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Messaggi - 0xdeadbeef

#601
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
08 Novembre 2018, 20:07:14 PM
A Sariputra a Lou
Come può essere, la verità, indipendente dal pensato se anch'essa è un pensato (e lo è necessariamente)?
Bisognerebbe allora almeno dire qualcosa sul rapporto che lega la verità al soggetto che la pensa, e
magari arrivare a dire il "perchè" un pensato non equivale all'altro (cioè perchè un pensato è vero e un
altro è falso).
Ma non si può prescindere dal fatto, inoppugnabile, che la verità è un pensato.
Proprio Kant, ritengo, può dirci qualcosa su questo "perchè" un pensato non equivale all'altro, e ce lo
dice con il concetto di "cosa in sè" (che non so se coincida con l'"essere" affermato da Lou...)
La cosa in sè è per Kant la verità oggettiva; è quel qualcosa che, pur pensato, "esiste" anche senza il
pensiero che lo pensa.
Proprio tale mera "esistenza" fa sì che quel "qualcosa" (la cui affermazione è affermazione di verità) non
sia una costruzione del soggetto che lo pensa (come sarà per l'Idealismo), ma sia qualcosa che "è".
Pur nella radicale inconoscibilità ultima di questo qualcosa (in quanto pensato), rimane però un residuo
di conoscibilità nella "catena segnica" degli interpretanti che hanno pensato questo qualcosa.
Questo vuol dire che la "catena segnica" può essere "percorsa", cioè vuol dire che della verità è possibile
conoscere almeno la "direzione".
saluti
#602
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 15:10:39 PM
@ Ox

Perchè FN pone la distinzione. Da un lato la forza vitalistica, dall'altra il ressentiment. Anch'io penso sia un approccio sbagliato, carico di pregiudizi di classe.

Certo, ed è appunto per questo che dicevo della vdp "da un altro punto di vista".
saluti
#603
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
07 Novembre 2018, 16:15:28 PM
Citazione di: Sariputra il 07 Novembre 2018, 15:19:40 PM
La verità è ciò che è vero indipendentemente da un soggetto che lo pensa. Esempio terra terra: Se Dio esiste è vero sia per me che per un pinguino del Polo Sud: se non-esiste  è  vero sia per me che per un pinguino del Polo Sud.



Ciao Sariputra
Con il termine "segno" (linguistico o meno) io intendo un "contesto".
Nell'esempio che ho fatto, all'interno di un certo contesto l'azione di Mimmo Lucano è stata illegittima (non lo è stata
all'interno di un altro contesto).
Mi sembra tu dica: "se Dio esiste, esiste sia per me che per un pinguino del polo sud" (e viceversa). Ma con questo tu
non stai affermando un qualcosa di vero o di falso, ma stai facendo soltanto una implicazione logica del tipo: "se...
allora".
Nel momento che passassi ad una proposizione (ad esempio: "Dio esiste, dunque esiste sia per me che per un pinguino del
polo sud"), automaticamente rientreresti in un contesto, o segno linguistico che dir si voglia (il contesto di coloro
che ritengono vera l'esistenza di Dio).
saluti
#604
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
07 Novembre 2018, 13:54:38 PM
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 09:21:01 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Novembre 2018, 19:53:00 PM
La verità è per me (come per Kant) la corrispondenza dell'oggetto di conoscenza con la "regola" che un certo linguaggio
(cioè un certo "segno") ha posto come criterio di verità.

La "regola" può essere costituita anche da elementi molto "materiali", come il codice penale, in cui il "segno" lascia indubbiamente un segno.
Passando dall'estensione fenomenica delle verità alle loro caratteristiche intensive comuni si distinguono altre pluralità:



In conclusione, la verità, come ente unico, ha poche possibilità di sopravvivenza. Rimane una cosa molto seria, a prova di banalizzazioni individualistico-miliardarie, ma è plurale e contestuale (come l'etica). La verità può essere unificata solo nel sancta sanctorum semantico del "concetto". Ma, come rammenta il filosofo che scrisse le canzoni a Gaber:


Beh, diciamo che secondo la visione kantiana (che ho fatto mia) la verità "oggettiva" è la cosa in sè, che è inconoscibile.
L'unica cosa conoscibile è perciò una verità, per così dire, "soggettiva", che è appunto la conformità di ciò di cui
affermiamo la verità con un certo "segno" linguistico (qui inteso in senso semiotico).
Ad esempio, rifacendomi al post su Mimmo Lucano sindaco di Riace, potrei dire che la verità secondo il "segno" del Diritto
della Repubblica Italiana è che Lucano ha agito illegittimamente. Mentre, ed è evidente, secondo il "segno" di una certa
moralità (ad esempio quella cristiana) Lucano ha agito in maniera assolutamente legittima.
E' inutile cercare la verità oggettiva (o cosa in sè); perchè essa, pur non essendo una chimera, è conoscibile solo per
mezzo di un segno linguistico (ai posteri se ciò significa inesistenza o meno...)
saluti
#605
Ma perchè parlare di una vdp plebea o patrizia? Sono forse plebei quei lupi che aggrediscono la preda in branco?
E poi cosa significano la dignità e l'individualità ove correlate alla vdp? Per come io la intendo la vdp è collettiva
laddove la vdp individuale pensa la vdp collettiva come più efficace di quella individuale (che è null'altro che una
circonlocuzione per dire "volontà di potenza", visto che questa si pone come suo scopo precipuo l'aumento indefinito
di se stessa).
saluti
#606
Tematiche Filosofiche / Re:Cos'è la verità
06 Novembre 2018, 19:53:00 PM
Citazione di: baylham il 06 Novembre 2018, 15:08:41 PM
Inizierei dalla premessa che la verità ha a che fare con la semiotica, col linguaggio.



Mi sembrerebbe evidentissimo...
La verità è per me (come per Kant) la corrispondenza dell'oggetto di conoscenza con la "regola" che un certo linguaggio
(cioè un certo "segno") ha posto come criterio di verità.
saluti
#607
Ciao Ipazia
Ti copio-incollo quello che è stato il pensiero alla base di questo post:
"La volontà di potenza, dunque, come "motore primo" di QUALSIASI agire o pensare umano; come ciò che vi è di unitario
nel molteplice, in definitiva come vera e propria "sostanza" o "essere" (per usare una terminologia classica della
metafisica).
A me sembra un'ipotesi da non escludere (una ipotesi che, fra le altre cose, va per così dire ad
armonizzarsi con l'ipotesi heideggeriana dell'essere come "physis" (chiaramente dopo la cosiddetta "svolta").
La volontà di potenza è dunque l'Essere che la filosofia cerca da millenni? Non lo so, ma mi sembra affascinante...".

E altrove sul bene e sul male:
"Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone".

Dal punto di vista che cerco di focalizzare, cioè, la volontà di potenza non è "semplicemente" la legge del più forte così
come data ad intendere da una certa lettura dell'evoluzionismo darwiniano (che dà ad intendere pure che il forte sia il
migliore...), ma che sia davvero il "primum assoluto", il "sostrato" originario nel quale non è data distinzione alcuna
(ad esempio fra migliore e peggiore, ma nemmeno fra forte e debole, la cui definizione è semmai posteriore al
confronto fra le volontà di potenza - cioè quando tale confronto ha già dato un esito).
saluti
#608
Ciao Donquixote
Beh, diciamo che Marx segue per me lo stesso "destino" di quasi tutta la filosofia occidentale...
Chiaramente anche per Marx l'oggetto è "cosa" (è cioè "nelle mani" del soggetto, che la crea e la distrugge a suo
piacimento), e chiaramente anche per lui la storia è "progresso" (evidente in ciò l'elemento religioso).
Non condivido piuttosto l'idea, che tu attribuisci a Marx, di una "rivoluzione ininterrotta" (io vedo in essa
piuttosto echi "camusiani", ma è noto che A.Camus non è stato proprio un marxista "ortodosso").
Insomma, è chiaro che per Marx la "rivoluzione" finisce nell'"eden" rappresentato dal comunismo...
Se poi questo voglia dire "irresistibile tensione verso il nulla" non saprei; certo dipende dai punti di vista.
Il "capitalismo liberale" oggi non è più quello di Stuart Mill (che vuol dire non è più quello che persegue il
massimo benessere per il maggior numero di persone).
Questa è una concezione obsoleta del liberalismo; una concezione in cui l'autorità statuale aveva ancora un forte
peso, condizionando se non determinando le scelte economiche secondo un preciso piano politico.
Molto diversa è la situazione dell'oggi, soprattutto a seguito delle teorie "spontaneistiche" della Scuola
Marginalista (che almeno per il momento evito di illustrare), con la riduzione delle "vecchie" politiche
economiche statuali a "lacci e lacciuoli" (come nella celebre espressione di Ronald Reagan).
Queste teorie non prevedono alcuna "redistribuzione" del benessere, né fra tutti né fra il maggior numero
di persone (tant'è che un numero irrisorio di individui è arrivato a possedere enormi percentuali di ricchezza).
saluti
#609
Citazione di: donquixote il 05 Novembre 2018, 04:37:17 AM
Io volevo trattare questo argomento dal punto di vista filosofico, ovvero dal punto di vista delle idee che poi hanno ispirato i vari tentativi di costruzioni di società ispirate da quelle idee, e non certo parlare di mera organizzazione dei rapporti economici e gestione dei mezzi di produzione, perchè allora il discorso essenziale si fa più semplice e verte solo sull'efficienza dei due sistemi, e indubbiamente il sistema capitalistico è ben più efficiente, economicamente parlando (ovvero di mera produzione di "ricchezza" materiale) di quello socialista.

Ma siccome a me dell'economia non interessa nulla intendevo contestare i principi sui quali si basano le idee di Marx


Ciao Donquixote
Non entro tanto nel merito di quanto esprimi (già ho risposto, e già ti ha risposto Paul11, sulle cui considerazioni
io concordo), quanto vorrei fare un appunto sulle premesse a quanto esprimi.
Prima di tutto non puoi dire: "a me dell'economia non interessa nulla (volevo trattare questo argomento dal punto
di vista filosofico)", perchè se la filosofia è quel che è allora di essa fa parte l'economia, che quindi è in
tutto e per tutto filosofia.
Distinzione capziosa? Ritengo non tanto; perchè se, soprattutto nel caso in questione, si vuole parlare della
filosofia di Marx si è costretti anche a parlare di economia (che nel suo caso in particolare è parte integrante della
visione filosofica).
Quando parli di "efficienza" del sistema capitalistico come "mera produzione di ricchezza materiale" dici a mio parere
una cosa troppo generica (oltre che molto discutibile).
Se la definizione di "efficienza" è questa (Treccani): "capacità di rendimento e di rispondenza ai proprî fini", allora
io ti dico che il sistema capitalistico produce ricchezza materiale per pochi mentre affama i molti.
Questo vuol ancora dire che per i "molti" il sistema capitalistico non è affatto efficiente.
saluti
#610
Citazione di: paul11 il 05 Novembre 2018, 01:25:27 AM

Il problema è: è ancora centrale il luogo di produzione da un punto di vista della classe come identificativa per la lotta di classe, o si trova fuori, sul territorio, fra i disoccupati, nei palazzoni delle periferie, in mille negozietti e centri commerciali con contratti "volatili" se non in nero? La lotta di classe diventa massa critica se ha una consistenza identificativa che allarga il consenso, diversamente vince la frammentazione individualistica, dove ognuno è perso nei suoi casi umani o dove si suicida.


Ciao Paul
Sono in linea di massima d'accordo, perchè un elemento a mio parere fondamentale è riscontrabile nel momento in cui
si pensa al "luogo" come all'unità embrionale ove nasce e si sviluppa il corpus normativo.
Da questo punto di vista, la "classe" materialistica è un "luogo" storicamente perdente laddove, dicevo, già nell'
URSS di Lenin era chiaro l'emergere del "soggetto-partito" (lampante poi nel "soggetto-stato" staliniano).
Non è dunque Marx a, per così dire, salire sul banco degli imputati (di miopia politica), quanto i suoi mediocri
epigoni (parlo soprattutto dei pensatori), che non sapendo vedere il non realizzarsi storico della "classe" non
hanno saputo vedere la conseguente contradditorietà del pensare il marxismo in modo scientifico (probabilmente
la lotta per il potere politico non ha nemmeno permesso uno svilupparsi coerente del pensiero).
Oggi sono individuabili due "luoghi" da cui hanno origine due diversi sistemi normativi.
Il primo "luogo" è quello largamente dominante dell'individuo. Ed il "corpus normativo" che da questo "luogo"
scaturisce è quello che nel tardo medievo chiamavano "lex mercatoria" (penso sia superfluo chiarire...).
Il secondo "luogo" è emerso di recente, ed è il "popolo" nel modo cui lo intende il "sovranismo".
Non vedo, almeno per il momento, nessun "embrione" di normatività nel "luogo" rappresentato dai disoccupati,
dai palazzoni delle periferie, dai mille negozietti etc.
Personalmente, è questa considerazione che mi ha spinto a guardare con simpatia al "populismo" (naturalmente
neppure considero la "sinistra" attuale, che non avendo "luogo" ne assume necessariamente uno dei due da me
sommariamete descritti - chiaramente il primo)
saluti
#611
Citazione di: paul11 il 04 Novembre 2018, 13:46:23 PMciao Mauro(Oxdeadbeef)
penso di aver capito il nocciolo della tua argomentazione: la persona umana.



Ciao Paul11
Il nocciolo della mia argomentazione è l'emergere del soggetto (che non è né bene né male: "è").
Un emergere del soggetto che né Marx né tantomeno i suoi mediocri epigoni hanno colto, come sostengo nella risposta
all'amico Donquixote (cui ti rimando per i particolari).
In realtà, come dico in quella risposta, Lenin prima e, soprattutto, Stalin poi hanno avuto "sentore" della
soggettività storica, ma l'impalcatura teoretica e prasseologica del marxismo, impregnata di "oggettività" (e
quindi di "scientificità") ne hanno impedito quello sviluppo che sarebbe stato naturale conseguenza di una
concezione "storica" del materialismo.
Le conseguenze pratiche di questo fallimento teoretico sono sotto gli occhi di tutti (almeno di coloro che ce
l'hanno, gli occhi...). Nel totale oblio della "coscienza di classe", cioè nel totale oblio dell'"oggetto- classe",
ad emergere nella sfera internazionale (una sfera che, ovviamente, nega il soggetto-stato), cioè nella sfera chè
è propria della "sinistra politica", è l'individuo con il suo strumento più efficace nel dirimerne le controversie:
il mercato.
saluti
#612
Citazione di: anthonyi il 02 Novembre 2018, 18:58:21 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 02 Novembre 2018, 14:44:44 PM



Tutela del risparmio e credito alle aziende dovrebbero essere pertinenza di istituti nazionalizzati o

Ciao 0xdeadbeef, io potrei anche essere d'accordo, in realtà l'attività bancaria è un settore nel quale la creatività imprenditoriale non è un vantaggio. Ti pongo però una domanda, il credito alle aziende, cioè quanti soldi prestare a ciascuna azienda, chi lo decide e secondo quali criteri. Come facciamo ad impedire che qualche azienda poco seria allunghi una mazzetta all'amministratore di turno per farsi prestare soldi per i quali non offre garanzie adeguate e che non intende restituire.
Un saluto

Ciao Anthony
Mah, secondo il modello che dicevo il credito ad aziende che non possono offrire garanzie potrebbe continuare ad
essere erogato nelle medesime condizioni cui è erogato adesso (voglio dire che nazionalizzato o a stretto controllo
pubblico dovrebbe essere solo il credito ad aziende che possono offrire garanzie di solvibilità).
Quanto alle mazzette beh, si tratta di un reato penale e come tale dovrebbe essere trattato...
Non credo di proporre chissà che di rivoluzionario; anche il liberale Paul Krugman dice queste cose...
saluti
#613
Citazione di: donquixote il 04 Novembre 2018, 03:46:24 AMAltrove avevo tracciato dei parallelismi fra il pensiero liberalcapitalista e quello comunista (con particolare riferimento ovviamente a quello espresso da Marx ed Engels che pare ancora essere, filosoficamente, imprescindibile); l'ovvia conclusione è che il comunismo ha perso, ma il pensiero di Marx ha vinto, sia pur sotto mentite spoglie. Li ripropongo qui.
Quella di Marx è "filosofia della prassi": nell'undicesima tesi su Feuerbach, che è stata riportata anche sulla sua lapide, afferma che più che interpretare il mondo bisogna trasformarlo. Il liberalcapitalismo esalta proprio l'azione, la trasformazione e l'innovazione costante, lo spirito d'impresa, il lavoro, la "cultura del fare", il progresso, lo sviluppo, la crescita, quindi condivide questa impostazione.


Ciao Donquixote
Beh sì, vi sono certamente dei parallelismi fra il pensiero "liberalcapitalista" e quello "comunista-marxiano"; ma
sono dati essenzialmente dall'essere entrambe le dottrine parto della "weltanschauung" occidentale (cioè sono
parallelismi che, ritengo, "non potrebbero non esserci").
Voglio dire che, alla fine, vedervi un parallelismo nella "filosofia della prassi" è vedere un parallelismo fra,
che so, Platone, Kant, Hegel, Nietzsche e quanto di più "diverso" vi possa essere nel pensiero occidentale.
Per come la vedo io, il pensiero di Marx (altre letture del "comunismo" mi sembrano non so se più semplicistiche o
contraddittorie) "perde storicamente" perchè non sa vedere il progressivo emergere del soggetto nella storia.
Tale miopia porta, prima, Marx a teorizzare un valore economico del "bene" come valore-lavoro (e, ricordiamo, su
questo concetto Marx costruisce gran parte di tutta la sua teoria sociale, economica e politica), poi i suoi
epigoni a teorizzare (assurdamente) un materialismo "scientifico" (e contro lo stesso Marx, che parlava piuttosto
del materialismo come "storico").
Questo non vedere il "soggetto" come sempre più protagonista della storia ha fondamentali ripercussioni pratiche.
Considerato che all'interno della stessa URSS ben presto ci si rende conto della imprescindibilità del "soggetto"
(chiaramente mi riferisco alla diatriba fra la materialità della "classe" e la storicità del "partito" così come
venuta a costituirsi nella contrapposizione fra Trotzskij e Stalin).
Ciò vuol dire che anche all'interno della nomenclatura sovietica si "vede" il progressivo emergere nella storia del
soggetto (qui occorrerebbe una digressione sulla statura filosofico-politica di Stalin, che contrariamente a quel
che si pensa non fu da poco...), ma non lo si sa per così dire "gestire", perchè ancora e "fatalmente" legati
ad una concezione oggettiva delle cose (che si esprime soprattutto nel valore come valore-lavoro).
Una volta crollata l'URSS (cioè una volta crollato il "soggetto-stato" che essa impersonava), ciò che resta è lo
sterile materialismo della "classe". Un materialismo che, trasportato su un piano internazionale ove nessun
soggetto sembra più riconoscere di appartenere ad una "classe" (mancanza della coscienza di classe), lascia campo
libero alla più spietata concorrenza fra individui (come è nel liberalcapitalismo globale).
Ma chiaramente è un discorso molto lungo (e anche discretamente complesso).
saluti
#614
Citazione di: paul11 il 03 Novembre 2018, 00:21:16 AMciao Mauro(Oxdeadbeef),
non avevo intenzione di estremizzare il concetto, ho solo fatto seguito al tuo esempio.Nessuno è scemo, intendevo solo dire che ciascuno di noi pensa ad un rapporto qualità/prezzo e fa delle scelte.Queste scelte quanto siano razionali o meno è studiato e testato come "qualità percepita" che non è detto che corrisponda a  quella "vera".


Ciao Paul
Il tuo ragionamento mi ricorda una mia "protoriflessione", che da ragazzino facevo sulla televisione.
Sentivo da tutti dire che la televisione era uno strumento di rincoglionimento (parlo dei primi periodi della
TV commerciale), ma io mi chiedevo se in realtà non fossero i gusti delle persone a rincoglionire la TV...
Evidentemente (poi chissà quanto "evidentemente"?), per così dire, la circolazione è a doppio senso. La TV
rincoglioniva ed era al medesimo momento rincoglionita, in un movimento in cui non è facile rilevare la causa
e l'effetto.
Lo stesso discorso mi sembra valere per il "marketing" e le scelte dei clienti. Il "marketing" sicuramente
costruisce i gusti; ma mi sembra al medesimo tempo costruito, esso, dai gusti e dalle scelte.
Ma quando, il "marketing", diventa elemento causale "unico" senza vi sia una, chiamiamola, "contaminazione" con
l'elemento effettuale (i gusti e le scelte dei consumatori)? Ovviamente quando si presuppone una rigida
distinzione, che è tutta da dimostrare, fra causa ed effetto. La qual cosa ci rimanda però ad una visione, io
direi "precartesiana", nella quale l'oggetto è "dato" nella sua fissità, ed il soggetto ne può solo prendere
atto.
Io credo sia questo il meccanismo che poi spinge, addirittura, a parlare di "proprietà organolettiche" nella
scelta di un olio d'oliva...
Non è evidentemente così. La scelta che come consumatore faccio dell'olio è, sì, basata sulle proprietà
organolettiche (che presumo superiori in un olio di prezzo superiore), ma è basata anche sul profumo, sul
sapore; ed infine ANCHE, perchè no, su quell'elemento emozionale tramessomi dalla dicitura "olio italiano"
(confermata dai marchi di indicazione geografica).
Ecco dunque quella soggettività della scelta; quella, forse, irrazionalità di fondo che sempre accompagna
l'"essere" dell'uomo (e che lo fa diverso dalla oggettività dell'animale).
Ero forse, tanto per fare un altro esempio, mosso da perfetta razionalità economica quando, lo scorso inverno,
compravo i prodotti della Melegatti (panettoni e pandori notevolmente più cari di quelli della concorrenza)
rilevata dagli operai a seguito del fallimento?
E allora, tornando "a bomba" sui concetti di valore-lavoro e valore di scambio, io non capisco come possa essere
tanto difficile rendersi conto che oggi il valore di un bene economico è soprattutto il valore di scambio che
ad esso attribuiscono gli attori del rapporto economico (e che ciò non è né giusto né sbagliato, ma semplicemente è).
Mi chiedo di nuovo: è scemo chi compra uno smartphone da mille e passa euro? Sì, magari anche per me è scemo (io
neanche ce l'ho lo smartphone), ma prima di teorizzare la società dei non-scemi (degli automi che, ad esempio,
guidicano l'olio d'oliva dalle sue proprietà organolettiche); la società basata sulla perfetta oggettività del
valore economico (quindi del valore-lavoro); ci penserei molto bene...
Perchè voler cancellare quella che chiamavo "emozionalità" dei gusti e delle scelte vuol dire in fondo voler
cancellare la stessa individualità.
saluti
#615
Citazione di: paul11 il 02 Novembre 2018, 18:48:34 PM
ciao Sgiombo,
sono pro Gramsci e non togliattiano e se questo vuol dire essere anticomunista?

ciao Mauro(Oxdeadbeef),
non se ne esce dal tuo discorso se non si conoscono le tecniche di marketing ,nelle cosiddette aziende di processo.
Forse Steve Jobs è stato un genio dell'ingegneria dei computer, sicuramente lo è stato nella comunicazione pubblicitaria..
Perchè non vende un semplice prodotto, vende un "immagine" che ha colpito il consumatore e che è disposto a pagare di più un qualcosa che ritiene status symbol,Per questo i prodotti industriali sono "metafisica".



Ciao Paul
Nè io né mia moglie conosciamo le proprietà organolettiche di quegli olii. Ma io, a differenza di mia moglie (che
non legge mai questi miei interventi...), ho naso fine e palato.
Voglio dire che tutto il tuo discorso si basa su un presupposto: voi siete tutti scemi e vi fate abbindolare.
Non che il presupposto del tuo discorso sia completamente sbagliato, intendiamoci (avendo "letto" molto sono anch'io
molto presuntuoso, e posso capire...). E' che, come dire, non si deve dire (anche perchè non è poi nemmeno del tutto
esatto).
Ora, io posso anche "giudicare" uno che compra uno smartphone a mille o più euro, ma fin dove "arrivare" con tale
giudizio? Va bene, sarà scemo, senz'altro; ma gli voglio impedire di comprarlo? E con quale diritto?
Ma dove voglio, appunto, "arrivare" con il mio giudizio? Voglio forse costruire la società degli intelligenti
perfetti che usano smartphone da 50 euro magari aspettando un successivo moralista che eliminerà dalla faccia della
terra ogni smartphone e ci farà andare in giro tutti in divisa?
Sul costo del lavoro sì, sono d'accordo che non incide poi "tanto" sui prezzi (infatti da molto tempo gli imprenditori
italiani non dicono nulla su questo aspetto), ma il problema sembra diventato, soprattutto da quando le nostre aziende
sono passate in mani straniere, che anche laddove si può risparmiare un centesimo lo si fa.
Vi sono innumerevoli esempi di aziende che, pur in presenza di bilanci in attivo, hanno deciso di spostare la
produzione dove il lavoro costa meno (dopo, devo dire, diversi anni in cui questo succedeva molto raramente).
Dunque, voglio dire, aveva ragione Marx quando parlava di costi fissi (e in fondo anche il costo del denaro rientra fra
questi, non credi?) che tendono, nel tempo, a livellarsi lasciando il profitto al solo "plusvalore"? Beh, non so,
sicuramente, dicevo, quando viene a mancare la "nicchia di mercato" (il valore aggiunto) nell'arena globale la
competizione diventa davvero "all'ultima goccia di sangue"...del lavoratore.
saluti