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Messaggi - Visechi

#61
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
07 Gennaio 2025, 22:25:50 PM
Bene, un colpo di spugna sulla professione di fede dei cattolici. Ma non solo: Dio parla alle masse, alle persone semplici, ma almeno fino al 1965 (Dignitatis humanae) la Bibbia, strumento attraverso il quale Dio parla alle masse, alle persone semplici, poteva essere appresa solo per intercessione di un ministro di Dio.[/font][/size][/color]
Comunque rileviamo che così l'uomo settecentesco ha pure (is)cancellato il ministero di Sanctae Romanae Ecclesiae. Altro che breccia.

Non curiamoci di ciò e proseguiamo nel nostro excursus alla ricerca delle tracce del Male.

È d'estrema importanza, direi vitale, comprendere a fondo la genesi del male. Un cristiano, o chiunque faccia riferimento alle Sacre Scritture, non può trascurare l'evidenza che il male è parto divino, così come la tentazione del male cui l'uomo sottostà.  L'uomo, creatura di Dio, era insidiato fin dall'origine dalla tentazione che tendeva a disporlo verso qualcosa che già permeava il Creato. La tentazione non è conseguenza della caduta. Anche in questo caso il Libro della Genesi è sufficiente per fugare questo dubbio o smentire questa certezza. Non è, infatti, vero che siano la caduta e la conseguente perdita della Grazia di Dio ad aver determinato il soggiacere dell'uomo alla tentazione, egli fu tentato già prima della sua caduta; fu tentato dal serpente quando ancora dei frutti dell'albero della conoscenza del bene e del male non s'era cibato, autentico atto prometeico. Ripercorrendo a ritroso il filo d'Arianna che Genesi tende fino alla scoperta del Male, rileviamo che il linguaggio simbolico utilizzato intende indicare nella natura umana, così creata e plasmata dal Creatore, la genetica propensione a farsi allettare dalle tentazioni, che altro non sono che i frutti che Dio stesso pone ai piedi della creatura. La Creazione è un atto imperfetto, che reca in sé i germi della corruzione. Se la creazione e la sua creatura più bella e fulgida non recassero in sé o i segni della dissoluzione e della corruzione, la tentazione non avrebbe insidiato e, in una certa misura, plasmato l'intero cosmo. Il peccato e il Male, che già adombravano la Luce divina, sarebbero rimasti relegati nel cantuccio a loro destinato, avrebbero, cioè, riguardato forse solo gli angeli ribelli (attribuendo senso a quest'ulteriore narrazione mitica); l'uomo non avrebbe ceduto alla tentazione.

#62
Della serie: "nessuno ci può giudicare..."
C'è anche qualcosa di sensato, che però si sperde nel e fra il marasma di un insieme di insensatezze tese ad affermare un qualcosa che, seppur non detto, traspare.
Brutta cosa l'ideologismo.
#63
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
07 Gennaio 2025, 15:22:18 PM
In genesi non c'é traccia di creazione spirituale, per cui per la bibbia Dio é creatore solo delle cose visibili.
In poche parole, per turare una falla si è disposti ad aprire una breccia, negando, di fatto, le parole della professione di fede cattolica e con essa anche il simbolo niceno-costantinopolitano... un capolavoro.

Non scrivevo che in Genesi sia rilevabile l'atto creativo delle cose invisibili, pur essendo ben presente... basterebbe leggere con senso critico ed attenzione; sostenevo, invece, che in Genesi son presenti – secondo me ben visibili - le tracce del Male di origine e le impronte digitali di chi questo Male ne è creatore (ora l'uomo del settecento mi farà notare che Dio in quanto tale non può avere impronte digitali... faccio ammenda).

Iniziamo dall'incomincio... dal primo, magnifico Libro della Bibbia: Genesi. Falsamente attribuito a Mosè, su questo aspetto, già nel '600 SPINOZA ebbe modo di smascherare la mistificazione, e recante al suo interno ben due narrazioni della Creazione ad opera del Dio (Yahweh, El, Eloah, Elohim, Elohay, Shaddai, Tzeva'ot),  successivamente definito degli eserciti e descritto come geloso, rancoroso, bilioso, vendicativo, crudele, spietato, giusto etc...

Sebbene Genesi utilizzi un linguaggio simbolico nell'ambito di una narrazione mitica, ciò che afferma come nucleo teologico è assolutamente inequivocabile.  Circostanza fondamentale da tenere sempre presente.

Rileviamo subito che l'intera fatica di Dio, resa concreta ed evidente da e nella Creazione, è contrappuntata dall'aggettivo "buona". L'intero Creato è "cosa buona". Solo in seguito, con la comparsa dell'uomo, appare l'espressione "cosa molto buona". Tale differenza di linguaggio, rilevabile nel I Capitolo di Genesi, offre la misura dell'atto più eccelso della fatica di Dio. Solo con la creazione dell'uomo si giunge al culmine della fatica divina. L'uomo rappresenta, infatti, il fastigio del processo creativo. Solo in tale occasione il Libro della Genesi si esprime in termini di somiglianza ed immagine del Creatore.
Somiglianza non uguaglianza, dunque. Ci mancherebbe altro che una perfezione, per quanto onnipotente, creasse al suo fianco un'altra perfezione. L'uomo è comunque posto all'apice del creato, e ciò per espressa volontà di Dio, poiché fu Dio stesso che adunò tutte le creature viventi, le condusse al cospetto dell'uomo affinché questi imponesse loro un nome. Chiaro simbolo dell'estensione della signoria di quest'ultimo sull'intero creato – attribuire un nome a cose, persone o animali significava prenderne possesso. Su tale tema sia l'antropologia che la filologia si esprimono univocamente e abbastanza chiaramente -. I capitoli I e II del Libro Sacro narrano con sufficiente chiarezza questa determinazione originaria della volontà di Dio: un'opera definita <<buona>> sottoposta alla signoria di un'altra creatura considerata <<molto buona>>. In ciò è ravvisabile anche la scaturigine dell'ordinamento cosmologico che d'allora informa il creato. In ogni caso, entrambe le definizioni - <<buona>> e <<molto buona>> - lasciano ben intendere che non si tratta di creature perfette – somiglianza, non uguaglianza -, mancando appunto dei crismi di questa suprema qualificazione. 
Somiglianza, per quanto o per quel che non è coincidenza o uguaglianza ma eccedenza o assenza (in questo caso è evidente si tratti esclusivamente di "mancanza"), è anche dissomiglianza. Vedremo nel seguito del ragionamento come sia proprio in questo slabbro prodottosi dal "mancare" dell'una - creatura - rispetto all'altro - Creatore – che s'insinuano l'angoscia, il conflitto, il male e il dolore. Questo squarcio necessitato è la via che il Male imbocca nel suo traboccare, per rendersi concreto all'esperienza che la coscienza ne fa, circostanza che, appunto, nell'uomo si traduce in una perdita di senso e significato: <<La dissomiglianza, invece, secondo Pascal, apre alla doppiezza metafisica della natura, che non conosce acquietamento possibile, ma, al contrario, comporta conflitto, disperazione, agonia fino alla fine del mondo. Doppia è la natura: originaria e corrotta, integra e decaduta. L'una e l'altra convivono nell'uomo; che perciò non è né angelo né bestia, ma non è neppure mai se stesso, essendo piuttosto un impasto di entrambi – un centauro, un mostro, anzi «le plus prodigeux objet de la nature» (Givone – Storia del Nulla).
Come abbiamo già visto, la Creazione è un'opera completa e "molto buona" solo con l'apparire dell'uomo. Credo che finora, pur tenendo conto del linguaggio simbolico e dell'ambito letterario mitologico, Genesi abbia inteso tramandarci questo stato di cose. Perlomeno, questo era il sentire dei vari compositori del Libro.
Successivamente il Libro della Genesi c'informa che Dio, rivolgendosi all'uomo, l'ammonì: <ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti>. Egli impartì alla propria Creatura un ordine perentorio: "non devi mangiar(ne)", riferendosi all'albero della conoscenza del Bene e del Male, perché l'uomo, cibandosi dei suoi frutti, ne sarebbe morto. Il conoscere assume qui le fosche connotazioni di una forza disgregante, che separa. Il mondano attrae e separa dal divino. Dio in origine passeggiava nel giardino dell'Eden, il che lascia ben trasparire la prossimità e l'intelligenza fra Creatura e Creatore.
Anche in questo caso, seppur attraverso un linguaggio simbolico, Genesi ci rende edotti del fatto che tanto l'esistenza del Bene, rilevabile nel precedente emistichio, quanto quella del Male permeassero la Creazione fin dalle origini, ben prima della disubbidienza dell'uomo. Cibarsi dei frutti attinti dall'albero della conoscenza significa elevare la creatura al livello di Dio, cioè sostituire le determinazioni umane all'unica vera fonte di Verità. La disobbedienza di Adamo ed Eva si traduce così in un atto che afferma l'autonomia morale dell'uomo – creatura – rispetto al Creatore, per cui è l'uomo e non più Dio a stabilire in base alle proprie determinazioni, volta per volta, ciò che è bene e ciò che è male. Da ciò deriva che non fosse più necessario soggiacere al 'consiglio divino'.  Il peccato di superbia narrato in Genesi è la cifra della lacerazione che è venuta a prodursi fra terra cielo e uomo.
Genesi narra non solo il mito della Creazione, ma anche quello della profonda frattura che da sempre impregna il creato. L'atto di superbia si concreta nella presunzione di poter fare a meno di Dio ogni qualvolta si pone il dilemma di scegliere, di decidere per un verso o per un altro. Accedere alla superiore conoscenza del Bene e del Male, determinando così autonomamente il grado gerarchico da attribuire a ciascun 'valore' morale, significa violare il sacro (separato) ed entrare in contatto con un qualcosa che già esisteva, che già impregnava ed intrideva la Creazione, seppur forse non ancora operante. Diversamente Dio avrebbe impartito un ordine assurdo.
Il linguaggio utilizzato in Genesi, perlomeno quello trasmessoci nei millenni, non lascia dubbi che la Creazione sia opera divina, ed è altrettanto evidente che entrambe le forze che la impregnano siano anch'esse opera divina. La Creazione, evidentemente, era "cosa molto buona" ma non certamente "perfetta", trattenendo in sé anche "cose non buone" o "cose meno buone".
#64
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
07 Gennaio 2025, 14:31:46 PM
Citazione di: Duc in altum! il 07 Gennaio 2025, 13:30:59 PMOggi è un giorno speciale.
Un'altra chicca da usare durante i miei incontri in parrocchia...

Gracias @InVerno!

Nel corso dei  tuoi incontri in parrocchia, nel mentre conculchi la coscienza altrui o dai l'assenso perché un terzo conculchi la tua, lascia spazio al piccolo dubbio che forse, impegnato come sei a trasferire al prossimo la parola dell'ipostasi umana o anche solo di ascoltarla, non sei stato in grado di capire fino in fondo le parole scritte da Inverno... forse.
#65
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
06 Gennaio 2025, 22:36:04 PM
Citazione di: InVerno il 06 Gennaio 2025, 20:10:50 PMCon tutto il rispetto non penso risolverete la teodicea in questo topic e neanche nel prossimo.. mi limitavo a notare, seguendo lo spunto di Duc che vedeva l'esclusiva evangelica nella regola d'oro, quanto la fede trasformi anche concetti piuttosto banali in oro colato col mestolo, a volte anche concetti disfunzionali, un esempio è il famoso scagli la prima pietra, che se messo in pratica cancellerebbe i tribunali terreni, ma per fede viene accettato come un idea molto intelligente e rivoluzionaria, salvo che nessuno vuol metterla in pratica, perché rivoluzionaria lo è, intelligente poco.
Non è mia intenzione cercare di risolvere la teodicea, nondimeno, credo che del Male se ne possa parlare, soprattutto se alcuni scritti inducono il sensato sospetto che ad averlo creato sia proprio il "creatore di tutte le cose visibili ed invisibili". Ci si può provare.
#66
Tematiche Spirituali / Re: La fede in Dio
05 Gennaio 2025, 18:56:28 PM
Citazione di: Duc in altum! il 05 Gennaio 2025, 18:52:58 PMBe', se bastasse il solo arrivarci, saremmo tutti giustificati...
E dov'è scritto che Dio ha creato l'uomo così male?
Forse volevi dire che Dio ha creato l'uomo libero di poter decidere anche di assecondare il Male...
Son sempre curioso di sapere chi poi in definitiva ha creato questo Male... non sarà mica il Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili? 
Magari in Genesi reperiamo qualche traccia.
#67
Decido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.

Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo.  Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.

Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica.  Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.

Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.
#68
Varie / Re: Il paradosso del Dr. Tenma
30 Dicembre 2024, 20:50:01 PM
Citazione di: Morpheus il 30 Dicembre 2024, 18:16:52 PM
Il Dr. Tenma è un neurochirurgo giapponese che lavora nel piccolo e unico ospedale di Heisenberg, un paese abbastanza isolato ma con una popolazione di circa 40000 abitanti. Un giorno, durante una sparatoria, vengono colpiti alla testa un bambino e un uomo di 80 anni. Entrambi vengono subito portati all'ospedale dove solo Tenma, con un'operazione lunga e complessa, potrà salvarli; c'è però un problema, il tempo necessario per operare uno dei due è troppo lungo perché anche l'altro si salvi e quindi il dottore non riuscirà a salvare entrambi i pazienti proprio a causa del grave stato in cui si trovano.
Il Dr. Tenma si trova di fronte a una scelta: l'uomo o il bambino? A questo enigma si aggiunge un'altra difficoltà: l'ospedale è pieno di debiti e quindi sull'orlo della chiusura, l'uomo di 80 anni è il sindaco del paese e la moglie, essendo molto benestante, ha promesso un ingente donazione all'ospedale nel caso il marito fosse stato salvato dalle mani magiche del Dr. Tenma. Se l'ospedale chiudesse, 40000 persone perderebbero l'accesso veloce a una struttura ospedaliera e visto che nel paese ogni settimana 2 persone su 40000 hanno bisogno di un urgente intervento medico se gli si vuole salvare la vita, 2 persone a settimana morirebbero a causa dell'enorme distanza dalla struttura medica più vicina. Ma non finisce qui, poiché se decidessimo di salvare il sindaco e non il bambino, l'ospedale verrebbe sicuramente accusato di negligenza medica e sarebbe oggetto di numerose proteste poiché hanno scelto i "soldi" alla vita di un bambino. L'ospedale verrebbe chiuso nel giro di poco tempo e ogni settimana 2 persone perderebbero la vita. Cosa dovrebbe fare il Dr. Tenma?

Suicidarsi?
Bel quesito, smuove comunque due parallele, non convergenti, dunque, questioni morali.
#69
Oppure "Caro Gesù Bambino" o "Santa Vergine" et similia...
#70
Quasi disperavo e, disperando, stavo per abbandonare desolato questa discussione. Ma talvolta i miracoli si verificano proprio quando non te li aspetti più. Ero stanco dell'inutile Ping-pong intorno alla trascendenza, al trascendente ed al trascendentale. Opportunamente sollecitato, finalmente un intervento davvero pregevole, seminale e preannuncio (non mi smentire, non ti smentire) di una fertile chiacchierata. Confesso, stavo per rinunciare a leggere l'ultimo commento... mi sarei perso davvero qualcosa di apprezzabile e piacevole, al tempo stesso.
Non sono ironico!

Tralascio l'intera sezione riconducibile alla stenta polemica di "chi ce l'ha più lungo e duro", troppa noia. Per immergermi completamente nei pregevoli passaggi che riporto e commento:
"In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte."


Non mi interesso più di tanto di quel che poteva sostenere chicchessia sul tema in argomento, mi interessa molto di più ciò che hai da dirmi tu su questo tema. Scorgi nella morte i segni di una ulteriorità che io non vedo, essendo coinvolto nell'osservazione della dissoluzione della materia, unica sostanza che – a parer mio – la morte lascia emergere. Non trovo i segni dell'oltre, men che meno scorgo quel che con intelligenza emotiva (questa volta sì, porca miseria) sei riuscito ad esprimere tu. È il percorso di vita, l'intera esistenza che non autorizzerebbe a scolorire o cancellare l'oltre che compete all'essere, anche e soprattutto dopo la morte. Ti chiedo, a questo punto: se così è, avendo espresso questo piacevolissimo concetto, come puoi sostenere al medesimo tempo e nello stesso commento, solo poche righe prima, che "Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no."? Rabbia? Intolleranza rispetto al prossimo non credente? Quasi ti sfugge l'abominio di equiparare un ateo ad un criminale... anzi, proprio ti sfugge, senza il quasi. Tu intravedi nell'esistenza un qualcosa che proietta l'essenza in un dopo ultraterreno, cosa che per me è solo frutto della necessità di trovar conforto e acquietare l'angoscia esistenziale che coglie chiunque dovesse meditare sinceramente sull'esistenza e la sua vacuità. Questo diverso angolo visuale non autorizza nessuno dei due ad imputare all'altro deficienze o tendenze criminogene di sorta. Cosa ti spinge a farlo? Insicurezza? (Qui è sfuggita a me la scorrettezza di personalizzare).


Un pensatore, non troppo tempo fa, sosteneva che: "vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo."
Chiudeva il suo saggio affermando: "Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". È un po' la filosofia del viandante, che si concentra sul viaggio, non sulla meta, e trae gioia e le ragioni del suo camminare ogni volta non dal traguardo, ma dalla strada percorsa, che rappresenta anche il vero senso e la ragione di cui è impregnato l'inesausto suo 'errare' (leggilo pure nella sua doppia accezione). Il succo gustoso che puoi suggere dalla Vita, il senso e il significato che ne attingi e, al tempo stesso, le rendi sono tutti inscritti ed incisi in quell'unico segmento che è sospeso fra due totali assenze, due Nulla. La vita è un'escrescenza momentanea dell'assoluto Nulla. Ma tale consapevolezza, non è un viatico per immaginare un ateo che rinunci ad immaginare Sisifo felice.

"Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie)."
 Qui sbagli! La consapevolezza del fatto che l'esistenza precede l'essenza, tipica del pensiero di Sartre, non nega l'essenza, la quale prende forma e consistenza, colore e calore solo in virtù e dipendenza della particolare modalità di essere nel mondo. In sintesi, l'essenza si costruisce attraverso le esperienze ed in funzione delle scelte e del proprio impegno nella vita. È frutto di sé stessi. Siamo scaraventati nel mondo e costretti a vivere la vita. Perciò l'essenza ha più importanza dell'esistenza stessa, perché è frutto della libertà dell'essere, è un suo costrutto, un suo ordito, una sua architettura, e ciascuno è quel che ha determinato per sé stesso. È ciò, fra l'altro, che massimamente esalta l'etica della responsabilità; una ben diversa modalità di partecipare all'esistenza di quella proposta dal cristianesimo, che, delinea un percorso che già in partenza è gravato di una colpa d'origine, da qui l'esigenza del perdono, che svuota di consistenza e rilevanza la responsabilità e l'agire, che, manzonianamente (fai tesoro della critica gramsciana), è sempre determinato e 'voluto' dalla provvidenza. Due visioni, due modi di porsi di fronte all'esigenza di vivere... senza rinunce, nell'un caso come nell'altro. Con la differenza che nel primo caso la partecipazione è determinata in funzione della libertà personale, nell'altro caso si tratta di una determinazione esogena. Ed essendo tale, anodina e non pienamente partecipe delle vicende umane.


"Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti."
Non ti nascondo il mio apprezzamento per questo pensiero. Ma ciò non mi impedisce di rilevare, ancora una volta, una gradevolissima istanza dell'anima di trovar conforto; di desiderio di quietare quel che nel profondo ribolle. Non nutro dubbi che sia un abbraccio caldo e confortevole, quel che descrivi, ma ho sensate ed enormi riserve che si tratti di qualcosa di 'Vero' e non solo sognato. La tua pare la descrizione, piacevole – perché non riconoscerlo? -, di un desiderio. Poni la condizione che "ci sia un inganno', non ti sottrai, parrebbe, alla possibilità che abbaglio non sia. Subito dopo, senza cesura, compi un balzo che non è argomentato (non potrebbe esserlo), affermando che 'vale la fede cristiana'... ovviamente, solo se inganno ci fosse. Io sostengo che non c'è, tu sì: dimmi perché dovrebbe essere più credibile ciò che si sottrae pienamente e tenacemente all'esperienza a scapito di ciò che è più immediato?
"Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica."
Pur cogliendo in maniera corretta il valore consolatorio che Leopardi attribuiva all'arte poetica, quindi all'arte tutta, e pur avendone registrato la funzione illusoria, ti perdi nel derivarne arbitrariamente ed in maniera incongruente l'esistenza di Dio. Non fare torto a te stesso. Questa correlazione probatoria dell'esistenza di Dio dalla scoperta della poesia, fa torto a tutto ciò che finora hai sostenuto: talvolta con spocchia, altre volte in maniera irrelata, oggi piacevolmente. Analogamente, la nozione del Male autorizzerebbe a far "cadere il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure il Male".
Inoltre, ti faccio notare che, nel tuo asmatico trasporto patrocinatore, non ti avvedi che con evidente chiarezza Leopardi, se di Leopardi vuoi trattare, parla di finzione, di illusione, di messinscena e mistificazione. Non puoi desumerne, dunque, un diverso itinerario se non quello del pessimismo o, quantomeno, della negazione di un oltre divino, che non nega o ricusa la Trascendenza, anzi arriva addirittura ad esaltarla (per carità, non torniamo su questa nenia, ho visto che non sei in condizione di uscire dalla confusione).
#71
Citazione di: anthonyi il 29 Dicembre 2024, 06:28:37 AMFai bene, inverno, a riportare queste situazioni reali sulle quali i profeti dell'anticolonialismo dovrebbero riflettere. A queste aggiungerei l'esperienza di Haiti, colonia resa libera dai Francesi dagli inizi dell'800 e oggi ridotta in condizioni terribili.
Comunque non tutti i mali vengono per nuocere, la fine del colonialismo spinge infatti gli stessi colonialisti a migrare, come fece un certo Elon Musk, aprendo nuove prospettive allo sviluppo economico.
Millo mi (espressione gergale traducibile con Eccolo lì). Intervengo solo per evidenziare questo passaggio.
Già, fai bene Inverno a... diversamente non avrei goduto di questa autentica chicca. Allora esiste, persiste, insiste e resiste la mentalità coloniale, non è da considerare come un animale leggendario colui che se ne fa paladino. Ecco la spocchia e la presunta superiorità dell'uomo bianco. Stupendo davvero, me lo segno e sarà monito ogni qualvolta mi incaponirò a voler discutere con l'uomo settecentesco. Non esiste l'autodeterminazione dei popoli, bensì i popoli si determinano in base alla spartizione cinquecentesca.
Ma davvero si può ragionare con queste idee?

I profeti dell'anticolonialismo dovrebbero riflettere

Non meravigliamoci dell'arretratezza degli italiani, siamo ancora al settecento.

I profeti dell'anticolonialismo dovrebbero riflettere
#72
Citazione di: InVerno il 28 Dicembre 2024, 20:04:08 PMSiamo arrivati finalmente al nocciolo,

 [...]
Già, siamo proprio arrivati al punto in cui traspariva da un po' che saremmo alfine giunti: alla tua più totale confusione. Siamo giunti al punto in cui non capisci più alcunché e rispondi a quesiti inesistenti e, soprattutto, a chi non ha posto quei quesiti o aperto quegli argomenti.
Quelle che sì fieramente e con scomposto vittorioso ardimento commenti come prova di non so bene che (proprio perché ad un certo punto ho rinunciato a proseguire nella lettura) non son parole mie, sono di tale Francesco, di mestiere Papa. Contesta a lui ciò che immaginavi di contestare a me. Le ho copiate testualmente (ivi compreso il grassetto) per mostrare all'altro commentatore quanto la sua larvata (neppure troppo) millantata superiorità (culturale, genetica, etnica, intellettuale? Non so) rispetto a chi anche sulla propria pelle porta inciso lo stigma della differenza, fosse assai omofona a ciò che il Papa - non io - definisce "colonialismo ideologico" che induce a ritenere inferiori le civiltà esogene...

Attendevo un lungo elenco di vostre gradite soluzioni, fra l'altro sollecitate più volte. Nulla questio!
Rinuncio definitivamente e saluto. Inutile proseguire.
#73
"Credo che questo è un problema di ogni colonialismo. Ogni, anche oggi. Le colonizzazioni ideologiche di oggi hanno lo stesso schema: chi non entra nel loro cammino, nella loro via, è (considerato) inferiore. Ma voglio andare più avanti su questo. (Gli indigeni) non erano considerati solo inferiori. Qualche teologo un po' pazzo si domandava se avevano l'anima. Quando Giovanni Paolo II è andato in Africa alla porta dove venivano imbarcati gli schiavi, ha dato un segnale perché noi arrivassimo a capire il dramma, il dramma criminale. Quella gente era buttata nella nave in condizioni disastrose. E poi erano schiavi in America. È vero che c'erano voci che parlavano chiaro come Bartolomeo de Las Casas e Pedro Claver, ma erano la minoranza. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente. Dico la coscienza perché nell'inconscio ancora c'è qualcosa... Sempre abbiamo come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato nostro, che delle volte perdiamo dei valori che loro hanno. Per esempio i popoli indigeni hanno un grande valore che è quello dell'armonia con il creato. E almeno alcuni che conosco lo esprimono nella parola "vivere bene", che non vuol dire come capiamo, noi occidentali, passarla bene o fare la dolce vita. No. Vivere bene è custodire l'armonia."

Parole vuote, al vento. Solo un poveretto, illuso ed instupidito dall'età poteva pronunciarle.
#74
Citazione di: anthonyi il 28 Dicembre 2024, 17:31:37 PMSe gli immigrati irregolari possono essere convertiti a una condizione lavorativa io ci metto la firma! Solo che questi sono ragionamenti puramente teorici. Bisogna vedere quanti degli irregolari sono considerati idonei dalle imprese.
Comunque non mi sembra che nessuno qui abbia proposto di rimpatriare centinaia di migliaia di immigrati irregolari, sappiamo quanto sia difficile, é proprio per questo che bisogna agire prima, evitando che gli indesiderati entrino.
Vero! Non ci avevo pensato: i subumani come potrebbero mai essere all'altezze delle etnie (quale? Boh!) superiori. Sia aperta la caccia al 'negro'. Ai bei tempi li si considerava addirittura privi di anima... ehhh, i bei tempi di allora... quanta nostalgia!
#75
Citazione di: Jacopus il 28 Dicembre 2024, 17:00:09 PM. Non penso che si possa fare granché, abbiamo una classe politica mediocre e una società mediocre. Non vi è mai stata una borghesia in grado di prendere seriamente le redini della gestione della società.
Concordo!