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Messaggi - maral

#586
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
04 Ottobre 2016, 21:56:23 PM
Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2016, 13:59:55 PM
Anche "significato" mi sembra una designazione mentale. E' la mente che dà un significato alla somma delle parti che designa come "nave di Teseo" attribuendole una funzione ( navigare, ecc.).  Mi sembra illogico sostenere l'esistenza del significato nave al di fuori della designazione di nave che ne dà la mente. Se il significato esistesse indipendentemente dalla percezione delle parti che formano la designazione "nave di Teseo", sarebbe possibile vederlo indipendentemente da esse. Ma così non è. Infatti appena formuliamo il concetto "nave di Teseo" appaiono alla mente le forme della nave di Teseo.
Ma né la designazione e il significato che ne dà la mente, nè le forme sono la nave di Teseo che, in senso ultimo, non esiste come "nave di Teseo" , non essendo possibile trovare alcuna cosa che sia la nave in sé,  se non come mera designazione delle sue parti. In più per attribuire qualunque significato alla "nave di Teseo" bisogna conoscere la funzione designata dalla mente all'idea nave. Un uomo primitivo che non ha mai visto una nave, sarebbe impossibilitato ad attribuire qualunque significato alla forma percepita da altri come "nave di Teseo", o ne attribuirebbe un altro paragonandolo ai significati che lui dà a forme analoghe ( per es. un mostro marino). Quindi il significato non è esistente in sè ma determinato convenzionalmente dalla mente sulla base di designazioni proprie, ma più spesso di altri e a lei insegnate.
Certo che anche significato è una designazione mentale e anche designazione mentale lo è. Ed è vero pure che il significato di "nave di Teseo" non potrebbe esistere senza la percezione delle parti che costituiscono quella nave, ma è altrettanto vero che le parti della nave di Teseo non potrebbero in alcun modo esistere senza il significato di "nave di Teseo" altrimenti di che sarebbero parti? A quale intero farebbero riferimento le parti per poter essere parti, se l'intero rispetto al quale sono intese come parti non ci fosse?
Un uomo primitivo vedrebbe quelle parti e non è detto che le considererebbe parti di alcunché, oppure le considererebbe parti di qualcosa che non ha nulla a che vedere con la nave di Teseo, ma il significato, qualunque sia, non lo sceglie lui, non lo inventa, ma gli è dato e gli è dato dal contesto che lo esprime, implicito o esplicito (quindi pubblico) che sia. E anche quel contesto peraltro si presenta sempre come un significato.
#587
Sgiombo, in breve, ho già detto che esistono molti modi diversi per dire la stessa cosa (ognuno dei quali si riferisce a un aspetto particolare di quella cosa e ai contesti diversi in cui esso risalta particolarmente), così come può esistere un solo modo di nominare molte cose diverse (partendo da qualcosa in comune tra loro ed è esattamente quando si usano i nomi comuni come cane, gatto, uomo), ma nessuno di questi nomi è arbitrario né convenzionale. Passeggiando in un parco Tizio non ha mai detto a Caio "guarda, un tree!", e Caio ha risposto "no guarda che quello è un albero, mi piace di più chiamarlo così", proprio come passeggiando lungo un corso d'acqua Sempronio ha mai detto "questo è l'Eridano!", subito contestato da un altro a cui veniva più facile chiamarlo Po, per cui alla fine si sono messi democraticamente d'accordo che potevano chiamarlo in entrambi i modi. Ogni denominazione ha la sua necessità originaria che deriva da ciò che nomina nei particolari posti in evidenza dai contesti in cui appare e il nome ne è subito il riassunto pubblico, detto ad alta voce per tutti.
Tu continui a dirmi che il nome non è la cosa, e chi lo nega! Ma resta il fatto che nome (quanti ce ne possano essere per quella cosa) e cosa sono sempre strettamente legati fin dal principio, non sono la stessa cosa, ma vanno sempre in parallelo, dove c'è l'una c'è l'altro, perché il nome dà alla cosa il significato e non c'è cosa senza significato se è vero che c'è qualcosa, qualsiasi cosa essa sia, dato che solo il nome può dire cos'è.
Chi scala il Monte Bianco, non scala il nome "Monte Bianco", ma scala quello che solo quel nome "Monte Bianco" significa e rappresenta, quindi, in tal senso, è proprio quel nome che scala, perché comunque ne scala il significato che solo quel nome e non un altro ci mostra, con tutte le implicazioni di significato che quel nome possiede e lo lega ad altre parole, per quanto ti possa sembrare assurdo.
Capisco che il tuo intento è mantenere una salda presa sulla realtà delle cose, non confondendo cavalli e ippogrifi dato che ad entrambi si può dare un nome, quindi sai mai che a qualcuno potesse passare per la testa di galoppare in cielo su un ippogrifo dato che ha un nome e dei significati, ma proprio perché il nome è legato alla cosa che nomina attraverso il suo significato questa confusione è impossibile, non perché il nome è una pura etichetta che uno mette a piacere come gli pare e dove gli pare, d'accordo o in disaccordo con gli altri, d'accordo o in disaccordo con la realtà.   
#588
Mi pare che le risposte di Davintro e Phil possano concordare su questo punto; l'identità (l'immutabile che sostanzia l'ente, per cui tutto il resto può variare, mentre l'ente resta lo stesso) è il progetto, ossia il disegno dell'individuo in potenza: il seme in atto è in potenza la pianta che sarà (il progetto della pianta) e la pianta in atto è la potenza del seme che fu, come il bambino in atto è in potenza l'uomo che sarà e l'adulto in atto è la potenza del bambino che fu. Questo discorso poggia sulla metafisica aristotelica che ha insegnato all'Occidente a pensare (e quindi ha dettato, che lo si voglia o meno, come leggere il mondo) e infatti lo stesso discorso è della scienza attuale che vede le cose alla stessa maniera, anzi, sia nella pianta che nell'uomo e in ogni essere vivente, a differenza di Davintro, identifica e nomina precisamente quella potenza con il genoma che esprime il progetto.
Il problema però, come nota Severino, è che il concetto di potenza ripete la stessa contraddizione del divenire (infatti divenire è potenza, la sola potenza): essere in potenza significa essere non essendo ciò che si è, ma potendolo diventare, infatti se il seme è in potenza la pianta che sarà non è il seme che realmente è (in atto), ma lo si considera come se lo potesse diventare. E' chiaro che se A è A resta contraddizione dire che A è B (ove B non è A) e dire che A è A ed è B in potenza (o per progetto che lo vuole far diventare B), non è che rendere più evidente la medesima contraddizione.
E' chiaro che per Severino A=A significa un'identità assoluta, A, qualsiasi cosa concretamente sia, non può mai essere diverso da se stesso, può diventare diverso da se stesso solo annientandosi come A. Con questo la memoria non è lo scherzo di un maligno, ma è fenomeno autentico dell'apparire che riguarda il presente, di cui il passato e il futuro non sono che presenti modi di essere. L'istante temporale infatti non può esistere realmente se non come istante di significato che è qui, adesso e perciò in eterno pur mostrandosi e nascondendosi nel gioco dell'apparire. Questo presente non è presente, se presente lo si vede in contrapposizione con passato e futuro, ingloba tutto e semplicemente è.
Nell'esempio che fa Phil per cui possiamo dire a un certo punto di una serie in progressione che il seme al tempo t9 è la pianta al tempo t1 è una contraddizione in quanto se è vero che il seme al tempo t 9 è la pianta al tempo t1, il seme al tempo t9 non è il seme al tempo t1 ove non era pianta al tempo t1, dunque non possiamo dire che A(t1) e A(t9) sono lo stesso seme. A ogni istante ogni seme è sempre uguale a se stesso e fra t1 e t9 ci sono semplicemente 9 semi diversi ognuno identico a se stesso, non un unico seme che si trasforma 9 volte.
Se ancora diciamo "Severino è un filosofo" invece non ci contraddiciamo, poiché la frase è vera (e Severino lo spiega lungamente) solo se significa che "Severino come filosofo è quel filosofo che è Severino come filosofo", il che è ovviamente diverso dal dire che Severino diventa il filosofo che prima non era.
Se si vuole trovare un parallelo tra la concezione severiniana e una teoria fisica non credo sia nella legge di conservazione della massa-energia da cercare (che invece fa riferimento alla concezione aristotelica di sostanza); ma nel modo con cui la fisica classica e soprattutto quella relativistica descrivono il tempo: Il tempo è qui rappresentato come una linea spaziale, in cui ogni punto è raggiungibile partendo da ogni punto della linea. Ossia ogni istante del tempo è un luogo esistente dello spazio, dunque passato e futuro non sono altro per il fisico relativista (ma anche per quello classico, solo che non se ne era ancora reso conto) che momenti spaziali  tutti insieme presenti.     
#589
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
02 Ottobre 2016, 13:20:53 PM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2016, 10:43:26 AM
E se distinguessimo fra identità sociale-convenzionale (esterna) ed identità auto-percepita (interna)?
L'idea era che l'identità interna è il riflesso di quella esterna, ossia di quella che gli altri con il loro richiamo con la voce e con lo sguardo ci restituiscono come unità che può durare e pertanto acquisire ai nostri occhi una vita interna autonoma. L'autoconsapevolezza è sapere di sapere come unità, ma il soggetto unitario di questo sapere (me stesso) è possibile solo se gli altri me lo indicano. Non c'è un'identità senza un altrui riconoscimento.
CitazioneIn fondo anche "il foro romano" o il Colosseo non sono sempre stati dei ruderi...
ma noi è solo dei ruderi che abbiamo davanti (qualcosa che interpretiamo come resti), insieme a una storia che non viene dal passato di quei ruderi, ma dal presente. E' solo nel presente che abita ogni significato, ma quale significato non siamo noi a deciderlo.
Citazione di: Sariputra il 02 Ottobre 2016, 10:56:19 AM
Ne consegue che tutto l'universo dell'uomo è una designazione mentale ? Ma che all'analisi non si può trovare nulla di esistente in sé al di fuori della configurazione delle sue parti designate dalla mente?
L'universo dell'uomo è fatto di significati, non di cose e anche "mente" è un significato.
#590
Tematiche Filosofiche / Re:Tecnocrazia
01 Ottobre 2016, 23:40:22 PM
Già, benvenuti nel mondo della tecnocrazia dove nessuno ci capisce più niente, nemmeno i tecnocrati, anche se, a ben vedere, ognuno di loro (altrimenti che tecnocrate sarebbe?) è sempre più che mai convinto di avere capito tutto su scala globale e te lo spiega pure, poi se l'esito degli eventi lo smentisce, chiaro è colpa dell'altro tecnocrate, del mondo stupido e ignorante, di quello che si doveva fare e non è stato fatto.
La tecnologia ci restituisce un mondo incomprensibile, ma dove tutti credono che comprendere sia facilissimo; la tecnologia ci restituisce un mondo sempre più incontrollabile, ma dove tutto va sempre controllato nei minimi dettagli; la tecnologia ci presenta un mondo facile, basta premere un bottone per rendere l'impossibile possibile, ma premendo quel bottone possono succedere casini a non finire proprio perché l'impossibile diventa possibile, a portata di dito.
Il tecnocrate è lì non per spiegarci le cose, ma per ricordarci che non possiamo fare altro che avere fede in lui, tanto non possiamo capirci niente. Un tempo l'incomprensibile era materia della religione, oggi è materia sua e, dandogli fede, gli confermiamo la sua fede in se stesso, dato che anche lui con tutte le mappature non ne capisce nulla, proprio come noi. Ma a qualcuno si dovrà pur darla questa fiducia.
#591
Tematiche Filosofiche / Re:La nave di Teseo
01 Ottobre 2016, 23:07:23 PM
Paul 11 ha ragione, è il riconoscimento pubblico formale che identifica (dà un'identità) in modo astratto alla nave di Teseo e quindi garantisce a Teseo la sua proprietà.
Ma nel caso in cui si trattasse di un essere umano? Nel caso in cui il paradosso riguardasse proprio Teseo e non la sua nave? Le cose starebbero diversamente?
E' ovvio che Teseo nel tempo è cambiato: cambia ogni cellula del suo corpo, cambiano le forme fisiche e i loro rapporti, cambia il suo modo di pensare, i suoi sentimenti, le sue emozioni, cambiano soprattutto le sue memorie e quindi cambia ogni aspettativa e il modo in cui si esercita.
Perché non è assolutamente vero che io posso cambiare tutto me stesso, rifare tutto il mio corpo e comunque credere di rimanere lo stesso, credere e sentire di essere sempre io.
Chi sono io? Quell'io che crede di rimanere sempre lo stesso mentre tutto di sé cambia? Qual è la mia indefettibile e immutabile sostanza?
Una volta era più facile, c'era l'anima a fare da sostanza e l'anima ci pensava Dio a definire la mia sostanza creandola, ma ora che il cielo è rimasto vuoto?
Forse dopotutto per Teseo vale come per la nave di Teseo. La mia identità è come il mio nome, me la danno gli altri che pubblicamente me la riconoscono ("il nome del padre", dice Lacan, che diventa il mio nome), facendo sì che io la possa riconoscere. La mia identità è un'immagina allo specchio che un altro mi fa intendere mia, la mia identità è il mio nome che un altro chiama, la mia identità in fondo non è mia. Niente di più, ma anche niente di meno.
#592
Citazione di: Phil il 01 Ottobre 2016, 17:52:30 PM
L'assunto in corsivo è la congettura fondante che andrebbe ragionata/spiegata/dimostrata, non presupposta, altrimenti è inevitabile che i conti torneranno sempre (tramite petitio principii).
L'assunto in questione quindi è: totalità dell'ente = eternità dell'ente
Sia A un essente, ad esempio questa lampada accesa. se l'essente è (se questa lampada accesa è), è in tutti i suoi modi di essere, nessuno escluso (se non fosse in tutti i suoi modi di essere, sarebbe un altro essente, ad esempio una lampada spenta). Come si può allora dire che questa lampada accesa cessa di essere una lampada accesa (cessa di essere quello che è) per essere una lampada spenta senza passare da un ente all'altro? Non è forse una contraddizione pensare che questa lampada che quello è (nella totalità di quello che è) in quanto è accesa poi è spenta? E' qui che si può anche capire tutta la differenza tra il divenire e l'apparire: con il divenire si crede che la stessa lampada possa passare da accesa a spenta restando la stessa cosa al cui significato sostanziale i modi "acceso" o "spento" sono del tutto indifferenti e superflui, nell'apparire invece si dice che c'è (appare) una lampada accesa, al cui posto ne sopraggiunge una spenta, mentre quella accesa esce di scena pur continuando a essere (poi potremo chiederci cosa significa uscire di scena), ma quella spenta che ora appare non ha reso niente (o assorbito totalmente in se stessa) quella accesa che prima appariva. 
CitazioneRicorderei che la logica prescinde dal fattore tempo, ma la vita no...
Certo, la vita si svolge nel tempo, solo il tempo è l'autore di ogni significato, ma questo non toglie che questo tempo è sempre e solo al presente, è esclusivamente nel presente che ci sono tutte le storie, tutti i discorsi e tutte le vite. La continuità di questa storia è garantita proprio dal suo essere presente, tutta qui in questo istante di significato, non di tempo. Se l'istante è di significato e non di tempo, tutto il discorso di Severino acquista un senso molto più chiaro e quell'infinita frammentazione di cui parlavo prima è risolta. Peraltro, se il tempo non esiste, l'istante non può che essere di significato.   
CitazioneComunque, l'ente Phil-cadavere è eternamente e oggettivamente morto (quindi la morte non esce affatto di scena!), per cui fatemi le condoglianze finché sono vivo... o dovrei dire fate le condoglianze a qualcuno dei tanti Phil vivi  ;)
il Phil cadavere è eterno quanto è eterno il Phil che vivo e vegeto legge sul computer queste parole (e non so sinceramente cosa abbiano in comune per poterli considerare lo stesso Phil)  :D
CitazioneHo il sospetto che in questo sia l'estremismo metafisico di Severino: non un ente supremo, ma tutti gli enti sono supremi possedendo le caratteristiche assolute (eternità, immortalità...). Severino in fondo ha divinizzato gli enti (plurale obbligatorio) al punto che, proprio come con le divinità, essi non hanno un tempo ed uno spazio proprio, ma ogni tanto si concedono ad una rivelazione-manifestazione, sulla cui causa sarebbe interessante avere delucidazioni: perché l'ente eterno appare? cosa lo porta ad apparire?
Severino ha ultra divinizzato ogni ente, ogni ente, uomo compreso che è già Oltre Uomo (riferimento a Nietzsche) e Oltre Dio (come puoi sentire da lui stesso verso la fine della registrazione che ho linkato).
Cosa spinge l'ente ad apparire? il semplice fatto che è. L'apparire è modo dell'essere, come il non apparire, dunque l'essere in quanto è, comprende necessariamente sia il suo apparire che il suo non apparire, Ogni ente deve apparire e scomparire poiché è nel modo che gli è proprio.

CitazioneDov'è un ente quando non appare?
L'ente appare sempre in un cerchio dell'apparire o in un altro, quindi per Severino in qualche luogo è. I cerchi dell'apparire (quell'essere in scena o fuori scena di cui sopra) non sono niente di fantascientifico, nessun universo parallelo. Sono semplicemente la coscienza degli osservatori, sono gli stessi esseri umani, ogni essere umano in relazione a tutti gli altri, niente di più. Quando l'ente non appare alla mia coscienza è nella coscienza di qualche altro ente umano con cui sono direttamente o meno intrecciato, è la storia che a qualcun altro appare. Se mio nonno che è morto tanti anni fa non è qui, e quindi non appare, è per quell'ente maral bambino che pure è e che, pur non essendo il maral ormai vecchio di ora, qualcosa in comune con lui ce l'ha.
La cosa che mi lascia perplesso semmai è che nella Gloria l'ente deve apparire in ogni cerchio dell'apparire e nella Gioia della Gloria questo accade concretamente a ogni ente. Non so, forse questo può accadere nel momento in cui la Terra Isolata (questa nostra terra in cui gli enti si manifestano mutilati, quindi sopraggiungono non sopraggiungendo) può apparire compresa nel Destino.

Citazionesempre stando al mio modo di valutare; secondo il quale immanentizzare l'eternità nella manifestazione degli enti è uno dei gesti più filo-trascendentali che possano compiersi...).
Eppure noi non sperimentiamo mai la morte. Sperimentiamo solo il cessare di apparirci degli altri enti, il loro lasciarci. Questo è tutto quello che noi sperimentiamo concretamente e che astrattamente chiamiamo morire. forse è morire, cessare di essere, il concetto più di tutti trascendentale.

CitazioneRaffaello raffigura, Picasso sfigura (artisticamente parlando  ;D ), Raffaello "rispetta", asseconda la percezione dell'occhio umano, Picasso la trascende proponendo un "astigmatismo stroboscopico"...
Picasso non dipinge così per vezzo o perché avesse difetti visivi, ma perché tenta di riflettere nell'immagine il significato di quello che realmente vede, esattamente come Raffaello. E' che il significato di quello che realmente si vede è diverso per Picasso e per Raffaello.

Citazione"Tizio cambia restando sempre lo stesso" è un paradosso basato sulla cosiddetta "anfibolia", uso ambiguo dei termini: ciò che cambia e ciò che resta lo stesso sono su due piani differenti, infatti ciò che cambia è il corpo, l'apparenza, etc., mentre ciò che resta lo stesso è l'identità (per come l'ho descritta parlando della "nave di Teseo" nell'omonimo topic, senza che vi annoi oltre!).
Appunto, il punto fondamentale è cos'è l'identità? Per Severino è l'intero dei modi di essere di ogni ente, nessun modo escluso, quello che è per te andrò a leggermelo nella "nave di Teseo".
Grazie per i tuoi interventi.
#593
Per quanto riguarda la questione della poliglossia posta da Sgiombo, ossia perché mai le lingue sono tante anziché una sola, noto solo che, anche se sono tante non significa che le tante parole usate per designare la stessa cosa non implica che queste parole vengano messe arbitrariamente a posteriori (tra l'altro è anche vero il contrario, si può usare un'unica parola per designare tante cose). Vuol solo dire che i significati si presentano in molti modi diversi (come inizia Aristotele il libro della Metafisica: "l'Essere si dice in molti modi" e i modi di dirlo potremmo pensare che sono gli enti), ma non c'è altro modo che la cosa (l'essente) si presenti se non attraverso l'espressione dei suoi significati (che debbano poi essere tutti o ne basti solo qualcuno è faccenda collegata a quella degli Eterni di Severino, l'importante comunque è non credere che quando se ne sono presentati solo alcuni, quei pochi siano tutto ciò che si può dire, questo è quello che ho chiamato astrazione e Severino pensiero astratto dell'astratto).
In fondo è vero: le cose significando sono poliglotte e insegnano con la loro presenza fisica i loro linguaggi agli uomini che le percepiscono, i quali (seguendo la distinzione di Phil) poi ne fanno delle lingue con cui parlarsi. 

CitazioneOvvio che senza nome non possiamo parlare delle cose (ma quando mai avrei scritto quest' altra corbelleria?); ma le cose sono reali indipendentemente dagli eventuali nomi che si danno loro e dal fatto che se ne parli o meno (esempio delle numerosissime montagne su pianeti di altre galassie che nessuno vedrà e nominerà mai).

Conoscenza delle cose =/= le cose.
Il fatto che ci siano montagne che nessuno ha mai visto, come il fatto che quella montagna c'era anche prima che ci fosse un uomo a dire il suo nome è ancora nel significato della parola "montagna" che permette di pensarla ovunque si possano formare delle rocce e ci siano moti tettonici, la montagna non è una cosa in sé, ma un significato ed è del significato che solo si parla e con i cui segni si parla e anche si agisce.
La conoscenza della cosa è effettivamente la cosa solo se ne cogliamo tutti i significati, ossia tutte le relazione che accadendo essa instaura, ma questo, concordo, è impossibile ed è il motivo per cui avremo sempre qualcosa ancora da conoscere e da poter dire su qualsiasi cosa.

CitazioneA no? Dunque il fiume Po e l' Eridano sono due diversi corsi d' acqua?
E il Benaco e il Garda, l' Iseo e il Sebino, ecc.?
No, ma quei due nomi alludono a significati diversi del medesimo corso d'acqua (astratto come una pura entità fisica). Il fatto di chiamare quel corso d'acqua Po o Eridano indica a chi li chiama in un modo o a chi li chiama nell'altro una storia di significati diversi che non è lui a decidere arbitrariamente cosi da credere che chi lo chiama Po avrebbe benissimo potuto chiamarlo anche Eridano o viceversa. E' solo quando in questi nomi non se ne sente più il significato che diventano solo etichette interscambiabili e sulle quali ci si può anche mettere d'accordo su come segnare quel corso d'acqua, solo fisicamente inteso, sulla carta geografica.
E' chiaro poi che il "corso d'acqua" o la "cosa alta" esistono comunque li chiami, ma esistono anch'essi come significati: corso d'acqua e cosa alta sono pur sempre ancora parole con i loro significati, no? E sono proprio le parole che nominano le cose che solo consentono significandola la permanenza presso di noi di qualsiasi cosa.

CitazioneTautologicamente A non é non A a un tempo e luogo determinato; in altro tempo e luogo può benissimo diventare B nel pieno rispetto del principio di identità - non contraddizione.
Sgiombo, se A è sempre A, in nessun altro luogo o tempo può essere B che è non A. Puoi dirmi che A e B condividono degli aspetti in comune, ad esempio il nome (proprio perché cose diverse possono avere lo stesso nome quando ci si limita a considerarle per quella parte dei loro significati che condividono e quindi le si prende in astratto), ma se li consideri nella loro totalità di significato, ossia per quello che concretamente sono, A e B non sono lo stesso ente. Tu stesso ammetti ovviamente che il bambino Sgiombo non è l'adulto Sgiombo, ma se dici che oggi lo è diventato dici che quel bambino oggi è davvero quell'adulto proprio mentre riconosci che non lo è e non lo è in nulla tranne il nome, ma a cosa si riferisce quel nome che accomuna quei due diversi enti, il bambino e l'adulto?



#594
Credo che comunque la si pensi, il dibattito ricco di significati che si sta qui sviluppando, faccia risaltare il punto focale che la filosofia di Severino (per quanto quasi sconosciuta all'estero) costituisce. La sua è filosofia nel senso più alto del termine, proprio per la carica dirompente di quanto sostiene come incontrovertibile (ammesso che oggi si sia ancora disposti ad accettare l'incontrovertibilità), non un semplice gioco formale (come lo avverte Paul 11) condotto con una logica estetizzata (come scrive Phil) fine a se stessa (peraltro la logica che usa Severino è quella della dialettica hegeliana, né più né meno). Lo sottolineano sia Cacciari che Sini nel loro discorso su Severino in occasione dell'omaggio tributatogli  alla presentazione di "Dike" in questo video che ho trovato molto interessante e in cui vi sono vari e profondi riferimenti a quanto fin qui discusso: https://www.youtube.com/watch?v=01wBjB1jMro
Se avrete la pazienza di visionarlo poi credo sarà interessante discuterne: le posizioni dei tre filosofi emergono ben evidenti nella registrazione.

Vengo a qualche commento su alcune delle vostre ulteriori osservazioni.
Sariputra chiede in sostanza che influenza può mai avere concretamente una teoria che nega il divenire, quando alla comunque con il divenire, che lo si voglia o no, si ha da fare conto tutti, Severino compreso. Cosa importa intendere il divenire come un continuo apparire, se poi l'apparire della totalità dell'ente (che corrisponde alla sua eternità), non appare e, lo spiega Sini commentando e spiegando per noi il passo su "Dike", non appare giacché ciò che sopraggiunge non può essere l'eterno, non può essere la totalità, pur sopraggiungendo. Io penso che, sia pure in modo solo formale, la posizione severiniana mostri comunque l'assurdo della pretesa oggettiva della morte, mostrando come essa sia negata in partenza dalla premessa logica fondamentale, dalla pura e semplice tautologia dell'esistenza. Sini riferisce questa eternità al significato (che qui afferma esplicitamente venir prima della cosa) e su questo piano è disposto a seguire Severino, anche se poi la conclusione spinoziana di Sini non può essere con lui condivisa. Ma quello che è essenziale e che fa la differenza è appunto l'incontrovertibile certezza logica (il Destino nell'accezione in cui Severino lo intende) che appunto la morte è solo un'interpretazione errata dell'eterno apparire degli enti. Le conseguenze sono enormi e prima tra tutte che non c'è bisogno di inventarsi alcun eterno privilegiato ente supremo (Dio o principio razionale, o qualsiasi altro onnicomprensivo contenitore di mortalità) per sentirsi salvi e al riparo da essa, perché ognuno, solo perché è, è già eternamente salvo, nessuna eternità può venirgli donata, con tutte le ambiguità e i ricatti che i doni recano con sé. Fosse pure, come dice spinozianamente Sini, che "questa è l'opinione che il modo si fa della sua eterna esistenza" si tratta di un'opinione che fa un'enorme differenza nel modo di intendere l'esistenza nella sua stessa apparente contingenza e, se non altro, accoglie l'aver gettata alle ortiche ogni metafisica trascendente in una sorta di immanenza assoluta in ogni infinitesimo ente dell'eternità. Riesco a farti sentire la differenza e la rilevanza che ha sul significato?

Dice poi Phil:
CitazioneIl passato lo troviamo trasfigurato nella memoria, mentre gli enti severiniani, prima del loro apparire, sono ma non sono in nessun tipo di luogo (se ho capito bene): entrambe non sono esperienze di autentico possesso o percezione del passato (che sarebbe logicamente impossibile!), ma quella della memoria come traccia del divenire mi sembra meno "spericolata" e fantasiosa (ma forse è solo una questione di plausibilità secondo la mia prospettiva...).

No, gli eterni di Severino sono comunque in altri cerchi dell'apparire, in altri luoghi e contesti umani ove appaiono in modo diverso.
Quello su cui concordo è che il passato trasfigurato nella memoria (il passato presente sempre variabile al presente) non è il passato, come non è il passato quello che ricostruiamo nelle storiografie dai resti che troviamo nel presente, ricostruzioni che sono sempre prodotte solo dal presente modo di intendere. Il passato non c'è e non ha luogo plausibile, anche se alcune presenti elaborazioni di questi immaginari luoghi del passato ci sembrano più attendibili di altre, ma solo perché si accordano meglio con il nostro modo presente di essere.
Il divenire (a differenza di un mio ritratto dipinto da Raffaello o da Picasso, che dopotutto mostrano aspetti diversi dello stesso ente) è il solo modo che abbiamo di vedere le cose, ma questo non significa che sia il loro modo di essere, anzi non lo è, è il loro modo di apparire: sopraggiungendo e oltrepassandoci mentre continuano sempre a essere.
 
Citazione di: davintro il 01 Ottobre 2016, 02:10:58 AM
Che Tizio si trovi in Italia o in Germania riguarda sue proprietà accidentali, soggette al divenire, che però convivono insieme ad un substrato immutabile, ciò che rende Tizio Tizio e non Caio,la sua sostanzialità, la sua identità personale.
E qual è questo substrato immutabile? Dove sta? Tu dici, seguendo Aristotele, che ci sono delle proprietà accidentali che possono variare, mentre altre che definiscono stabilmente l'identità. Facile a dirsi, ma quali? Tizio è sempre Tizio perché si chiama sempre così e basta? Perché dovrebbe essere solo accidentale l'essere in Germania o in Italia di Tizio? Cos'è il sostanziale? Forse la forma del naso di Tizio che è rimasta sempre la stesa da quando ce lo ricordiamo? O il suo modo di sentire e di pensare? O la sua anima? Qui si accusa di metafisicità astratta e derivazione parmenidea un modo di pensare che vede che Tizio è espresso da ognuno dei suoi modi effettivi di essere, nessuno escluso, rispetto a un pensiero ben più metafisico e astratto che pretende di estrarre tra tutti questi modi una sostanza indefettibile sulla base della quale Tizio, pur cambiando resta sempre lo stesso. E' qui che sta l'astrazione e il conseguente errore, non il contrario!
#595
Citazione di: Phil il 30 Settembre 2016, 16:26:05 PM
Per me l'eternità (così come l'infinito) non può che essere una congettura, perché, per definizione, è ciò che non è verificabile, ma solo ipotizzabile...
Posso essere d'accordo (Severino non sarebbe e ci direbbe che è ciò di cui facciamo continuamente esperienza proprio nell'apparire degli enti), ma in tal caso si implicherebbe che noi possiamo fare esperienza solo della contraddizione, o meglio che possiamo solo contraddirci.

Citazione
Al riguardo richiamerei ancora la differenza fra linguaggio e lingua, ovvero fra giocare a carte in modo istintivo e non-strutturato (linguaggio come predisposizione innata neurologico-comportamentale, che contempla anche la possibilità del "solitario"), e giocare a carte in modo regolamentato (lingua convenzionale), ma con ciò non voglio riavvolgere il discorso a tre o quattro pagine fa...
Mi limito a chiedere se è mai esistito davvero un linguaggio non strutturato o una lingua senza un fondamento istintivo. Noi continuiamo linguisticamente a separare le cose (produrre astrazioni) sperando così di parlare oggettivamente, mentre in realtà parliamo sempre e solo attorno ai nostri astratti concetti (che va anche bene, dato che non possiamo parlare di altro, basta rendersene conto).

Citazioneche sia arrivata a destinazione la bastonata del monaco (non mia)?
Le bastonate dei monaci arrivano sempre prima o poi  :D
CitazioneSchleiermacher direbbe che possiamo capire Severino meglio di lui stesso... comunque, per come la vedo, quando l'ermeneutica si crede (crede se stessa) una ontologia, quando viene confuso il piano del linguaggio con quello dell'essere, si sconfina nell'estetismo, ovvero nel proporre una prospettiva estetizzata, come dimostra Heidegger (è tutta qui la differenza fra la citazione del "suo" Holderlin e quella di Wittgenstein).
Mi dispiace per Schleiermacher e la sua voglia di chiarezza, ma linguaggio è di per sé confuso con l'essere e a separarli trovo si facciano ben più pericolose confusioni.

Citazione...intendo quella in cui si sta nel circolo ermeneutico partendo dal senso (intuito, congetturato, prefigurato) per arrivare all'essere, piuttosto che (come vorrebbe fare l'ontologia autentica, nonostante lo scacco delle scienze) partire dall'essere per arrivare al senso (per inciso, questo dualismo senso/essere, con tutti i rovesciamenti annessi, può essere problematizzato fino al suo superamento).
C'è da dire che anche questa "ontologia autentica" alla fine si rivela solo all'occhio ermeneutico un'interpretazione, che a volte ha valore estetico, altre no, ma il non averlo non la rende per questo più vera, magari solo più brutta.

Severino in realtà non vuole attualizzare Parmenide, anzi, considera Parmenide (con il suo Essere totalizzante) il grande originario proclamatore del Nulla e ritiene che sia proprio da quel Nulla implicato nell'Essere di Parmenide che nasce la follia dell'Occidente. Dire che l'essente è (ove "essente" va inteso al plurale) è qualcosa di radicalmente diverso dal dire che l'Essere (Uno) è. E' proprio a motivo della pluralità infinita degli Essenti che si ha la Gloria, mentre da Parmenide si ha solo una sfera in sé finita che equivale al Non Essere, una sfera perfettamente vuota. La Gloria non è un espediente estetizzante, ma l'infinito apparire degli Enti: come poteva arrivarci Parmenide che ha solo l'Uno?

CitazioneP.s. A scanso di equivoci, preciso che non intendo estetico l'oggetto del discorso severiniano, nè tantomeno voglio dare un'interpretazione estetica della sua ontologia; alludo alla sua prospettiva col termine di "estetizzata" allo stesso modo di come era estetizzata la "visione" proposta dal cubismo: in Severino non c'è il divenire, in Picasso non c'è la prospettiva; in Severino gli enti sono eterni, in Picasso gli enti sono scomposti, etc. la differenza sta nella intenzionalità dell'estetizzare il mondo (anche se sgiombo ha tratteggiato un "colpo di teatro" testamentario decisamente intrigante...) e nello strumento usato (pennello vs penna...).
Ma tu pensi davvero che la visione metafisica classica, quella su cui per senso comune facciamo affidamento, e che immagina uno scorrere nel tempo reale, un ieri, un oggi e un domani effettivi e non immaginati, con un soggetto e un oggetto, un dentro e un fuori ben distinti e separati, sia più realistica? La questione dello scorrere del tempo è di vecchia data, già Agostino la metteva giustamente in dubbio (il passato non è, esiste forse un luogo ove troviamo il passato? Cosa sono passato e futuro se non enti assolutamente senza luogo?).
Ma se vogliamo rimanere in termini pittorici, pensi davvero, ad esempio, che un quadro di Raffaello riproduca  cose e persone in modo più reale di un quadro cubista, al di là delle rispettive scelte estetiche?
#596
Citazione di: sgiombo il 30 Settembre 2016, 09:09:51 AM
(Circa la Bibbia la parola di Dio può essere intesa benissimo come scritta o come semplicemente pensata, oltre che come pronunciata; per esempio i dieci comandamenti su Sinai sarebbero stati scritti su tavole di pietra e non detti da Dio).
Non mi pare. Quando Dio crea (Genesi) crea con la voce, non scrive da nessuna parte e a Mosè Dio parla e Mosè sente la Sua Voce. Il segno grafico in Occidente è solo traduzione di un fonema, non è originario, ma è il segno di un segno fonico per rendere il segno fonico definitivo, imperituro appunto.

CitazioneEcco, io credo di pensarla proprio al contrario: gli oggetti esistono anche senza che qualcuno dia loro un nome e li pensi (sarebbe molto comodo se fosse come dice Sini: darei subito il nome -e attribuirei il significato- di "nulla" a Renzi, Obama e tantissimi altri e il mondo sarebbe subito molto, molto migliore).
Piacerebbe anche a me, ma purtroppo non accade e non accade non perché le parole sono arbitrarie, mentre quelli sono reali, ma proprio perché le parole non sono il frutto di nessuna arbitrarietà, nessuno dà il nome alle cose come gli pare, il nome corrisponde a quella cosa, perché ci dice cos'è. Senza nome possiamo dire che qualcosa c'è (anzi nemmeno questo a rigore, visto che "qualcosa" è già un nome). ma cos'è quel qualcosa? Ci vuole un nome, ci vuole il suo nome!

CitazioneIo la penso esattamente come Phil: le cose (solito esempio del monte Bianco) sono identiche a se stesse anche se nessuno le pensa (chissà quanti monti ci sono su pianeti di altre galassie che nessuno ha mai visto e concettualizzato, ma non per questo perdono al loro identità per diventare laghi, fiumi, mari, alberi, arcobaleni, nuvole o chissà cos' altro ...ah, se te lo sentisse dire Severino!!!).
Ma il nome è costitutivo dell'ente, non è lo stesso ente un ente che si chiama in due modi diversi. Ma poi mi fai a dire come fai a conoscere quella cosa come un monte, tanto da dire che è un monte identico al suo essere monte ed è sempre e per tutti un monte, se non hai il nome e quindi il concetto di monte?


CitazioneE io sono costretto a ripeterti la domanda:

Ma da dove salta fuori, nel principio di identità questo "mai" (Se A è A non potrà maiessere qualcosa di diverso da A)?
Salta fuori dal fatto che se tautologicamente A non è non A, non ci sarà mai alcun luogo né alcun tempo in cui A è non A pur restando A così da poter dire che lo stesso A che un tempo era A ora è A che è diventato non A. ossia B. Detto in altri termini quel reale e concreto che fu Sgiombo bambino non può essere mai quel reale e concreto Sgiombo adulto che qui appare restando lo stesso Sgiombo. A meno che appunto non prendiamo solo il suo nome in astratto, perché solo quello, tenuto separato da chi lo porta, sembra essere rimasto lo stesso.

CitazioneSe dico che ora questo A è A, domani può tranquillamente, quello che oggi é il medesimo A di oggi, essere diventato B senza alcuna contraddizione.
Se è così quello che ieri era A ieri resta A, mentre quello che oggi è B non potrà mai essere quello che ieri era A che infatti non è quello che oggi è B.
O ancora "quello ieri era un bambino" - indichiamolo (A) - resta ieri un bambino (A), mentre quello che oggi è un adulto - indichiamolo (B) - è quello che oggi è un adulto (B), quindi non è quello che ieri era un bambino - non è (B) -, solo il nome si può dire che gli è rimasto lo stesso, ma mentre ieri era il nome di un bambino oggi è il nome di un adulto, quindi in fondo anche i nomi sono cambiati a meno di non volerli separare da chi li porta.
#597
Citazione di: Sariputra il 30 Settembre 2016, 01:31:22 AM
Citando una frase di Bergson:
Tutte le fotografie di una città, prese da tutti i punti di vista possibili, per quanto si completino indefinitamente le une con le altre, non varranno mai quell'esemplare in rilievo che è la città in cui si va a passeggio
affermo che :
Tutti gli infiniti "Sari che vanno a letto", presi da tutte le angolazioni e punti di vista possibili ( sopra  sotto il letto), non varranno mai come quell'esemplare vivente di Sari che va effettivamente a letto.
Qui si palesa il primato dell'intelligenza intuitiva su quello della conoscenza analitica. L'intuizione coglie la presenza viva di Sari ( per adesione e simpatia) e il suo essere in divenire, mentre l'analisi deve ricorrere alla frammentazione di "tutti i punti di vista possibili".
Scusa se puntualizzo, ma altrimenti non ci si intende (ah queste parole!). Non è che la miriade di Sari che vanno a letto siano diversi perché c'è una miriade di punti di vista diversi con cui si può osservare Sari che va a letto (questa è una problematica ulteriore sulla quale Severino penso dissentirebbe), ma perché c'è una miriade di atti che Sari (quell'astrazione che chiamiamo Sari e in cui Sari identifica se stesso e corrisponde al significare del suo unico nome) compie per andare a letto e, poiché ognuno di essi istituisce una differenza per quanto possa essere impercettibile, a ognuno di essi corrisponde un diverso ente, un diverso Sari. Ma ciascuno di questi atti è a sua volta suddivisibile all'infinito in atti ancora più infinitesimi, quindi Siamo sempre e comunque davanti a delle astrazioni per quanto a fondo possiamo andare nella nostra analisi. Dunque alla fine siamo costretti ad ammettere che noi conosciamo solo le cose in astratto, conosciamo il loro significato riflesso dal nome, per quanti sforzi facciamo sono solo i nomi che vediamo.
L'intuizione che ci scalda molto di più gli animi appare certo più veritiera, ma allora dobbiamo mettere da parte ogni pretesa di fondatezza condivisibile, perché quella vita è solo la mia vita (l'io è l'unico, come diceva Stirner), ma anche così si arriva sempre al punto di interrogarsi su cosa sia io, su cosa sia la mia vita, "io" è davvero reale o è un nome astratto? E anche qui non si può avere alcuna risposta, Forse gli unici momenti in cui davvero viviamo sono quelli in cui non pensiamo (e quindi non parliamo, giacché l'uomo è solo parlando che pensa), Non ci resta che il silenzio, ma nessuno riesce a fare un silenzio sufficiente, nemmeno un monaco zen (e se anche ci riuscisse come potrebbe dircelo o dirselo?).   
#598
L'ipotesi di Laplace fa riferimento su una visione metafisica ormai del tutto superata (anche se resta nel nostro senso comune che è lo stesso che guida ancora in massima parte l'approccio scientifico).
I presupposti di base sono: c'è un mondo là fuori perfettamente conoscibile nella totalità dei suoi aspetti e la chiave per conoscerlo è il principio di causa effetto e il linguaggio con cui questo principio si esprime è perfettamente matematico. Date queste premesse, conoscendo ogni causa matematicamente per come accade in ogni particolare istante, una mente super intelligente, osservando questo mondo oggettivo, può stabilire ogni effetto senza errore.
In realtà si danno per scontate cose del tutto inverificate, ad esempio che esistano in sé e per sé delle successioni di eventi in oggetto (anzi, addirittura che alla fine tutte le successioni di eventi si rivelino oggettive e conoscibili come tali), che il tempo sia oggettivamente una sorta di linea che si muove (fluisce) da un passato reale a un futuro reale determinandolo inequivocabilmente, che il linguaggio matematico sia autosussistente e offra con i suoi modelli il modo di conoscere ogni aspetto del mondo nel modo più completo e corretto (e non importa se ci mettiamo dentro il calcolo delle probabilità, anche questo calcolo nasce dalla medesima illusione fideistica fallace), ma soprattutto l'idea che la totalità delle cose sia qualcosa che si possa giungere a conoscere e definire esattamente.
Laplace non si avvede (ma ai tempi in cui enunciò le sue teorie si può trovarlo ancora comprensibile) che la conoscenza di tutto equivale alla conoscenza di nulla, che per poter conoscere qualcosa occorre sempre che ci sia qualcosa che non si conosce e che se in una mente super intelligente tutto accade , nulla vi accade mai, ossia solo il nulla vi accade. Dunque quella mente può solo essere lo zero assoluto di qualsiasi cosa, intelligenza compresa.
#599
Citazione di: Phil il 29 Settembre 2016, 23:00:09 PM
Eppure se ci intendiamo è perchè parliamo la stessa lingua, ovvero giochiamo allo stesso gioco: se tu giochi a briscola con le tue carte e io gioco a poker con le mie, non possiamo giocare assieme, ovvero intenderci...
Certo, qui infatti il gioco lo conveniamo con le parole, ma non conveniamo le parole con il gioco, Ossia non è che prima ci si mette a giocare e poi ci mettiamo d'accordo se quel gioco che abbiamo cominciato ciascuno per conto suo è briscola o poker.

CitazioneConcordo, per questo non capivo quando dicevi che Sini andava ben oltre la mia banale parafrasi...
Bene, è sempre un piacere arrivare a concordare su qualcosa. La trovavo banale ipotizzando delle identità originarie, non linguisticamente istituite, ma poi qualsiasi banalità a ben vedere non è per nulla una banalità (vedasi cosa ti combina quella banalissima tautologia di Severino)
CitazioneQuel "mio" è proprio ciò che tiene lontani dal dogmatismo metafisico e che, se non ho frainteso, viene sottolineato da Maturana e Varela: l'autopoiesi è individuale per l'osservatore, egli genera il suo osservato, il suo mondo...
Il dogmatismo metafisico lo avverto molto di più (come dogmatismo) se tolgo uno solo dei due "mio". Se ad esempio si dicesse "i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mondo" o "i limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo", nel primo caso ci sento una pretesa oggettiva assoluta e nel secondo una pari pretesa soggettiva. Togliere quel mio in entrambi mi pare consenta di vedere che non è mio né l'uno né l'altro (e non è mio l'uno in quanto non lo è l'altro), restando ben inteso il fatto che in questo non mio qualcosa di mio ci devo pur sempre venire a trovare (sia nel linguaggio che nel mondo), altrimenti addio autopoiesi.
CitazioneL'individuazione dell'identità è arbitraria e non è affatto contraddittoria con il divenire: si tratta solo di considerare un filmato come un insieme di fotogrammi, ma scambiare il fotogramma come qualcosa di autonomo dal filmato da cui è stato estrapolato, è un gesto che ha indubbio valore estetico (come i virtuosismi linguistici di Heidegger) e come tale va considerato...
Per come la penso non vi sono dubbi che il divenire sia un'autocontraddizione, qui trovo che Severino abbia perfettamente ragione. Il punto è piuttosto che (almeno dal mio punto di vista e nei miei limiti) dalla filosofia di Severino che si basa sull'assoluto dell'ente (Sini, dal suo punto di vista pragmatico, la chiama la superstizione dell'ente), proprio l'ente mi diventa incomprensibile e non tanto perché non arriveremo mai  a definirlo completamente, ma perché non sappiamo nemmeno da dove incominciare, dove sta l'ente? pur parlando dell'ente è come se, seguendo Severino, si fosse sempre oltre l'ente, sempre nella sua astrazione e mai nel suo concreto. Quando si dice che l'ente "Sari che va a dormire alla sera" non è "Sari che si sveglia alla mattina" (e su questo sono d'accordo) si può notare che anche quel "Sari che va a dormire alla sera" è in realtà un'astrazione, perché in quel "Sari che va a dormire alla sera" c'è una miriade infinita di Sari diversi per quanto uniti dal fatto che tutti stanno andando a dormire, corrispondenti a ogni infinitesima cosa che accade. Dov'è allora l'istantanea? L'istante è sempre troppo lungo per essere davvero tale, perché possa venire a fuoco, è sempre in un intervallo di tempo fatto di frammenti ancora e ancora più piccoli.
Ecco che qui penso che la soluzione l'abbia trovata Sini, che dice in sostanza a Severino: sono d'accordo con te se con il tuo discorso filosofico ti riferisci al significato. Ossia, penso io di aver capito: l'ente esprime un'unità immediata e fenomenologica di significato e non un'unità logica ontologica e solo dell'unità di significato si può dire che è sempre quella, non di un'unità ontologica di cui non si può dire nulla (e dicendo questo si è già detto troppo). Ma allora la filosofia di Severino, vista come trattazione del significato anziché dell'essente, si presenta come una ermeneutica e questo non credo che Severino possa di sicuro mai accettarlo.
#600
Citazione di: sgiombo il 29 Settembre 2016, 08:29:42 AM
Dunque, se ben capisco, per Sini se uno che ci vede bene va a Chamonix e guarda (in una giornata senza nuvole) a sud-est senza dire o pensare "questo é il monte Bianco", allora non vede il monte Bianco, allora il monte Bianco (quella cosa che é -anzi, per assurdo, se ci fosse, sarebbe- la montagna più alta d' Italia) non c' é.

Non sono d' accordo.
Certamente vedrà un monte, perché ha comunque in sé la parola monte e il suo significato, cosa ben più comune dell'avere in sé il significato di Monte Bianco. Ma di sicuro uno stambecco che si arrampica su quel "monte" non vede alcun monte, giacché monte è un nostro concetto, di noi che separiamo soggetto e oggetto e tra gli oggetti monti e pianure e tra i monti le dune di sabbia che spariscono in un giorno quando soffia il vento e quelle di roccia che sono lì da sempre o quasi e comunque ben da prima di noi (che anche questo sta nel significato della parola "monte"). Tutto questo fa parte del nostro mondo in cui abbiamo le parole per dirlo (o meglio più probabilmente le parole hanno noi), non del mondo dello stambecco in cui le parole non ci sono.

CitazioneQuindi, se ben capisco, per un muto (che non sia anche cieco) il monte Bianco (la cosa costituita dal monte Bianco) non c' é, non lo vede.

Di nuovo devo manifestare il mio dissenso.

Condivido qui il tuo dissenso. Sini fa una descrizione molto accurata della fenomenologia del suono che risuona come parola e quindi del senso dell'udito rilevandone la grande differenza dagli altri sensi, per cui, lui dice, solo con l'udito e la fonazione si può istituire una dimensione pubblica, dunque oggettiva, da cui nasce anche il senso pubblicamente riconoscibile (astratto) di se stessi. Sorge spontanea la domanda: ma allora un sordomuto dalla nascita come fa? E soprattutto in quanto sordo, visto che dei suoni, anche se non li emette per fonazione potrà pur sempre produrli?
Credo che qui Sini si spinga un po' troppo oltre nel focalizzarsi sul senso dell'udito (anche se è fondamentale nell'uomo, ad esempio i bambini nati sordi incontrano maggiori difficoltà nel loro sviluppo cognitivo, se ben ricordo, rispetto a quelli nati ciechi), bisognerebbe rifletterci. Occorre anche riconoscere che soprattutto la civiltà Occidentale si è certamente sviluppata sul culto del grafema vocale (è proprio la parola che crea nella Bibbia, la parola di Dio che risuona).