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Messaggi - Eutidemo

#5881
(Ero un po' in dubbio su dove inserire questo "topic": spero di non aver sbagliato "comparto"!)
Come è noto, il "principio del terzo escluso",  afferma che due proposizioni formanti una coppia antifatica (p e ¬p) devono avere valore di verità opposto, non esistendo una terza possibilità;  esso si trova già, "in nuce" formulato nella Metafisica di Aristotele.
Per esempio, Tizio dice che Caio gli ha rivelato un segreto, mentre Caio nega di averlo fatto; per il "principio del terzo escluso", se ne deduce che UNO DEI DUE "NECESSARIAMENTE" MENTE!
"Tertium non datur"!
Però, dopo la crisi dei fondamenti della logica classica, in seguito alla scoperta delle antinomie nella teoria "ingenua" degli insiemi, alcuni logici d'avanguardia sostengono che il "principio del terzo" andrebbe bandito dalla logica, perché una proposizione può non essere conosciuta come vera se non è dimostrata vera, ma neanche come falsa se non è dimostrata falsa.
Arditamente seguendo tale nuovo audace orientamento logico, il nostro Governo ha ritenuto che se Marroni dice che Lotti  gli ha rivelato che negli uffici della CONSIP sono state nascoste delle cimici da parte dei Carabinieri, mentre, invece, Lotti  nega recisamente di averlo fatto, non se ne deve affatto dedurre che uno dei due "necessariamente menta"...fino a prova contraria.
Ed infatti, sia la dichiarazione di Marroni che quella di Lotti, secondo la "nuova logica", possono non essere conosciute come vere se non sono giurisdizionalmente dimostrate vere, ma neanche come false se non sono giurisdizionalmente dimostrate false: per cui, possono essere entrambi lasciati al loro posto, e nemmeno cautelativamente distolti dai loro incarichi, fino a sentenza definitiva! ;D
Chapeau!
Io, purtroppo, essendo rimasto ancorato alla vetusta logica Aristotelica, invece, continuo a pensare che, PUR NON ESSENDO SICURI DI "CHI" MENTE, SIAMO PERO' CERTI CHE "ALMENO UNO DEI DUE" STA MENTENDO; allo stesso modo, essendo SICURO che ALMENO uno di due maestri è un pedofilo, cautelativamente sospenderei entrambi dalle loro funzioni...per poi reintegrare l'innocente nelle sue funzioni, quando la verità verrà accertata.
L'accertamento di quest'ultima è competenza dei giudici, che si potranno anche avvalere di presunzioni, purchè gravi, precise e concordanti.
Io ne suggerisco sommessamente due:
 -Marroni non avrebbe commesso alcun reato, se veramente avesse ricevuto la soffiata, o, comunque, molto meno grave di quello commesso da Lotti, se veramente gliela avesse fatta (per non parlare della fonte primaria...il Comandante in Capo dei Carabinieri)...ERGO ritengo molto più probabile che menta Lotti, e non Marroni: perchè Lotti ha motivo di mentire, mentre Marroni no;
- In ogni caso, non si capisce perchè Lotti non si sia querelato contro Marroni.
Ma state tranquilli: in barba al "principio del terzo escluso",  grazie alle nuove teorie della logica e della giustizia formale...risulterà che, pur contraddicendosi, hanno entrambi detto la verità...per cui resteranno tutti al loro posto.
"Viva Arlecchini
e burattini,
e Re(nzi) Chiappini.
Viva le maschere
D'ogni paese,
La Carta, i tre colori e il crimen laesae,
le Lobby, i Club, i Principi e le Chiese". 
#5882
ATTENZIONE A CIO' DI CUI STIAMO PARLANDO!!!
Ed infatti ho notato che, quando si parla di "SUICIDIO ASSISTITO", argomento molto di attualità, spesso si fa confusione tra l'"omicidio del consenziente" e l'"aiuto al suicido".
Ed infatti, salvo modifiche normative, per ora si tratta di due diversi comportamenti illeciti, sanzionati in modo alquanto differente, da: 
ART.579 CP (OMICIDIO DEL CONSENZIENTE)
"Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui , è punito con la reclusione da sei a quindici anni."
ART.580 CP (ISTIGAZIONE E AIUTO AL SUICIDIO)
"Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. "
Dalla lettura delle due norme, in modo sostanzialmente paradossale (sebbene formalmente "logico"), molti desumono che interrompere "l'alimentazione e l'idratazione forzata" ad un degente paralizzato, su sua esplicita richiesta, "potrebbe" integrare il reato di cui all'art.579 cp, mentre, procurare un pozione letale ad un soggetto non paralizzato, integrerebbe l'art.580 cp.
***
Sono perfettamente d'accordo sulla seconda esegesi, ma non sulla prima, checchè ne sproloqui Quaglierello e compagnia cantante; ed infatti, secondo me, anche secondo la legge attuale (idioti protocolli degli ospedali a parte), l'interruzione della "alimentazione e idratazione forzata", non solo non configura alcuna fattispecie delittuosa, ma, semmai, potrebbe essere denunciato per "violenza privata"* chi si oppone alla interruzione.
Ed infatti, l'art.32 della Costituzione prevede che NESSUNO PUO' ESSERE SOTTOPOSTO A TRATTAMENTO SANITARIO "CONTRO LA SUA VOLONTA", neanche se tale trattamento è necessario per salvargli la vita.
Peraltro, tale principio deriva anche dalle seguenti fonti normative:
- dell'art. 9 della Convenzione Internazionale sui diritti dell'uomo e sulla biomedicinastipulata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con legge n.145 del 28/03/2001, 
- dall'art. 1 della legge 180, nonchè dall'art.33 della legge 833/78, che prende in considerazione i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) disposti per qualsiasi causa sanitaria, relativa ragioni di sicurezza pubblica; è ovvio, infatti, che, nel caso dei "pazzi pericolosi" e dei "malati infettivi", l'ordine e la tutela pubblica richiedono che il cittadino possa essere sottoposto a cure sanitarie anche "CONTRO LA SUA VOLONTA".
Negli altri casi, invece, NO!
Ma "l'alimentazione e l'idratazione forzata" configurano un  "trattamento sanitario"?
***
La questione è controversa; ma, vedo, soprattutto per motivi ideologici e (pseudo)religiosi, e con argomentazioni (come quelle di Quagliariello), che, con tutto il rispetto, trovo palesemente paralogistiche.
Ed infatti, negare che l'alimentazione e l'idratazione artificiali siano "trattamenti medici", è una posizione che puo' essere sostenuta solo da chi non sa quali conoscenze e competenze (anche farmacologiche) siano necessarie per praticarle; negare che siano atti medici avrebbe oltretutto il non trascurabile effetto collaterale di dover consentire a chiunque di praticarli. 
Cosa che, invece, è proibita dalle "leggi sanitarie".
Senza considerare che, nelle soluzioni, non ci sono soltanto acqua e cibo, bensì un'infinità di farmaci di vario tipo.
Peraltro, chi sostiene che alimentazione e idratazione artificiali non siano interventi medici sembra dedurne la conclusione che per ciò stesso debbano essere considerati obbligatori e possano essere imposti anche a chi li vorrebbe interrompere, come nel caso di mio padre; ma la libertà di decidere per se stessi non riguarda solo gli atti medici, ma tutto quello che viene fatto da altri su di noi. 
Anzi, secondo logica, la libertà di non accettare da altri interventi "non medici" dovrebbe esser superiore a quella di rifiutare le cure vere e proprie; mio padre (medico) morente di cancro, mi diceva: "Impedisci loro di mettermi le mani addosso...che mi lasciassero morire in pace!"
Ed infatti, non essendo paralizzato, lui si sfilava da solo gli aghi delle fleboclisi, mentre gli infermieri si affrettavano a conficcarglieli di nuovo nelle vene, dicendo che quello era il "protocollo" (autentico comportamento cristiano); ad un certo punto, io mi interposi, impedendo loro "fisicamente", di accostarsi al letto.
Loro minacciarono di chiamare la polizia, ma poi (anche perchè io stesso minacciai di chiamarla), desistettero; e, alla fine, mio padre morì, se non in pace, almeno un po' più in fretta e secondo natura.
***
Ed invero, la stessa Cassazione ha sancito che:
Non v'è dubbio alcuno che l'idratazione e l'alimentazione artificiali costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale, e si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale". (CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. I, del 16 Ottobre 2007 Sentenza n. 21748).
***
NOTA:
*ART.610 del codice penale :"Chiunque, con violenza minaccia , costringe altri a faretollerare od omettere qualche cosa  è punito con la reclusione fino a quattro anni 
#5883
***
ASPETTI FILOSOFICI
Sotto il profilo che io qui definisco, genericamente, "filosofico", secondo me, la questione è alquanto più chiara (se non più semplice); ed infatti ritengo che il suicidio sia l'atto più "razionale" che un essere pensante possa compiere (quantomeno in determinate circostanze).
Ed infatti, quello della morte, è un <<dies incertus "quando" et "quomodo"...sed certus "an">>.
Per cui, in effetti, si può scegliere se restare celibi o se sposarsi (una delle peggiori forme di suicidio, forse :-) ), ma non si può certo scegliere "se" vivere "se" o morire; si può solo scegliere, eventualmente, "quando" e "come" morire...oppure lasciar fare al caso!
Rispetto ad altre scelte, peraltro, quella vita/morte offre un notevole vantaggio.
Ed infatti, restando all'esempio del matrimonio, uno può scegliere se sposarsi o restare celibe per tutta la vita; ma, in entrambi i casi, può rimpiangere, in futuro, la scelta fatta.
Nel caso della scelta tra la morte e la vita, invece:
si può rimpiangere amaramente di non essere morti per tempo (ad esempio, nel caso in cui un genitore sopravviva ai propri figli);
- ma non si può in nessun caso rimpiangere di essere morti, perchè viene a mancare il soggetto del verbo rimpiangere (cioè, chi ancora non è nato o è già morto, non è in grado di dolersi di nulla).
Per cui, "eudaimonisticamente" parlando, IN TEORIA, la scelta di morire è sempre più "logicamente" conveniente della scelta di vivere:
-   o perchè la vita è già attualmente fonte di sofferenza;
- oppure perchè, anche quando è attualmente fonte di gioia, la consapevolezza di poter perdere tale felicità da un momento all'altro, è anch'essa una forma di sofferenza.
Essendo morti, invece, non solo non si soffre più...ma non si può essere neanche in ansia per il rischio di soffrire (a volte, anche in modo straziante); sempre ovviamente, che si abbia sufficiente "immaginazione".
Non nego, infatti, che se si è abbastanza in salute, egoisti ed imbecilli, si può anche vivere abbastanza allegramente; però i primi due requisiti sono inutili, se manca il terzo.
:-)
Al riguardo, tanto per fare sfoggio di cultura, farò solo due citazioni:
"Ora dimmi, seguace di Dioniso, qual è la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo?", domandò il re Mida al Sileno, e questi, costretto dalla sua insistenza, con voce stridula gli rispose: "Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto".(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)
«Non essere mai nati è la cosa migliore e la seconda, una volta venuti al mondo, tornare lì donde si è giunti.» (Sofocle, Edipo a Colono).
Che allegroni...ma non avevano tutti i torti!
:-)
Ovviamente, qui andrebbe incidentalmente affrontato il tema della sopravvivenza dopo la morte, ma richieremmo di andare "off topics" e di allargare troppo il discorso.
Personalmente, non ho la benchè minima idea di cosa possa esserci dopo la morte (ovviamente), ma sono sicurissimo di quello che non può esserci.
Mi si dirà: "Ma non è la stessa cosa?"
No, per niente!
Ad esempio, io non non ho la benchè minima idea di cosa possa esserci sul terzo pianeta del sistema di Alpha Centauri (ovviamente), ma sono sicurissimo di quello che non può esserci; ad esempio, sono sicurissimo che non ci sia una pizzeria, come quella sotto casa mia (o, almeno, che faccia la pizza così buona).
O meglio, teoricamente potrebbe anche esserci...ma lo ritengo alquanto improbabile (per usare un cauto eufemismo).
Per quanto concerne la cosidetta sopravvivenza dell'anima, invece, pur essendo io convinto (sia pur senza prove), che essa sopravviva, in quanto riassorbita dal SE' universale come un onda nel mare, nego però recisamente che possa sopravvivere "sub specie" di mente e consapevolezza individuale; quest'ultima, infatti, è troppo connessa alla struttura neurale del singolo cervello, per poter sopravvivere alla sua distruzione, così come non è più possibile leggere un libro dopo averlo bruciato.
;-)
Cioè, se mi togliete la mia memoria (conservata nei relativi centri cerebrali), i miei desideri (attivati dall'apparato ormonale), e la mia capacità di ragionare (ubicata nei centri di Broca e Vernicke), mi sembra inevitabile che il mio IO INDIVIDUALE, cessi definitivamente di esistere.
Per esempio:
- sei anni fa mi fratturai una gamba, per cui, per un certo tempo non potei camminare; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se le gambe me le avessero tagliate, non avrei camminato mai più.
- quattro anni fa, subii un'operazione alla testa con anestesia totale, per cui, per un certo tempo non potei nè pensare nè essere consapevole di esistere; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se la testa me l'avessero tagliata del tutto, non avrei pensato mai più, nè più sarei stato consapevole del me stesso (individuale).
:-)
Il mio ragionamento, insomma, è molto simile a quello di Simmia riguardo alla lira, nel Fedone di Platone; ragionamento che, invero, venne abilmente controbattutto da Socrate, con argomentazioni che, sinceramente, ho sempre ritenuto del tutto sofistiche e inconsistenti (FEDONE XXXVI).
Per cui, sono più che ragionevolmente sicuro che non potrò mai dire, come Achille nell'ADE: "Sappi che piuttosto che il re dei morti preferirei essere l'ultimo servo dei vivi." (Odisseo agli inferi: 2014).
Ma è naturale che tutti -me compreso- non riescono inconsciamente ad "accettare" l'idea di dover "finire"; mentre, invece, sia a livello fisico che di coscienza individuale, la cosa è inevitabile, perchè TUTTO QUELLO CHE HA UN INIZIO DEVE AVERE NECESSARIAMENTE UNA FINE (non esiste un bastone che possa avere un'unica estremità).
Noi, però, non riusciamo inconsciamente ad "accettare" l'idea di dover "finire", perchè è il nostro stesso "cervello-rettile" (amigdala o sistema limbico in generale, che dir si voglia) che ce lo impedisce;  occorre un notevole sforzo razionale per rendersene conto.
Ed anche rendendosene conto, nessuno può suicidarsi smettendo di respirare!
:-)
Con questo non intendo certo sostenere che la cosa migliore sarebbe quella di suicidarci im massa (cosa che, peraltro, senza accorgercene, forse stiamo già facendo); dico solo che, se comunque non si perde NIENTE morendo -perchè non c'è più nessuno a potersi rammaricare di aver perso qualcosa- finchè la vita è degna di essere vissuta, tutto sommato tanto vale viverla ne migliore dei modi.
Sempre ricordando, però, come diceva Seneca, che: 
Non enim vivere bonum est, sed bene vivere" ("Non è un bene il vivere; ma è un bene solo il vivere bene").
Ovvero, come diceva Marziale: "Non est vivere, sed valere vita est" ("Vivere è vivere solo se si è in salute").
Per cui, se la vita diventa soltanto una inutile sofferenza, ritengo estremamente razionale togliersela;  sempre che, così facendo,  non si venga meno ad obblighi verso terzi (ad esempio, figli piccoli e genitori anziani).
In tal caso la vita, gradevole o meno che sia, secondo me diventa un "obbligo morale", abdicare dal quale sarebbe moralmente disdicevole; anche se occorre sempre giudicare caso per caso.
#5884
E' quasi inutile premettere che, quello del suicidio (assistito e non), è un tema molto delicato e complesso, che coinvolge molti aspetti, dei quali non tutti possono essere approfonditamente trattati in questa sede.
Comunque, in estrema sintesi, secondo me la questione può -e deve- essere principalmente esaminata sotto il profilo "etico-religioso" e sotto quello "filosofico-razionale"; nonchè, in sede di corollario, anche sotto quello "giuridico" (soprattutto per quanto concerne il suicidio assistito).
Ma, ovviamente, si tratta solo di "riduzionismi" non del tutto acconci, sebbene resi necessari da una trattazione sintetica delle inerenti problematiche; ed infatti, occorrere anche considerare quelle sociali, giuridiche ecc., in quanto il suicidio non è un fatto meramente individuale (soprattutto quello assistito).
Comunque, cercherò di fare del mio meglio, chiedendo preventivamente venia per la mia inadeguatezza.
***
ASPETTI ETICI E RELIGIOSI
Anche in tale ambito, il tema potrebbe essere approcciato da varie prospettive, perchè, sul nostro pianeta, di religioni e di morali ce ne sono tante: "Cuius regio, eius et religio" (intendendo il motto in un senso un po' più ampio, di quello della Pace di Augusta del 1555).
Ad ogni modo, per non disperdermi troppo, mi limiterò alla religione cristiana.
Al riguardo, in effetti, in nessun punto del Vangelo (e della Bibbia in generale, se non mi sbaglio) è espressamente proibito il "suicidio" in quanto tale, nè è considerato "peccato"; il suicidio di Giuda, infatti, viene deprecato non tanto in sè e per sè, ma perchè -suicidandosi- Giuda manifestò di non  credere che Gesù lo avrebbe perdonato per il suo tradimento (come invece fece Pietro, che anche lui lo aveva tradito).
Semmai, mediatamente, il divieto di suicidio dovrebbe intendersi implicito nel 5° Comandamento ( «Non uccidere»); e qui il discorso, secondo me, comincia a farsi interessante.
Ed infatti, citando Matteo 22,35-40: "... uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova:  «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» E Gesù rispose: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento.  Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»."
Non so se qualcuno si è accorto che, in sostanza, Gesù, così dicendo, anticipa la distinzione che Emanuele Kant faceva tra "imperativi ipotetici" ed "imperativi categorici": i primi, in sostanza,   possono tradursi in "se vuoi A devi fare B" , i secondi in "è A che devi comunque perseguire, a prescindere da B".
Secondo la mia interpretazione della Bibbia, quindi:
- i dieci comandamenti debbono considerarsi soltanto "imperativi ipotetici" (prescrizionali);
i due comandamenti di Gesù, invece, costituiscono i soli veri "imperativi categorici" alla realizzazione dei quali i primi sono meramente strumentali.
"Ama e fai ciò che vuoi" è una delle frasi più celebri di sant'Agostino, ispirata da San Paolo.
In effetti, anche la Chiesa Cattolica (sia pure non espressamente) aderisce a questa mia esegesi.
Al riguardo, ad esempio, ricordo soltanto la dottrina cattolica sul "Tirannicidio"; la quale, sotto tale aspetto, ritenne -e tutt'ora ritiene- l'"omicidio" addirittura un "punto in più" per guadagnarsi il Paradiso, nel caso in cui esso sia "strumentale" per ottenere un bene superiore.
Solo per citare  il più illustre teologo cattolico, Tommaso d'Aquino, costui, nel "commento alle Sentenze di Pietro Lombardo" non considera affatto peccato, bensì eccellente merito, quello di "...colui che libera il suo Paese uccidendo un tiranno."; non a caso Stauffenberg, che tentò invano di uccidere Hitler, era un fervente cattolico.
Se ne desume, quindi, che, il V comandamento (non uccidere), non costituisce affatto un imperativo "categorico", bensì uno meramente "ipotetico"; e lo stesso vale per il "suicidio", come il meno sta al più.
Al riguardo, infatti, riferirò un aneddoto, vissuto personalmente da mio nonno nella prima guerra mondiale; un suo commilitone si gettò su una granata lanciata dagli Austriaci nel loro nido di mitragliatrici, facendone scudo col suo corpo, al fine di evitare che, esplodendo, essa potesse uccidere o ferire i suoi compagni.
Tecnicamente fu un "suicidio", perchè sia lui che mio nonno (che, a sua differenza, lo fece), si sarebbero comunque potuti salvare, abbassandosi sotto il rivellino retrostante l'affusto, mentre gli altri tre nella buca non avrebbero avuto alcuno scampo; ma non dubito affatto che quel generoso soldato, gettandosi suicidamente sulla bomba, sia andato dritto in Paradiso!
Ed infatti, Gesù disse pure:  " ....non esiste un amore così grande, come quello di chi dona la sua vita per salvare quella dei suoi amici"(Giovanni 15,13).
In altre parole, quello che conta non è l'atto in sè (omicidio, suicidio ecc.), bensì il contesto, le sue motivazioni, ed il modo e il fine per cui lo si compie!
Quello solo importa!
Premesso quanto sopra, ovviamente, questo non significa AFFATTO giustificare qualunque tipo di suicidio; ed infatti, a mio avviso tale atto può essere determinato anche da motivi, per così dire, non solo non meritori...ma addirittura disdicevoli.
Ad esempio, a mio parere, se un imprenditore, per evitare il presunto "disonore" derivante da un fallimento economico, oppure da una condanna penale, si toglie la vita, lasciando a piangerlo la moglie e dei figli ancora bambini, indubbiamente commette un atto assolutamente riprovevole e da condannare; cioè, religiosamente parlando, commette un vero "peccato".
Sebbene, sarà sempre Dio a giudicare al riguardo...non certo io (nè nessun altro).
Tra il "suicidio meritevole" (quello del soldato del mio esempio), e quello del "suicidio condannabile" (quello dell'imprenditore), esiste però una vastissima gamma di ipotesi diverse, che andrebbero valutate caso per caso.
Quello che qui intendevo evidenziare, come, in via di principio, l'atto del "suicidio" non sia "in sè e per sè" condannabile, neanche alla luce delle sacre scritture.
Ovviamente (sempre che uno ci creda) ciascuno può interpretarle come crede; anche la Chiesa, ovviamente.
Però mi sembra norma di elementare buon senso, e di  logica, non riconoscere alcun valore ad una procura, firmata dal solo procuratore (o sedicente tale); quale, appunto, è la Chiesa Cattolica, che ha lo stesso diritto di interpretare Bibbia e Vangelo di quello che ho io...fino a prova contraria.
Ma, questo, è un altro discorso!
***
#5885
ATTENZIONE A CIO' DI CUI STIAMO PARLANDO!!!
Ed infatti ho notato che, quando si parla di "SUICIDIO ASSISTITO", argomento molto di attualità, spesso si fa confusione tra l'"omicidio del consenziente" e l'"aiuto al suicido".
Ed infatti, salvo modifiche normative, per ora si tratta di due diversi comportamenti illeciti, sanzionati in modo alquanto differente, da: 
ART.579 CP (OMICIDIO DEL CONSENZIENTE)
"Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui , è punito con la reclusione da sei a quindici anni."
ART.580 CP (ISTIGAZIONE E AIUTO AL SUICIDIO)
"Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. "
Dalla lettura delle due norme, in modo sostanzialmente paradossale (sebbene formalmente "logico"), molti desumono che interrompere "l'alimentazione e l'idratazione forzata" ad un degente paralizzato, su sua esplicita richiesta, "potrebbe" integrare il reato di cui all'art.579 cp, mentre, procurare un pozione letale ad un soggetto non paralizzato, integrerebbe l'art.580 cp.
***
Sono perfettamente d'accordo sulla seconda esegesi, ma non sulla prima, checchè ne sproloqui Quaglierello e compagnia cantante; ed infatti, secondo me, anche secondo la legge attuale (idioti protocolli degli ospedali a parte), l'interruzione della "alimentazione e idratazione forzata", non solo non configura alcuna fattispecie delittuosa, ma, semmai, potrebbe essere denunciato per "violenza privata"* chi si oppone alla interruzione.
Ed infatti, l'art.32 della Costituzione prevede che NESSUNO PUO' ESSERE SOTTOPOSTO A TRATTAMENTO SANITARIO "CONTRO LA SUA VOLONTA", neanche se tale trattamento è necessario per salvargli la vita.
Peraltro, tale principio deriva anche dalle seguenti fonti normative:
- dell'art. 9 della Convenzione Internazionale sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, stipulata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con legge n.145 del 28/03/2001, 
- dall'art. 1 della legge 180, nonchè dall'art.33 della legge 833/78, che prende in considerazione i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) disposti per qualsiasi causa sanitaria, relativa ragioni di sicurezza pubblica; è ovvio, infatti, che, nel caso dei "pazzi pericolosi" e dei "malati infettivi", l'ordine e la tutela pubblica richiedono che il cittadino possa essere sottoposto a cure sanitarie anche "CONTRO LA SUA VOLONTA".
Negli altri casi, invece, NO!
Ma "l'alimentazione e l'idratazione forzata" configurano un  "trattamento sanitario"?
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La questione è controversa; ma, vedo, soprattutto per motivi ideologici e (pseudo)religiosi, e con argomentazioni (come quelle di Quagliariello), che, con tutto il rispetto, trovo palesemente paralogistiche.
Ed infatti, negare che l'alimentazione e l'idratazione artificiali siano "trattamenti medici", è una posizione che puo' essere sostenuta solo da chi non sa quali conoscenze e competenze (anche farmacologiche) siano necessarie per praticarle; negare che siano atti medici avrebbe oltretutto il non trascurabile effetto collaterale di dover consentire a chiunque di praticarli. 
Cosa che, invece, è proibita dalle "leggi sanitarie".
Senza considerare che, nelle soluzioni, non ci sono soltanto acqua e cibo, bensì un'infinità di farmaci di vario tipo.
Peraltro, chi sostiene che alimentazione e idratazione artificiali non siano interventi medici sembra dedurne la conclusione che per ciò stesso debbano essere considerati obbligatori e possano essere imposti anche a chi li vorrebbe interrompere, come nel caso di mio padre; ma la libertà di decidere per se stessi non riguarda solo gli atti medici, ma tutto quello che viene fatto da altri su di noi. 
Anzi, secondo logica, la libertà di non accettare da altri interventi "non medici" dovrebbe esser superiore a quella di rifiutare le cure vere e proprie; mio padre (medico) morente di cancro, mi diceva: "Impedisci loro di mettermi le mani addosso...che mi lasciassero morire in pace!"
Ed infatti, non essendo paralizzato, lui si sfilava da solo gli aghi delle fleboclisi, mentre gli infermieri si affrettavano a conficcarglieli di nuovo nelle vene, dicendo che quello era il "protocollo" (autentico comportamento cristiano); ad un certo punto, io mi interposi, impedendo loro "fisicamente", di accostarsi al letto.
Loro minacciarono di chiamare la polizia, ma poi (anche perchè io stesso minacciai di chiamarla), desistettero; e, alla fine, mio padre morì, se non in pace, almeno un po' più in fretta e secondo natura.
***
Ed invero, la stessa Cassazione ha sancito che:
" Non v'è dubbio alcuno che l'idratazione e l'alimentazione artificiali costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale, e si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale". (CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. I, del 16 Ottobre 2007 Sentenza n. 21748).
***
NOTA:
*ART.610 del codice penale :"Chiunque, con violenza minaccia , costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa  è punito con la reclusione fino a quattro anni 
#5886
Citazione di: Sariputra il 15 Marzo 2017, 15:24:29 PM
L'uso del termine "bestia", in luogo di "animale", secondo me, denota latenti preconcetti al riguardo.

No, no!...Nessun preconcetto, solo che mi pareva termine più 'adeguato' all'uomo, rispetto ad animale. Quindi 'bestiale'  come feroce, animalesco, sanguinario,spietato ecc. tutte le qualità che l'uomo esprime in misura colossale da sempre... ;D ( poi non è che tutti gli animali siano 'sta gran bontà, intendiamoci...).
Sulla spiegazione scientifica non ho nulla da eccepire visto che la valutazione del grado di autocoscienza degli animali pare impossibile da fare ( anche quella degli esseri umani, però...) e tentare di immedesimarsi con loro è ardua. Io ci ho provato ad entare nella psicologia del mio asino Anselmo ma...non ci sono proprio riuscito!!  :-\

Quanto al loro grado di "autocoscienza", possono valutarlo solo loro (o quasi), ma quanto ad "intelligenza", guarda il seguente filmato.
https://www.youtube.com/watch?v=FmqVolud1ug
Ho sottoposto alcuni miei amici allo stesso test, ma qualcuno ci ha messo più tempo della gazza a risolverlo (dico sul serio)!!!
;D  ;D  ;D
#5887
Attualità / Re:Eutanasia e D.A.T.
16 Marzo 2017, 11:25:42 AM
Citazione di: Duc in altum! il 16 Marzo 2017, 09:57:07 AM
**  scritto da Eutidemo:
CitazioneIo non sostengo AFFATTO che l'omicidio o il suicidio non possano e/o non debbano configurare "peccato"; lungi da me l'idea!
...tratto dalla Risposta #41 nella presente discussione:
CitazioneAnche io sono cristiano, ma, come da me argomentato nel mio TOPIC "Del suicidio", non credo che necessariamente il suicidio debba considerarsi un atto peccaminoso.
Quindi diciamo che il suicidio, in quanto rifiuta la vita dono di Dio, per un cristiano è un peccato, poi che si voglia analizzare e discutere questa tua legittima osservazione:
CitazioneDico solo che bisogna valutare "da caso a caso",
...è un altro aspetto. (Ma penso che per questo sia importante che ci sia Dio  ;D )

Dunque che ben venga una legge a sancire questo "desiderio", così come già sono diventati diritti altri peccati "secondo la Chiesa", ma uno dei compiti di un cristiano autentico è semplicemente rammentare, e non imporre, che: questa non è la verità di fede testimoniata dal Cristo.


Pace & Bene


Vedo che le mie due seguenti proposizioni a te sembrano contraddittorie:

*
"Io non sostengo AFFATTO che l'omicidio o il suicidio non possano e/o non debbano configurare "peccato"; lungi da me l'idea!"
*
"Anche io sono cristiano, ma, come da me argomentato nel mio TOPIC "Del suicidio", non credo che necessariamente il suicidio debba considerarsi un atto peccaminoso."

Invece, tali formulazioni, non sono affatto contraddittorie , in quanto, in forma diversa, AFFERMO ESATTAMENTE LA STESSA COSA.
Ed infatti, ripeto ancora, che non credo affatto che "NECESSARIAMENTE" il suicidio debba considerarsi un atto "peccaminoso"; sebbene io non abbia mai negato che il suicidio ( e soprattutto l'omicidio) possano "EVENTUALMENTE" configurare un "peccato".
Bisogna valutare caso per caso!
Di esempi te ne ho fatti a bizzeffe, ma, evidemente, non li hai minimamente considerati.
Però, finalmente, quanto al mio assunto, e, cioè, che bisogna sempre valutare caso per caso, sono felice di notare in te un'apertura, quando scrivi: "  ...questo è un altro aspetto". 
E quanto a questo, vedo che siamo d'accordo; anche io, infatti, penso che  prima di compiere atti così estremi, sia sempre bene interrogare Lui...nel profondo del proprio cuore.
E siamo anche perfettamente d'accordo sul fatto che uno dei compiti di un cristiano autentico è semplicemente quello di leggere ed interpretare quanto c'è scritto sui Testi Sacri... e non imporre agli altri le loro interpretazioni di tali testi.
Io, infatti (a differenza di altri), espongo solo la mia esegesi, e non pretendo affatto che essa sia condivisa da tutti; ma non ritengo che nessuno possa impormi la sua.
Tutto qui! :)

P.S.
Comunque ancora non hai risposto alle mie domande. :)
#5888
Attualità / Re:Eutanasia e D.A.T.
16 Marzo 2017, 07:26:31 AM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Marzo 2017, 16:41:40 PM
**  scritto da Eutidemo:
Citazione(mentre in nessun passo ha espressamente vietato il suicidio, salvo che me lo mostri)

<Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo pi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo "come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti> (Vangelo di Matteo)


Se per caso tu ti ami con lo stesso sentimento con cui sostieni che il suicidio è cosa buona e giusta, stai sereno, ma preferirei che tu mi detestassi.
:D  ;)  :D

FORTEEEE....la battuta mi è piaciuta veramente!!!
;D
TOUCHE'!!!
Però, a parte gli scherzi, il passo di Matteo lo avevo citato prima di te, imperniando su di esso il mio ragionamento (basato sul confronto tra imperativi ipotetici e imperativi categorici), nel cui merito ti ostini a non entrare.
Sei troppo "prescrizionista"...fermandoti ai soli "imperativi ipotetici"!
Io non sostengo AFFATTO che l'omicidio o il suicidio non possano e/o non debbano configurare "peccato"; lungi da me l'idea!
Dico solo che bisogna valutare "da caso a caso", in quanto:
- possono esserci omicidi addirittura meritevoli del Paradiso (come sostenuto dalla stessa Chiesa Cattolica, con la dottrina del Tirannicidio), ovvero, come nella stragrande maggioranza dei casi, omicidi meritevoli dell'inferno (ad es.omicidio per rapina), ovvero non meritevoli nè dell'uno nè dell'altro, in quanto semplicemente opzionali/necessitati dalle circostanze (ad es.omicidio per legittima difesa);
-  possono esserci suicidi addirittura meritevoli del Paradiso (come nel caso del coraggioso soldato suicida, che amò il suo prossimo "più" di se stesso), ovvero suicidi meritevoli dell'inferno (ad es.il caso di chi si suicida per futili o, cmq insufficienti, motivi), ovvero non meritevoli nè dell'uno nè dell'altro, in quanto semplicemente opzionali/necessitati dalle circostanze(ad es.il suicidio di chi, colto nel sonno da un incendio, non avendo vie di scampo, si spara un colpo alla tempia).
Ad esempio, uno dei motivi per i quali i piloti della prima guerra mondiale erano equipaggiati di pistola, era quello di  consentire loro di suicidarsi prima di morire arrostiti, quando i loro aerei prendevano fuoco; lo stesso Francesco Baracca, eroico pilota italiano, sembra che sia stato ucciso da un colpo della sua pistola, suicida per non morire arso vivo, orrida fine di molti, moltissimi, piloti.
Io, comunque, se di notte scoppiasse un incendio, cercherei senz'altro di fuggire in qualche modo, per salvarmi la vita; ma se proprio constatassi di non avere scampo, sono sicuro che mi sparerei un colpo in testa con la pistola che ho nel comodino, prima di morire comunque....arso vivo!
Tu no?
RSVP

P.S. Certi malanni, sono più inesorabili ed atroci del fuoco; solo che ti bruciano dentro, non fuori!
E' molto poco cristiano non volerne prendere atto.
#5889
Attualità / Re:Eutanasia e D.A.T.
15 Marzo 2017, 15:18:11 PM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Marzo 2017, 10:56:03 AM
**  scritto da Eutidemo:
CitazioneE che, anzi, in taluni casi, le eccezioni possono considerarsi addirittura meritorie (come nel caso del soldato suicida, che ti ho riportato), ovvero meramente consentite: come, appunto, quella di scegliere semplicemente il modo di morire, quando si sta comunque morendo tra atroci sofferenze.
No, in questo caso il soldato non è suicida, altrimenti lo è stato anche Gesù in croce (vedi che hai un'interpretazione personale del cristianesimo?): "...non c'è amore più grande che dare la propria vita per gli altri!..."

Per quel che riguarda, invece, l'evitare le atroci sofferenze, lo spiega benissimo @donquixote: siamo sicuri che non è volontà di Dio? ...siamo certi che non è una benedizione dopo che abbiamo constatato quello che ha fatto sperimentare a suo Figlio? ...e che quella sofferenza non sia un'occasione di conversione che Dio offre a chi è intorno al malato? ...o un momento d'incontro con la "solennità della bellezza" certificata da @Sariputra?
Su questi argomenti a te l'ardua sentenza, a me la giusta ricompensa.

Pace & Bene

Il soldato, tecnicamente, fu un suicida, perchè si gettò volontariamente sulla bomba, sapendo che lo avrebbe ucciso; tanto è vero che il cappellano militare non volle dargli sepoltura cristiana per tale motivo (bell'idiota!).
Quanto a Gesù, tecnicamente, non fu affatto un suicida, perchè sulla croce non ci salì mica da solo!
Ma che razza di confronti fai?
Quanto al fatto, invece, che la sofferenza che Dio ci manda possa essere un'occasione di emendamento ed elevazione per il malato (ed anche di santità), lo credo anche io; e lo avevo già scritto, ricordano il caso di Santa Teresa di Gesù Bambino (di cui ti invito a leggere le opere).
Ma, questo, col nostro tema non c'entra, perchè non tutti possono avere la vocazione al martirio....e dipende pure da che tipo di malattia si tratta.
#5890
Attualità / Re:Eutanasia e D.A.T.
15 Marzo 2017, 15:08:05 PM
Citazione di: Duc in altum! il 15 Marzo 2017, 10:41:54 AM
**  scritto da Eutidemo:
CitazioneEd infatti, io non ritengo affatto inaccettabile che tu possa avere la TUA idea di peccato (che io non condivido), bensì ritengo inaccettabile che tu (e il Vaticano) decidiate di imporla anche agli altri, opponendovi alla morte assistita ed al testamento biologico.
Se leggessi con più attenzione e meno pregiudizi potresti ben accertare che ho già risposto al merito: l'imposizione è ferma al parlamento e non al Vaticano. :-[
Per la Chiesa, ripeto per l'ennesima volta, anche l'aborto è le relazioni omosessuali "consumate" sono peccato, non è che perché un desiderio diventi legge smetta di essere peccato.  :o

Quindi il mio richiamo non è alla tua libertà di scelta (ma che stiamo scherzando?), ma al fatto che siccome essere cristiano significa esistere (sforzarsi di essere) alla sequela di Gesù (e non recitare bene le preghiere), e siccome Gesù non si è rifugiato nel suicidio (pur sapendo molto prima le atroci sofferenze che avrebbe patito), il tuo non condividere ciò che il cristianesimo ritiene peccato è elemento di biasimo al tuo auto-definirti persona alla sequela del Cristo. :-\

Auspico che così ti sia chiaro.  :)

Mi sembra che giochiamo al gioco di chi dà cornuto all'asino, e viceversa!
;)
Ed infatti, a mio avviso, se "tu" leggessi con più attenzione e meno pregiudizi i miei interventi, potresti ben accertare che non hai affatto risposto nel merito a 10 delle mie osservazioni su 10.
Quanto alla Chiesa, sebbene la cosa sia storicamente controversa, secondo me ha accellerato la caduta dell'Impero Romano, e ritardato il sorgere dello Stato Italiano; e, comunque, è evidente "lippis et tonsoribus", che certe leggi sono ferme in Parlamento, proprio perchè ostiche al Vaticano.
Negare questo, è come avere gli occhi foderati di prosciutto!;D
Quanto all'aborto (su cui ho opinioni alquanto personali) è le relazioni "gay", non vedo cosa c'entri questo con il suicidio assistito.
Boh! ::)
E poi sarei io a fare confusione?
Quanto alla interpretazione delle Scritture, ti ho già spiegato (per ben tre volte)  la mia esegesi, la quale può essere sicuramente discutibile; il problema è che tu non l'hai discussa per niente, bensì hai TOTALMENTE ignorato i miei argomenti...buttandola in caciara e parlando d'altro!
Quanto a Gesù, non ho mai detto che si sia suicidato (pur sapendo molto prima le atroci sofferenze che avrebbe patito); è vero, che, praticamente ha lasciato che lo catturassero e lo uccidessero...ma lungi da me equiparare la cosa ad un suicidio!
Chi sostiene una cosa del genere (come qualcuno ha fatto), dice una grossa castroneria! :P
Ma io non ho mai pensato nè scritto una cosa del genere.
Quindi, confuta quello che ho scritto, non quello che non ho mai scritto!
Quanto al mio non condividere ciò che il cristianesimo ritiene peccato, allora smetti anche tu di chiamare "padri" i tuoi "fratelli" "preti", perchè Cristo ha espressamente vietato di farlo (mentre in nessun passo ha espressamente vietato il suicidio, salvo che me lo mostri); in tal senso,  è elemento di biasimo anche per il tuo auto-definirti persona alla sequela del Cristo. :-\ 
Auspico che così ti sia chiaro.  :)
#5891
Citazione di: acquario69 il 15 Marzo 2017, 12:33:58 PM
Chiedo a qualcuno di voi se mi sappia dire con esattezza l'etimologia della parola Verità e Primavera

Su internet avrei trovato queste (misere) indicazioni:

--dal latino,veritas derivato di verus ossia "vero" oppure dal sanscrito vrtta cioè "fatto, accadimento"
--verità s. f. [lat. vērĭtas -atis, der. di verus «vero»] Carattere di ciò che è vero, conformità o coerenza a principî dati o a una realtà obiettiva:

La curiosita' mi sarebbe venuta perché Vito Mancuso nella trasmissione tutta la citta ne parla del 10-3-2017 dal tema;
"Il riconoscimento adozione bambini per le coppie gay"
..a un certo punto direbbe che la radice etimologica di vero, sarebbe quella della primavera!
Ma e' cosi come dice lui??

di contro mi Sono andato a vedere anche l'etimologia della parola primavera e avrei trovato che deriva da prima e vera, quest'ultima dalla radice sanscrita vas che significa ardere, splendere...ma a quanto pare non centrerebbe niente con la parola verità come dice lui!

Qui sotto le sue testuali parole che ho riportato una per una...

In realta' uno deve capire che verità....
...guardi sta per cominciare la primavera...
Ver,la radice ver,veritas e' la stessa radice di primavera,perche ver,veris in latino e' primavera..e cosa significa questo, significa che il concetto profondo di verità, nel senso proprio più esistenziale e' cio che fa fiorire la vita e questo e' l'amore,l'amore vero fa fiorire la vita e allora due persone possono dello stesso sesso possono adottare un bambino..... :o

e qui sotto ce il suo intervento audio di circa 5 minuti;

http://www.radio3.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-f5474704-6e99-4c88-9282-063ceaa5a185.html

Grazie in anticipo, sperando di venirmi in aiuto in questa piccola ricerca

A quanto risulta a me, l'interpretazione più corretta è che deriva dal latino: "ver" dalla radice sanscrita "vas" che significa ardere, splendere... nel senso che si tratta della stagione che viene "prima" dell'"arsura" (vas) dell'estate.
Ma, ovviamente, si tratta solo di ipotesi linguistiche :)
#5892
Citazione di: Sariputra il 14 Marzo 2017, 09:31:47 AM
Il suicidio sembra proprio una di quelle caratteristiche che pongono l'uomo nella natura e nello stesso tempo fuori di essa. Per curiosità sono andato in cerca di informazioni sul suicidio nel mondo naturale, negli animali in particolare. Sembra che non esista. Persino la storia dei  famosi lemming che si getterebbero in massa dalle scogliere uccidendosi pare una solenne bufala costruita dalla Disney per un famoso documentario. Nel suo desiderio di morte , in un certo senso, l'uomo si pone al di fuori della sua natura condivisa con le altre specie e riafferma la sua unicità che lo fonda come un ibrido: bestia che non desidera essere bestia, per sfuggire al suo destino da bestia, anelando però un'impossibile ritorno alla condizione 'innocente' di bestia. Osservando, per esempio, alcune specie di uccelli che, nati liberi, non sopportano di essere rinchiusi in una gabbia, verrebbe da dire che ' si stanno lasciando morire'. In questo invece io vedo una dimostrazione del superiore valore dello stato di natura ( quindi 'valore' come necessità di vivere nella natura ) che non una specie di suicidio. Nulla impedisce all'uomo , se costretto in una gabbia ( malattia,mancanza di libertà, ecc.) di lasciarsi morire per essere coerentemente naturale con il suo essere bestia. Il problema , che di problema in effetti si tratta a mio parere, e che ci dimostra che l'uomo non è solo bestia , è che l'uomo PENSA di liberarsi da qualcosa , Presumo, non essendo un passero , per esempio, che il passero nel non mangiare e bere in stato di cattività, non PENSI di liberarsi dallo stato di cattività...
Si potrebbe dire che anche il pensare è un prodotto della natura ( attività dell'altrettanto naturale cervello)e ovviamente questo non farebbe che confermare l'ibridicità dell'uomo perché , se il pensare fosse solo un fatto naturale, perché di fatto il nostro comportamento ci distingue da tutte la altre specie in natura? Siamo una natura più 'evoluta' che alla fine , rinnegando se stessa, non desidera esserlo? Desiderio di morte per sfuggire alla sofferenza della vita come desiderio di vita priva di qualunque sofferenza ? (Libertà, paradiso, nirvana, ecc.)


Caro Sariputra,
hai perfettamente ragione: la storia dei  famosi "lemming" che si getterebbero in massa dalle scogliere uccidendosi è una solenne bufala costruita dalla Disney per un famoso documentario; e non solo da lui. 
Il motivo per cui (almeno sembra) l'uomo è l'unico animale in grado di suicidarsi, è che l'enorme sviluppo della "neocorteccia", in taluni soggetti ed in taluni casi, consente loro di superare i freni inibitori del"cervello rettile" (amigdala o sistema limbico in generale, che dir si voglia); detto in altri termini, cioè, il "suicidio" è l'atto più razionale che un essere vivente possa mettere in atto... ed è per questo che, sembra, esso sia riservato solo all'"homo sapiens".
Molti esemplari del quale, peraltro, talvolta "razionalizzano" anche la ripugnanza "istintiva" al suicidio; la quale, dal punto di vista filogenetico, è uno strumento di sopravvivenza della specie indubbiamente utile ed efficace.
Il che accade anche per altri "tabu" comportamentali (religiosi e non).
Quanto al fatto che l'uomo sia una "ibridazione" con la "bestia", e, cioè, per dirla con Shakespeare "...un verme che striscia tra la terra e il cielo", almeno a livello metaforico, non c'è dubbio che sia proprio così.
Sotto il profilo "tassonomico", invece, non non c'è dubbio alcuno che sia un "animale" *: facente parte della "specie" "sapiens" (ci sono state molte altre specie di "uomini"), dell'"ordine" delle scimmie, della "classe" dei mammiferi e così via.
Per cui, pur essendo abissale la differenza con fratelli dello stesso "ordine", ed ancor di più con i "cugini" della stessa classe, non c'è alcun dubbio che c'è molta maggiore vicinanza mentale, emotiva e comportamentale tra un uomo e uno scimpanzè, che non tra uno scimpanzè ed uno scarafaggio.
Questa non è soltanto una opinione, bensì un'evidenza sperimentale, difficile da negare; la quale, però, sarà sempre disperatamente negata, da coloro i quali rifiutano la loro innegabile natura animale.
La quale, invece, non avvilisce affatto la "specificità" umana; ma, anzi, la esalta!
Ed invero, non c'è dubbio alcuno che "il pensare" sia un prodotto della natura ( attività dell'altrettanto naturale cervello); anche se questo,  più che confermare l'ibridicità dell'uomo, ne conferma la sua conforme natura animale.
Anche gli animali, infatti (almeno quelli superiori), sono perfettamente in grado di pensare; sebbene in modo MOLTO più elementare dell'uomo.
Come pure sperimentalmente verificabile.
Con mia vergogna, infatti, ammetto che (almeno in due occasioni), ho fatto fare una ben magra figura alla intelligenza della mia specie di appartenenza, rispetto a quella di due specie animali: una volta una scimmia, e un'altra volta una gazza.
Ma ora non ho il tempo per raccontare tali aneddoti!
Quanto al fatto che il nostro comportamento ci distingue da tutte la altre specie in natura, a dire il vero ogni specie ha "sempre" un comportamento diverso da quello delle altre specie: mica solo noi!
E le specie più tassonomicamente vicine (per esempio, noi e le "altre" scimmie), hanno dei comportamenti molto più simili tra di loro, che rispetto a specie tassonomicamente  molto distanti; come, per esempio, i ragni e gli scarafaggi!
Tanto per citare il mio compaesano Trilussa:
"L' Omo disse a la Scimmia:
-Sei brutta , dispettosa:
ma come sei ridicola!
ma quanto sei curiosa!
Quann' io te vedo, rido:
rido nun se sa quanto!...
La Scimmia disse : – Sfido!
T' arissomijo tanto!"
Siamo sicuramente la specie più 'evoluta' (sebbene tale aggettivo sia un po' ambiguo), ma non certo perchè vogliamo rinnegare la nostra natura; è ovvio che anche noi, come tutti gli altri animali, siamo istintivamente guidati da quello che Freud chiamava il "principio del piacere"...che poi è il mezzo per conseguire la sopravvivenza individuale e della specie.
Anche se forse, noi, in molti casi, abbiamo scambiato il mezzo per il fine (sebbene questo possa accadere anche agli animali).

* L'uso del termine "bestia", in luogo di "animale", secondo me, denota latenti preconcetti al riguardo.
#5893
Citazione di: baylham il 15 Marzo 2017, 11:26:01 AM
Non ho nessuna contestazione morale da opporre al suicidio, è di per sé una scelta sofferta, estrema, cui riconosco il massimo rispetto e dignità.

Volevo far risultare il fatto che normalmente il suicidio è una scelta individuale, non condivisa con altri, che per questo definisco egoistica, sebbene le motivazioni possano anche essere altruistiche.

Ciò che invece apprezzo del suicidio assistito è proprio la sua preparazione, partecipazione collettiva.

Ripeto che il suicidio assistito e l'eutanasia sono per me legalizzabili soltanto in casi ben determinati, per anticipare una morte che si prevede dolorosa, per porre un limite alla sofferenza.

Ho la personale certezza che la morte sia la fine di ogni sofferenza, come di ogni piacere.

Sottoscrivo parola per parola :)
#5894
Citazione di: Sariputra il 15 Marzo 2017, 08:35:47 AM
Presumo che il suicida sia un essere sostanzialmente 'ottimista' e infatti , se non lo fosse, non spererebbe di migliorare la sua situazione uccidendosi. Il pessimista radicale invece dubita che il suicidarsi migliori la sua situazione, proprio perchè, essendo pessimista, teme anzi che la peggiori ( il famoso cadere dalla padella nella brace...)  ;D
Mi viene in mente una battuta di Woody Allen che mi sembra recitasse più o meno così:


Quando vivevo a Brooklyn, non si ammazzava nessuno...erano tutti troppo infelici e pessimisti per farlo... :)

Non penso che sia corretto definire con il termine suicidio l'azione , per es., di un soldato che fa scudo con il proprio corpo al commilitone o quella di una madre , di qualunque specie animale, che si lancia contro gli aggressori dei suoi piccoli. In questa azione infatti non c'è alcun desiderio di porre fine alla propria vita ma si ritiene che il valore della vita altrui superi quello della propria, così da poterla mettere a rischio ( perché l'attore non sa l'esito della sua azione di salvezza...anche se può più o meno immaginarlo). Il termine 'suicidio' è un termine sostanzialmente vuoto se non lo definiamo attraverso il contesto e le motivazioni.
Sul fatto che " meglio sarebbe non esser mai nati" dissento. Intanto come potrei affermarlo se non fossi mai nato? L'esistere non è un fatto accidentale che 'ci capita' ma la conseguenza di cause ben precise, a loro volta determinate da altre cause, e così via. Ritorna in questa affermazione ( "meglio sarebbe non esser mai nato") la tipica impostazione nostrana , occidentale della visione dell'esistenza come qualcosa 'slegata' dall'insieme, una cosa chiara e ben definita, con un ben definito inizio e una ben chiara fine. Manca il sentire l'esistenza come un continuum che si sostanzia nella relazione con le cause che ci formano, quelle che produciamo e che ci seguone. Per questo, a mio parere, ogni gesto ha il suo significato, e le sue cause ed effetti, all'interno della relazione stessa.
Mi viene in mente il caso di un medico che , diagnosticatogli un tumore al cervello, si è lanciato dal nono piano dell'ospedale. Avendo uno dei figli che frequentava la classe della mia, un giorno torna a casa e mi racconta che il ragazzo era scoppiato in pianto in classe. Quando l'insegnante ha tentato di confortarlo dicendogli che doveva vedere l'atto del padre come un gesto d'amore verso di loro, così che non soffrissero per vedere in che condizioni si sarebbe ridotto, il ragazzo è esploso: "Ma io volevo soffrire insieme a lui! Perché me lo ha impedito?"... Non ci sono risposte :'(


Caro Sariputra,
personalmente, nel valutare se sia meglio vivere o morire (tematica del suicidio a parte), non ritengo di essere nè "ottimista" nè "pessimista", ma soltanto "logico".
Ed infatti, come ho già avuto modo di rilevare altrove,  "eudaimonisticamente" parlando, IN TEORIA, la scelta di morire, in genere, è sempre più "logicamente" conveniente della scelta di vivere:
-   o perchè la vita è già attualmente fonte di sofferenza;
- oppure perchè, anche quando è attualmente fonte di gioia, la consapevolezza di poter perdere tale felicità da un momento all'altro, è anch'essa una forma di sofferenza.
Essendo morti, invece, non solo non si soffre più...ma non si può essere neanche in ansia per il rischio di poter soffrire (a volte, anche in modo straziante); sempre ovviamente, che si abbia sufficiente "immaginazione".
Non nego, infatti, che se si è abbastanza in salute, egoisti ed imbecilli, si può anche vivere abbastanza allegramente; però i primi due requisiti sono inutili, se manca il terzo.
;)
Ed infatti, nella migliore della ipotesi, la vita non è che un "picnic" su un lago ghiacciato a primavera; per cui, per poterselo davvero godere, bisogna avere davvero scarsa immaginazione!
***
Quanto al fatto -morendo- di temere di cadere dalla padella nella brace, anche questo, secondo me, non è molto logico, sebbene sia la vera sostanza del "dubbio amletico".
Ed infatti, il pallido Prence di Elsinore, così rifletteva:
"Morire, dormire... nient'altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire, dormire. Dormire, forse sognare. 
HMMMMM!!!!
Sì, qui è l'ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere."
Ma anche questo dubbio, almeno a mio parere, è ingiustificato.
Ed  infatti:
1) o dopo la morte c'è ancora qualcosa;
2) oppure dopo la morte non c'è più nulla.
Partiamo dalla prima ipotesi:
***
1) Dopo la morte c'è ancora qualcosa.
Al riguardo, a parte il fatto che, se dopo la morte fisica la nostra "anima" individuale dovesse sopravvivere "tel quel" (o, più correttamente, il nostro "IO" psichico), morrebbe solo il corpo fisico, ma "noi non saremmo morti affatto"; in effetti, sarebbe come se avessimo semplicemente dismesso un vecchio abito usato, per usarne un altro o per fluttuare come anime nude in un altro mondo... empireo od infernale che esso sia.
Per cui, l'alternativa non sarebbe tra "vita" e "morte", bensì tra "due diversi tipi di vita"; e, con tutta la buona volontà, dubito assai che il secondo tipo possa essere peggiore del primo.
Tuttavia, con buona pace di chi ci crede, io, però, pur non sapendo COSA C'E dopo la morte, penso di essere pressochè sicuro di COSA NON C'E!
Ed infatti, per quanto concerne la cosidetta sopravvivenza dell'anima, pur essendo io convinto (sia pur senza prove), che essa sopravviva, in quanto riassorbita dal SE' universale come un onda nel mare, nego però recisamente che possa sopravvivere "sub specie" di mente e consapevolezza individuale; quest'ultima, infatti, è troppo connessa alla struttura neurale del singolo cervello, per poter sopravvivere alla sua distruzione, così come non è più possibile leggere un libro dopo averlo bruciato.
Vedi il mio commento alla tesi di Simmia, nel Fedone.
Cioè, se mi togliete la mia memoria (conservata nei relativi centri cerebrali), i miei desideri (attivati dall'apparato ormonale), e la mia capacità di ragionare (ubicata nei centri di Broca e Vernicke), mi sembra inevitabile che il mio IO INDIVIDUALE, cessi definitivamente di esistere.
Per esempio:
- sei anni fa mi fratturai una gamba, per cui, per un certo tempo non potei camminare; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se le gambe me le avessero tagliate, non avrei camminato mai più.
- quattro anni fa, subii un'operazione alla testa con anestesia totale, per cui, per un certo tempo non potei nè pensare nè essere consapevole di esistere; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se la testa me l'avessero tagliata del tutto, non avrei pensato mai più, nè più sarei stato consapevole del me stesso (individuale).
Questa è "logica inferenziale" (magari errata), ma non è nè pessimismo ottimismo.

***
2) Dopo la morte non c'è più nulla.
In tal caso, (sempre con riferimento all'io psichico), è parimenti logico desumere che la morte sia preferibile alla vita; se non altro perchè ci mette al sicuro da qualsiasi sofferenza, o rischio di sofferenza.
Ed infatti  si può rimpiangere amaramente di non essere morti per tempo (ad esempio, nel caso in cui un genitore sopravviva ai propri figli);
- ma non si può in nessun caso rimpiangere di essere già morti, perchè viene a mancare il soggetto del verbo rimpiangere (cioè, chi ancora non è nato o è già morto, non è in grado di dolersi di nulla).
Per cui, "eudaimonisticamente" parlando, IN TEORIA, la scelta di morire è sempre più "logicamente" conveniente della scelta di vivere:
-   o perchè la vita è già attualmente fonte di sofferenza;
- oppure perchè, anche quando è attualmente fonte di gioia, la consapevolezza di poter perdere tale felicità da un momento all'altro, è anch'essa una forma di sofferenza.
Essendo morti, invece, non solo non si soffre più...ma non si può essere neanche in ansia per il rischio di soffrire (a volte, anche in modo straziante); sempre ovviamente, che si abbia sufficiente "immaginazione".

***
Per passare ad esaminare le tue ulteriori considerazioni circa il "suicidio", che è connesso, ma che non coincide con la tematica "se sia meglio vivere o morire", il caso (da me riportato) del soldato che fa scudo con il proprio corpo al commilitone, sono perfettamente d'accordo con te che quel poveraccio non nutriva alcun desiderio di porre fine alla propria vita, bensì, eroicamente,  ritenne che il valore della vita altrui superasse quello della propria.
Però, tecnicamente, fu sicuramente un "suicidio" (motivazioni a parte), perchè, gettandosi di pancia su una granata, l'attore SA BENISSIMO l'esito della sua azione ...non è che soltanto "se lo immagini".
Sono però d'accordo con te che il termine 'suicidio' è sostanzialmente vuoto se non lo definiamo attraverso il contesto e le motivazioni; il che era proprio quanto sostenevo io, dicendo che non si può considerare tale atto sempre e comunque allo stesso modo.
Ed infatti, "suicidi eroici" a parte, ce ne sono altri, non certo eroici, ma sicuramente del tutto giustificabili!
Ad esempio, uno dei motivi per i quali i piloti della prima guerra mondiale erano equipaggiati di pistola, era quello di  consentire loro di suicidarsi prima di morire arrostiti, quando i loro aerei prendevano fuoco; lo stesso Francesco Baracca, eroico pilota italiano, sembra che sia stato ucciso da un colpo della sua pistola, suicida per non morire arso vivo, orrida fine di molti, moltissimi, piloti.
Io, comunque, se di notte scoppiasse un incendio, cercherei senz'altro di fuggire in qualche modo, per salvarmi la vita; ma se proprio constatassi di non avere scampo, sono sicuro che mi sparerei un colpo in testa con la pistola che ho nel comodino, prima di morire comunque....arso vivo!
Tu no? ;)

***
Quanto al fatto  " meglio sarebbe stato non esser mai nati", non si può certo dire se non si nasce, ma solo se si è venuti ad esistenza: non ci trovo niente di contraddittorio! 
Quanto alla argomentazione, condivisibile, che l'esistere non è un fatto accidentale che 'ci capita' ma la conseguenza di cause ben precise, a loro volta determinate da altre cause, e così via, sono del tutto d'accordo; ma che c'entra? 
Ed invero, anche andare a vedere un film scadente al cinematrografo, non è un fatto accidentale che 'ci capita' ma la conseguenza di cause ben precise (noia), a loro volta determinate da altre cause (non avevamo altro da fare), e così via; ma se poi il film ci fa schifo, non è mica che, in conseguenza dell'eziologia della cosa,  sarebbe illogico che noi esclamassimo:" ...meglio sarebbe stato non esser mai venuti a vedere questo film di cacca!"
La differenza, semmai, è che il "film di cacca" siamo noi che abbiamo scelto di andarlo a vedere; mentre, invece, non abbiamo certo scelto noi di venire al mondo!
Per cui, se uno non è soddisfatto della cosa, è perfettamente legittimato a dire: "meglio sarebbe non esser mai nato".
Semmai, una affermazione del genere, costituisce una sorta "periodo ipotetico dell'irrealtà" (se ricordo bene). 

***
Sicuramente l'esistenza è un continuum che si sostanzia nella relazione con le cause che ci formano, quelle che produciamo e che ci seguone; e per questo, anche secondo me, ogni gesto ha il suo significato, e le sue cause ed effetti, all'interno della relazione stessa.
Ma non capisco che c'entra col nostro discorso.

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Quanto all'aneddoto del medico, che, diagnosticatogli un tumore al cervello, si è lanciato dal nono piano dell'ospedale, osservo due cose;
- l'incivilità di un ordinamento giuridico, che ci costringe a toglierci la vita in modi così brutali (a rischio anche della vita dei terzi passanti, i quali, magari, non hanno nessuna intenzione di morire)
- l'estrema cautela che si deve COMUNQUE avere nell'assumere decisioni così estreme, soprattutto quando si hanno figli piccoli.
Ed invero, nemmeno io saprei rispondere se, per quel bambino (il quale, ovviamente, non poteva immaginare a cosa sarebbe andato incontro), sarebbe stato peggio:
- sapere che il padre si era suicidato;
- assistere al suo lento degrado cerebrale ed al suo progressivo decadimento fisico.
Sinceramente, a questa domanda non saprei rispondere neanche io.  :-[
Penso solo che in tali materie, non ci si possa arroccare su dogmatiche convinzioni preconcette, e che, invece, occorre valutare caso per caso!
#5895
Citazione di: paul11 il 14 Marzo 2017, 10:02:53 AM
caro Eutidemo,
il vero problema è filosofico.
Tu esponi secondo una tua interpretazione l'esistenza in relazione all'essere e gli dai già un giudizio chiamando in causa chi ritiene l'esistenza una "pena"
E trovo strano che nessun nietzchiano del forum non abbia colto il rapporto esistenza/uomo, con la struttura metafisica o la destrutturazione stessa della metafisica nella postmodernità. Come Nietzsche interpreterebbe il suicidio?
C'è un senso nella vita? Che rapporto ha l'esistenza, con L'essere.

Se l'uomo destruttura la metafisica e ritiene l'esistenza una pena, la liberazione è fuggire dall'esistenza.
Oggi l'uomo pretende la proprietà del corpo fisico,ma ha perso il rapporto dei significati che danno sens onell'esistenza, ha quindi perso l'essere. E' un uomo che falsamente ritene di essere libero, perchè ripone la propria fiducia nella tecnica, nel rapporto io sono libero e la scienza mi da salvezza.ma quando quest'ultima perde la possibliità di salvarlo ecco rientrare l'autodeterminazione nell'immediato della proprietà fisica del proprio corpo

Il problema è soprattutto filosofico, come cultura.
Perchè è di questo tempo come non mai che la tecnica rende possible manipolare la vita con  la biotecnologia.
Noi siamo illusi della salvezza della tecnica reclamando la nostra proprietà fisica del corpo come libertà di autodeterminazione.
ma non abbiamo capto che è la tecnica che ne è padrona, prima come merce, come risorsa umana nell'economia  e non certo come essere, poi come medicina e infine come accompagnamento alla buona morte fino allo scempio dell'autopsia.

Questa cultura interpreta le separazioni del momento determinato e immanente dell'essere che si è fratturato nella esistenza, problematizzando tutti i significati e sensi esistenziali
Quindi il problema filosofico non è solo il suicidio o l'eutanasia, ma le staminali, i trapianti, la manipolazione genetica.
Tutto ciò che riguarda il rapporto Vita /essere è frantumato nel nulla della fisicità di un corpo  che diverrà polvere, fonte di dolore e sofferenza.
Ma questa interpretazione è contraddittoria. Se nel tempo della morte di Dio, il destino è in mano all'uomo, com' è che l'uomo non riesce ad autodeterminare il proprio destino, facendo della vita una felicità ,invece che una pena?

Nello specifico del suicidio ho già scritto parecchio altrove.
La libertà è fondamento del rapporto fra il Sè con il se stesso:l'autocoscienza.
Significa che ogni coscienza vive una sua esperienza e io non conosco il punto di vista di Dio per poter dire è giusto  o sbagliato.
Solo pietà e compassione amorevole sono possibili, in assenza di giudizio, perchè non conoscendo il disegno divino, non ne conosco il destino.
Il suicidio è togliere la fatica alla natura nel percorso dalla nascita alla morte

Caro Paul11,
per prima cosa, come ho già fatto con Sgiombo, chiedo scusa per non essermi accorto del TOPIC  "il gesto estremo del suicidio" nel capitolo "Spiritualità"; in effetti, prima di aprire un TOPIC, bisognerebbe sempre controllare che non sia stato già aperto altrove :-\ 
Quanto alla concezione nicciana della questione, che tu esponi in modo molto più ampio ed approfondito del mio, io mi ero limitato a riportare il passo de: "La nascita della tragedia", che, mi sembra, centra in modo molto "icastico" il punto centrale della questione.
"Ora dimmi, seguace di Dioniso, qual è la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo?", domandò il re Mida al Sileno, e questi, costretto dalla sua insistenza, con voce stridula gli rispose: "Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto".(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)
Tale passo de: "La nascita della tragedia" di Nietzsche , in effetti, si riallaccia a concezioni molto antiche.
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Solo per citarne alcune:
"Non essere mai nati è la cosa migliore e la seconda, una volta venuti al mondo, tornare lì donde si è giunti."(Sofocle, Edipo a Colono).
"La Divinità fece loro capire che è meglio per l'uomo essere morto, che godere la vita" (ERODOTO, Storie 31). ) e sottolineo LA DIVINITA'!
Sempre nella STORIE, peraltro, Erodoto narra di un popolo della Tracia che era uso accogliere i nuovi nati con pianti e lamentazioni, e che, invece, festeggiava allegramente la morte dei loro congiunti: "Tra le genti della Tracia erano i Trausi che avevano l'abitudine di piangere intorno alle partorienti (per le miserie umane che il nascituro dovrà affrontare) e festeggiare chi muore." (Libro quinto)
TALE CONCEZIONE, PERALTRO, E' PRESENTE MOLTO CHIARAMENTE ANCHE IN ALCUNI PUNTI DELLA BIBBIA!!!
Per esempio:
"Ho detto beati i morti che già sono morti, più dei vivi che ancora son vivi; ma meglio ancora di tutti e due, chi ancora non è nato, perché ancora non ha visto tutto il male che c'è sotto il sole. "(Qoelet (Ecclesiaste), 4).
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Per cui, secondo me, non è necessario "destrutturare" la metafisica,  per ritenere che l'esistenza sia una pena, e che la liberazione (suicidio a parte) sia:
- fuggire dall'esistenza;
- o pervenire ad una esistenza diversa!
Per citare Platone: "Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell'anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l'anima semaínei (significa) ciò che semaíne (significhi), anche per questo è stato detto giustamente séma." (CRATILO).
Oggi, però, facendo leva sulle sue "magnifiche sorti e progressive", l'uomo pretende la proprietà del corpo fisico,ma ha perso il rapporto dei significati che danno senso nell'esistenza, ha quindi perso l'essere.
Mi piace la tua seguente considerazione, che condivido: 
"E' un uomo che falsamente ritene di essere libero, perchè ripone la propria fiducia nella tecnica, nel rapporto io sono libero e la scienza mi da salvezza; ma quando quest'ultima perde la possibilità di salvarlo ecco rientrare l'autodeterminazione nell'immediato della proprietà fisica del proprio corpo." 
Non sono ben sicuro, però, di condividere le conclusioni che tu ritieni di poter trarre da tali premesse.
Indubbiamente siamo un po' troppo illusi della salvezza della tecnica reclamando la nostra proprietà fisica del corpo come libertà di autodeterminazione; ma, tra il gettarsi sulla propria spada, come facevano gli antichi romani, o far ricorso al Nembutal, non vedo poi una gran differenza, quanto al reclamare  la nostra proprietà fisica del corpo come libertà di autodeterminazione.
Il modo è diverso (quello attuale è un po' più indolore, il che non guasta), ma identica è la sostanza!
Quanto alla "tecnica", almeno sin dalla preistoria con la "rivoluzione della selce", sino all'odierna "rivoluzione del silicio" (che sempre selce è), secondo me essa rientra nella natura dell'uomo: che è, sostanzialmente, una "scimmia artigiana".
Per cui ho sempre trovato alquanto inappropriate le deprecazioni antimoderniste dei "Laudatores temporis acti".
Quanto all'"accompagnamento alla buona morte", infatti, se ne avvalevano anche gli antichi (vedi la morte di Seneca, con assistenza medica), sebbene con tecniche meno perfezionate delle nostre; nella sostanza, non vedo radicali differenze.
Quanto allo "scempio dell'autopsia", non capisco in quale senso lo ritieni tale, se può risultare utile:
- ai progressi della medicina;
- a scoprire il colpevole di un omicidio.
Quanto alle staminali, i trapianti e la manipolazione genetica, secondo me, bisogna vedere COME e con QUALI FINI vengono condotte tali ricerche.
Faccio notare, però, per quanto concerne la "manipolazione genetica", che l'uomo la pratica da millenni sugli animali domestici; sarà stata pure tramite incroci, ma sempre "manipolazione genetica" è stata! 
Quanto al suicidio, mi pare che siamo abbastanza d'accordo: il suicidio è togliere la fatica alla natura nel percorso dalla nascita alla morte.
Ad ogni modo, ce ne possono essere di vario tipo, ciascuno dei quali, secondo me, deve essere valutato in modo diverso. ;)