"Ho evidenziato le parti del tuo discorso con cui mi trovo particolarmente in disaccordo. Ho notato che appartengono tutte al tanto diffuso pregiudizio kantiano del noumeno o della cosa in sé,che stabilisce che la percezione (intesa non come impressione sensoriale,bensi come sua rielaborazione) abbia come riferimento un oggetto che la trascende.
Anche il fatto che la fonte della percezione sia un oggetto è discutibile. L'uomo riceve sensazioni sparse dall'esterno,non oggetti precostituiti già pronti per poter essere utilizzati dall'intelletto. Il problema è che il processo cognitivo agisce in noi,esseri adulti e formati,in maniera così immediata e veloce che abbiamo finito per credere che la coscienza si limiti a riprodurre fedelmente la realtà cosi com'è. Un oggetto resta pur sempre un'elaborata astrazione mentale,non ha significato se non all'interno di una coscienza che lo riconosca come tale. "
In realtà più che la gnoseologia kantiana (che riducendo la conoscenza al piano dei fenomeni e lascia il noumeno come inconoscibile non potrebbe ammettere l'idea di una "cosa in sè" e dovrebbe considerare la conoscenza come pura attività ordinatrice dell'intelletto. Per questo, su ciò, sono d'accordo con Green Demetr sul fatto che sia l'idealismo lo sbocco coerente del kantismo...) avevo in mente l'idea della sintesi passiva delle fenomenologia di Husserl poi ripresa, tra gli altri, dalla sua allieva Edith Stein
A parte i riferimenti storici...
Ovviamente la conoscenza consiste in un processo cognitivo, nessuno lo nega. Ma questo processo cognitivo (al di là della rapidità o meno di esecuzione che ora non ci interessa) si dispiega nel tempo, cioè è un processo diacronico. La temporalità è la struttura fondamentale della coscenza umana. E proprio questa temporalità testimonia necessariamente l'esistenza di un mondo oggettivo autonomo dal soggetto che regge la possibilità della conoscenza. Perchè in assenza di un senso delle cose oggettive preesistente per un certo aspetto all'attività dell'io-penso non ci sarebbe temporalità. In assenza di nulla di trascendente rispetto ad essa la coscienza soggettiva, come creatrice assoluta della realtà, sarebbe una coscienza divina, assoluta, non necessitante di "tempo". per la formazione del sapere delle cose: la sua conoscenza dell cose sarebbe sovratemporale, istantanea, nell'atto in cui pone se stessa la coscienza porrebbe la visione totalizzante della realtà, che sarebbe pienamente immanente, "interna" ad essa. Ovviamente non è così. I processi cognitivi che fondano la conoscenza si costituiscono nel tempo, in quanto questi processi, l'attività formatrice dell'io, devono costantemente superare uno scarto, un residuo di trascendenza del reale che in ogni momento interviene sui nostri schemi percettivi modificandoli (l'esempio del manichino che facevo prima), modificando i nostri schemi associativi che conserviamo nella memoria in base ai quali formiamo le percezioni, il cui decorso però è dato dallo svelarsi, da parte dell'oggetto, dei suoi lati. Questa è in sintesi la conoscenza umana. Unità di intenzionalità attiva della coscienza che interviene sulle sensazioni ordinandole in concetti e categorie da una parte, ma dall'altra, intenzionalità passiva, per cui sono le cose oggettive ad intervenire sull'io offrendo ad esso i contenuti da formare: il rumore che sento all'improvviso stimola il mio io a spostare la sua attenzione da un luogo dell'esperienza a quello dove il rumore viene avvertito. Come sarebbe possibile ciò senza l'esistenza di qualcosa di esterno all'io che ne modifica la direzione d'attenzione?
Anche il fatto che la fonte della percezione sia un oggetto è discutibile. L'uomo riceve sensazioni sparse dall'esterno,non oggetti precostituiti già pronti per poter essere utilizzati dall'intelletto. Il problema è che il processo cognitivo agisce in noi,esseri adulti e formati,in maniera così immediata e veloce che abbiamo finito per credere che la coscienza si limiti a riprodurre fedelmente la realtà cosi com'è. Un oggetto resta pur sempre un'elaborata astrazione mentale,non ha significato se non all'interno di una coscienza che lo riconosca come tale. "
In realtà più che la gnoseologia kantiana (che riducendo la conoscenza al piano dei fenomeni e lascia il noumeno come inconoscibile non potrebbe ammettere l'idea di una "cosa in sè" e dovrebbe considerare la conoscenza come pura attività ordinatrice dell'intelletto. Per questo, su ciò, sono d'accordo con Green Demetr sul fatto che sia l'idealismo lo sbocco coerente del kantismo...) avevo in mente l'idea della sintesi passiva delle fenomenologia di Husserl poi ripresa, tra gli altri, dalla sua allieva Edith Stein
A parte i riferimenti storici...
Ovviamente la conoscenza consiste in un processo cognitivo, nessuno lo nega. Ma questo processo cognitivo (al di là della rapidità o meno di esecuzione che ora non ci interessa) si dispiega nel tempo, cioè è un processo diacronico. La temporalità è la struttura fondamentale della coscenza umana. E proprio questa temporalità testimonia necessariamente l'esistenza di un mondo oggettivo autonomo dal soggetto che regge la possibilità della conoscenza. Perchè in assenza di un senso delle cose oggettive preesistente per un certo aspetto all'attività dell'io-penso non ci sarebbe temporalità. In assenza di nulla di trascendente rispetto ad essa la coscienza soggettiva, come creatrice assoluta della realtà, sarebbe una coscienza divina, assoluta, non necessitante di "tempo". per la formazione del sapere delle cose: la sua conoscenza dell cose sarebbe sovratemporale, istantanea, nell'atto in cui pone se stessa la coscienza porrebbe la visione totalizzante della realtà, che sarebbe pienamente immanente, "interna" ad essa. Ovviamente non è così. I processi cognitivi che fondano la conoscenza si costituiscono nel tempo, in quanto questi processi, l'attività formatrice dell'io, devono costantemente superare uno scarto, un residuo di trascendenza del reale che in ogni momento interviene sui nostri schemi percettivi modificandoli (l'esempio del manichino che facevo prima), modificando i nostri schemi associativi che conserviamo nella memoria in base ai quali formiamo le percezioni, il cui decorso però è dato dallo svelarsi, da parte dell'oggetto, dei suoi lati. Questa è in sintesi la conoscenza umana. Unità di intenzionalità attiva della coscienza che interviene sulle sensazioni ordinandole in concetti e categorie da una parte, ma dall'altra, intenzionalità passiva, per cui sono le cose oggettive ad intervenire sull'io offrendo ad esso i contenuti da formare: il rumore che sento all'improvviso stimola il mio io a spostare la sua attenzione da un luogo dell'esperienza a quello dove il rumore viene avvertito. Come sarebbe possibile ciò senza l'esistenza di qualcosa di esterno all'io che ne modifica la direzione d'attenzione?