Ieri ho detto a @sgiombo queste parole a riguardo della "virtù" e della possibilità di realizzarla (direi che è piuttosto in tema
):
"D'altronde credo che sia un problema millenario: ok conosciamo cosa significa essere "virtuoso" ma è evidente che molti "in questa vita" (ossia per gli anni che abbiamo a disposizione) non riusciranno mai ad essere virtuosi visto che in ogni caso non è ovviamente facile come "cammino". D'altro canto però è anche bene avere come obbiettivo "la virtù" altrimenti si rischia che l'"uomo tirannico" che è in noi - usando l'espressione di Platone - agisca in modo indisturbato. Qualche mese fa leggevo su internet se i buddhisti ritenevano che "il Risveglio" è questione o meno di fortuna (visto che in pochi in questa vita si liberano) ? La risposta se non ricordo male era che ciò era in parte vero ma veniamo salvati da tale "sfortuna" dal fatto che "la morte non è la fine". Analogamente anche Kant "postulò" una vita dopo la morte per questo motivo (o un motivo simile). D'altronde a meno che per dire non siamo già "predisposti" il divenire "perfetti" per noi è un'impresa se non impossibile, davvero difficile (e anche si va per certi versi a "fortuna". Per esempio se domani un asteroide cadesse vicino a dove abito, non credo che mi rimarrebbe quel poco di comportamento "virtuoso" che ho (o credo di avere
).). E se uno nasce in un contesto (anche dettato dalla propria interiorità) che lo fa tendere a ciò che "non è virtuoso"? Mah... altro mistero della vita
sono considerazioni come questa che mi fanno pensare che "qualcosa" di "oltre" ci sia.""
Anzitutto introduco il tutto dicendo che non era niente di che, appunto sono quei malanni che tra autunno e primavera vengono e vanno (anch'essi sono piuttosto impermanenti e fugaci, tant'è che da piccolo cercavo di "studiare" le sensazioni che mi provocavano e cercavo di trovarne una regolarità nel loro comportamento - ovviamente i risultati di quelle ricerche erano piuttosto modesti
)
Leggendo il tuo ultimo messaggio mi sono reso ancora più conto di quanto "sono misero" (
). Ieri mi pareva che stesse arrivando una sorta di "parainfluenza" ma oggi come un bolla si è dissolto, sto meglio ecc. Ebbene per quanto riguarda la respirazione ieri era un po' difficoltosa e quindi questo mi distoglieva l'attenzione. Il problema è che seppur credo che sia vero quanto tu dici, ossia che il dolore può essere utilizzato come strumento di meditazione. Eppure ritengo che sia molto difficile. E anzi o malattie o circostanze di vario tipo possano impedire la pratica meditativa (sia laica che monastica. Monastica soprattutto visto che le regole mi paiono molto ferree. Ovviamente hanno chiaramente un loro senso
). Per questo motivo mi è venuta in mente l'idea per cui il ciclo delle rinascite possa essere visto nel buddhismo come una sorta di "corso pedagogico", ossia che finché non siamo davvero pronti dobbiamo rinascere. Poi ad un certo punto si può sperare almeno nell'Entrata nella Corrente. Ma l'austerità del buddhismo da questo punto di vista non sembra scendere a compromessi. Quasi che dicesse: muoviti a fare tutto adesso altrimenti poi potranno passare molti kalpas prima di ....
o forse mai
in ogni caso questo è in parte il discorso che mi ha fatto pensare che anche nel buddhismo c'è una sorta di "Fato" come per esempio la ciclicità del Dhamma, i buddha passati e futuri... Ossia che la realtà è "densa". E forse prima di poter "liberarci dell'io" forse si deve arrivare a "raffinare" il suo senso di identità e di appartenenza. Solo allora forse sarà pronto per...
Sulla questione della morte. Sì concordo che c'è una differenza e che tale differenza con le culture abramitiche. Assumo che una visione simile la abbiano anche il daoismo e il buddhismo (almeno lo Zen visto che Dogen dice che "La Natura di Buddha è l'Impermanenza" ma anche Nagarjuna secondo cui "i limiti del samsara sono i limiti del nirvana") Tuttavia ci sono anche somiglianze almeno con l'unica che in parte conosco, il cristianesimo. Per esempio il "Re della Morte", Mara, è "l'ultimo nemico" e il Nirvana è descritto come "il senza-morte". Descrizione simili per Dao e Brahman. Ad ogni modo la differenza potrebbe essere questa: mentre per gli orientali il "nemico" sono le nostre stesse illusioni, per la visione abramtica è "un altro" e lo stesso vale per l'Amico. L'Alterità, il riconoscimento dell'"io-tu", ossia il valore alla persona nella sua unicità e nella sua particolarità è un tema assai sviluppato nelle religioni abramitiche mentre la "dissoluzione", il raggiungere lo stato del "legno non scolpito" è il tema delle cosiddette "vie di liberazione". Espresse in questo modo la loro visione è completamente diversa. Ma a mio giudizio questa diversità rende ancora più "stravolgenti" le somiglianze inattese
P.S. Rispondendo al tuo "P.S." no purtroppo non so nulla.

"D'altronde credo che sia un problema millenario: ok conosciamo cosa significa essere "virtuoso" ma è evidente che molti "in questa vita" (ossia per gli anni che abbiamo a disposizione) non riusciranno mai ad essere virtuosi visto che in ogni caso non è ovviamente facile come "cammino". D'altro canto però è anche bene avere come obbiettivo "la virtù" altrimenti si rischia che l'"uomo tirannico" che è in noi - usando l'espressione di Platone - agisca in modo indisturbato. Qualche mese fa leggevo su internet se i buddhisti ritenevano che "il Risveglio" è questione o meno di fortuna (visto che in pochi in questa vita si liberano) ? La risposta se non ricordo male era che ciò era in parte vero ma veniamo salvati da tale "sfortuna" dal fatto che "la morte non è la fine". Analogamente anche Kant "postulò" una vita dopo la morte per questo motivo (o un motivo simile). D'altronde a meno che per dire non siamo già "predisposti" il divenire "perfetti" per noi è un'impresa se non impossibile, davvero difficile (e anche si va per certi versi a "fortuna". Per esempio se domani un asteroide cadesse vicino a dove abito, non credo che mi rimarrebbe quel poco di comportamento "virtuoso" che ho (o credo di avere


Anzitutto introduco il tutto dicendo che non era niente di che, appunto sono quei malanni che tra autunno e primavera vengono e vanno (anch'essi sono piuttosto impermanenti e fugaci, tant'è che da piccolo cercavo di "studiare" le sensazioni che mi provocavano e cercavo di trovarne una regolarità nel loro comportamento - ovviamente i risultati di quelle ricerche erano piuttosto modesti

Leggendo il tuo ultimo messaggio mi sono reso ancora più conto di quanto "sono misero" (




Sulla questione della morte. Sì concordo che c'è una differenza e che tale differenza con le culture abramitiche. Assumo che una visione simile la abbiano anche il daoismo e il buddhismo (almeno lo Zen visto che Dogen dice che "La Natura di Buddha è l'Impermanenza" ma anche Nagarjuna secondo cui "i limiti del samsara sono i limiti del nirvana") Tuttavia ci sono anche somiglianze almeno con l'unica che in parte conosco, il cristianesimo. Per esempio il "Re della Morte", Mara, è "l'ultimo nemico" e il Nirvana è descritto come "il senza-morte". Descrizione simili per Dao e Brahman. Ad ogni modo la differenza potrebbe essere questa: mentre per gli orientali il "nemico" sono le nostre stesse illusioni, per la visione abramtica è "un altro" e lo stesso vale per l'Amico. L'Alterità, il riconoscimento dell'"io-tu", ossia il valore alla persona nella sua unicità e nella sua particolarità è un tema assai sviluppato nelle religioni abramitiche mentre la "dissoluzione", il raggiungere lo stato del "legno non scolpito" è il tema delle cosiddette "vie di liberazione". Espresse in questo modo la loro visione è completamente diversa. Ma a mio giudizio questa diversità rende ancora più "stravolgenti" le somiglianze inattese

P.S. Rispondendo al tuo "P.S." no purtroppo non so nulla.