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Messaggi - doxa

#61
Attualità / Re: La morte di Papa Francesco
21 Aprile 2025, 13:59:06 PM
Ma che noia con Nostradamus ! Ancora perdete tempo con simili fandonie farneticanti ?  O:-)




Papa Francesco era un "brav'omo". Mi dispiace. Così diverso da quelle "vecchie volpi" della curia vaticana. 

A Roma se diceva, forse ancora si dice: "ar peggio nun ce mai fine". Chissà li cardinali chiusi ner conclave chi scejeranno come successore.

La plebe de Roma de li secoli scorsi, abituati a  li soprusi dello Stato Pontificio, de li cardinali, e de li vescovi, quanno moriva  er pontefice dicevano: "morto un papa se ne fa n'antro", perché per loro non cambiava nulla.

Ar proconsole de Dio, er papa, il poeta romanesco Giuseppe Gioacchino Belli dedicò il sonetto titolato "La vita da cane", che scrisse il 31 dicembre 1845:


"Ah sse chiam'ozzio er zuo, brutte marmotte?
Nun fa mai gnente er Papa, eh? nun fa gnente?
Accusì ve pijassi un accidente
Come lui se strapazza e giorn' e notte.                                    4
 
Chi pparla co Dio padr'onnipotente?
Chi assorve tanti fiji de miggnotte?
Chi manna in giro l'innurgenze a bòtte?
Chi va in carrozza a binidì la gente?                              8
 
Chi je li conta li quadrini sui?
Chi l'ajuta a creà li cardinali?
Le gabbelle, pe dio, nu le fa lui?                                      11
 
Sortanto la fatica da facchino
de strappà ttutto l'anno momoriali
e buttalli a ppezzetti in ner cestino!"
                                    14

parafrasi:  Ah, si può chiamare ozio il suo (del Papa), brutti fannulloni? Non fa mai niente il Papa, eh? non fa niente? Prendesse a voi un accidente, così come lui si affatica giorno e notte. Chi parla con Dio padre onnipotente? Chi dà l'assoluzione a tanti farabutti? Chi emana indulgenze a quintali? Chi se ne va in carrozza a benedire la gente? Chi fa la fatica di contare i suoi quattrini se non egli stesso? Chi lo aiuta a nominare i cardinali? Le tasse, perdio, non le decide lui? Soltanto la fatica da facchino di stracciare suppliche tutto l'anno e di buttarle a pezzetti nel cestino.

Qualche anno prima, il 26 febbraio 1843, Belli scrisse il sonetto titolato: "L'occhi der papa"

"Chi? Er Papa? Ecco la prima cosa che ne sento.
Propio lui?! Un zant'omo come quello
Pò avé un par d'occhi da mette spavento
Manco fussi un cagnaccio de macello?!                          4
 
So che quann'era frate ar zu' convento
L'ho sservito sempr'io da scarpinello,
E nun ciò ttrovo mai sto guarda mento
Che m'abbi fatto arivortà er budello.                              8
 
Ma già ttu ppe un'occhiata che tte danno
Un rospo, 'na tarantola o 'na sorca
Te ppisci sotto e scappi via tremanno.                            11
 
Sai ch'edè ar più sta pavuraccia porca?
E' c'un Papa tiè ssempre ar zu' commanno
L'archibbuci, le carcere e la forca". 
                                14


Parafrasi: Chi? Il Papa? Ecco, è la prima volta che sento questa notizia. Proprio lui?! Un sant'uomo come quello può avere un paio d'occhi che incutono spavento neanche fosse un cagnaccio che sta di guardia al macello?! Io so che quando era frate nel suo convento sono stato sempre io il suo calzolaio, e non ho mai trovato questo modo di guardare che mi abbia fatto rivoltare l'intestino. Ma già, tu sei uno che per un'occhiataccia che ti danno un rospo, una tarantola e un topaccio ti pisci sotto  e scappi via tremando. Sai che cos'è al più questa pauraccia porca? E' che un Papa tiene sempre sotto il suo comando gli archibugi, le carceri e la forca.

In questo sonetto c'è il sarcasmo de quella che era la plebe de Roma.

#62
Tematiche Culturali e Sociali / "Segreto"
20 Aprile 2025, 12:15:16 PM
Segreto: questo sostantivo d'origine latina deriva dal participio passato del verbo secernere = separare, tenere in disparte, per estensione di significato: nascosto, senza essere rivelato, senza essere condiviso.

"Non dirlo a nessuno". Chi non ha mai pronunciato questa frase?

Quale responsabilità implica per l'individuo che  custodisce un "segreto", il quale a volte scorre come un fiume carsico ?


Come si configura l'interazione tra il custode del segreto  e quello al quale viene confessato ?

Sono questi alcuni degli interrogativi argomentati nel saggio del sociologo Massimo Cerulo, titolato: "Segreto" (edit. Il Mulino).



Mantenere o confidare un segreto è una delle abitudini ricorrenti. Ma conservare un segreto, non condividerlo, può essere psicologicamente  logorante, perciò spesso è necessaria l'altra persona alla quale confidare una conoscenza scabrosa oppure oscena.

La condivisione di un segreto rafforza la relazione duale, genera reciprocità tenendo insieme il Noi, che funge da collante al legame sociale. Solo in tal modo l'espressione: "Non dirlo a nessuno" non viene svuotata di significato.

Il segreto confidato genera un patto, talvolta indesiderato, può rinforzare la relazione amicale,  oppure può diventare un potenziale  fattore distruttivo nel caso in cui il segreto venga svelato.

Il segreto crea e distrugge gruppi, genera inclusione ed esclusione.

Nella nostra società digitale la caccia a verità e informazioni nascoste sembra essere una moda ma può  distruggere identità ed equilibri delle persone.

Anche in ambito religioso il sacramento cattolico della confessione, ormai in "disuso" a causa della secolarizzazione, sta causando il progressivo affievolimento del significato del segreto nell'accezione confessionale. "Oggi non ci si confessa, ma ci si sfoga", ha confidato un sacerdote. Da aggiungere che numerosi confessori sono combattuti tra l'obbligo di non divulgare alcuni peccati (segreti) e il dovere di denunciare reati di cui vengono a conoscenza nel confessionale.

Se la segretezza è un'area in cui un individuo si cela all'altro per costruire la propria identità, non dovrebbe stupire quanto sosteneva Sigmund Freud, secondo il quale la prima bugia detta a un genitore  rappresenta il primo segreto del bambino. Essa testimonia la capacità del piccolo di iniziare ad individualizzarsi.

Durante l'adolescenza il segreto permette ai ragazzi di ripararsi in un luogo protetto da sguardi indiscreti.
#63
Varie / Re: "Io + gatto"
14 Aprile 2025, 18:31:31 PM
Trieste, gli anni della "Belle époque", periodo di sviluppo tecnologico, della crescita economica, della diffusione dei veicoli a motore, la nascita del telefono e le strade illuminate dall'energia elettrica.

I traffici portuali, le assicurazioni, il commercio del caffè crearono agli inizi del '900 le condizioni per il fiorire di una nuova generazione obbligata durante il dominio dell'impero asburgico a parlare indifferentemente italiano e tedesco (gli sloveni anche lo sloveno), interessata alla cultura, ai movimenti letterari, artistici e scientifici. Come dimenticare nella città  lo scrittore triestino Italo Svevo (pseudonimo di Aron Hector Schmitz), lo scrittore  James Joyce, Umberto Saba, il critico letterario e traduttore Roberto Blazen.

In quel contesto mitteleuropeo le donne triestine, o "babe", avevano più libertà  (derivante dalla tradizione asburgica) rispetto alle altre donne delle altre regioni italiane.

Ma dopo la seconda guerra mondiale Trieste subì la decadenza economica : dimezzati i commerci e l'attività portuale, la cultura seguì la stessa sorte.

Le sorelle Marion e Wand Wulz  continuarono a fotografare, in particolare ritratti, vedute della città. Fecero servizi fotografici commissionati dagli opifici e cantieri cittadini fino al 1981, quando cessarono l'attività e  cedettero  l'archivio ai Fratelli Alinari.

#64
Varie / "Io + gatto"
14 Aprile 2025, 18:26:37 PM
"Io + gatto"

A Trieste, fino al 27 aprile, nel "Magazzino delle idee" sono esposte numerose foto realizzate nel passato dalla famiglia Wulz, che fin dal 1860 aveva nella città giuliana un laboratorio fotografico.

Le foto in esposizione sono state selezionate presso gli archivi Alinari di Firenze, che nel passato acquisì le immagini del laboratorio fotografico fondato a Trieste nel 1860 da Giuseppe Wulz. L'attività fu proseguita dal figlio Carlo, che non avendo figli maschi insegnò il mestiere alle figlie Marion e Wanda (1903 – 1984).



Carlo Wulz, Ritratto di Wanda e Marion Wulz, 1920 ca., Archivi Alinari, Firenze

Wanda assunse la direzione della ditta quando il padre morì nel 1928, all'età di 53 anni. Non si sposò e scelse di dedicarsi completamente al lavoro. Il genere che la rese famosa fu il ritratto fotografico.

Sul finire degli anni Venti si interessò al foto-dinamismo dei fratelli Bragaglia. I risultati della sua ricerca furono il risultato di lunghe sessioni in camera oscura in cui realizzò fotomontaggi, fotoplastiche e fotodinamiche di ottima qualità e grande effetto.

Nel 1932 a seguito dell'incontro con il poeta e scrittore Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista, Wanda si avvicinò a questa corrente artistica e nel mese di aprile dello stesso anno partecipò nella città giuliana alla "Mostra nazionale di fotografia futurista" che coinvolse numerosi artisti, non solo locali. Ma alla fine di quel decennio lei abbandonò tale movimento.

A quella mostra fotografica partecipò con la fotografia "io + gatto": è un suo autoritratto composto dal suo viso e il muso di un gatto. Tale foto entusiasmò il Marinetti, col quale poi collaborò in altre esposizioni successive.



Wanda Wulz, "io + gatto" 1932, stampa su gelatina ai Sali d'argento, misura 29,4 x 23,3; è custodita al Metropolitan Museum di New York.
Creò questa foto sovrapponendo due negativi, uno col ritratto del suo volto, l'altro col ritratto del muso del gatto di famiglia, sovrapponendoli su un unico foglio di carta fotografica.


La strana creatura, un po' gatto e un po' donna, ci guarda con un occhio felino e l'altro femminile. Lo sguardo sembra inquietante.


Autoritratto di Wanda Wulz. Fotografia usata per la sovrimpressione "Io + gatto", 1932

segue
#65
Riflessioni sul Viaggio e in Viaggio / Re: Sentiero
13 Aprile 2025, 11:35:21 AM
Ciao Nina, spesso percorro il tratto Bologna - Firenze e viceversa ma a bordo del treno veloce Frecciarossa oppure Italo. Ci impiega mezz'ora ad attraversare l'Appennino. Il breve tempo m'induce a pensare al passato. Mi piacerebbe sapere quanto tempo ci voleva per andare con i muli nei sentieri montani di collegamento tra le due città. Due o più giorni ? Dov'erano  ubicate le "mansio"  per la sosta e il ristoro ?

Immaginarmi  nello scorso secolo come impresario di azienda di autrasporto con i Tir per il servizio giornaliero tra le due aree metropolitane mi garba.  ??? ;D

#66
Fra pochi giorni i cristiani celebreranno la risurrezione di Iesus.  In attesa di quell'evento offro alla vostra visione una pala d'altare con la scena dell'episodio precedente, la "Deposizione dalla Croce"; era nella citata chiesa fiorentina di Santa Trinita.
 


tempera su tavola di cm 276 x 185. 
 
L'opera è composta da un pannello centrale, impostato su una predella e completato da una cornice architettonica originale con cuspidi e pilastrini.
 
Il pannello centrale  è organizzato con schema piramidale: ha come vertici i due personaggi inginocchiati alla base ed il gruppo sulle scale in alto, dietro di loro c'è la fascia orizzontale del paesaggio.
 
Al centro è raffigurato Gesù. Intorno ci sono  figure che sembrano attori di una solenne rappresentazione teatrale. Sulla sinistra c'è il gruppo delle donne, sulla destra il gruppo degli uomini.
 
"Stavano presso la croce di Gesù sua madre (indossa il maphorion blu, e inginocchiata ed ha le mani giunte),  la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala", raffigurata in ginocchio mentre sostiene i piedi di Gesù accennandone un bacio.  (vedi Vangelo di Giovanni 19,25-27).
 
Sotto le due cuspidi laterali ci sono angeli oranti che volano sul paesaggio circostante: sulla sinistra c'è la città, sulla destra si vedono  le colline.
 
La scena del pannello centrale si svolge sul Golgota. Giuseppe d'Arimatea, membro del Sinedrio, chiese ed ottenne da Pilato il permesso per avere il corpo di Gesù.  
Gesù viene calato dalla croce;
 
Nicodemo, con l'aureola e lunghi capelli ricci, indossa un elegante abito di colore rosa, è sui gradini per aiutare a deporre il corpo di Cristo;
 
Giuseppe d'Arimatea, con l'aureola, aggrappato alla scala, sta afferrando Gesù nell'ascella;
 
Anche un uomo col berretto nero sta aiutando nella deposizione del corpo; un altro uomo, in basso, sta afferrando le gambe di Cristo; l'apostolo Giovanni, con l'abito blu, è sul lato opposto ed aiuta anche lui.
 
Vicino c'è un gruppo di uomini. Il dotto, in piedi, con cappuccio rosso,  ha nelle mani alcuni simboli della Passione di Gesù (la corona di spine e i chiodi) e ne discute con gli altri: quasi tutti gli storici dell'arte identificano questo personaggio con il committente dell'opera, Palla Strozzi;
 
Il giovane inginocchiato, vestito di rosso, in atteggiamento devozionale, ha il nimbo a raggiera: alcuni studiosi ipotizzano che nel giovane riccioluto l'artista abbia ritratto Lorenzo Strozzi, figlio di Palla.
 
Un po' di storia di questa tavola dipinta a tempera tra il 1432 ed il 1434 dai pittori Beato Angelico e Lorenzo Monaco, cosiddetto perché era veramente un  monaco. Si chiamava Piero di Giovanni, ed era anche un bravo miniatore.
 
Anche il "Beato Angelico" era un chierico in sacris, un frate domenicano: fra' Angelico, o Giovanni da Fiesole, il suo nome era Guido di Pietro. Fu  Giorgio Vasari ne "Le vite ..." ad aggiungere al suo nome l'aggettivo "Angelico".
 
Questa pala d'altare fu commissionata dal banchiere e politico Palla di Onofrio Strozzi. Ricco e colto, commissionò numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi, realizzata tra il 1419 e il 1423, su progetto di Lorenzo Ghiberti.  Successivamente  talle Cappella di famiglia fu detta "Sagrestia" della basilica di Santa Trinita. Per questo ambiente commissionò la bella e sontuosa "Adorazione dei Magi" al pittore Gentile da Fabriano e la "Deposizione dalla Croce" a Lorenzo Monaco, terminata poi dal Beato Angelico, che ne fece uno dei suoi capolavori, custodito nel Museo nazionale di San Marco, a Firenze.
#67
Nel precedente post ho citato  la basilica fiorentina di Santa Trinita: questa chiesa prospetta sull'omonima piazza e dà il nome anche al vicino ponte Santa Trinita che attraversa l'Arno.


Facciata della basilica di Santa Trinita, Firenze

All'interno ci sono bellissimi dipinti in affresco

Un esempio


Basilica di Santa Trinita, Cappella Sassetti, Domenico Ghirlandaio.

Al centro è rappresentata la scena collegata alla nascita di Gesù: l'Adorazione dei pastori, datata 25 dicembre 1585; inoltre c'è  il ciclo con le  "Storie di San Francesco", realizzato dal Ghirlandaio dal 1483 al 1486.



Parziale veduta della sacrestia. All'interno sono conservati  dipinti, sculture, alcuni reliquiari  ed altro.
#68
Riflessioni sull'Arte / Michelangelo e Torrigiano
11 Aprile 2025, 22:58:31 PM
A Firenze, l'Opificio delle Pietre Dure ha concluso il restauro di un busto del Redentore, scultura in terracotta policroma attribuita allo scultore fiorentino  Pietro  (o Piero) Torrigiano o Torrigiani (1472 – 1528). e lo ha consegnato alla basilica fiorentina di Santa Trinita, gestita dai monaci benedettini vallombrosani (Congregatio Vallis Umbrosae Ordinis Sancti Benedicti). 


Pietro Torrigiano, Redentore, 1500-1510 circa, sacrestia di Santa Trinita, Firenze

Lo scultore  Pietro Torrigiano viene ricordato anche per la rivalità artistica con Michelangelo Buonarroti.

Il pittore, architetto e storico dell'arte Giorgio Vasari (1511 – 1574) nel suo trattato titolato "Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri", pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568,  racconta che un giorno mentre Torrigiano si esercitava a copiare antiche statue, Michelangelo provò ad emularlo e in pochi tempo scolpì  una bellissima testa di fauno.

Il Buonarroti per la sua bravura divenne il prediletto di Lorenzo il Magnifico e l'invidioso Torrigiano poco tempo dopo, mentre era con Michelangelo per copiare gli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci della chiesa fiorentina dedicata a Santa Maria del Carmine, ad una critica sprezzante del Buonarroti  per una scultura che il Torrigiano stava realizzando, questo reagì aggredendolo e dandogli un forte pugno sul naso causandogli la frattura e la deformazione permanente, visibile nei ritratti.

Per quel pugno al Buonarroti lo scultore Torrigiano fu punito con l'esilio da Lorenzo il Magnifico.


Daniele da Volterra: ritratto di Michelangelo, olio su tavola, 1545 circa, Metropolitan Museum of Art, New York.




La formazione artistica di Michelangelo avvenne nel 1488  nella bottega d'arte di Domenico Ghirlandaio, una delle più prestigiose botteghe d'arte fiorentine. 

Il Buonarroti si dedicò alla scultura frequentando il giardino mediceo di San Marco: è un ex giardino di Firenze, era situato tra le attuali via Cavour e via San Gallo.
Tale giardino  è famoso perché Lorenzo de' Medici vi fece allestire una sorta di prima Accademia d'arte d'Europa, nella quale i giovani talenti nel campo delle arti potevano studiare le opere e le tecniche artistiche, copiando le collezioni di arte antica di proprietà medicea.

Bertoldo di Giovanni, che fu allievo e collaboratore di Donatello, addestrava i più promettenti giovani artisti.
#69
Percorsi ed Esperienze / Re: Avere o essere?
09 Aprile 2025, 20:09:22 PM
Lo scrittore di origine bulgara Ilija Trojanow nel suo libro titolato: "L'uomo superfluo. Saggio sulla dignità dell'uomo nell'età del capitalismo avanzato", nel primo capitolo ha scritto:
 
 "Lei è superfluo? Certo che no. I suoi figli? No, per carità. I suoi parenti, i suoi amici? Lo so, è una domanda insolente. A dire il vero neanch'io mi sento superfluo. Chi mai si sente tale? Al massimo può capitare in certe 'giornate no'. Eppure molti esseri umani sulla terra sono considerati superflui, dal punto di vista di economisti, di organizzazioni internazionali, di élite che operano a livello globale. Chi non produce e – peggio ancora – non consuma, non rientra nei tirannici rendiconti della macroeconomia e quindi non esiste. Chi non è proprietario di nulla non è cittadino a pieno titolo".
 
 Per chi ha il superfluo non è facile il decluttering, specie per chi psicologicamente soffre del "disturbo di accumulo". Non è facile separarsi da oggetti che sono "pezzi" della propria identità.
 
 E' rassicurante avere tutto ciò che "potrebbe servire", anche se poi si ammette che in casa "c'è troppa roba".
 
 Il decluttering non è la semplice eliminazione degli oggetti superflui: è una filosofia di vita orientata all'essenziale: selezionare ed eliminare ciò che non si usa più (anche un amore finito), "liberandoci" dal passato, aprendoci alle probabili prospettive future, alle nuove possibilità, a nuovi innamoramenti.
 
 Se una donna mi ammalia, i conseguenti innamoramento e amore mi faranno sentire tutt'uno con lei e nulla mi sarà più indispensabile della sua presenza. E quando lei sarà lontana da me non vedrò l'ora di rivederla per riprovare ancora e ancora quella sensazione. E se lei non dovesse esserci più, mi sentirò svanire nell'insignificanza. Ogni cosa mi sembrerà perdere significato.
 
 L'esperienza dell'innamoramento è una straordinaria esperienza conoscitiva. Apre dentro l'uomo e dentro la donna una porta che strappa dalla quotidianità. Non tutti gli innamorati la chiamano così, ma quella porta è una via d'accesso alla trascendenza, la forza che spinge ad andare oltre sé stessi, al di là del proprio egoismo, della razionalità, del calcolo.

 
#70
Percorsi ed Esperienze / Re: Avere o essere?
09 Aprile 2025, 20:06:31 PM


L'umanità aspira al desiderio non al bisogno. Il desiderio è capace di dominare il bisogno. Nasce così la falsa necessità e si sviluppa il superfluo: la pubblicità gioca proprio su questo dato, creando continue necessità non necessarie motivando al desiderio.

"Il superfluo dei ricchi è il necessario dei poveri", scrisse Agostino, vescovo di Ippona.
 
Per Gandhi "Un oggetto, anche se non ottenuto col furto, è tuttavia come rubato se non se ne ha bisogno".
#71
Percorsi ed Esperienze / Re: Avere o essere?
09 Aprile 2025, 20:04:19 PM
Lo psicoanalista tedesco Erich Fromm nel suo noto libro: "Avere o essere ?"  esamina le due modalità con le quali si esplica la vita umana.
 
 Per l'autore l'avere coincide con il desiderio di possesso e il superfluo, tipici della società opulenta, invece l'essere coincide con l'autorealizzazione.


 "La mia vita è abbastanza provvista del superfluo, ed è così povera di cose essenziali": questa frase terribile la scrisse nel 1973 nel suo "Diario" lo scrittore Guido Morselli, che all'età di 61 anni si suicidò.
 
 A condurre Morselli a quell'estuario tragico della vita forse fu il fallimento editoriale. I suoi romanzi, di forte impatto e originalità, erano stati respinti da vari editori. Poi, dopo la sua morte, i suoi libri ebbero successo.
 
 Le pagine del suo "Diario", pubblicato nel 1987 rispecchiano il benessere esteriore della sua condizione sociale, nel contempo rivelano il vuoto interiore che si stava aprendo nella sua esistenza. Quel vuoto interiore è simile a quello provato da tante persone provviste di beni economici ma prive di affetti e valori. A differenza di Morselli, spesso costoro procedono soddisfatti, senza un impegno etico, e fanno scorrere le loro giornate senza la ricerca di significato per il loro agire.
 
 L'antico filosofo greco Socrate, evocato dal suo discepolo Platone, ammoniva: "una vita senza ricerca non merita d'essere vissuta". Per molti, invece, la vita banale è una scelta che fa evitare ogni domanda e narcotizza la propria coscienza.
#72
"Apocalisse": questa parola composta  deriva dal lemma di origine greca " apokálypsis": disvelamento, rivelazione. 

In ambito religioso la rivelazione è quella escatologica, che profetizza il destino ultimo dell'umanità, invece a molti evoca la catastrofe, voluta dalla divinità oppure naturale, perciò suscita paure e interrogativi, che si possono vedere rappresentati nell'arte anche  nella predetta mostra parigina, titolata "Apocalisse, ieri e domani".

Nella prima parte della rassegna  vengono affrontati alcuni dei passi dell'Apocalisse, ricchi di simboli, metafore e allegorie che impressionano i lettori: il settimo sigillo e le sette trombe, i quattro cavalieri, la battaglia contro il dragone, la caduta di Babilonia, il giudizio universale, ecc..

Nel Medioevo  quei passi vennero utilizzati per tentare, tramite immagini, di rendere comprensibile all'incolta plebe devota il  misterioso messaggio giovanneo.

La più antica rappresentazione conosciuta  del giudizio universale è su una tavoletta d'avorio dell'VIII secolo.

Nel percorso espositivo ci sono circa 300 opere, comincia con un codice miniato del IX secolo, l'Apocalypse de Valenciennes, poi le belle miniature del "Beatus di Saint-Sever" dell'XI secolo; dello stesso periodo alcuni manoscritti.

E' esposto un frammento del XIV secolo del cosiddetto "Arazzo dell'Apocalisse" che comprende  un ciclo di arazzi, commissionato fra il 1373 e il 1377 per il duca Luigi d'Angiò.


Il ciclo dell'Apocalisse

L'arazzo fu collocato nell'arcivescovado di Arles all'inizio del XV secolo e, dal 1474 in seguito alla donazione fatta da  Renato d'Angiò, nella cattedrale di Saint-Maurice d'Angers.

Durante la Rivoluzione francese l'arazzo fu fatto a pezzi per realizzare coperte, stuoini, riparazioni domestiche: scomparso nel 1782, fu recuperato nel 1848 e restaurato fino al  1870,  dopodiché l'opera venne restituita alla cattedrale, ma non adatta  per la conservazione dell'arazzo, perciò questo venne trasferito nel vicino castello di Angers  in una sala le cui dimensioni permettono di ammirare l'opera,  composta inizialmente di sette pezzi per un totale di 140 m, ne sono giunti a noi solamente sei, lunghi ciascuno 23 m. Misura complessivamente 103 m di lunghezza per 6,1 m di altezza. Era composto da 90 scene, ne sono rimaste 71.
 

La cosiddetta  "fine del mondo"  è stata ispirazione per molti artisti, ed hanno creato alcune delle opere più belle della storia dell'arte: da Albrecht Dürer a Brassaï, passando per l'Espressionismo tedesco, William Blake, Vassilji Kandinskji, Anne Imhof e Kiki Smith.

Albrecht Dürer  all'inizio del XVI secolo fece 15 xilografie dedicate all'Apocalisse, che contribuirono a definire e strutturare l'immaginario occidentale sul tema.
Infatti le iconografie nate dalla fantasia dell'artista tedesco sono ancora diffuse, giunte fino a noi anche tramite vari film.

Gli artisti degli ultimi tre secoli sono nella seconda parte della mostra,  titolata "Il tempo delle catastrofi, che documenta la tematica apocalittica

Sono esposte le  tavole dei «Disastri della guerra» di Francisco Goya,  le opere di Vassillij Kandinskij, Odilon Redon, Ludwig Meidner, Natalia Gontcharova,  Judit Reigl, Otto Dix, Antonin Artaud, Unica Zürn, Tacita Dean con il suo struggente "The book end of  time".

Sul tema del «Giorno dopo» è esposto «Infinito» di Luciano Fabro (1989), «Earth» di Kiki Smith (2012) e lavori di Miriam Cahn e Otobong Nkanga.

L'esposizione parigina dedicata alla "Apocalisse, ieri e domani"  prova a dare la dimensione più profonda del testo di Giovanni, la rivelazione della fine del mondo come passaggio verso una nuova era, come è scritto nell'incipit del XXI capitolo: "E vidi un cielo nuovo e una terra nuova". Questo annuncio biblico è una sorta di viatico che accompagna il visitatore dell'esposizione verso l'uscita con l'inestinguibile bisogno di speranza.


Scuola fiamminga, "Retablo (= pala d'altare) con Giudizio Universale", fine del XV secolo, Parigi, Musée des Arts décoratifs

the end
#73
Riflessioni sull'Arte / "Apocalisse, ieri e domani"
24 Marzo 2025, 18:48:22 PM
A Parigi fino all'8 giugno,  nella Bibliothèque nationale de France, c'è la mostra denominata "Apocalisse, ieri e domani".
 
In questa rassegna  tematica ci sono dipinti, sculture, arazzi,  vengono proiettati anche vecchi film sull'Apocalisse, testo  attribuito all'evangelista  Giovanni e  ultimo libro dell'Antico Testamento.
 
Fra i vari dipinti, c'è questo dedicato alla guerra, lo realizzò Henri Rousseau, detto "il doganiere".
 

Henri Rousseau, La Guerre Vers, olio su tela, 1894, Musée d'Orsay, Parigi.
 
L'artista lo dipinse dopo  oltre vent'anni dalla fine del conflitto franco-prussiano del 1870, nel quale l'artista partecipò.
 
Quest'opera  allegorica vuole esprimere il rifiuto di ogni forma di violenza (compresa l'apocalisse divina :D).
 
Al centro  della tela è raffigurata  una donna  selvaggia e armata, ha il viso contratto in una smorfia,  indossa un abito bianco; mentre galoppa sorregge una fiaccola nella mano sinistra e una spada in quella destra.
 
Sembra una dea della guerra che cavalca un cavallo nero col pelo irto, somigliante ad un mostro ibrido; l'animale rappresenta la forza bruta della guerra.
 
Nella parte inferiore del dipinto sono rappresentati gli effetti della guerra: gli alberi bruciati, i rami spezzati,  sul campo di battaglia ci sono feriti e cadaveri, preda di corvi voraci. E' un panorama desolante.
 
L'artista ha messo in scena il dramma con la scelta dei colori dominanti: il nero, il grigio e il rosso: scelse il colore rosa per le nuvole e l'azzurro per il cielo per attenuare  la drammaticità, non c'è  il verde, colore simbolo della speranza.
 
Henri Rousseau era un pacifista. Per il catalogo del "Salone degli Indipendenti", in cui questa tela fu esposta, il pittore scrisse questo commento: "La guerra passa spaventosa, lasciando dappertutto la disperazione, i pianti e la rovina".
 
Come contrasto propongo alla vostra visione questo bel  dipinto  (non esposto nella mostra) dello stesso pittore: mi fa pensare ad una gita domenicale della famiglia sul calesse.
 
 

Henri Rousseau, La carriole du père Junier (il calesse di papà Junier), olio su tela, 1908, Musée de l'Orangerie, Parigi
 
L'uomo che tiene le redini è Claude Junier con la famiglia: la moglie Anna, una nipote e la figlia di quest'ultima, più i suoi animali (tre cani, la cavalla di nome Rosa). L'altro uomo, che porta in testa il cappello di paglia, è lo stesso Rousseau.
 
Il gruppo dei personaggi è immobile e silenzioso come in una posa fotografica, sullo sfondo il paesaggio: un viale stranamente deserto.
 
segue
#74
Ultimo libro letto / L'animale uomo
23 Marzo 2025, 12:17:36 PM


Guardo questa foto e penso al saggio dell'etologo e zoologo inglese Desmond Morris " La scimmia nuda – Studio zoologico sull'animale uomo", titolo originale "The Naked Ape", pubblicato nel 1967, in lingua italiana nel 1968. 

La tesi principale del libro è che la pelle sia l'organo che distingue di più gli esseri umani dagli altri primati. La relativa assenza di peli (esclusa la testa, le ascelle, il petto maschile e la zona inguinale)  è legata, secondo l'autore, alla necessità del contatto fisico tra la madre  e il suo  bambino.

Non sono d'accordo con quanto scrisse Morris, perché nei filmati sul mondo animale si vedono gli abbracci tra madri e figli.

Il biologo e naturalista Charles Robert Darwin, celebre per aver formulato la teoria dell'evoluzione delle specie vegetali e animali per selezione naturale, pubblicata nel 1859 nel suo libro titolato "L'origine delle specie", afferma che la selezione naturale  agisce sulla variabilità dei caratteri ereditari e della loro diversificazione  e moltiplicazione per discendenza da un antenato comune.

Torno a Desmond Morris. E' ancora vivente: ha 97 anni, ed ha riscritto per i bambini una versione del suo noto libro. L'ha titolato "La scimmietta nuda. Breve storia degli animali" edito da Bompiani.

Il libro aiuta a capire da dove veniamo e cosa siamo.  Morris dice che "Se comprendiamo la nostra natura biologica, allora abbiamo gli strumenti per affrontare la vita. Siamo ancora influenzati dai nostri antichi impulsi animali, e li ignoriamo a nostro rischio e pericolo. Abbiamo trascorso un milione di anni evolvendoci come animali tribali e siamo ancora tribali oggi, anche se viviamo in grandi città. Oggi la tua tribù è nella tua rubrica telefonica, ma il significato resta lo stesso".

Ed ancora: "Uno dei vantaggi di passare  il tempo al cellulare o al computer è che si evitano gravidanze indesiderate ! Lo svantaggio è che si perde il contatto con le gioie del cinema, della tv, dei libri, delle riviste e dei giornali,. E il divertimento di stare con altre persone...".

#75
Riflessioni sull'Arte / Re: Art Déco
17 Marzo 2025, 17:15:52 PM
I mitici "roaring twenties", i ruggenti anni '20,  furono caratterizzati  dall'espansione industriale, il  successo della musica jazz, dell'art dèco e  le suffragette  che chiedevano il diritto al voto delle donne. Volevano più libertà. Il loro desiderio di indipendenza lo manifestarono indossando abiti più corti, il trucco per il viso più marcato. Cominciò il periodo delle "flapper girls".

A Milano, nella mostra dedicata all'art dèco sono esposti alcuni abiti  per donna,  di moda negli anni '20: vedi la foto sottostante, sulla destra



Questi abiti con lustrini, glitter e paillettes mi  sono piaciuti perché mi suscitano i ricordi di alcuni vecchi film in bianco e nero, con ragazze che ballano il "charleston": questo nome al ballo deriva dalla città statunitense di  Charleston, nella Carolina del Sud.

Divenne popolare come ballo dopo essere apparso insieme alla canzone "The Charleston", di James P. Johnson, nel musical di Broadway "Runnin' Wild" nel 1923.

Quelle ragazze che ballano il charleston hanno  l'acconciatura dei capelli  corta, alla "garçonne", resa celebre dallo stilista francese  Coco Chanel.  Quel taglio corto voleva essere manifesto e uguaglianza tra i sessi.

Molta risonanza ebbe pure  la frangetta, come quella che aveva Louise Brooks iconica attrice e cantante jazz,  ma pure lo chignon, la cuffia, la retina, il foulard erano espressione della moda in quegli anni.




Negli anni '20  fu ideato per le signore il tubicino girevole col rossetto, pratico da portare con sé  assieme alla cipria. E cominciò la moda della pelle femminile leggermente abbronzata,  non più espressione di appartenenza ad una classe sociale inferiore, ma segno di salute e benessere fisico:  Coco Chanel motivò le donne ad abbandonare l'ombrellino che proteggeva la pelle dai raggi solari, ad eliminare i guanti e ad accorciare le gonne.

Gli abiti femminili diventano più corti, frangiati, con lustrini e accessori in madreperla.

Le scarpe, col tacco a rocchetto non troppo alto e il cinturino alla caviglia.



Un esempio del look anni 20/30 si può vedere nel film "The Great Gatsby" diretto da Baz Luhrmann, che ripercorre la trama del libro di Francis Scott Fitzgerald.