Sgiombo scrive:
"Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza"."
Assolutamente d'accordo! Non ho mai sostenuto il contrario. Certamente la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza. Non ho mai parlato di un rapporto di identità, evidentemente sono due modalità di coscienza aventi una distinta qualità di vissuto. Volevo dire che l'autocoscienza è la condizione necessaria, il termine giusto credo sia "trascendentale", della coscienza in genere. Senza autocoscienza avremmo solo sensazioni senza la possibilità di un intervento ordinatore da parte dell'Io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi da cui nascono percezioni e concetti. E che esista una correlazione fortissima fra senso della propria identità e memoria mi pare sia un dato inoppugnabile (per coincidenza proprio pochi giorni fà leggevo John Searle scrivere riguardo un "senso del sè" che si costituisce temporalmente attraverso la continuità passato-presente che si dà attraverso i ricordi)
Non direi che l'autocoscienza sia un prodotto del linguaggio, direi al contrario che il linguaggio presupponga il pensare in astratto che è dato dal trascendimento dell'immediatezza dell'esperienza sensibile in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza. Il linguaggio è una generalizzazione, le parole si riferiscono ad una molteplicità di oggetti concreti che vengono unificate attraverso il riscontro di somiglianze che rendono possibile classificare e categorizzare. Il riscontro di somiglianze presuppone la continuità temporale del flusso di coscienza: quel singolo oggetto me ne ricorda uno simile di cui ho avuto esperienza passate e ciò dà un senso alla formazione di una parola che si riferisca a entrambi gli oggetti nonchè tutti gli oggetti passati, presenti e futuri aventi quelle caratteristiche simili. Il linguaggio presuppone cioè la non-immediatezza di una coscienza che si protende verso il passato ed il futuro in un flusso che va al di là della semplice ed immediata coscienza presente. E quest'unità tra il mio passato, il mio presente, il mio futuro è data dall'autocoscienza, dall'idea che questi tre "stati temporali" sono uniti dal fatto di essere i "miei" stati temporali, appartententi ad un unico Io. Il linguaggio non è un apriori, ma la conseguenza di una relazione coscienza-mondo che si manifesta originariamente in forme intuitive e prelinguistiche. Il rosso che percepisco non è ancora una parola, ma un vissuto intuitivo concreto, non ancora un segno grafico, simbolico. Questo verrà "poi"
"Ma ciò non toglie che la coscienza in generale, la coscienza di altro dal proprio essere cosciente (quale che sia il grado di attenzione che presenta) é altra cosa dalla coscienza (anche questa più o meno attenta o distratta che sia) della coscienza (dalla sensazione del pensiero del "proprio essere cosciente", del pensiero dei -gli altri- "contenuti di coscienza"); e che solo quest' ultima (diversa dalla coscienza di qualsiasi altra "cosa" o "conteuto esperienziale") costituisca l' "autocoscie4nza"."
Assolutamente d'accordo! Non ho mai sostenuto il contrario. Certamente la coscienza degli oggetti del mondo esterno è "altra cosa" rispetto alla coscienza della coscienza. Non ho mai parlato di un rapporto di identità, evidentemente sono due modalità di coscienza aventi una distinta qualità di vissuto. Volevo dire che l'autocoscienza è la condizione necessaria, il termine giusto credo sia "trascendentale", della coscienza in genere. Senza autocoscienza avremmo solo sensazioni senza la possibilità di un intervento ordinatore da parte dell'Io, che presupporrebbe l'associare stimolo a stimolo grazie al ricordo di esperienze passate che forniscono gli schemi associativi da cui nascono percezioni e concetti. E che esista una correlazione fortissima fra senso della propria identità e memoria mi pare sia un dato inoppugnabile (per coincidenza proprio pochi giorni fà leggevo John Searle scrivere riguardo un "senso del sè" che si costituisce temporalmente attraverso la continuità passato-presente che si dà attraverso i ricordi)
Non direi che l'autocoscienza sia un prodotto del linguaggio, direi al contrario che il linguaggio presupponga il pensare in astratto che è dato dal trascendimento dell'immediatezza dell'esperienza sensibile in virtù della mediazione data dalla continuità temporale del flusso di coscienza. Il linguaggio è una generalizzazione, le parole si riferiscono ad una molteplicità di oggetti concreti che vengono unificate attraverso il riscontro di somiglianze che rendono possibile classificare e categorizzare. Il riscontro di somiglianze presuppone la continuità temporale del flusso di coscienza: quel singolo oggetto me ne ricorda uno simile di cui ho avuto esperienza passate e ciò dà un senso alla formazione di una parola che si riferisca a entrambi gli oggetti nonchè tutti gli oggetti passati, presenti e futuri aventi quelle caratteristiche simili. Il linguaggio presuppone cioè la non-immediatezza di una coscienza che si protende verso il passato ed il futuro in un flusso che va al di là della semplice ed immediata coscienza presente. E quest'unità tra il mio passato, il mio presente, il mio futuro è data dall'autocoscienza, dall'idea che questi tre "stati temporali" sono uniti dal fatto di essere i "miei" stati temporali, appartententi ad un unico Io. Il linguaggio non è un apriori, ma la conseguenza di una relazione coscienza-mondo che si manifesta originariamente in forme intuitive e prelinguistiche. Il rosso che percepisco non è ancora una parola, ma un vissuto intuitivo concreto, non ancora un segno grafico, simbolico. Questo verrà "poi"