Citazione di: maral il 21 Marzo 2017, 21:47:32 PMSecondo me occorre distinguere tra:
I problemi sono molteplici. Distinguerei comunque il populismo dalla demagogia: nel primo caso il potere fa riferimento al popolo, nel secondo finisce dal popolo nelle mani di chi sa sedurlo facendo del popolo il mezzo del suo potere, il demagogo appunto. Se nel populismo il potere appartiene al popolo (nella sua totalità diversificata) la Costituzione Italiana dichiara esplicitamente di essere populista, anche se dice che il popolo esercita questo potere a mezzo delle sue istituzioni e associazioni e questo dovrebbe in qualche modo limitare il rischio della demagogia, ma mi sa che al di là dell'ottimo intento la cosa non funzioni, perché entra sempre in gioco la vecchia dialettica hegeliana tra fine e mezzo: prima o poi quelle istituzioni che dovrebbero essere mezzo per il fine del popolo, diventano il fine stesso facendo di ogni altro fine il loro mezzo e chi le gestisce finisce con il prendere il potere indirizzandolo interamente al poterlo mantenere nelle sue mani, dietro il guscio di una democrazia ridotta a puro slogan.
In genere il sistema che meglio consente questo risultato è, soprattutto oggi, la seduzione demagogica. In Italia Berlusconi è stato ed è un caso esemplare da manuale (sempre pronto peraltro a tornare in scena con le medesime seduzioni ripetute alla nausea) e in America, attualmente è Trump chiamato a incarnare la figura del demagogo fatto carne.
La situazione ideale per il demagogo si determina quando lo strumento legislativo si dimostra del tutto inadeguato alla realtà tragicamente insicura della situazione, quando l'esistenza stessa appare messa in dubbio dal significato immediato di ciò che accade generando angoscia, è allora che il demagogo di turno può mostrarsi alla maggioranza del popolo angosciato (in genere gli strati economicamente più compromessi e soprattutto culturalmente meno attrezzati della popolazione) come il solo che sa rimettere a posto le cose, ristabilire la giusta legalità sospendendo quella vigente così inefficace. Il demagogo sfrutta lo stato di eccezione della legge, per giustificare una nuova legge che fa perno solo su di lui. Maggiore è l'angoscia condivisa nel popolo, maggiore sarà la sua presa seduttiva: al momento propizio, che il suo fiuto gli fa cogliere e la sua enorme ambizione sfruttare, egli apparirà come il mezzo universale, l'uomo del destino, il legislatore supremo, almeno finché gli eventi non rimetteranno tutto in discussione, quando sarà l'accadere della catastrofe che lui stesso ha annunciato proponendosi come rimedio a liberare il popolo dall'angoscia della sua attesa. Il demagogo vive di questa angoscia del popolo e ne ha assoluto bisogno, la sollecita sempre per incarnarne il rimedio.
Ai tempi di Aristotele forse era ancora possibile pensare platonicamente a un governo retto dai migliori o da un sovrano illuminato poiché istruito dal suo precettore filosofo, è stato un vecchio sogno della filosofia questo, sempre andato fallito: la potenza vitale ha fatto sempre a pezzi ogni filosofia didattica, nei molti quanto nei singoli.
La rivoluzione bolscevica è risultata quanto di più tragicamente elitario sia stato possibile concepire in un'epoca necessariamente avviata verso le peggiori tragedie del nichilismo: per le avanguardie rivoluzionarie ogni cosa ed essere umano diventa mezzo di realizzazione dell'utopia, soprattutto quando l'utopia è quella del popolo. Il problema non è nel principio "Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo i propri bisogni", ma in chi vuole che tutto debba essere sacrificato a questo principio e quindi assume il ruolo strutturante di gestore assoluto della giusta distribuzione di mezzi e bisogni. E' il motivo per cui l'anelito rivoluzionario, una volta acquistato il potere, si chiuse per sempre nella sua posizione del tutto autogiustificatoria, rendendo necessario una sorta di stato rivoluzionario permanente destinato a soffocare la rivoluzione stessa nella gabbia di una struttura burocratica nefanda, il partito comunista sopra i soviet del popolo prima, il segretario di questo partito, Stalin, sopra il partito poi: l'orrendo Piccolo Padre indispensabile per il grande popolo russo mentre l'utopia era ridotta a slogan obbligatorio per mascherare la menzogna continua del demagogo seduttore.
Il problema sono i Piccoli Padri quando il popolo non vuole altro che essi, è allora che occorre avere il coraggio di difendere il populismo, ossia di riconquistare l'utopia di un popolo che impari da sé a governare se stesso, avendo per fine se stesso, vedendosi come uno nei molti diversi che ne fanno parte, in nome della imprescindibilità e irriducibile diversità di ciascun individuo. Occorre un grande sforzo culturale che sia prodotto da una matrice condivisa e non elitaria, proprio quello che il demagogo non vuole, quando afferma che "la cultura non ha mai dato da mangiare a nessuno", mentre lui sa e può dare da mangiare a tutti. Non c'è niente di peggio.
- democrazia "popolare", nella quale il potere fa riferimento al popolo, che elegge i suoi rappresentanti politici "sine ira ac studio";
-democrazia "populista", nella quale il potere fa riferimento, sì, al popolo, ma solo in quanto sedotto e trascinato emotivamente dalle utopiche promesse dell'istrionico demagogo di turno.
