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Messaggi - maral

#571
Citazione di: sgiombo il 10 Ottobre 2016, 20:59:07 PM
Ovvio: non vi é alcuna traccia dell' inizio del linguaggio, comunque sia avvenuto!
Ma di fatto il linguaggio é un insieme di arbitrari e convenzionalmente accettati simboli verbali e delle regole grammaticali e sintattiche del loro impiego.
E allora dove sta la verità di questo fatto che sostieni incontrovertibile?

Se il tuo discorso vuol dire: esistono cose reali la cui esistenza può apparirci o meno significando qualcosa oppure nulla sono perfettamente d'accordo, se vuol dire esistono cose che ci appaiono significando, senza avere realtà alcuna, no (e questo vale pure per gli ippogrifi se "ippogrifo" significa qualcosa, anche se non me lo ritroverò mai in carne ed ossa davanti al naso, poiché ritrovare in carne e ossa sono solo un modo che hanno le cose di significare) .

Prendiamo ad esempio la frase, che mi pare rispecchi quello che affermi:
"la natura è come è, indipendentemente da come la diciamo che sia". Ma questa è comunque una frase, è qualcosa che viene da noi detto della natura, dunque, se è vera la natura è  indipendente da questo stesso dire. Capisci la contraddizione? Si sta dicendo che quello che si dice, essendo arbitrario, non ha alcuna relazione con quello che è, ma allora questo vale anche per questa affermazione perbacco, dato che la si sta dicendo! Che relazione può mai avere questa stessa frase con la natura per come è?
Questo però non significa assolutamente che l'esistenza della natura dipende da quello che diciamo come se fosse l'ovvia e unica alternativa a quanto prima detto.
Ciò che è non dipende da ciò che ne diciamo, ma il suo modo di poterci apparire in qualche modo sì (apparirci come quel monte, quel cavallo e pure come tutte le immagini di fantasia o in carne e ossa in cui può apparirci nei contesti e secondo i modi in cui si manifesta il loro significato). E ciò che diciamo non lo inventiamo mai noi (come Walter Chiari inventava la parola "Sarchiapone" nel famoso sketch che credo ricorderai), proprio in quanto ci appare e non siamo noi a far apparire ciò che appare nel modo in cui appare, non lo costruiamo mai a tavolino, non lo disegniamo come vogliamo ad libitum, ma è quello stesso apparirci che ci  presenta ciò che realmente è (e non sappiamo cosa sia se non ci appare in qualche modo) nei modi in cui in quel contesto si manifesta.

#572
C'è anche il caso opposto: quello di una parte che non si sente più parte di se stessi pur se attaccata a ciò che si avverte come la propria identità; ad esempio una gamba che, come racconta Oliver Sacks, gli fu riaggiustata malamente dopo una brutta frattura, con conseguenti problemi di innervazione e tutto l'orrore del paziente nel trovarsi attaccato al proprio corpo una sorta di appendice del tutto estranea, che non sentiva e non rispondeva. Sia il caso di Zanardi che di Sacks rivelano che l'identità dopotutto, almeno nell'umano (forse l'unico essere che effettivamente può identificarsi in un'identità e vedere il mondo popolato di identità) riferisce al significato operativo delle parti, al ruolo che esse assumono per il significato attuale della nostra autopoiesi.
Certo Zanardi con le sue gambe nuove che la tecnologia gli ha dato non è più lo Zanardi con le gambe che la "natura" gli aveva dato, anche se i due Zanardi in qualche modo sono  nel presente collegati in una storia (la storia che conferisce a quelle due identità un'unica identità). Infatti, se lo Zanardi di prima avesse visto dal letto le "sue gambe" ritte da sole in un angoletto della camera avrebbe avuto seri dubbi sulla sua sanità mentale, quello di adesso invece può trovarlo perfettamente normale. E' il significato che fa tutto.   
#573
Citazione di: Apeiron il 11 Ottobre 2016, 00:19:34 AM
Però questo implica solo che il nostro concetto di parte non descrive più la situazione degli atomi, non che gli atomi non esistano più;) Quindi ancora ritengo più fondamentali gli oggetti che "si comportano" come parti che l'intero composto da esse. Se vuoi lo stato dell'oggetto "essere parte di" è tanto reale quanto "l'oggetto composto da tali parti". Ma l'oggetto in sè è più fondamentale
Ma l'oggetto in sé non esiste, ovvero esiste come astrazione concepibile in sé solo dal nostro modo di pensare concettuale. Il discorso che tu fai mi pare che si inquadri nel discorso più generale di voler stabilire quali siano gli elementi (interi) semplici alla base di ogni composto (senza dubbio un discorso che ha una lunga storia sia nella filosofia che nella scienza dell'Occidente, con enormi conseguenze sulla nostra visione del mondo), le parti unitarie e fondamentali che, prese in sé (ovvero non più come parti) stanno alla base di tutto. Mi pare evidente che questo è un processo infinito di astrazione (poiché ogni parte si rivela sempre all'osservazione un intero di altre parti ancora più semplici e fondamentali) che a mio avviso  basa la sua pretesa su un errore fondamentale, ossia considerare che ci siano elementi in sé (ad esempio gli atomi) che possano essere "in essenza" gli stessi sia che li si ritrovino isolati o  come parti, ossia che la loro modalità di essere non incida in effetti per nulla su ciò che sono, quando invece ciò che sono solo le loro modalità di essere possono determinarlo effettivamente.
Citazione di: sgiombo il 11 Ottobre 2016, 09:10:09 AM
Non sostengo che scegliamo a caso (ma invece secondo i più svariati motivi teorici e/o pratici) come considerare le cose e come designarle con concetti indicati da simboli verbali arbitrari (cosa considerare parte e cosa considerare intero).
Sostengo invece che queste scelte sono arbitrarie, le facciamo ad libitum, che le decidiamo noi e non "il contesto" (il contesto oggettivo ne determina casomai l' imporsi in pratica di alune piuttosto che talaltre).
Perdona Sgiombo, ma qui c'è qualcosa che mi sfugge. Non sostieni che scegliamo a caso (i nostri modi di considerare le cose e intenderne i significati dandone espressione), bene, fin qui siamo d'accordo, ma allora in che modo le nostre scelte possono essere arbitrarie, determinate fondamentalmente da un nostro libero arbitrio svincolato dai contesti (e nei contesti ci metto dentro, oltre ai modi di pensare, i modi linguistici di esprimersi, gli strumenti tecnici che utilizziamo per fare le cose, le credenze a cui partecipiamo secondo istruzione ricevuta e tutte le nostre prassi)? Come è possibile pensare insieme che il significato (il modo in cui qualsiasi cosa appare) non è frutto del caso, ma nello stesso tempo è frutto di una volontà mia, tua o di altri individui che possono scegliere ad libitum, svincolati da qualsiasi necessità davanti a un panorama di infinite possibilità in origine (ossia nella loro purezza oggettiva in sé) del tutto equivalenti?
Non c'è dubbio che le espressioni linguistiche possano arrivare a traduzioni, accordi espressivi, vocabolari concordati e via dicendo, ma questo è il risultato finale del processo linguistico, non il suo punto di partenza. Nessuna lingua è nata da un vocabolario (anche perché pe comporre un vocabolario, bisogna già avere un vocabolario), ma ogni lingua produce il suo vocabolario che non è chi parla quella lingua a decidere in partenza.
#574
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 19:31:51 PM
Se separi una molecola d'acqua nei suoi costituenti, questi non sono più "parti" della molecola d'acqua. Viceversa se togli alla molecola un atomo di idrogeno, non è più acqua. Inoltre non trovo nulla nell'esperienza che mi dica che esista un "io" che permane da quando nasco a quando sono vecchio. Anzi l'anima viene postulata proprio per questo motivo e l'anima è un tutt'uno, senza parti.
Appunto: se separi una molecola d'acqua nelle parti che la costituiscono, ovvero 2 atomi di idrogeno e uno di ossigeno, questi 3 atomi non sono più parti di quell'intero rispetto al quale erano parti, ma sono degli interi a sé stanti, quindi il loro esser parti viene cancellato (e infatti un idrogeno o un ossigeno presi come atomi hanno comportamenti ben diversi rispetto a un idrogeno e un ossigeno parti di una molecola d'acqua).
Se togli un atomo di idrogeno a una molecola d'acqua, come prima la parte rimasta non è più parte essendo diventata un intero e resta un diverso intero: ad esempio un radicale ossidrile.
E' lo stesso se scrivo 123 (centoventitre) o 1 2 3 (uno due tre). 1 2 3 preso ciascuno da solo non sono più l' uno, il due e il 3 che sono nel 123 in cui ciascuno di esso è parte in quella relazione d'ordine specifica.
#575
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2016, 08:09:19 AM
Forse tu no, ma le comunità dei parlanti sì: così é nato il linguaggio e si evolvono le lingue (o credi che le abbia insegnate una qualche divinità o che le cose stesse abbiano detto: "chiamatemi "così" e non "cosà"?).
Forse una qualche mitologica comunità di parlanti, perché che io sappia non vi è nessuna traccia di una comunità i cui membri, senza avere alcun linguaggio, si mettano a inventarne uno convenzionando su di esso.

CitazioneAppunto: dire che le cose reali esistono é un fatto, mentre l' esistenza reale delle cose é un altro, ben diverso fatto (e spessissimo si dà l' uno e non l' altro o viceversa)!
E come fanno le cose reali a esistere se la loro esistenza reale non ha luogo?


CitazioneCECI N' EST PAS UNE PIPE
Certo, l'immagine di una pipa non è una pipa, esattamente come il termine "pipa" non è la cosa che quel termine indica, è solo il suo segno. Questo però non significa che quel segno possiamo decidere di cambiarlo quando e come ci pare, né inventarcelo dal nulla di punto in bianco. Nel momento in cui la cosa si presenta si presenta in un significato (e non in tutti i significati) che gli è proprio e quel significato è tradotto da un nome e proprio in quel nome (che non è la cosa) appare in oggetto l'accadere di quella cosa. 
Che ci siano montagne in luoghi mai visitati dall'uomo fa parte del significato che l'uomo (e solo l'uomo) dà al termine "montagna", proprio come che non ci possano essere ippogrifi fa parte del significato che l'uomo dà al termine "ippogrifo", ove "l'uomo", in entrambi i casi, non è né questo né quell'uomo, ma la comunità umana nelle condizioni storiche, tecniche e culturali da cui si trova espressa e in cui realmente accade solo ciò che in quel contesto di significati può apparire. 
#576
Citazione di: Sariputra il 10 Ottobre 2016, 09:22:06 AM
Oggi su Repubblica online viene riportata la notizia di una giovane, maga dell'informatica, che  avendo perso l'amato, ne ha utilizzato tutti i "frammenti" digitali (foto, filmati, registrazioni,ecc.) per crearne un alter-ego virtuale ...
Douglas Hofstadter in "Anelli dell'io" racconta di essersi spinto ben più in là, quando, morta l'amatissima moglie, ritenne possibile farla realmente e non solo virtualmente tornare, ricostruendone ogni relazione che l'aveva espressa, da ritrovarsi in ogni minimo ricordo di lei in chiunque la avesse conosciuta o incontrata.
C'è anche un romanzo di fantascienza che lessi molti anni fa che parte da questa affascinante ipotesi: l'eternità di ogni anima è un software che un super computer (Dio?) tiene registrato nella sua memoria fissa e potrà riprodurre per ricreare l'universo quante volte vorrà.  
Chiaramente queste sono ipotesi che derivano dal considerare l'ente (inteso come accadente piuttosto che come essente) solo come un prodotto di una rete relazionale, una volta definita la mappa di rete si può ripetere l'ente facendolo accadere quante volte si vuole, ma mi sa che le cose non siano così semplici.
Citazione di: Apeiron il 10 Ottobre 2016, 10:14:03 AM
(1) sono appunto concetti e appunto questi concetti potrebbero non rispecchiare la realtà (2) le parti sono più fondamentali dell'intero: se le parti spariscono lo fa anche l'intero, il viceversa non è vero.
1) certamente nessuna concettualizzazione rispecchia l'intera realtà, ne rispecchia una parte che come tale va considerata insieme alle altre parti, senza cioè assolutizzarla, ossia senza considerarla come intero (e anche qui siamo dovuti ricorrere ai concetti di parte e intero)
2) Eh ma anche se l'intero sparisce spariscono anche le sue parti (come parti di quell'intero e non di altro, ossia come entità concrete e non astratte che vanno bene a qualsiasi intero). Si potrebbe peraltro nello stesso senso astratto dire che può benissimo sparire qualche parte dell'intero e l'intero rimanere lo stesso (è proprio quello che accade alla nave di Teseo e pensiamo che accada a tutti noi: io da infante divento vecchio, cambio non qualche parte di me, ma addirittura tutte le mie parti, eppure resto paradossalmente sempre il medesimo), ma questi sensi astratti che sembrano sistemare le cose, poi creano a ben vedere insormontabili problemi di interpretazione.
#577
Citazione di: sgiombo il 09 Ottobre 2016, 22:20:48 PM
Però il tutto, la totalità della realtà (come che sia) mi sembra concretamente esistente e non una pura astrazione mentale, dato che contrariamente al punto geometrico (come è inteso nell' ambito della geometria euclidea e non della realtà fisica) è reale indipendentemente dal fatto che lo si pensi o meno (così come un tratto di spazio fisico reale -non: geometrico- infinitamente piccolo; anzi: infiniti di questi).

Ma come si potrebbero confondere fra loro un punto geometrico e tutto ciò che è reale (compreso il pensiero de il punto geometrico)?
La totalità (tutto quello che c'è) è definibile solo in senso astratto in quanto non è possibile pensarla concretamente (ossia andando a definirne gli elementi). Non è possibile in due sensi: il primo è che non possiamo definirla per sottrazione di quello che non c'è, dato che qualsiasi cosa di cui diciamo che non c'è ha pur tuttavia un suo modo di esserci e in questo modo c'è, fa parte della realtà; il secondo è che non possiamo definirla nemmeno per addizione, ossia nominando tutti gli enti che ci sono, non tanto in quanto questi enti sarebbero un numero molto grande, ma che potremmo concepire finito, quanto perché via via che li andiamo numerando essi crescono in virtù della loro stessa numerazione (E' come per la diagonalizzazione con cui Cantor dimostra che i numeri reali sono sempre di più dei numeri naturali: ci sarà un insieme di tutti i numeri naturali, ma non si potrà mai dire quanti e quali sono nella loro totalità, ce ne è sempre almeno uno in più ancora da individuare e contare). Se la totalità che costituisce l'insieme di tutti gli insiemi è concretamente indefinibile è un principio formale astratto quanto quello di punto inteso come intero primario non ulteriormente suddivisibile in parti. Questi elementi primari (i mattoni che permettono di costruire il reale e i suoi significati) infatti sono sempre stati cercati e mai trovati, siano essi le particelle subatomiche o le proposizioni elementari del linguaggio. 

CitazionePerò mi sembra innegabile che questa distinzione derivi da un'arbitraria decisione di intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per considerare nel mondo ogni "intero" e "parte" che si vuole.
A me pare piuttosto che possiamo pensare la distinzione come qualcosa che avrebbe potuto essere diversa, ma di fatto non lo è. Ossia noi vediamo che le cose vengono considerate in modo diverso (nel tempo e nei luoghi) e che da questi modi diversi di considerarle è possibile giungere a un'intesa, a una traduzione. Ma nel loro ambito originario esse non sono per nulla arbitrarie: noi non scegliamo a caso quale significato (e implicazione di significati) dare agli enti, cosa sia parte e cosa sia intero, è il contesto che lo decide per ciascuno di noi, l'insieme dei rapporti, degli usi e dei modi di fare che insieme già tutti pubblicamente condividiamo in un determinato luogo e tempo. Per esempio "Italia" (come Eurasia o qualsiasi denominazione geografica) può sembrare solo un nome del tutto arbitrario per una certa regione del globo terrestre, che qualcuno ha scelto di chiamare così potendola chiamare anche diversamente (Enotria, Esperia ...), ma sappiamo che così non è, perché il significato di quel nome non è per nulla arbitrario, ma il frutto di secoli di storia in cui è presente qualcosa che nonostante tutto accomuna in modo simbolico astratto e che quel nome indica. Non è in origine "solo un'espressione geografica", come diceva Metternich, anche se certamente può diventarlo, ossia il simbolo può perdere ogni significato e diventare solo un segno che non significa più nulla e quindi a piacere tutto e il contrario di tutto, ma non il contrario.   
Chiunque può trovare (non inventare dal nulla) una definizione, ma in realtà non è lui che la trova, è il contesto che gli sta attorno che sempre gliela suggerisce e gliela impone anche nella sua novità e questo è il motivo per cui, anche se sembra che nulla te lo impedisca, non potrai mai chiamare se non per insignificante vezzo una cosa in altro modo (e anche questo solo richiamandoti al modo o ai modi con cui la si chiama e la si conosce), finché il contesto non ammette questo altro modo che è un altro modo di significare e quindi di apparire.

#578
Forse chiunque si incammini verso l'abisso trova un punto di non ritorno e Nietzsche è questo punto che ha trovato. Oltre quel punto la parola non può che tacere e il pensiero cessare, perché parola e pensiero non paiono allora che una patetica danza sull'orlo di un assoluto che non li ammette. Proprio la follia muta di Nietzsche negli ultimi anni della sua vita può allora essere considerata l'ultima parola della sua filosofia.
Citazione...quello che afferma Nietzsche è che mentre il modo aristocratico di vivere scaturisce dalla forza, quello Cristiano scaturisce da una debolezza che ritiene di essere forza. Un debole cioè che ritiene di scegliere di essere buono perché è forte e che invece è buono proprio perché debole.
Eppure qui sento riaffiorare la contraddizione, perché se il debole, il malato mancante di forza vitale, il cristiano o l'ebreo, si impone con la sua morale insalubre sull'aristocratico, sul pieno di salute, sul forte e sulla sua potente morale vitale, significa che in quel debole la volontà di potenza è più forte, che l'asceta che fa marcire il proprio corpo per la salvezza nell'altro mondo incarna meglio la volontà di potenza. Il punto della contraddizione è forse vedere la volontà di potenza come prodotto individuale e al contempo pretenderla assoluta, mentre se è assoluta essa non può avere riguardo per alcun individuo, cristiano o aristocratico che sia, poiché entrambi non ne sono che lo strumento con cui il suo assoluto si realizza e l'unica scelta concesso all'individuo è quello di volerne essere fino in fondo consapevole strumento piuttosto che esserne strumento senza sapere di esserlo comunque. Credo che alla fine proprio questo intuì Nietzsche con l'Eterno Ritorno, e oltre questo non restava che l'abisso e il silenzio.
https://www.youtube.com/watch?v=FYtArM4HWXE

#579
Parte e intero (di cui quella parte è parte) sono concetti che fanno parte del processo linguistico cognitivo dell'osservatore e sono concetti che si implicano strettamente tra loro: non vi può essere parte se non vi è un intero sulla base del quale essa è intesa come parte, né può esservi intero che possa essere inteso se non come somma e prodotto delle sue parti, comprese le relazioni che legano le sue parti tra loro e ogni parte all'intero, a meno che non si tratti di un intero elementare e senza parti, come un punto geometrico, una pura astrazione. Ogni intero, oltre a essere infinitamente suddivisibile, può essere senza limite considerato parte di interi che lo inglobano come loro parte, definendo unità composite di ordine superiore al cui vertice ipotetico concettuale ci sta l'intero di tutti gli interi: il Tutto ontologico, parimenti astratto quanto il punto, ma il tutto e il punto sono tra loro ancora concettualmente legati, così legati fino a potersi confondere l'uno con l'altro.
In tutto questo discorso però non possiamo dimenticarci un'altra relazione fondamentale che è quella tra l'insieme parte-intero e l'osservatore che è una delle indispensabili polarità relazionali. Questa relazione non manca mai e per questo non può sussistere alcuna concezione che definisca oggettivamente (in sé) cosa è parte e men che meno cosa è l'intero, ossia che possa prescindere dal modo di concepirli e di pensarli. Questo modo di concepirli e di pensarli oggi lo intendiamo (come osservatori che vivono nel tempo attuale) comunque contingente, ma non deriva da un'arbitraria decisione a intenderli così, che potrebbe benissimo essere diversa, basta mettersi d'accordo con tanta buona volontà per dare al mondo ogni significato che si vuole. L'osservatore, anche se le definizioni dipendono da lui, non è assolutamente il creatore di definizioni, ma è definito operativamente da quelle stesse definizioni, giacché esse fissano la sua prospettiva in modo pubblico, ossia in qualche modo la prospettiva è già condivisa e di pubblico significato, lo stesso pubblico significato che determina il suo modo di osservare e descrivere.
Allora il fatto che possano sussistere delle suddivisioni in parti dell'intero, il fatto che possa sussistere un intero fatto propriamente da quelle parti (una nave fatta di un timone, di una chiglia, di vele e via dicendo, tutte ben ripartite per quello che sono e a loro volta suddivisibili fino ai loro atomi), che funziona rispetto ad altre che ci sembrano frutto di pura fantasia e immaginazione, non ci dice nulla della realtà in sé oggettiva delle cose, ma può dirci molto in merito ai contesti in cui, come osservatori facenti parte del mondo che osserviamo, ci troviamo a essere collocati vivendo e riconoscendo in esso quel modo di funzionare su cui istituiamo i nostri giudizi di valenza pragmatica. Giudizi il cui valore non può mai essere assoluto come se fossimo giunti a cogliere la cosa per come è in sé, ma che effettivamente funzionano in questo contesto in cui le cose possono apparirci coerentemente ad essi, ove questo apparirci non si esaurisce mai in alcuna definizione definitiva, dunque è sempre in qualche modo un errore e solo per questo è sempre aperto alla verità.
#580
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
05 Ottobre 2016, 23:49:25 PM
Citazione di: Sariputra il 05 Ottobre 2016, 01:05:13 AM
Le parti esistono anche se non sono riunite insieme nella "nave di Teseo"...
Le parti sono parti solo se c'è il significato di un intero che le definisce come sue parti. L'intero potrà essere la nave, la casa o altre cose ancora. Se è la casa quelle parti non saranno più un timone, una vela, una chiglia, ma magari un pezzo di una porta, una tenda, un tetto. E se nessuno userà quelle parti per costruire qualcosa esse non saranno più nemmeno parti, abbandonate a significare se stesse a se stesse (ovvero a significare nulla) in un vecchio magazzino polveroso, perché solo come parti dopotutto si può significare. E solo come parti possiamo incontrare qualcun altro che ci dica di che siamo parte facendoci sentire tali, dandoci così un significato in cui poterci in mezzo agli altri riconoscere.

#581
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
05 Ottobre 2016, 23:28:35 PM
Citazione di: paul11 il 04 Ottobre 2016, 23:55:55 PM
Mah.....ho l'impressione che ognuno abbia detto nella discussione qualcosa di giusto.
Come sempre d'altra parte.
Ma la nave di Teseo che lentamente muta pezzettino dopo pezzettino solleva un altro problema di non facile soluzione: qual è il momento esatto in cui la nave di Teseo non è più la nave di Teseo? Quale sarà il pezzettino in quel momento muterà per trasformarla in un'altra cosa tanto da poter dire che prima era ancora la nave di Teseo e dopo non lo è più?
#582
Citazione di: sgiombo il 05 Ottobre 2016, 13:05:22 PM
Noi decidiamo razionalmente (e arbitrariamente) di far significare alle parole quello che significano quando potrebbero tranquillamente significare qualsiasi altra cosa ci passasse per la testa
Non so Sgiombo, forse tu, io non ho mai deciso di far significare a nessuna parola che normalmente uso quello che per me significa.
Che le cose reali esistano prima di tutto in sé e per sé, prima di apparirci nel significato che i loro nomi ci esprimono è forse necessario, ma dopotutto anche dire che quelle delle cose sono reali e che esistono in sé e per sé restano sempre significati. Anche "cosa" per quanto sia un termine generalissimo è un significato.
Secondo me la cosa e la parola restano proprio come due facce della stessa medaglia, diverse, ma inseparabili in un determinato contesto che non siamo comunque noi a scegliere e che può sempre cambiare.
#583
CitazioneTu continui a confondere le cose reali anche se non denominate, pensate, predicate, conosciute con i nomi e i concetti delle cose.
Sgiombo, come si fa a non confondere le cose reali se non appunto denominandole, pensandole e predicandole? Come si fa a non confondere le cose reali (ove "cosa reale" è pur sempre un nome, come lo è "cosa irreale" e la stessa differenza che corre tra loro) se non nel significato che il nome ci riflette?
Noi, esseri umani, è sempre con dei significati che abbiamo a che fare e i nomi sono i segni e i segni accadono significando, e significando qualcosa dicono e altro nascondono sempre, ma non perché noi decidiamo razionalmente di farli significare quello che significano quando potrebbero tranquillamente significare qualsiasi altra cosa ci passasse per la testa. Un monte sarà sempre un monte perché c'è una parola "monte" che non è nata pescando a caso due sillabe e che ci dice cos'è, come si presenta e ciò che implica in oggetto.
#584
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 23:18:53 PM
Non vorrei insistere, ma il punto cieco mi sembra proprio il "gioco dell'apparire"(cit.), come funziona l'avvicendarsi degli enti?
Il gioco dell'apparire è dovuto alla contraddizione che è insita nella totalità dell'ente (totalità che è necessaria se l'ente è ciò che è, perché può esserlo solo nella totalità di ciò che è). Ma questa totalità può essere colta solo tautologicamente dal pensiero astratto, concretamente no, non può apparire, dunque può apparire solo in termini formali, anche se a questi termini formali deve corrispondere una totalità e quindi la necessità del suo totale apparire. Dunque c'è una contraddizione ed è quella che Severino chiama contraddizione C, che si ripete continuamente ed è questa contraddizione che continuamente determina i sopraggiungere degli eterni nel loro apparire. La durata e dunque l'istante in cui è ascritto il significare che appare dell'ente è determinata dal contesto in cui appare, ove il contesto è la rete di relazioni che lega ogni ente a ogni altro ente.
L'ente Phil che sostituirà l'attuale ente Phil (che non diventa niente, ma resta quello che è) apparirà con l'apparire di un significato diverso che avrà, in questo contesto di significato, qualcosa di simile al precedentemente apparso. E questo non dipende certamente dalla volontà o dalla capacità cosciente di un ente Phil che possa prevederlo. Certamente crolla qui ogni senso gnoseologico, esperenziale, epistemico e morale, e crolla in quanto ogni senso che l'Occidente riconosce, direbbe Severino,  è fondato sul Divenire, compreso il senso di quegli enti privilegiati (mitici, razionali o valoriali) che si pensano eterni sperando che ci offrano riparo dal Divenire , ma che ovviamente uno dopo l'altro il Divenire abbatte sempre, poiché esso è la fede e la follia suprema che vuole che ciò che è (l'essente) possa essere (e quindi diventare) niente passando così da una forma all'altra pur rimanendo lo stesso. Ma anche tale fede che è la fede della Terra Isolata (isolata in quanto in essa si intende isolare una parte dell'ente per prenderla come totalità, come se fosse l'intero di quell'ente stesso), peraltro è un eterno, è l'errore eterno sempre essente, proprio come ogni altro ente (e come ogni altro ente, in ogni ente esso sorge e tramonta).

Ps non per nulla Sini dice che non è opportuno leggere in pubblico certi passi di "Dike" per quanto significativi, si rischia di passare per matti totali di fronte al senso comune delle cose.:)
#585
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
04 Ottobre 2016, 22:11:57 PM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 14:11:24 PM
Potrebbe essere un'interessante spiegazione (di matrice levinassiana?) del perchè alcuni individui (asceti, eremiti, etc.) che si allontanano dallo sguardo e dalla voce dei lori simili, risultino poi inclini ad una visione più "olistica", al superamento dell'identità personale in favore del tutto-è-uno...
Sì, il richiamo alla voce e al volto dell'altro va a Levinas, ma non solo.
Gli eremiti di cui parli forse è come se giocando si ponessero ai margini del gioco, sull'orlo dell'altura, per tentare di coglierne l'insieme udendone gli echi smorzati e l'incanto. Come Zarathustra che sale sul monte. Ma è sempre da quel gioco che provengono e il loro ritrarsi fa parte dello stesso gioco che tutti giocano e se non se ne accorgono precipitano e si schiantano.