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Messaggi - HollyFabius

#61
Scienza e Tecnologia / Re:Introduzione alla sezione
06 Giugno 2016, 16:36:32 PM
Citazione di: Phil il 06 Giugno 2016, 15:11:54 PM
Citazione di: HollyFabius il 06 Giugno 2016, 13:53:17 PMIl "mondo della tecnica" non è materia ma è ideologia. Esso stesso è mitologia, [...] La mitologia della scienza oggi è la forma più potente di trasformazione della realtà, è la forma più forte di controllo e previsione degli accadimenti
Se è una mitologia, è una mitologia decisamente performativa, tangente il reale (e tangibile), che non solo condiziona l'interpretazione del mondo, ma modifica e produce realtà (quale altra mitologia può farlo?). Produce strumenti operativi oltre che idee, ad esempio ristruttura il corpo umano (baluardo della materialità indubitabile) con la medicina applicata (protesi, operazioni, etc.), oltre che spiegarlo (neuroscienze e affini...).

E' mitologia quando 'promette' il superamento di tutte le malattie, l'incremento indefinito della lunghezza della vita, in pratica l'immortalità. E' ideologia quando crea un paradigma di creazione dell'universo basato su una esplosione iniziale (il big bang). La sua potenza di trasformazione è la maggiore oggi creata dall'uomo, questo non deve far dimenticare il suo forte idealismo, o no?
#62
Scienza e Tecnologia / Re:Introduzione alla sezione
06 Giugno 2016, 13:53:17 PM
Citazione di: cvc il 09 Maggio 2016, 11:28:32 AM
@HollyFabius
Il rimedio per il male dello spirito può essere solo nello spirito e non nella materia. Ogni tanto si sente di qualche scienziato che ha fatto progressi nella ricerca delle pillole della felicità. Per quando l'umanità sarà diventata un ammasso di ebeti sorridenti spero di essere già morto da un pezzo.

Il "mondo della tecnica" non è materia ma è ideologia. Esso stesso è mitologia, la mitologia, sottostante all'idea che si possa razionalizzare e controllare il divenire. Non ho parlato di male bensì di terrore dell'ignoto, cosa estremamente diversa.
Dalla notte dei tempi l'uomo guarda gli accadimenti e si chiede come controllare ciò che lo circonda, le inondazioni, le tempeste, i terremoti, gli animali feroci, le malattie, il dolore fisico, la morte.
I rimedi tradizionali hanno proposto forme mitizzanti la realtà per cercare di farsi amiche le forze oscure. Si è passati dalla venerazione dei vari dei, alle forme complesse di mitologia religiosa basate su rinascite, su vita dopo la morte.
Via via sono state abbandonate forme di adulazione della realtà incapaci di modificarla e renderla amica.
La mitologia della scienza oggi è la forma più potente di trasformazione della realtà, è la forma più forte di controllo e previsione degli accadimenti e piano piano sostituisce le forme tradizionali mitologiche che mostrano sempre più chiaramente la loro minore forza di trasformazione, previsione e controllo della nostra realtà.
Questo non significa che le promesse del "mondo della tecnica" siano vere, che gli obiettivi vagheggiati raggiungibili, significa soltanto che l'apparato fondato sugli stregoni della scienza è più potente dell'apparato fondato sugli stregoni delle varie religioni.
Sempre meno persone sono disposte a credere che esista una vita dopo la morte, o che esista un reincarnazione che offra la possibilità di vivere nuovamente, sempre più persone sono disposte a credere che la scienza riuscirà ad aumentare indiscriminatamente la lunghezza della vita, a vincere le forze avverse della natura sottoponendola a pieno controllo.
Questa è una evidente illusione, ma è una illusione che sempre più condiziona le società moderne.

#63
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
06 Giugno 2016, 08:59:44 AM
Citazione di: paul11 il 06 Giugno 2016, 01:33:06 AM
Citazione di: maral il 05 Giugno 2016, 22:53:18 PMDire che le società umane siano egoistiche o altruistiche mi sembra in ogni caso azzardato, in quanto sono solo gli individui (che possiedono un io in ragione del quale riconoscono un altro che li riconosce) a esserlo. Nelle società in genere si trovano sia individui egoisti che altruisti, o sarebbe meglio dire, individui in certe occasioni egoisti e in altri altruisti...............

....perfettamente d'accordo e infatti nella realtà sociale, ma direi addirittura negli Stati repubblicani liberal-democratici convivono ,se si vuole dialetticamente contraddittori, nelle normative.
Non esisterebbe nemmeno il concetto di giustizia se non esistessero entrambi, poichè ognuno lo declina a suo modo.Intendo dire che nel momento in cui si apre alla morale,l'egoismo e l'altruismo devono necessariamente trovare dei punti di contatto, dei compromessi legislativi.

D'altra parte non esite un IO tale da perdersi nel TU, perchè non esiterebbe più l'IO.
L'altruista rimane comunque con il suo Io anche nel totale altruismo, e a mio parere gli esempi  di baylham sono un altruismo "morboso" perchè se si analizza in profondità quell'Io non vuole soddisfare il Tu, ma bensì annientarlo amorevolmente :tipico di certi amori morbosi.

Secondo me vi sbagliate.
Prendiamo due gruppi di persone, diciamo di 10 persone. Ognuna di loro potrà essere egoista o altruista, supponiamo che nel primo gruppo siano tutte egoiste e nel secondo tutte altruiste. Ha senso supporre che il comportamento del primo gruppo sia diverso da quello del secondo gruppo? E come differirà questo comportamento? Si può chiamare egoista il primo gruppo e supporre che il gruppo sia incapace di organizzare certi comportamenti che invece il secondo gruppo potrà organizzare in virtù delle diverse caratteristiche e viceversa?
A me pare evidente che si possa ragionare su un livello diverso dal singolo, parlando di egoismo e altruismo su un piano non individuale.
Una società individualista (forma morbida per identificare l'egoismo) è radicalmente diversa da una società portata all'identificazione nel gruppo (per fare un esempio alla società tradizionale giapponese).
Ho visto è passata sotto silenzio e non è stata minimamente discussa la tesi che leggendo questi sentimenti su un livello diverso l'altruismo non sia altro che un comportamento atto a rafforzare il singolo gruppo sociale rispetto ad altri gruppi sociali, ovvero in definitiva non sia altro che un egoismo relativo (per esempio di gruppo).
Ogni azione altruistica ha un lato inverso della medaglia dove opererà un danno a qualcuno o qualcosa.
Non voglio però venire equivocato, io penso che l'altruismo sia eticamente un valore da perseguire. Se posso sono altruista verso le altre persone, se posso sono altruista verso i nostri amici animali, se posso sono altruista verso la natura. Inoltre io devo essere altruista verso il pianeta, io devo essere altruista verso i miei figli, io devo essere altruista verso i miei parenti, ecc. ecc.
Queste catene di posso e devo configurano il mio atteggiamento sociale ma sono anche frutto di una evoluzione sociale che potrebbe un domani venire a mancare. Quindi occorre avere ben chiaro se stiamo ragionando su un piano etico o su un piano puramente concettuale. Sul piano puramente concettuale, ovvero libero da qualunque etica, il giudizio ricavabile (nel senso di conclusioni logiche) su egoismo umano e altruismo umano, può portare in territori piuttosto scomodi.


#64
Riflessioni sull'Arte / Re:Un termometro per l'Arte
04 Giugno 2016, 11:18:23 AM
Citazione di: paul11 il 04 Giugno 2016, 00:03:45 AM
(...)per cui un' espressione stilistica è tanto più eterna se è rappresentazione umana ed invece è figlia del solo suo tempo se è legata all'evento del suo tempo.Per questo ritengo molta arte contemporanea effimera.

Personalmente ritengo che non sia tanto l'avanguardia o la sperimentazione in sè, che sono originali, a rappresentare l'arte nella storia umana. Il grande innovatore è colui che pur dentro una tradizione riesce appunto a portarvi stilemi innovativi, ma rispettando quella tradizione, perchè la rappresentazione è vissuta sia dall'artista che la crea che dai suoi simili che l'osservano, l'ascoltano, la leggono:quell'opera deve toccare cuore, mente, nervi, ovvero arrivare all'essere umano nei suoi simboli significativi.
(...)

Hai colto un punto importante che richiede alcuni chiarimenti del mio post precedente.
Il mio intento non era quello di definire e misurare l'Arte bensì l'artista, in una visione certamente occidentale di questo termine.
L'Arte orientale è maggiormente legata alla tradizione e all'uomo nella sua intierezza in misura maggiore dell'Arte occidentale.
Le forme occidentali sono più legate ad un individualismo che non altrove, in occidente la produzione di manufatti e forme estetiche legate alla tradizione vengono posizionate vicino all'artigianato, è si tende a identificare l'arte come quella azione di arricchimento del sociale di linguaggi espressivi da parte delle singole individualità.
Io credo che si possa, in questo senso, capire che la originalità è necessaria per l'Arte ma non è l'Arte necessaria all'originalità.
L'originalità permette accrescimento, non vi può essere accrescimento rimanendo nei confini già esistenti. L'operazione dell'artista quantomeno è quella di rivelare, o svelare, aspetti della realtà a lui noti tramite la sua sensibilità che porta all'attenzione degli altri mediante un linguaggio segnico.
Quando innova, quando opera verso l'introduzione di nuovi codici, accresce il sociale.
L'originalità in sé non implica innovazione, la sperimentazione non legata al filtro della ragione non porta necessariamente a dei codici arricchenti della società.
Per questo ritengo che l'originalità sia necessaria ma non sufficiente.
Le avanguardie non necessariamente portano a sviluppi positivi e significativi per il movimento artistico da una visione storica e quindi condivido che molte siano solo espressione effimera ma attenzione perché i nuovi linguaggi devo passare necessariamente dalla fase di avanguardia.
E' l'avanguardia, nel senso proprio del termine, che identifica il singolo, o il piccolo gruppo di ricercatori dell'estetica che introducono e innovano l'universo segnico globale che è il mondo dell'arte. Dopo seguiranno le truppe.

Io mi sono posto il problema del riconoscimento dell'artista, non del più generale riconoscimento dell'Arte perché ho chiaro che non esista un'unica definizione di Arte. Già identificare alcuni criteri per parlare di artisti occidentali mi pare obiettivamente ambizioso.


Citazione di: Baleng il 04 Giugno 2016, 01:14:12 AM
Osservare un quadro è come essere invitati a ballare da una donna (se si è un uomo). Può funzionare più o meno bene, ma resta fatto oggettivo, pur nella diversità delle "tecniche" , la capacità della partner di ballare. Può non piacerci ballare proprio con lei, ma ne riconosciamo le qualità in ogni caso.
Il criterio dell'originalità è stato ipervalutato nell'ultimo secolo perché lo si è confuso con quello di novità. In realtà la corrente globale ed onnicomprensiva del XX secolo potrebbe chiamarsi "il Nuovismo". Finiti gli esercizi di base, divenne un valore tagliare una tela, inscatolare escrementi, mostrare il retro di un telaio e così via, nuovo dopo nuovo, ma senza originalità.
Il temine "originale" mostra un aspetto non estrinseco, ma interiore: cosa che proviene dall'origine, dal profondo della personalità, che è unica. L'aspetto della novità pertanto è una eventuale conseguenza, non può né deve essere un punto di partenza.
Bach non fu mai "nuovo", anzi, però fu sempre personalissimo, quindi originale (anche se l'esempio, riferendosi a periodi ben diversi dello sviluppo umano, non va proprio benissimo).
Poi, i casi possono variare: Seurat creò la corrente del puntinismo e rimane ben superiore al seguace Signac;  però Gauguin ha saputo superare chi gli mostrò la strada precedendolo nel percorso, e cioè Emile Bernard.

D'accordissimo sul discernere quanto non sia dovuto alla volontà dell'artista: un'opera d'arte è tale in quanto necessariamente vi riconosco l'azione di un io, pur se una apprezzabile abilità nel tener sotto controllo certi elementi spuri amplia la presenza dell'io anche in zone non del tutto presidiabili, e tuttavia regolabili all'ingrosso, come accade nella continua serendipity di un Jorn, o nel semi-controllo dell'effetto nei casi di pittura assai grassa e pennellate dense di colore, tipo Soutine.

Quanto al "suo tempo", l'artista non deve affatto "rappresentarlo". per questo ci sono già i giornali ecc. L'artista deve "ricrearlo". Nel far ciò potenzialmente lo modifica.

Ne abbiamo parlato molte volte in altri lidi e mi fa piacere parlarne anche qui dove ti ritrovo con piacere.
Condivido l'impressione che l'originalità sia ipervalutata, come ho scritto nella risposta a paul11 credo che vi sia, in genere, confusione tra l'importanza della originalità e la sua necessità.
E' indubbio che l'artista, per lasciare traccia di sé, debba introdurre nuovi codici, facendolo deve necessariamente raggiungere un grado di originalità e novità rispetto al passato ma un linguaggio che si basi solo sulla novità e originalità non significa -da solo- arte.
Potrei per esempio riempire di segni casuali una tela (parlando di arte visiva) o di parole casuali una pagina ma non per questo avrei costruito una poesia o un linguaggio espressivo.
La casualità, che possiamo, in un certo senso, vedere come portatrice massima di originalità non è invece portatrice d'arte.
Ecco perché associo alla originalità la professionalità, intendendo con questo una intenzionalità razionale e ragionata dell'uomo verso il proprio linguaggio espressivo.
Su "nuovismo" ti seguo perché è evidente che il XX secolo ha spostato il focus della ricerca estetica dalla ricerca estetica interiore espressa esteriormente dai codici legati alla realtà ad una ricerca estetica liberata dalla codifica della realtà.
Più volte ho scritto altrove che l'introduzione della fotografia ha liberato l'artista dal fardello della rappresentazione del reale, ha spostato il concetto di 'bello perché reale' ad un concetto di 'bello perché -altro-' e questo -altro- non si è poi ancora definito universalmente.
Il punto su quale non sono convinto è che questo sia un aspetto 'temporale' superabile, io credo che sia stato un punto di non ritorno. Oggi la fotografia c'è e non possiamo tornare ad un'era senza la fotografia. E' come cercare di guardare una scritta sul muro e forzarsi a non codificarne il significato, una volta imparato a codificare il segno non si può disimparare.
L'arte del novecento è ricerca di nuovi principi, ogni grande espressione artistica del secolo scorso ha identificato il proprio principio a cui darsi, un nuovo principio estetico.
In questa ottica ritengo che anche l'arte concettuale, che per molti è l'espressione più lontana di ricerca estetica, in verità non sia altro che un portare all'estremo questa stesso atteggiamento, è proprio perché fortemente legata ad un estetismo di confine che lo ricerca dall'interno, da una direzione opposta. Però si sa che gli estremi si toccano; il negare una cosa implica la sua implicita affermazione.

Con il rappresentare certo io intendo ovviamente anche il riportare alla memoria ma in un senso più alto, se oggi guardando all'arte nei secoli lo facciamo anche per comprendere la realtà che l'ha generata un domani chi guarderà l'arte di oggi vedrà una rappresentazione del nostro tempo. Non vedo in questa ottica una differenza sostanziale tra il "ricreare" il proprio tempo e il "rappresentarlo".
Tra mille anni chi avrà "ricreato" più significativamente il nostro tempo verrà usato come "rappresentazione" dello stesso.
Se ricreandolo lo modifica è proprio perché introduce, con la sua espressione, un nuovo linguaggio, una novità originale, e quindi torniamo all'inizio del mio post, alla necessità della originalità.

In fondo l'artista che assuma la dignità necessaria al ricordo esce dal suo tempo storico ed entra tendenzialmente in un periodo senza tempo perché è lui stesso che segna il passo. Dall'esterno è l'artista il granello di sabbia della clessidra.
#65
Riflessioni sull'Arte / Re:buonasera a tutti
02 Giugno 2016, 07:58:17 AM
Citazione di: Cris70 il 01 Giugno 2016, 23:29:27 PM
Buonasera a tutti.

Mi presento qui in quanto ho accolto l'invito di Holly, persona che stimo e che leggo con estremo piacere

Ho letto tutto il pregresso
e devo effettivamente ammettere che è stato un piacere leggere anche gli altri utenti.

Sono un collezionista e ingegnere,
entrambe passioni vissute intensamente.
Forse proprio questo connubio rende l'argomento in questione per me molto interessante.

Non vi nascondo però che ultimamente la sera ho la testa veramente stanca. Se mi rilassa leggere, tanto mi pesa a volte scrivere.

Ovviamente interverro',

datemi il tempo x ambientarmi
e di trovare spunti di approfondimento

Dimenticavo che sono un terrone Salentino oramai torinese di adozione. Entrambe (Lecce e Torino) due bellissime città

Ciao Holly e di nuovo buonasera a tutti

Ciao Cris, ben arrivato! ;)
#66
Riflessioni sull'Arte / Un termometro per l'Arte
01 Giugno 2016, 20:39:40 PM
Esistono dei criteri oggettivi che ci consentano di misurare il valore di un Artista?
Il primo criterio di misura che io suggerisco è l'originalità: che grado di originalità ha il lavoro dell'artista? L'originalità può essere nel disegno, o nei temi trattati, nella tecnica a anche nell'approccio concettuale.
L'originalità permette a chi guarda un'opera di riconoscerne l'autore; sottintende una primogenitura su molti aspetti oggetto della stessa opera.
Un autore originale verrà riconosciuto, un autore che riprende temi o disegno verrà rimandato all'autore originale, quasi come un allievo al suo maestro.
Può capitare che Artisti diversi convergano verso una forma unitaria, creando una scuola per la quale verranno considerati i fondatori.
La professionalità della ricerca è un secondo criterio. L'autore non improvvisa un'opera ma la cala all'interno di una serie di opere che esprimono un pensiero complesso, un linguaggio nuovo. Dalla prospettiva dell'osservatore esterno, si deve cercare di capire quanto è importante l'effetto casuale e quanto è voluto dall'Artista. Alcune opere riusciranno meglio di altre, alcune verranno accettate meglio; non è solo la volontà dell'Artista che rappresenta la significatività dell'opera (perché essa dipende anche dalla lettura che ne fa l'osservatore dell'opera) ma certamente un insieme di opere rappresenta l'espressione di questo nuovo linguaggio e come ogni linguaggio il suo valore dipende soprattutto dalle potenzialità espressive.
Tutto sommato questi due aspetti sono parzialmente complementari: la professionalità dell'Artista è in parte misurata dalla potenzialità espressiva e in parte dall'originalità delle sue opere.
La rappresentatività dell'Artista è un altro criterio.
Quanto l'Artista rappresenta il suo tempo? Oppure quanto anticipa i tempi futuri? Un Artista oggi che si ponesse come linguaggio concettuale l'era della velocità e delle macchine (temi cari ai futuristi) probabilmente faticherebbe a trovare soggetti e temi concettuali e sarebbe probabilmente costretto a rifarsi a cose già viste. In alcuni casi l'Artista si oppone al suo tempo, esprime le tematiche di rottura e critica, costringe alla riflessione.
Un aspetto collaterale per giudicare un Artista è la conoscenza della sua storia artistica, un artista può rimanere fermo e costante su una certa tecnica e idea della pittura o evolversi sperimentando nuove idee e concettualità.
Un Artista che ha sperimentato, che ha variato le sue espressioni artistiche mostra un desiderio di ricerca, una volontà di evoluzione.


Esistono sicuramente altri criteri sui quali fondare una valutazione di un Artista ma questi sono quelli che mi sono stati tramandati.

Si può andare oltre, si può arrivare a credere che l'Arte rappresenti la filosofia concettuale dell'Artista e che questa stessa filosofia debba oltrepassare i limiti già esistenti.
Nella modernità il lavoro dell'artista autentico si fonda nella creazione di un linguaggio artistico; nella sua intenzione, rappresenta una realtà sconosciuta agli altri che lui intende disvelare, alcune volte non solo con i dipinti ma anche attraverso gli scritti, che diventano espressione di filosofia.
Oggi un aspetto importante da non sottovalutare è l'ambiente nel quale vive l'artista, le sue capacità relazionali e manageriali, l'incapacità a gestire questi aspetti limitano le possibilità di successo di un artista, ma quanto abbassano l'asticella del termometro queste incapacità in una prospettiva storica di più ampio respiro?
#67
Citazione di: giona2068 il 01 Giugno 2016, 01:14:37 AM

Forse non sono stato chiaro, cerco di spiegarmi meglio.  
Sto semplicemente  dicendo che stiamo parlando di probabilità ad estrazione avvenuta perché quanti crederanno e quanti non crederanno non appartiene al futuro, è un evento che si è già verificato. Se vogliamo dilettarci a scoprire il rapporto credenti e non credenti, ci basta contarli nel mondo. Da parte mia ho già detto che non credenti e credenti come idea sono la stessa cosa.

La cosa è chiarissima. Parlando di probabilità e di estrazione già avvenuta occorre tenere conto del paradosso del gatto di Schrödinger.
#68
Citazione di: giona2068 il 31 Maggio 2016, 23:47:20 PM
Se questo topic fosse stato attivato prima della creazione da "Qualcuno" che già esisteva ma non avesse avuto la "capacità" di vedere cosa sarebbe successo fra gli uomini che stavano per essere creati forse avrebbe avuto una maggiore utilità, nel senso che si sarebbe potuto predisporre le cose in un altro modo. Oggi come oggi - cioè a posteriori, ha senso elucubrare quante possibilità ci sono che l'uomo creda e quante sono le possibilità che non creda? Se oggi volessi ipotizzare che domani pioverà, ammesso che non ci siano le previsioni meteo, o che non pioverà potrei dire che sono due ipotesi con uguale probabilità, ma domani non ha senso chiudere porte e finestre per indovinare se piove o no, è meglio guardar fuori e vedere come stanno le cose. Voglio dire dopo milioni di anni che l'uomo è su questa terra, anziché ipotizzare quante sono le possibilità che l'uomo creda oppure no, non è più semplice andare nel mondo e contare quanti hanno creduto e quanti non hanno creduto? Sembra che i cristiani o presunti tali  siano un miliardo e mezzo, i musulmani idem, ebrei, induisti e buddisti ed altre religioni poco note, grosso modo un miliardo e mezzo anche loro. Totale 4/5 miliardi di credenti su circa 7 di uomini. Ergo il risultato - non più la probabilità, è che il 75% degli umani crede, mentre il 25% - agnostici compresi,  non crede. Ma è proprio vero? Per rispondere a questa domanda bisogna vedere cosa intendiamo per credere. Se per credere intendiamo ammettere che esiste un "dio" idea che non tocca la tasca, il cuore e la volontà dell'individuo, allora è vero che ci sono 4/5 miliardi di "credenti" (75%), ma se per credenti intendiamo le persone sante, secondo le opere, scopriamo che i credenti si contano sulle dita di una mano! Chi c'è allora dietro questo inganno? C'è satana al quale vanno bene  sia quelli che non credono e lo proclamano sia quelli  che dicono  di credere senza credere perché in ogni caso non credono.
Allora volendo riformulare la domanda, dobbiamo chiederci: In che percentuale le persone che s'inganno dicendo di credere senza credere e in che percentuale le persone s'ingannano dicendo che nulla esiste?

Parlo un'ultima volta di probabilità e poi mi taccio perché non sembri un inutile desiderio di polemizzare.
Anche ci fossero 50 milioni di italiani a desiderare il 63 sulla ruota di Bari questo non aumenterebbe la probabilità che esca alla prossima estrazione. I numeri sono 90, il 63 è uno dei novanta numero, la probabilità è una su novanta.
Centinaia di anni fa la quasi totalità degli uomini pensava che la terra fosse piatta, pochi eretici supponevano fosse rotonda, la probabilità che sia piatta è 0, quella che sia tondeggiante è 1.


#69
Citazione di: Mariano il 31 Maggio 2016, 13:40:17 PM
La Natura e' affascinante ed è l'origine di tutte le nostre conoscenze e dei relativi sviluppi, ma a volte va in conflitto con se' stessa.
Cerco di spiegarmi:
La scienza con le sue varie materie va sempre più a fondo nel comprendere la struttura dell'universo ampliando continuamente la sua sfera di azione; resta però spesso un dissidio tra istinto e razionalità, entrambi espressioni della Natura.
Quando è il caso di combatterla, manipolarla, assecondarla?
Ritengo che sia una domanda che può trovare risposta solo scoprendo un'Etica universale.

Più che istinto e razionalità io parlerei delle categorie similari del pensiero di Schopenhauer: Volontà e rappresentazione. Ma non credo esista un'etica nella quale esista una risposta alla domanda sul come dominare la realtà.
#70
Alcune riflessioni sparse

Citazione di: Jacopus il 30 Maggio 2016, 22:56:18 PM
(...)Accetto la tesi di Duc. Credere o non credere sono entrambe posizioni fondate su una fede. Quella fede ci fa agire in un certo modo e comunque è impossibile agire senza una qualunque fede. (...)

Esiste un errore di fondo che non è corretto seguire: non si agisce per fede o solo per fede.
Proviamo per fede a rimanere eternamente in piedi.
Dopo dieci ore comparirà un po' di stanchezza, dopo venti ore cadremo a terra sfiniti. E se non sono venti saranno quaranta ma siamo consapevoli che accadrà in qualche decina di ore.
E' la fede che ci ha fatto cadere a terra? E' la fede che ci ha fatto tentare di rimanere in piedi in eterno?
No quello che ci ha fatto tentare di rimanere eternamente in piedi è la volontà, quello che poi ci ha fatto cadere è la debolezza della nostra condizione umana e animale. Nulla di questo nostro agire è dovuto alla fede.
Ma se di questo agire nulla è dovuto alla fede questo implica che ne esiste almeno uno di agire senza fede (quello descritto sopra). E questo significa che non si può costruire un corretto modello di realtà che sia basato sulla necessità di agire per fede; si può solo crearne uno basato sulla possibilità di agire per fede. L'agire per fede è possibile, non necessario.

Su fede e fiducia

Non si può confondere il fĭdes con il fidĕre (fidare, confidare). La fiducia è frutto di processo debole, la fede è espressione di un atteggiamento forte. Il kamikaze non va incontro alla morte per fiducia della patria, bensì per fede nella patria.
La fiducia passa da un processo di avvicinamento, da un progressivo confidare. La fede si fonda su un processo di piena accettazione. Vi è un limite al parallelismo tra questi concetti che sfocia nella confusione; Einstein diceva che occorre rendere ogni cosa più semplice possibile, ma non ulteriormente semplice.

Sul dogma

Il dogma non ammette incertezze, la sua negazione è una eresia. Il dogma è una posizione teologica. Nella dialettica non esiste dogma, esistono dei postulati, esistono degli assiomi -volendo dei principi razionali e perfino dei principi irrazionali- ma pur sempre mutevoli. Dogma ed eresia sono il bianco e il nero, il resto la scala di grigi.

Sulla pari probabilità

La probabilità si basa su un conteggio, proviamo a contare le varie possibilità:
1 Esiste Dio.
2 Non esiste Dio.
3 Esisteva Dio.
4 Esiste una volontà irrazionale.
5 Esiste una civiltà superiore che ci ha creati.

Ecco che la probabilità che esista Dio si è ridotta al 20%.

Ma proseguiamo:
6 Esistono due forze eterne contrapposte.
7 Esistono tre forze eterne in perenne lotta/armonia.
8 Esistono quattro forze eterne in perenne lotta/armonia.
..
..
..
x Esistono (enne) forze eterne in perenne lotta/armonia.

Ecco che la probabilità di esistenza di una volontà razionale creatrice e amorevole si riduce a piacere.
#71
Prima di rispondere scrivo una nota di carattere generale.
Una lettura che mi permette di sospettare di trovarmi in presenza di un atteggiamento dogmatico è riferita all'uso distorto sino al ribaltamento del significato delle parole. Le parole non sono scritte nella pietra, il loro uso condiviso permette la comunicazione, la trasmissione delle idee e non solo delle idee. Se io scrivo "persona buona" tutti intendono una cosa simile: una persona che per i miei criteri giudico positiva verso gli altri. Se io scrivo "persona cattiva" tutti intendono una cosa simile: una persona che per i miei criteri giudico negativa verso gli altri.
A chi dico che Oscar è "persona buona" potrà avere un giudizio su Oscar in funzione di come giudica il mio giudicare. Se mi crede una persona obiettiva e infallibile sui giudizi delle persone crederà e penserà che Oscar è buono. Se mi crede una persona non obiettiva e incapace di giudicare le persone non si farà guidare nel giudizio di Oscar. Se poi mi crederà capace di sbagliare sistematicamente il giudizio sulle persone potrebbe persino pensare che Oscar sia cattivo.
Ma cosa succede se dopo aver detto che Oscar è persona buona comincio a descrivere il concetto di buono come a qualcosa da evitare assolutamente, e la generica persona buona a un maniaco pluriassassino? La comunicazione e il passaggio della conoscenza è basato sulla condivisione del significato delle parole. L'analisi e la dialettica spesso impongono una fase preliminare di descrizione del significato usato dei termini, quando questo significato si ritiene ambiguo, le parole non sono equazioni matematiche, se lo fossero perderebbero espressività ma acquisterebbero precisione informativa.
Chi è che posto di fronte ad un problema contradditorio usa la scorciatoia di ribaltare il senso comune di un termine? E parlo proprio di ribaltare non di cambiare leggermente nel significato.
Lo fa chi è idealista sino al midollo, convinto che la realtà sia solo rappresentazione nella sua mente e che la condivisione con altre menti sia così illusoria da non necessitare di corretta trasmissione bidirezionale. Se la rappresentazione della realtà espressa dalle parole non mi piace, non cambio la mia rappresentazione della realtà bensì il significato delle parole che esprimono il modello di realtà, sino ad invertirne il senso: cambio la realtà che non mi piace adeguandola al mio pregiudizio.

Qui ne abbiamo una evidente dimostrazione sull'uso del termine dogma.


Citazione di: Duc in altum! il 28 Maggio 2016, 13:42:23 PM
**  scritto da HollyFabius::
CitazioneAffatto, è un giudizio personale. Può essere vero o sbagliato ma è un giudizio non un pre-giudizio.

Chiamalo giudizio personale, ma il fatto che tu creda che Dio non esiste seleziona e riduce il tuo margine di scelta/decisione, ecco perché è un dogma, una verità certa anche se non provata.

ehm, non riduce proprio nulla. Toglie solo la credenza non giustificata in una visione particolare di un dio rappresentato nella tua mente e solo in quella. Non credo neppure al cerchio con gli spigoli e al raggio del quadrato nella geometria euclidea ma questo non mi limita in nulla se non in quelle attuali mie convinzioni. Ma attenzione, al primo cerchio che mostri una qualsiasi similitudine ad uno spigolo la mia curiosità si attiverebbe, la mia natura dubbiosa vale anche nella direzione del sostanziare, non sono in quella del negare.


Citazione di: Duc in altum! il 28 Maggio 2016, 13:42:23 PM

CitazioneQui potrei semplicemente risponderti che no, non ne ho certezza proprio perché non ho certezze.

Intanto, che tu esisti (non puoi evitarlo), quella che tu ritieni incertezza, definisce la tua etica, la tua moralità, quindi pre-giudizio.
Sarebbe differente se fossi incerto e non dovresti esistere, ossia, scegliere e decidere. E' l'obbligatorietà ontologica della scelta umana che rende l'incertezza azione decisiva.
Es.: non so se Dio esiste o meno, e, sinceramente, non me ne importa per niente, però sono favorevole all'aborto, però sono contrario all'utero in affitto ...però,.. ...però... ecc. ecc.; ecco come l'incertezza si trasforma pre-giudizio/dogma, ed è giudicabile giacché diviene opera empirica volontaria, libera e ragionata.


la mia incertezza non è pre-giudizio è semplicemente atteggiamento. Il giudizio per me arriva sempre e solo dopo e il pregiudizio (formato da riflessioni e memoria del giudizio) non è tendenzialmente definitivo, è sempre in divenire.
Attenzione che questo non implica una indecisione permanente e per capirlo fornisco l'esempio impreciso del limite di una funzione, dove il valore non è mai quello certo ma la tendenza è evidente e l'arrivo ad un valore mai ben definito è chiara.  L'esempio è impreciso perché la realtà è complessa molto più di un limite di funzione e la possibilità di incontrare esperienze problematiche è sempre possibile. Tutto nella nostra rappresentazione mentale della realtà è in maturazione permanente.


Citazione di: Duc in altum! il 28 Maggio 2016, 13:42:23 PM

CitazioneSofismi, duc, sofismi. Esiste il dogmatico che pre-giudica gli eventi basandosi su un modello, ed esiste chi non ha un giudizio precostituito e se lo forma confrontandosi e riflettendo, con l'apertura ad un possibile cambiamento delle sue conclusioni, formandosi un giudizio che però non diventerà pre-giudizio, avendo la disponibilità a cambiarlo.
Va bene, se lo forma confrontandosi e riflettendo (come se fosse differente, come se esistesse un'alternativa, per un cristiano o per un'estremista comunista), quindi decide ed attua con il dogma che ha prodotto, con ciò che si è sviluppato da quei confronti e riflessioni, ma pur sempre dogma sarà, poiché non c'è prova certa della Verità, e men che meno razionalità di Essa, quindi tutto ciò che nasce dalla fede, fiduciosa della personale conoscenza, e filtrata dalla propria esperienza è dogma.


il processo di formazione del dogma non è interno, è esterno. Il dogma si forma nell'accettazione di una visione data da altri, da un testo sacro, da una cultura inculcata in età prerazionale, ecc.
La convinzione personale, il modello di realtà espresso da una mente originale prodotto da una riflessione durata anni diventa dogma per altri che se lo accetteranno senza riflessione critica. Posso credere che Kant abbia espresso una visione corretta della realtà e difenderne in modo dogmatico le idee, ma non posso esprimere una riflessione critica e meditata sulla realtà e difenderla in modo dogmatico perché questo rappresenterebbe una atteggiamento acritico e non meditato. Kant stesso per arrivare al suo sistema lo ha messo sistematicamente in discussione con se stesso e con i filosofi a lui precedenti e contemporanei.
Ma naturalmente la realtà non è bianca o nera ed esistono infinite tonalità di grigio e di atteggiamenti intermedi, basta essere coscienti che la realtà rappresentata dai nostri modelli di parole non è la realtà ma è sono un modello di realtà.

Citazione di: Duc in altum! il 28 Maggio 2016, 13:42:23 PM

CitazioneCerto invecchiando sarò sempre meno flessibile ma il tuo credere che non esista un atteggiamento diverso da quello dogmatico è solo una posizione di comodo, semplice perché poco problematica.
E no, caro HollyFabius, è proprio quello il problema, cercare di dissimulare di non avere pre-giudizi, generati da ciò che si crede vero per fede senza averne nessuna prova.
Quando ami qualcuno non sei più incerto, ma vivi a sua volta il problema dell'insicurezza che potrebbe risultare da quel dogma ...altro che atteggiamento differente!!


Credere che lavorare sia un dovere è un dogma, giacché può darsi anche che la verità, forse, nel frattempo, sia di oziare per dovere, quindi un dogma differente.
Qualunque decisione, nei fatti non nel bla, bla, bla, bla, tu prenda in riguardo a questa mia opinione sarà un dogma, perché non puoi fare a meno, a secondo dei casi, di avere un pre-giudizio verso chi è staconavista o scansafatiche.
La posizione di comodo è quella di chi sostiene che non ha "dogmi", ossia verità non provate, pensando di evitare così di essere catalogato o giudicato.



Qui parli di credere vero e prove. Io parlo di convinzioni e indizi. Io posso prendere una decisione incerto e non convinto solo perché una decisione va presa. Di fronte a un bivio temporale una direzione va presa e la scelta è presa sulla base non solo e soltanto di un giudizio o valutazione razionale ma anche sulla base di sentimenti e valutazioni inconsce. Non è detto che per la scelta io abbia già maturato delle convinzioni certe che, riproponendo lo stesso bivio, mi facciano prendere la stessa decisione.

Citazione di: Duc in altum! il 28 Maggio 2016, 13:42:23 PM

CitazioneConfessarsi significa mettere in discussione i principi? boh! Se lo dici tu sarà così per te. A me la confessione pare solo una pratica cattolica un poco ipocrita organizzata dalla chiesa tradizionale allo scopo di sottoporre al controllo la popolazione, conoscendone i vizi e i comportamenti privati.
Quel "pare",  non solo è già un pre-giudizio ("...quindi chi si confessa è bigotto e non ha capito niente della vita, mentre io sì che ho ben compreso l'ipocrisia organizzata dalla Chiesa..."), ma fa sì, nei fatti (che poi è ciò che a noi interessa) che tu eviti totalmente di confessarti, quindi fa divenire la tua opinione un dogma, perché credi per fede (quindi potrebbe anche essere una menzogna questa tua tesi), che davvero sia una pratica ipocrita la confessione.

Il parere non è pregiudizio, così come il grigio non è né bianco né nero ma un po' bianco e un po' nero; peraltro senza neppure indicare se più bianco o più nero. Io non mi confesso ma non ho detto di non averlo mai fatto, la mia tradizione familiare può avermi portato a sperimentare tutte le pratiche cattoliche ma la mia maturazione a rifiutarle, sulla base di un giudizio formatosi nel tempo. L'ipocrisia ai miei occhi si è disvelata nel tempo, non ho assorbito il giudizio espresso da qualcuno.
#72
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
27 Maggio 2016, 20:30:52 PM
Dove vive la verità? Nel nostro mondo del logos o nel mondo reale?
La verità è la corrispondenza di un nostro modello mentale condiviso con la realtà? Ma puoi esserci questa corrispondenza?
Nel mondo del logos, la verità è ciò che rimane dopo che abbiamo realizzato il processo di setaccio delle falsità.
Può esistere verità senza falsità?
Esiste verità senza autenticità?
Essere obiettivi significa dire il vero?
Possiamo avere certezza della verità?
La realtà è verità?
... continua  ::)
#73
Citazione di: Freedom il 26 Maggio 2016, 00:15:43 AM
http://www.treccani.it/enciclopedia/dubbio/

http://www.treccani.it/vocabolario/dogma/

Rivolgersi al vocabolario della lingua italiana trovo sia un esercizio di chiarificazione importante.

Scusa ma io non ho capito, se è rivolto a me mi dici dove avrei usato questi termini con una accezione non corretta?
#74
Tematiche Filosofiche / Re:Che cos'è la verità?
26 Maggio 2016, 11:41:09 AM
Qualche decina di anni fa cercai di elencare tutte le possibili definizioni del termine verità.
Ricordo che mi fermai arrivato vicino alla decina, ma probabilmente avrei potuto continuare la ricerca.
#75
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
26 Maggio 2016, 11:38:23 AM
Citazione di: baylham il 26 Maggio 2016, 10:23:27 AM
L'altruismo non è un'illusione e non è confondibile con l'egoismo.
Sicuramente il sentimento altruistico viene coltivato, educato, nella società umana attraverso un ambiente culturale favorevole alla sua espressione. Ma l'impulso altruistico non è affatto contro gli istinti, anzi è un'espressione dell'evoluzione naturale, soprattutto nei mammiferi, tra i quali gli esempi di altruismo sono numerosi, e il suo sviluppo porta dei vantaggi per la specie nel suo complesso.

La logica del ragionamento è che se analizzi il comportamento di un singolo uomo noti delle significative differenze dovute all'approccio egoistico piuttosto che altruistico, nessuno nega questo.
Il punto è che se ragioni su un livello diverso, dove l'individuo non esiste (se non come parte indistinta del gruppo), quello che è egoismo di gruppo viene meglio perseguito se all'interno del gruppo si sviluppano logiche altruistiche inter-gruppo, che rafforzano il gruppo nella sua interezza.
Per esempio se il gruppo è l'umanità, è chiaro che l'altruismo tra gli uomini è un rafforzamento dell'intera umanità a scapito magari di altre specie. Quindi l'altruismo dei singoli uomini verso gli altri uomini rafforza l'egoismo dell'umanità. In questo senso l'altruismo è una illusione perché è sono una faccia parziale del più completo comportamento del gruppo (l'umanità in questo caso) egoistico nei confronti di altre specie.