituiti i cosiddetti "regni ellenistici", tra i quali quello tolemaico in Egitto, iniziato con Tolomeo I e concluso con la morte per suicidio di Cleopatra VII e la conquista romana nel 30 a. C..

La cultura ellenistica continuò a prosperare in Egitto durante i periodi romano e bizantino, fino alla conquista islamica dell'Egitto tra il 639 e il 642.
#574
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Il dono di Toth
07 Dicembre 2022, 18:29:33 PM
/3
 
In occasione del secondo centenario dell'interpretazione dei geroglifici da parte di Champollion, il Museo Egizio  di Torino celebra quell'evento con una mostra titolata: "Il dono di Toth: leggere l'antico Egitto", da oggi, 7 dicembre 2022, al 7 settembre 2023.
 
Fra gli oggetti presenti, c'è il "Papiro dei re": l'unica lista reale di epoca faraonica scritta a mano su papiro (non con i  segni geroglifici, il cui uso era riservato ai templi, alle tombe dei faraoni, ai monumenti alle stele,  agli obelischi,  statue)  con la scrittura ieratica, in corsivo, di uso quotidiano,  che veniva tracciata  dagli scribi sul papiro con il calamo tinto nell'inchiostro.
 

scriba seduto, statua in pietra calcarea dipinta raffigurante uno scriba al lavoro, rinvenuta a nord del "Corridoio delle Sfingi" del Serapeo di Saqqara, datata tra il 2620 e il 2350 a.C. circa. Museo del Louvre, Parigi.
 
In alcuni testi letterari rinvenuti c'è l'invito ai giovani egiziani di diventare scribi, per poter avere possibilità di lavoro e carriera nell'amministrazione statale.
Soltanto poche persone erano capaci di scrivere e leggere i geroglifici: scolpiti o dipinti. Sono formati da figure che rappresentano persone,  animali, piante, manufatti.
 
La scrittura geroglifica (che letteralmente significa "segni sacri incisi") degli Egizi era un sistema molto complesso, che contemplava caratteristiche principalmente logografiche ma anche fonetiche: un simbolo poteva rappresentare una parola, una sillaba o una lettera.
 
Considerando tutte le possibili varianti, il sistema geroglifico comprendeva diverse migliaia di glifi, rendendo quello dello scriba un mestiere per pochi.
 
Si credeva che  quei segni avessero una forza particolare, fossero abitati dal divino.
 

 scrittura ieratica su papiro
#575
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Il dono di Toth
07 Dicembre 2022, 18:25:53 PM
/2

Le prime testimonianze sulla  scrittura nell'antico Egitto  risalgono all'incirca al  3.200 a. C..
 
Le iscrizioni furono rinvenute nel 1988 nella cosiddetta "tomba U-j", sepoltura proto-regale nell'Alto Egitto.
 
La tomba è suddivisa in dodici camere. Sebbene depredata nel lontano passato, fu  trovato molto arredo funebre: manufatti in avorio e osso, differenti tipi di ceramica, più di 200 giare di vino,  circa 150 tavolette di argilla con brevi iscrizioni.
 
Le piccole tavolette, incise ognuna con segni geroglifici, in numero variabile da uno a quattro, indicano come la scrittura fosse già ad un certo livello di sviluppo. Alcune delle iscrizioni sono leggibili (con valore fonetico) e menzionano istituzioni amministrative, proprietà agricole del sovrano,  alcune località nel delta del Nilo. 
 
Anche molte ceramiche sono iscritte con uno o due ampi segni tracciati con inchiostro nero.
 
E' noto che i geroglifici, scolpiti o dipinti,  compongono  un sistema di scrittura formato da logogrammi sillabici e alfabetici, decodificati nel 1822 dall'archeologo ed egittologo francese  Jean-François Champollion (1790 – 1832).
 
L'antico sistema di scrittura egizio era un misto di:
 
logogrammi, segni utilizzati per indicare una parola intera;
 
tassogrammi (o determinativi), segni usati per indicare l'ambito semantico di una parola;
 
fonogrammi, segni che rappresentano il suono di una parola indicandone le sole consonanti.
 
Le tre tipologie potevano coesistere in uno stesso segno.
 
#576
Tematiche Culturali e Sociali / Il dono di Toth
07 Dicembre 2022, 18:24:26 PM
Toth, divinità appartenente alla religione dell'antico Egitto.
 
Veniva rappresentato in due modi:
 
come una scimmia del tipo babbuino

scimmia del tipo babbuino
 

il dio Thot raffigurato come un  babbuino , Museo del louvre, Parigi
 
oppure  con corpo umano e testa di un volatile, l'Ibis sacro.
 


 
Al dio Toth furono attribuite numerose  funzioni e ruoli.

Creduto l'ideatore della scrittura, fu  patrono degli scribi, degli archivi e delle biblioteche.
 

il dio Thot in forma di babbuino protegge lo scriba reale Nebmertouf, XVIII dinastia
 
Thoth  aveva come  moglie oppure sorella o paredra la dea Seshat, divinità protettrice della scrittura, dell'aritmetica, delle progettazioni architettoniche di templi ed edifici reali.


la dea Seshat (il suo nome significa "la scriba"), indossa la pelle sacerdotale di leopardo e un emblema sul capo, costituito da una rosa stellata. 

Il culto verso questa divinità  è molto antico. Fu venerata dagli scribi e dalla famiglia reale egizia fino al periodo tolemaico (323 a. C. – 30 a. C.). 
#577
Ultimo libro letto / Re: Il dono di Cadmo
07 Dicembre 2022, 16:41:04 PM
/3

Nel III millennio a.C. fu sviluppato un sistema geroglifico semplificato, con caratteristiche fonetiche. Ciascuno dei 22 segni rappresentati corrispondeva ad una consonante. Essa era la lettera iniziale della parola rappresentata nel simbolo. È il cosiddetto proto-sinaitico.
 

alfabeto proto-sinaitico

I Fenici presero questi simboli, semplificandoli ed associandoli ai suoni della loro lingua.

Ad esempio il pittogramma della testa di un toro venne associato alla parola Aleph (bue), e da esso, come già detto, discenderà, attraverso una progressiva semplificazione grafica ed evoluzione fonetica, la moderna lettera A.

Dall'alfabeto fenicio, oltre a quello greco e romano, derivano anche l'alfabeto ebraico e quello arabo.

La lingua dei Fenici faceva infatti parte della famiglia delle lingue semitiche.

Furono i Greci che nel IX sec. a.C. fecero proprie le consonanti fenicie e vi aggiunsero le vocali, spesso riadattando simboli che non avevano un corrispettivo fonetico nel greco.

Vennero introdotte anche ulteriori consonanti per ovviare alla mancanza di alcuni fonemi necessari alla pronuncia della lingua.


alfabeto fenicio

Nel passaggio tra il sistema di scrittura fenicio e quello greco ci fu l'introduzione della notazione dei suoni vocalici. Alcune lettere dell'alfabeto fenicio che rappresentano suoni superflui per il greco, furono utilizzate per rappresentare non delle consonanti, come in fenicio, ma delle vocali.

L'alfabeto che esportarono i fenici, infatti, era un alfabeto consonantico: del discorso orale segnalava la sola presenza delle consonanti e non quella delle vocali, che andavano integrate nella lettura.
 

alfabeto greco arcaico

Il nostro alfabeto deriva da quello greco tramite l'alfabeto etrusco, introdotto nell'Italia meridionale dai coloni Greci e poi diffusosi in tutta la penisola, fino all'arco alpino.

Il più antico sistema di scrittura etrusco era bustrofedico: alla fine di ogni riga il testo cambiava direzione, da sinistra a destra, da destra a sinistra.

In epoca successiva si affermò la scrittura con andamento da destra a sinistra ed è per questo che spesso i caratteri etruschi, seppur simili a quelli latini, appaiono riflessi.

Inizialmente l'alfabeto latino veniva usato nella scrittura interamente maiuscola, come quella nelle epigrafi. Tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C, venne elaborata anche la scrittura corsiva.

the end
#578
Ultimo libro letto / Re: Il dono di Cadmo
07 Dicembre 2022, 16:34:09 PM
/2

L'alfabeto latino, tecnicamente detto "sistema di scrittura latino", è un insieme di grafemi usato dalla maggior parte dei sistemi di scrittura del mondo. È formato da 26 lettere, ma in origine ne aveva solo 20.


alfabeto latino

Tutti gli alfabeti cominciano con la lettera A, dal suo nome greco "alpha", ma la denominazione è di origine semitica (ancora in uso: 'alef in ebraico, 'alif in arabo) e anticamente aveva il significato della nostra parola "bue", che si ottiene in forma stilizzata rovesciando la lettera di 180 gradi, e si può riconoscere la testa di un bovino con le corna vista di fronte.

Quando i Greci ricevettero l'alfabeto dai Fenici, la prima lettera era adagiata con le corna verso destra. Furono i Greci a ruotarla portando le corna verso il basso.

Si ignora il motivo di queste rotazioni. Comunque la connessione con la figura che la lettera rappresentava in origine non era più rilevante. Infatti adagiata o completamente rovesciata, la lettera A non rappresentava più il bue, ma utilizzata per rappresentare un fonema, un particolare suono della voce.
Questo segno il valore di bue/toro o bestiame lo aveva avuto  da un geroglifico egizio.

La lettera "Alpha" essendo la prima dell'alfabeto era anche usata come cifra per indicare il numero 1 in uno dei due sistemi di numerazione che i Greci utilizzarono nell'antichità.

L'alfabeto latino è rimasto immutato dall'epoca della Roma imperiale ai giorni nostri, ma, come detto, ha origini e legami che lo collegano con altri sistemi di scrittura.

I Latini, mutuando le lettere dall'alfabeto greco (attorno all'VIII sec. a.C.,  forse tramite gli Etruschi), presero solo quelle necessarie a rappresentare i suoni in uso nella loro lingua corrente.

Per esempio la lettera G è un'aggiunta nel III sec. a.C., mentre Y e Z vennero introdotte in epoca repubblicana, in concomitanza con l'aumento dell'influenza culturale greca su Roma, e dunque per la necessità di trascrivere alcune parole greche nel sistema di scrittura latino.

La W e la J sono introduzioni medievali atte alla trascrizione di altre lingue (ad esempio quelle anglo-sassoni).

Una curiosità riguarda le lettere U e V: esse non vennero distinte fino all'epoca rinascimentale.
I Latini infatti non distinguevano graficamente i due suoni, ed anche la loro pronuncia, nel latino classico, era molto più simile di quanto sia in italiano. In scrittura il segno V rappresentava entrambi i suoni, e in ambito epigrafico la lettera V è stata preferita alla U fino al XXI secolo.
#579
Ultimo libro letto / Il dono di Cadmo
07 Dicembre 2022, 16:30:27 PM
Cadmo (in greco antico Kàdmos) è un personaggio  della mitologia greca, che lo vuole  figlio del fenicio Agenore, re di Tiro,  e fratello di Europa, che venne rapita da Zeus.
 
Cadmo è un tipico eroe fondatore (della città greca di Tebe, in Beozia) e civilizzatore, a cui la tradizione attribuì l'introduzione in Grecia dell'alfabeto  fenicio.
 
Le prime tracce scritte in greco sono della seconda metà dell'VIII sec. a. C., invece le prime attestazioni  in alfabeto fenicio appaiono nella metà dell'XI sec. a. C..
 
Fino all'epoca di Alessandro  Magno  (IV sec. a. C.) in Grecia si usavano varianti dell'alfabeto greco: ogni pòlis ne aveva uno. Le località con gli indizi epigrafici dove sono stati rinvenuti caratteri alfabetici più vicini al modello fenicio sono le isole di Creta e Thera (Santorini).
 
I Fenici scrivevano da destra a sinistra, invece i Greci in epoca arcaica usavano tre modalità: da destra a sinistra, da sinistra a destra (che in seguito divenne per loro la norma), oppure procedendo a righe alternate, una da destra a sinistra e l'altra da sinistra a destra.
 
Nel nostro tempo miliardi di persone in tutto il mondo usano  le lettere dell'alfabeto. Ma che origine hanno ? Di quali tempi, culture, popoli ci raccontano ? Perché la A è la prima lettera dell'alfabeto ? Perché la D, fra i numeri romani, significa 500 ?
 
Risponde a queste e ad altre numerose domande Alessandro Magrini, che ha pubblicato il saggio "Il dono di Cadmo. L'incredibile storia dell'alfabeto", edito da "Ponte alle Grazie".
 
L'autore ci accompagna in un viaggio affascinante dall'antico Egitto alla Fenicia, dalla Grecia a Roma.
 
Il mito narra che Cadmo apprese dagli scribi  egiziani l'arte della scrittura, modificandola in una serie di caratteri, semplificati  (rispetto ai geroglifici): l'alfabeto.
 
Le lettere per scrivere furono esportate anche in Italia, dove, secondo Tacito, storiografo della letteratura latina, gli Etruschi le impararono da Demarato di Corinto, e gli abitanti del Lazio da Evandro d'Arcadia.
 
Ma cosa c'è di credibile o di possibile in quel racconto ?
 
Alessandro Magrini ripercorre il lungo cammino compiuto da ciascuna delle lettere dell'alfabeto, dal loro concepimento fino a ricevere la forma e l'uso odierni.
#580
Post scriptum

Ve la ricordate la scena nel film "Un americano a Roma", del 1954, interpretato da Alberto Sordi, mentre dice: "Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo adesso, io me te magno !"  ?. Nel piatto che ha davanti ci sono gli spaghetti, ma lui li chiama "maccheroni", perché la parola "maccherone" per secoli è stata sinonimo di "pasta" di qualsiasi formato.

Un famoso cuoco del '400, Martino de' Rossi o Martino de Rubeis, detto "Maestro Martino", fu  a Milano al servizio del duca Francesco Sforza, poi si trasferì a Roma per lavorare come  capo "chef" nelle cucine vaticane. Fu molto  elogiato per le sue innovative ricette gastronomiche. Scrisse il "Libro de arte coquinaria" e insegnò a fare  sia i "maccaroni siciliani" (con la stessa tecnica che si usa oggi per elaborare i "maccheroni al ferretto": bucatini lunghi circa 20 cm),  sia i "maccheroni romaneschi": tagliatelle "tirate" col mattarello.


Un sontuoso banchetto gastronomico.  Fra i commensali c'è un cardinale, al centro della scena. Tra i numerosi servitori si riconosce sulla sinistra il cantiniere, con l'abito blu; al centro, di spalle, vestito con abito verde,  il "tagliatore di carni". Foto tratta da "Très riches heures du Duc de Berry", codice miniato elaborato tra il 1412 e il 1416. E' considerato un capolavoro dei fratelli Limbourg e della pittura franco-fiamminga del XV secolo. E' un libro d'ore, commissionato dal duca Jean de Berry e conservato oggi nel Musée Condé a Chantilly (Francia).

Circa un secolo dopo, un altro famoso cuoco italiano, Bartolomeo Scappi (1500 – 1577), nel 1536 organizzò un banchetto  in onore dell'imperatore di Carlo V e del cardinale Lorenzo Campeggi.  Servì alla corte di altri cardinali, fino a divenire cuoco delle cucine vaticane durante il pontificato di Pio IV e successivamente di Pio V. 

Pubblicò un "Trattato di cucina" con più di mille ricette e consigli  su ciò che doveva conoscere un cuoco rinascimentale di alto livello. Cita anche i "maccaroni, detti gnocchi", impastati con farina, pane grattato, tuorli di uova e brodo. A tali "maccaroni" si dava la forma passandoli sul retro di una grattugia.

Nel suo trattato Bartolomeo Scappi elenca anche altri tipi di pasta: lasagne, tagliatelle, vermicelli, ma il "maccherone" era il nome generico per tutta la pasta, con poche eccezioni.


Il trattato di Scappi in una ristampa del 1622

In questo libro  c'è la prima raffigurazione conosciuta di una forchetta, nuovi metodi di preparazione del cibo e l'uso di ingredienti importati dalle Americhe.

Ancora a metà '800 nel ricettario anonimo titolato: "Il cuoco milanese e la cuciniera piemontese" vengono chiamati "maccaroni" anche i tagliolini di pasta fresca.

"Mangiamaccheroni" era l'appellativo riferito al popolo napoletano  che nel '700 e nell'800 mangiava pasta in grande quantità.

Fino al seicento i maccheroni erano serviti come piatto dolce, conditi con zucchero e cannella, poi nel '700 si diffuse la pasta  che veniva mangiata  con le modalità che conosciamo oggi. In strada, in ogni quartiere, c'era  la caldaia del "maccaronaro" con accanto il piatto ricolmo di formaggio, unico condimento, prima dell'uso del sugo di pomidoro/pomodori.





Il piatto di maccheroni veniva servito dal venditore ambulante.

Il "mangiamaccheroni si fa forchetta con due dita, solleva i maccaroni o i vermicelli mezzo palmo sopra la bocca, e poi facendo un live movimento di girazione a spirale ve li caccia dentro".
#581
/4

Il pomodoro fu introdotto in Spagna nella prima metà del'500, ma non ebbe diffusione, forse perché le varietà introdotte  contenevano solanina in quantità elevata, perciò indigesta. Perciò fu utilizzato come pianta ornamentale o medicinale e a scopo di studio negli orti botanici con una diffusione limitata. Solo successive selezioni varietali portarono il pomodoro alla sua completa commestibilità.

Dopo la Spagna  l'Italia, fu  la prima nazione europea a conoscere il pomodoro nei domini spagnoli sul territorio italiano: Regno di Napoli e Ducato di Milano.

In Sicilia il pomodoro è denominato "pumurammuri", di derivazione dal francese "Pomme d'amour",  forse fu la prima regione italiana che conobbe la nuova pianta,  infatti da questa regione provengono le ricette italiane più antiche a base di pomodoro, soprattutto sughi e conserve essiccate.

In Sardegna, altro  possedimento spagnolo fino al 1720, e nel  Nord Italia usano lemmi che derivano dallo spagnolo "tomate".
 
Nel Centro-Sud Italia si usa chiamarlo pomodoro, "pommarola" a Napoli e "pammadore", anzi "la pammadore", al femminile,  anche nella provincia di Chieti.

La storia documentata del pomodoro in Italia inizia il 31 ottobre 1548 a Pisa quando Cosimo de' Medici riceve dalla tenuta fiorentina di Torre del Gallo un cesto di pomodori nati da semi donati alla moglie, Eleonora di Toledo, dal padre, Viceré del Regno di Napoli.

In Italia la diffusione del pomodoro fu lenta, causa la diffidenza iniziale verso il nuovo frutto, non associabile a nessun cibo già conosciuto.

Nel '700 cominciò il periodo della "sperimentazione" gastronomica, poi ebbe ampia diffusione dal XIX secolo.

Luigi Bicchierai, detto Pennino, dal 1812 al 1873 fu il titolare della locanda "al Ponte", di Lastra a Signa, vicino a Firenze. Lasciò un diario e molte ricette. La prima ricetta, datata marzo 1812, è quella del "sugo della miseria", una sorta di ragù fatto con i pomidoro e  la carne lessa. Non c'è alcun indizio che venisse usato sui maccheroni.

La pasta  col sugo di pomodoro, simbolo della cucina napoletana, ebbe il connubio tardivo.

I maccheroni, quelli lunghi (spaghetti, bucatini, vermicelli) cercati dall'affamato Pulcinella, non si scolavano nel colapasta, ma si tiravano fuori dalla pentola con un forchettone e si mangiavano con le mani. Venivano conditi con cacio, soprattutto con caciocavallo o ricotta salata. Lo annota anche Goethe nel suo "Viaggio in Italia". A Napoli nel maggio 1787: "I maccheroni si trovano da per tutto e per pochi soldi. Si cuociono per lo più nell'acqua pura, e vi si grattugia sopra del formaggio, che serve a un tempo di grasso e di condimento".

the end
#582
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Il pomodoro selvatico  è originario del Sudamerica occidentale. Portato nell'America centrale, fu coltivato dai Maya, i quali svilupparono il frutto nella forma più grande che conosciamo oggi.

Fu utilizzato anche  dagli Aztechi, che lo coltivarono nelle regioni meridionali del Messico. Fu qui che Hernán Cortés lo vide durante l'occupazione della regione, fra il 1519 ed il 1521.

Dal Messico i semi giunsero in Spagna al seguito di coloni e missionari, che prendendo a prestito il termine tomatl usato dagli indigeni, denominarono tomate il nuovo frutto.

I dizionari fissano intorno al 1532 la prima attestazione in spagnolo della parola tomate. Ma in realtà i tomate giunti dall'America erano due.

La parola azteca tomatl definiva genericamente una cosa rotondeggiante. A seconda del diverso prefisso indicava il pomodoro (xi-tomatl) o il tomatillo (mil-tomatl), un frutto piccolo e tondo, sempre appartenente alle solanacee, ma ad un genere diverso. Gli europei "colsero" solo il termine generico, creando confusione quando entrambe le piante – pomodoro e tomatillo – giunsero d'Oltreoceano.

Il tomatillo è caratterizzato da un involucro verde che si secca e si spacca al maturare del frutto interno, di un colore verde pallido tendente al giallo e tra gli Aztechi era più conosciuto del pomodoro. Cresceva in mezzo al mais e veniva usato nelle salse con il chili (peperoncino rosso) per fare la salsa verde messicana.

Gli studi botanici della seconda metà del '500 testimoniano come pomodoro e tomatillo venissero confusi tra di loro.

In Italia venne inizialmente diffuso nelle zone  dominate dagli spagnoli: Regno di Napoli e Ducato di Milano.
 
Come già detto nel primo post, Antonio Latini, scalco nelle cucine vicereali, a Napoli, nel  suo libro pubblicato nel 1692, descrive come usare la salsa di pomidoro  per accompagnare la carne: "Salsa di pomodoro alla spagnuola», con cipolla, timo, «peparolo», sale, olio e aceto: "Piglierai una mezza dozzina di pomadore, che sieno mature; le porrai sopra la brage, a brustolare, e dopo che saranno abbruscate, gli leverai la scorza diligentemente, e le triterai minutamente con il coltello, e v'aggiungerai cipolle tritate minute, a discrezione, peparolo (peperoncino) pure tritato minuto, serpollo in poca quantità, e mescolando ogni cosa insieme, l'accomoderai con un po' di sale, oglio e aceto, che sarà una salsa molto gustosa, per bollito, ò per altro".

Nel libro di Latini i pomidoro sono anche presenti in uno stufato di verdure con zucchine, melanzane e odori vari, nella cottura di carni; consiglia di non cuocere troppo i pomidoro.

I maccheroni non li condisce con salsa di pomidoro, ma secondo la tradizione, con salsa di formaggio e spezie.

Latini fu pioniere anche nell'impiego di un altro ortaggio giunto dal Nuovo Mondo, il peperone, che utilizzava per insaporire alcune salse.

Nel secondo volume del suo trattato, riservato interamente alle "vivande di magro", Antonio Latini sembra precorrere una tendenza che emerse nella seconda metà del '700: la sostituzione delle spezie orientali con i gli odori nostrani dell'orto. Insegna come "cucinare e condire vivande senza spezierie", utilizzando al loro posto prezzemolo, timo e altre erbe odorose.

E i pomi d'oro  cominciarono a far  parte anche della dieta della plebe napoletana, sia come salsa per condire la pasta sia come ortaggio da gustare tagliato a pezzi.

Il cammino del pomodoro, a quel punto, tornò in America nelle valigie di cartone degli emigranti italiani insieme gli spaghetti, per poi diventare il simbolo della cucina fusion italo-americana.


#583
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Fu chiamato "pomo d'oro" il pomodoro giallo che evoca il colore dell'oro.

Invece il pomodoro di  colore rosso  fu simbolicamente collegato alla passione amorosa.

Il medico  e botanico Pietro Andrea Mattioli nel 1544 nei suoi "Commentarii" descrisse  la novità dei pomidoro: "sono come le mele rosse, prima verdi e quando maturano sono in alcune piante rosso sangue in altre color d'oro".
Il medico e naturalista Costanzo Felici in una lettera a Ulisse Aldrovandi  del 10 marzo 1572  scrisse tra l'altro: "Pomo d'oro, cosiddetto volgarmente dal suo intenso colore, overo pomo del Perù, quale o è giallo intenso overo è rosso gagliardamente [...] ancora da lui ghiotti et avidi de cose nove è desiderato [...] ma al mio gusto è più presto bello che buono".

Un altro medico e botanico italiano, Castore Durante (1529 – 1590) nell'Herbario novo, pubblicato nel 1585, sostiene che i pomidoro " "mangiansi con pepe sale ed olio ma danno poco e cattivo nutrimento".  Perciò nel '600 il pomodoro fu generalmente utilizzato come pianta ornamentale per la bellezza dei frutti ma considerato "mela insana", perché insalubre, indigesto e in grado di generare umori melanconici. Perciò per lungo tempo il pomodoro  fu poco gradito.
 
Nella metà del 700 i pomidoro  compaiono nei testi di gastronomia come  eccentricità,  e non usato dalla cucina popolare.

La prima attestazione della pasta condita con sugo di pomodoro è attribuita al napoletano Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino (Comune della provincia di Cosenza, in Calabria). Fu cuoco e letterato. Nacque ad Afragola nel 1787 e morì a Napoli nel 1859.

Il suo trattato "Cucina teorico-pratica", pubblicato  a Napoli nel 1837, nella seconda edizione aggiunse l'appendice  "in fine: della vera cucina casareccia".

Il duca suddivise il manuale in due parti, compiendo un itinerario attraverso i diversi ceti sociali, fatto assai inusuale al tempo.

La prima sezione venne redatta in lingua italiana, per nobili e ricchi borghesi.

La seconda fu scritta in dialetto napoletano, per il popolo e la borghesia che usava il dialetto quale linguaggio quotidiano.

Ippolito, oltre alle varie ricette, aggiunse in dialetto napoletano anche dei piatti per le ricorrenze importanti dell'anno: Natale, Capodanno, Pasqua ecc..

Il trattato di cucina teorico pratica, concepito in origine come una successione di cento menù suddivisi per carne, pesce, uova e cucina,  venne modificato nelle successive  ristampe che uscirono durante i venticinque anni di ricerca gastronomica del Cavalcanti.
L'autore indica come condire la pasta del tipo "vermicelli" con la "pummadora": "Piglia i pomodori maturi, spaccali e levane i semi e quell'acquetta che c'è e li metti dentro una casseruola, scuotendola sempre perché si cuociano più presto; quando sono ben cotti passali al setaccio e fai restringere quel brodo sul fuoco, mettici il sale, il pepe e la sugna se ti servisse per condire i maccheroni o altro tipo di pasta piccola; se però ti servisse sul bollito, le uova, i polli, o il pesce, non metterai sugna, ma starà bene un poco di burro. Fatta questa salsa è eccellente per ripassarci i vermicelli, e allora se la condisci con l'olio vengono meglio e saporiti".
È la prima volta di un abbinamento destinato a un grande avvenire; in precedenza i maccheroni si mangiavano con olio oppure burro e cacio grattugiato.
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nome botanico "Solanum lycopersicum", originario del Perù, fu usato dagli Aztechi.

L'etimologia del nome "pomodoro"  discende dal latino "pomum aureus (= mela o pomo d'oro); il plurale è "pomidoro" e non "pomodori".

La definizione "pomi d'oro" si diffuse nella lingua italiana e ostacolò "l'accesso" alla parola "tomato", diffusa nel resto del mondo. Fa eccezione la Russia, nella quale viene usata la parola "pomidor". Il motivo ? Fu il cuoco italiano Francesco Leonardi  che nel 1783 passò al servizio dell'imperatrice Caterina II alla corte di San Pietroburgo, e fece conoscere cibi con i pomidoro.

Per chi volesse saperne di più consiglio la lettura del libro titolato: "Il signor Pomodoro, storia di un successo biologico con qualche divagazione", scritto da Franco Avicolli e pubblicato dalle edizioni "Archos".

L'autore evidenzia che dopo  la "scoperta dell'America" nel 1492 e i seguenti viaggi in quel continente,  gli spagnoli importarono in Europa  anche specie botaniche commestibili, come due distinte piante di pomidoro: quello rosso (nome botanico Lycopersicum esculentum) e  diverse varietà di pomodoro verde (Solanum physalis), oggi quasi sconosciute fuori dai confini americani e utilizzate per conserve e fritture, protagoniste del celebre film "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno".

Di solito si immagina che Cristoforo Colombo o Hernàn Cortés (conquistatore dell'impero atzeco), oppure Francisco Pizarro (conquistatore dell'impero inca) dopo lo sbarco nel "nuovo mondo" abbiano visto estese coltivazioni di pomidoro e ne importarono alcune piante, appartenenti alla famiglia delle solanacee, ma non fu così. Di pomidoro  i conquistadores spagnoli  ne videro pochi. Infatti dal "Sumario de la natural historia de las Indias", scritto da Gozalo Fernàndez de Oviedo e pubblicato nel 1526, si apprende che nelle Americhe erano diffuse le coltivazioni di mais, yuka, peperoncini piccanti, batate, arachidi, ma non di pomidoro.

Poco diffuso, ma non ignoto, il pomodoro fu citato per la prima volta da Hernàn Cortés, che ne descrive il particolare uso gastronomico. Il 20 ottobre 1519 questo condottiero spagnolo per ritorsione nei confronti dei capi della città di Choula, in cui aveva fatto sosta con il suo esercito durante la marcia a Motecuhzoma, li fece uccidere e rimproverò i superstiti di aver tramato contro di lui, dicendo loro: "Ci volevate uccidere e mangiare le nostre carni, perciò avevate preparato le pentole con sale, peperoncino e tomate (= pomodoro)". L'antropofagia era praticata dagli Aztechi.

Il pomodoro è citato  nella prima ricetta occidentale dedicata al frutto sud-americano: "Salsa di Pomadoro, alla spagnuola", descritta nel 1692 da Antonio Latini. Nato nei pressi di Fabriano (prov. di Ancona) nel 1642, seppur di umili origini, con la sua capacità riuscì  a 28 anni di età ad essere nominato scalco.  A Roma fu assunto dal cardinale Antonio Barberini come sottocuoco, passò a mansioni via via superiori, per  giungere infine all'ufficio di scalco, ossia di soprintendente alle cucine, a cui spettava selezionare e dirigere i cuochi e la servitù, rifornire la dispensa e organizzare i banchetti.
Concluse degnamente la carriera a Napoli, alle dipendenze del reggente spagnolo Esteban Carillo Salsedo. In questa città  crebbe la sua fama e vi morì nel 1696.

Nel tempo fu crescente l'interesse  verso i pomidoro per  accompagnare vari cibi, crudi o cotti, inclusa, un secolo più tardi, la pasta, condita con la salsa. 
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Ciao Viator, 

proprio per timore di non farlo dormire  per l'intera notte quando è da lei, Addie prudentemente chiede a Louis: " "Verresti qualche volta a dormire da me ?"

Quindi non sempre !  ;D ;)