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Messaggi - Eutidemo

#6001
Citazione di: sgiombo il 06 Novembre 2016, 10:21:25 AM
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM

Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

CitazioneE infatti quella dell' ottemperanza alla "legge" (in senso lato: alle decisioni "legali" che in sostanza venivano fatte risalire direttamente a Hitler) é stata la principale "scusante" dei propri comportamenti avanzata in sede legale (in qualche caso anche in sede puramente etica) dai principali gerarchi nazisti sconfitti e non suicidatisi.

P.S.: Mi sia concesso complimentarmi con Eutidemo per la sua notevolissima competenza (va beh, essendo "del mestiere" può essere considerata ovvia; però personalmente conosco non pochi colleghi -miei- che in pratica "se la cavano" senza una grande preparazione professionale) e chiarezza di esposizione e argomentazione (e questa non é scontata).
(Fine sviolinata; peraltro sincera. Spero prima o poi di dissentire anche con lui per poterlo un po' anche "maltrattare dialetticamente" e naturalmente essere ripagato della stessa moneta; non mi va di passare per "buonista").

Ti ringrazio molto per gli (immeritati) complimenti.
Ma, secondo me, qui non siamo "in gara" per far prevalere dialetticamente la nostra tesi; come è invece (anche deontologicamente) necessario in un'aula di giustizia...o in politica!
Qui, invece, io cerco -come ho già detto in un'altra discussione- di attenermi il più possibile ai principi dialogici della c.d. "Nuova Scuola di Francoforte", ed in particolare al primo (Giustezza-Richtigkeit); che è il più difficile da osservare.
Esso, infatti, prescrive di rispettare sempre  le norme della situazione argomentativa, e, cioè, di cercare di capire VERAMENTE le tesi altrui; e, eventualmente di ritirare o correggere le proprie, qualora si siano dimostrate false o, comunque, opinabili.
Ma, come ho detto, la cosa non è affatto facile!
:)
#6002
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 23:31:16 PM
Le autoautomobili... un altro di quegli effetti da baraccone delle meraviglie che la tecnologia è sempre ben felice di fornirci per fare soldi. Non vedo proprio quale utilità possano avere o quale bisogno soddisfare: se si voleva salire su un auto comunicando solo la destinazione per arrivarci, dopotutto ci sono già i taxi (per non parlare dei sistemi di trasporto collettivo come autobus e treni che un tempo facilitavano anche il contatto sociale, finché non sono stati inventati gli smartphone) con un autista a cui si può demandare ogni problema morale sulla guida confidando nel suo limbico agire umano che sicuramente crea molti meno problemi e sorprese di una morale programmate algoritmicamente a tavolino. Google comunque ci conta, proprio come ai suoi tempi il grande Barnum con il suo circo, e c'è davvero da contarci, la idiozia della clientela aumenta progressivamente con l'offerta tecnologica di cui non si finisce comunque con il non poterne fare a meno. per quanto demenziale inizialmente si presenti.
L'aspetto della programmazione della morale resta forse l'unico aspetto interessante della questione, l'umanità farà da cavia per un'etica algoritmicamente evolutiva in fase sperimentale.


In effetti, anche io sono alquanto stordito e infastidito da questa "profluvie" di novità tecnologiche che ogni giorno ci sommergono sempre di più; le quali, tra l'altro, hanno spesso anche il dannoso effetto collaterale di aumentare la disoccupazione.
Una volta adeguatamente commercializzate, infatti, le "autoautomobili" potrebbero mettere "fuori mercato" i tassisti; e gli autisti in generale...con il relativo indotto.
Ma temo che sia inutile opporsi alle "magnifiche sorti e progressive" delle umane genti; i "lai" di quelli che Orazio chiamava "laudatores temporis acti", invero, non hanno mai sortito effetto alcuno.
Tanto vale consolarsi pensando agli aspetti positivi: ed infatti, almeno, si potrà andare in giro con la propria automobile, anche se completamente sbronzi...senza il rischio che ci tolgano "punti patente".
:D

Già...ma una volta che le le "autoautomobili"  avranno preso definitivamente piede, per "guidare" la patente non servirà più a niente: con conseguente chiusura anche delle autoscuole.
:-\
Sono nato su un pianeta molto diverso da questo; ma credo che, tra non molto, mi toccherà morire su un altro ancora!
:-[
#6003
Citazione di: maral il 05 Novembre 2016, 19:31:23 PM
Citazione di: Eutidemo il 04 Novembre 2016, 07:49:52 AM
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
Trovo che la tua osservazione sia fondamentalmente giusta, anche se alla base sia della "coscienza personale" che della legge scritta  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni, è infatti questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. In realtà la scelta tra uno o un altro modo di fare non dipende fondamentalmente né da una coscienza personale del soggetto né da ciò che sta scritto in oggetto di norma, essendo sia la coscienza personale che lo scritto modi diversi di tradurre l'esperienza culturale e sociale da un lato per riconoscerla nella propria vita concreta insieme agli altri, dall'altro per preservarla definendola nel modo meno ambiguo possibile e quindi astratto, di principio.
Mi sembra interessante filosoficamente richiamare qui il famoso dialogo di Platone "Critone", ove appunto Critone, amico e discepolo di Socrate, si presenta a Socrate condannato a morte per empietà, proponendogli di fuggire (fuggire alle leggi sulla base delle quali  era stato giudicato ingiustamente reo). Le ragioni morali che Critone presenta sono tre: non fuggendo Socrate farebbe torto a se stesso (egli infatti è innocente), farebbe torto ai suoi figli che verrebbero di lui privati, farebbe torto ai suoi amici che perderebbero ogni pubblica considerazione non avendo fatto tutto il possibile per salvarlo. Socrate risponde che la pubblica considerazione non è un criterio sufficiente a stabilire ciò che è giusto o no fare, ma il ragionamento corretto e per questo immagina che siano le Leggi stesse a venire a chiedergli: chi si occupato della tua nascita e di quando eri bambino? Sei soddisfatto del modo in cui si celebrano i matrimoni nella tua città? Chi ti ha allevato? Chi si occupa di ciò che accade nella Città?
In questa "Prosopopea" Le Leggi ricordano a Socrate che esse offrono cura a ogni individuo della comunità affinché la comunità stessa con la sua possibilità di cura possa preservarsi, quindi non è bene sottrarsi ad esse per motivi soggettivi proprio in ragione di questa cura (epimeleia). Ma proprio in quanto la ragion d'essere delle leggi sta nella cura (una sorta di profilassi terapeutica) non penso che vadano accettate semplicemente della loro lettera che vuole fissarle formalmente, ma sempre pubblicamente comprese, condivise e rimesse anche coraggiosamente in discussione in nome della verità della cura per come si realizza nella vita di ogni individuo della comunità, a partire dal proprio quotidiano sentire per come trova riscontro pubblico.
Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica.

Sono fondamentalmente d'accordo quasi su tutto.
Ed invero, non c'è dubbio che, in buona parte, sia alla base della "coscienza personale", sia alla base che della "legge scritta",  si debba considerare il contesto sociale di cui l'una e l'altra sono espressioni; ed infatti, in non piccola misura, è questo contesto sociale che determina il prevalere della posizione che privilegia il formalismo oggettivante e pubblico della norma per prenderla a definizione, oppure quella che rimanda alla problematicità individuale del significato di ciò che sta scritto per tutti. 
Ma, a mio avviso, non si riduce tutto a questo.
Ed infatti è frequente riscontrare che persone che provengono dallo stesso contesto socio-culturale (ad esempio dei fratelli), sul tema, hanno atteggiamenti COMPLETAMENTE diversi; ciò che influisce sulle scelte personali, infatti, è anche l'"individuale" esperienza coscienziale, e lo sviluppo di "proprii" ragionamenti e convinzioni maturate nel tempo.
Anzi, col tempo, queste possono mutare anche all'interno di un singolo individuo.
Peraltro, se è vero che il contesto socio-culturale influisce -in parte- sull'individuo, è anche vero anche il contrario: ed infatti, molti pensieri "individuali", espressi in libri che "hanno fatto la storia", hanno anche indubbiamente contribuito a cambiare il contesto sociale, e quello che era il vecchio "pensiero prevalente".
Tra singoli individui (autonomamente pensanti) e contesto culturale, secondo me c'è una continua interazione...in entrambi i sensi.
In concreto, comunque, secondo me la scelta "tra uno o un altro modo di fare", dipende fondamentalmente sia dalla coscienza personale del soggetto,  sia da ciò che sta scritto nelle norme oggettive di diritto; o meglio ancora, o dalla concomitanza tra le due cose (come di regola dovrebbe accadere), ovvero, in caso di contrasto tra l'una e l'altra, dal "libero arbitrio" dell'individuo, che, in concreto, opera la scelta.
Ad esempio, le prescrizioni legali che vietano l'omicidio, in genere (ma non necessariamente) concordano con la coscienza personale dei singoli individui; ma quelle che concernono l'eutanasia, invece, molto spesso non collimano con la coscienza e la sensibilità individuale (per non parlare della ragione).
Per cui, il soggetto che, secondo la sua coscienza (in determinate circostanze), ritiene giusto praticarla, deve scegliere se fare ciò che ritiene GIUSTO, ovvero quello che sa essere LEGALE; e si tratta indubbiamente di una scelta individuale, che può essere emotiva o razionale, ovvero anche determinata da mera convenienza pratica (evitare la sanzione penale).
Comunque mi sembra MOLTO appropriata la tua citazione del CRITONE, in cui Socrate sostiene una tesi sostanzialmente GIUSPOSITIVISTICA; che è l'opposto di quella GIUSNATURALISTICA di Sofocle nell'ANTIGONE, quando quest'ultima dice a Creonte: " Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli dei".
Non mi è invece ben chiara la tua conclusione, quando scrivi:
"Di quali individui dunque le nostre leggi si prendono davvero cura per esercitare la funzione in ragione della quale sussistono?  Questa è una domanda che non trova risposta nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera, occorre comunque per esse l'assunzione di una coscienza politica."
Secondo me, infatti, tu introduci nel dibattito una ulteriore prospettiva: quella "politica", che, se ho ben capito, dovrebbe (giustamente) tendere a far modificare quelle leggi che non esercitano più esercitare la funzione in ragione della quale sussistono.
Sulla quale cosa sono perfettamente d'accordo.
Quanto, invece, al tuo principio "ermeneutico" per il quale l'obbedienza alla legge non consiste:"...nell'ottemperanza formale della lettera della norma in quanto tale, le leggi non sono degli assoluti semplici per i quali basta la lettera", essa corrisponde pienamente all'idea (sostanzialmente) GIUSNATURALISTICA, superbamente espressa da San Paolo, quando scrive: "La lettera uccide, solo lo spirito vivifica" (2Cor 3,6).
Non corrisponde del tutto, però, sotto il profilo GIUSPOSITIVISTICO, a quanto espresso dall'art.12 delle PRELEGGI, per il quale: "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.".
Quest'ultima è la c.d. "interpretazione logica" che mira a stabilire lo "scopo" che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola; ma, si noti la congiunzione proposizionale "e", che è un connettivo logico attraverso il quale, a partire da due proposizioni (A e B) si forma una nuova proposizione, la quale è vera se siano entrambe vere, mentre è falsa in tutti gli altri casi possibili.
Per cui, in parole povere, l'unica intenzione del legislatore "positivisticamente" recepibile, è solo quella che deriva dal senso che, a seguito dell'esegesi giuridica del testo scritto, scaturisce dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.
Ma se tale "scopo", sia pure correttamente interpretato ai sensi dell'art.12, contrasta con quello che qualcuno ritiene essere il "diritto" naturale (come nelle leggi razziali), anche correttamente interpretando lo spirito della norma, la nostra coscienza può benissimo rifiutarne l'osservanza.
Per cui l'antinomia permane!
#6004
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 09:08:54 AM
Citazione di: Eutidemo il 05 Novembre 2016, 08:56:04 AM
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così!
...

Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
Difatti avevo scritto "mettere in questione", non "superata".


Ok  ;)
#6005
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 08:12:25 AM
Tutti i problemi citati sono ancora da risolvere quando a guidare è una persona, quindi cosa c'è di nuovo nell'affrontarli riguardo all'autoguida? Così come si continua a discutere su quale sia il male minore in certe situazioni complesse in cui a guidare è un essere umano, è ovvio che, di conseguenza, si continuerà a farlo riguardo alle auto che si guidano da sé. La questione viene ingigantita perché si presuppone l'impostazione del software di un'auto come stabilito, fermo, definitivo; ma tutti sanno che i software hanno un'infinità di versioni 2.0, 2.1, 2.0.32.56, spesso create proprio perché il programmatore ha cambiato parere riguardo ad una questione.
Perciò, così come non si finisce di discutere sulle leggi che devono regolare i comportamenti umani, non si finirà di discutere sulle leggi informatiche che, via software, regoleranno i comportamenti delle auto. Così come in ogni software ci sono parti modificabili dall'utente, altre modificabili solo da chi l'ha programmato, altre solo dall'autorità costituita, e poi ci sono anche gli hackers che tentano di intervenire dove non potrebbero o non dovrebbero, allo stesso modo avverrà con le auto.
Potrà sembrare di portata maggiore il fatto che un'auto è in grado di uccidere, ma anche un computer è in grado di creare problemi vitali a una banca e quindi anche ai suoi clienti.
Dunque non vedo niente di nuovo sotto il sole, tanto rumore per nulla. Non c'era bisogno delle auto che si autoguidano per scontrarci con questi problemi: li avevamo già.



Quello che dici, Cannata, è giusto; ma solo in parte.
Ed infatti, un conto è decidere "d'istinto" se sterzare o meno per evitare un passante, ed un altro conto è deciderlo " a priori" e razionalmente; nel primo caso, infatti, intervengono le reazioni del "sistema limbico" (che non coinvolgono tue scelte coscienti e razionali), mentre, nel secondo caso, si tratta di una decisione raggiunta "a freddo"...e demandata, per la sua esecuzione, ad una macchina.
Non vi è chi non veda la differenza tra uno che istintivamente investe un passante, per non sterzare e andarsi a schiantare contro un muro, e chi, invece, programmi "a priori" la sua macchina impartendogli il seguente ordine: "Nel caso in cui sia in ballo la mia vita, fottitene di qualsiasi altra considerazione... e investi pure chiunque ti si para davanti."
Anche tale scelta, in fondo, può essere più che legittima ("mors tua vita mea"); ma si tratta di una condizione e di una situazione morale ben diversa, da quella di chi la macchina se la guida da solo.
Per cui, secondo me, il problema c'è...eccome!
#6006
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Novembre 2016, 07:41:15 AM
Forse la questione sembra troppo complicata perché non si sta tenendo conto del fattore evoluzione. Cioè, la natura non è un oggetto permanentemente uguale a se stesso, ma in continuazione cambia, si evolve, mi piace dire che critica se stessa. Questo comporta non solo una variabilità, che nell'arco di pochi anni o perfino di millenni può ritenersi trascurabile, ma soprattutto un continuo tentativo di variazione. Ciò, se è pur vero che nell'arco, diciamo, di cinquemila anni, la natura mantiene delle caratteristiche abbastanza omogenee, nell'arco anche di un secondo essa pone in atto continui tentativi di modificare se stessa.
Ciò comporta una radicale critica di ciò che vogliamo considerare come bene. Se nell'arco di cinquemila anni si può considerare naturale la ricerca della sopravvivenza, nell'arco di qualsiasi tratto di tempo, anche di un secondo, la natura porta avanti l'autocritica delle proprie stesse leggi e quindi anche di ciò che in essa può essere individuato come il bene di certi esseri.
Questo comporta una visione più critica del significato di giusnaturalismo: se anche si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.
Ora, se il concetto di giusnaturalismo, a causa di questo perenne tentativo della natura di mettere in questione se stessa, è costretto ad essere un concetto molto più fluido di quanto si possa pensare a prima vista, ne consegue che anche quello di giuspositivismo, non potendosi sottrarre alle sue relazioni col primo, non può non risentire anche della sua fluidità.


Condivido molte delle tue argomentazioni, Cannata...ma non tutte.
L'evoluzione, infatti:
- per alcuni aspetti è (relativamente) rapida;
- per altri aspetti è MOLTO lenta;
- per altri è quasi INDIFFERENTE.
Ad esempio, l'adattamento umano al latte bovino ed ovino, é stato reso possibile all'inizio del neolitico, circa 10.000 anni fa, con il passaggio dalla vita spesso nomade del nostro avo cacciatore-raccoglitore alla vita più stanziale basata sull'allevamento e l'agricoltura; e si può dire che si tratti di un adattamento evolutivo ancora in corso, in quanto ancora molta parte della popolazione umana del pianeta è refrattaria al lattosio.
Si tratta, quindi, di un adattamento evolutivo molto rapido.
Anche per quanto attiene al "comportamento", peraltro, gli adattamenti evolutivi a volte sono più rapidi, a volte meno; occorre distinguere tra:
a) imperativi comportamentali "categorici", e, cioè, gli imperativi di sopravvivenza della SPECIE (che sono incoercibili);
b)  imperativi comportamentali  "ipotetici", e, cioè, gli imperativi "strumentali" alla sopravvivenza della SPECIE, i quali, invece, "evolvono" più o meno rapidamente, a seconda della "richiesta" più o meno impellente dell'ambiente e delle circostanze.
Quanto al fatto che: "... si può individuare, per esempio, nell'arco di cinquemila anni una coscienza umana a cui ripugna uccidere, siamo costretti a tener presente che in ogni attimo la natura tende a mettere in questione anche questa legge di coscienza.".
Non è così! 
Ed infatti, è etologicamente dimostrato che pressochè TUTTI gli animali superiori (e non solo loro), sin dall'epoca dei dinosauri, ed anche da prima, hanno sempre avuto una naturale "tendenziale"ripugnanza ad uccidere i propri simili; il che è stato anche verificato sperimentalmente, perchè in tutti i casi in cui l'aggressività "intraspecifica" (cioè tra membri della stessa specie) aumenta oltre un certo livello, quella specie tende ad estinguersi.
Il che, peraltro, appare ovvio anche dal punto di vista logico.
Per cui, poichè l'inibizione all'assassinio "intraspecifico" è ESTREMAMENTE funzionale alla SOPRAVVIVENZA DELLA SPECIE, si può tranquillamente dire che ben difficilmente potrà aversi una EVOLUZIONE in senso opposto; quando essa si verifica, in effetti, di solito in conseguenza di condizioni patologiche o comunque anomale dell'ambiente, si ha una INVOLUZIONE che conduce all'estinzione di quella specie.
Ovviamente, stiamo parlando di "inibizione" innata all'uccisione "intraspecifica"...ma non che essa, di fatto, non avvenga.
Ed infatti, mentre l'aggressività "intraspecifica" OMICIDA è pressochè inesistente in tutti gli animali superiori, è invece diffusissima l'aggressività "intraspecifica" SESSUALE (o per altre ragioni, come per il CIBO); ma, per evitare che essa divenga OMICIDA, la selezione ha tarato specifici "rituali di combattimento", i quali, nella stragrande maggioranza dei casi, evitano la morte del soccombente.

  • Basta che quest'ultimo fugga o si sottometta.
Questo accade in pressochè tutti gli animali: uomo compreso.
Occorre poi tenere presenti fenomeni particolari (tipo l'uccisione dei cuccioli in determinate circostanze di emergenza ecc.), che, però, sarebbero troppo lunghi da esaminare in questa sede; ma che comunque, non invalidano il principio.
Per l'uomo, però, le cose sono un po' differenti, essendo un animale precipuamente "culturale"; per cui, pur essendo anche nell'uomo filogeneticamente innata la ripugnanza all'omicidio, si può dire che sia l'animale che abbia ucciso (e tutt'ora uccida) esseri della sua stessa specie, molto più frequentemente  di qualsiasi altro essere vivente.
Questo dipende precipuamente da DUE fattori:
a) la maggiore facilità psicologica di uccidere "a distanza"...con l'arco o con la bomba atomica, che rende meno efficiente l'inibizione naturale all'uccisione (pensate se un boia dovesse strangolare le vittime, una per una, con le sue mani);
b) l'ideologia culturale, che talvolta ci convince che altri uomini in realtà sono non-uomini o sotto-uomini (Untermenschen), per cui ci risulta psicologicamente più facile sopprimerli.
Ma anche i tali casi, l'inibizione ad uccidere, che è insopprimibile, continua lo stesso a funzionare: se non prima dell'omicidio...dopo!
Come già detto, infatti, molte SS finirono in cura psichiatrica per i sensi di colpa, e, dopo Hiroshima, il pilota USA Claude Eatherly, —benché avesse compiuto unicamente voli di ricognizione sopra Hiroshima, prima del bombardamento — dopo la guerra, entrò e uscì più volte dagli ospedali psichiatrici per veterani; e lo stesso altri piloti dell'operazione.
Solo per tale motivo, almeno finora, la nostra specie non si è ancora estinta.
Ciò non toglie, peraltro, che quando l'aggressività intraspecifica "culturale" ha prevalso troppo, questo ha portato (o, comunque, contribuito) all'estinzione di determinate culture; come, sembra, nell'isola di Pasqua.
Per cui non credo proprio che l'innata ripugnanza ad uccidere il proprio simile (sia nell'uomo che nei mammiferi in generale), possa essere evolutivamente superata; nè a medio, nè a breve, nè a lunghissimo termine.
;)
#6007
Non si tratta di un refuso: nel titolo ho scritto appositamente "autoautomobili" riferendomi alla Google Car, che verrà presto commercializzata, anche in Italia, con il nome di PACIFICA.
Si tratta di una vettura che, una volta impostato il percorso sul navigatore, si guiderà da sola alla meta; e, questo, anche in mezzo al traffico più caotico.
Che bello!
Il problema è che le auto che si guidano da sole, denominate in inglese AV ("Autonomous Vehicle"), dovranno necessariamente avere anche una MORALE AUTONOMA; e non più, come quando erano guidate da noi ("Dei" creatori delle macchine) ETERONOMA.
In parole povere, se adesso sta a noi decidere, d'istinto, se sterzare verso un muro e suicidarci, piuttosto che investire un bambino, in futuro tale decisione spetterà alla vettura.
Ma, in effetti, le cose non stanno esattamente così.
Ed infatti, sarà pur sempre l'uomo (anche non decidendo  sul momento), a programmare in anticipo il "comportamento etico" dell'automobile; il che è possibile per mezzo di algoritmi che, in caso di "incipiente inevitabile incidente", optino per il MALE MINORE.
Tutto risolto, allora?
Manco per niente.
Ed infatti:
1) 
Cosa si intende per MALE MINORE?
Dovrà farsi un calcolo puramente aritmetico del numero minore di vittime che si faranno sterzando a destra invece che a sinistra, oppure -ammesso che la macchina ne sia capace- si dovrà tenere conto anche del loro sesso e della loro fanciullezza (salvando preferibilmente donne -magari incinte- e bambini, come sul Titanic)?
Oppure si dovrà tenere conto dell'età in generale delle vittime, preferendo salvare vite giovani, invece di quelle vecchie (come già accade negli ospedali)?
E così via!
2)
CHI dovrà programmare la vettura, lo Stato, il Costruttore o il Proprietario?
E chi risarcirà le vittime, a seconda dei casi?
Bei problemini.
                                               ***
Da quello che ho letto, i ricercatori di uno studio pubblicato su Arxiv ("Autonomous Vehicles Need Experimental Ethics: Are We Ready for Utilitarian Cars?"), che sono tutti psicologi, sostengono che : "...è difficilissimo definire un algoritmo che porti quelle auto a gestire dilemmi morali di questo tipo". 
Ma a questo ci ero arrivato pure io.
Secondo tale studio, peraltro, le auto che si guidano da sole dovranno raggiungere tre principali obiettivi: 
- essere coerenti;
- evitare la pubblica indignazione
- non scoraggiare i loro possibili futuri acquirenti.
Sarebbe come pretendere di avere la botte piena, la moglie ubriaca. :D
Ma se lo studio pubblicato su Arxiv conclude che le auto che si guidano da sole dovranno confrontarsi con questioni proprie dell'etica sperimentale, compiendo probabilmente scelte basate sull'UTILITARISMO (in senso filosofico), in base al quale sacrificare una vita è meglio del sacrificio di molte vite, in un articolo di commento apparso sulla Technology Review ci si chiede: "Chi mai comprerebbe un'auto programmata per sacrificare il suo proprietario, quando ciò è necessario per salvare terze persone."
Bella domanda; ma la risposta dipende anche da CHI programmerà l'auto (come sopra già detto).
Sempre dallo stesso studio, emerge che, a seguito di numerose "interviste": "... le persone sono favorevoli a sacrificare l'occupante dell'auto, purchè non siano loro ad occupare l'auto".
"Parbleu"...chi l'avrebbe mai sospettato! ;D
La questione, peraltro, diventa anche più complicata, tenendo conto che in un futuro non lontano, le auto non solo saranno autonome e diffuse, ma anche connesse ONLINE tra di loro. 
Secondo Digital Trends (vedi sito), sarà un bel problema vedere come faranno le auto che si guidano da sole a prendere decisioni che riguardano più auto (e quindi non solo un'auto e dei pedoni); ed infatti, tali AV, interconnesse in rete, avranno una visione d'insieme dell'intera problematica -ad esempio, di un imminente tamponamento a catena- e i loro algoritmi dovranno considerare parametri ancora più complicati. 
Per concludere, secondo una ricerca condotta da un gruppo di psicologi che lavorano per il Massachusset Institute of Tecnology, l'Oregon University e la School of Economics di Tolosa, sarò DIFFICILISSIMO ottenere un algoritmo che porti un'automobile a gestire tali dilemmi morali; ed io sono d'accordo con loro.
Tantissimo tempo fa, Philip K. Dick nel suo "Do androids dream of electric sheep?", che ispirò Blade Runner, ipotizzava un futuro nel quale il confine tra umani e androidi, robot mossi da intelligenza artificiale, era estremamente labile; per non parlare di Isaac Asimov, e le sue tre famose "leggi della robotica" (a lui ispirate da John W. Campbell a seguito di una conversazione avuta con lui un paio di giorni prima del Natale 1940):
1) Un robot non può recar danno a un essere umano e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
2) Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.
3) Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la sua autodifesa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
A tali tre leggi, se me lo consentite, io aggiungerei un corollario alla prima (1):
"Nel caso in cui sia inevitabile dover recare danno ad uno o più esseri umani,  ovvero, a causa di un suo mancato intervento, dovranno inevitabilmente ricevere danno uno o più esseri umani, il robot dovrà optare per il minor danno possibile recato o ricevuto".
Vai, però, a capire QUALE!
Tali problematiche, qui in Italia, sono state affrontate Alberto Broggi, presidente del VisLab di Parma, l'unico centro italiano dove da molto tempo questo tipo di automobili, e le loro problematiche, sono state approfonditamente studiate; ma, purtroppo, niente affatto risolte. 
Occorre peraltro tenere conto che le "autoautomobili" non sono programmate solo in modo "rigido", ma anche in modo "evolutivo"; cioè, tramite l'"apprendimento", dovuto alla I.A. (intelligenza artificiale) di un c.d. "SISTEMA ESPERTO".
Ed infatti, secondo l'ultimo rapporto mensile di Google, i veicoli "...stanno imparando a essere più prudenti se ci sono bimbi nelle vicinanze"; ed infatti, "pare" che sia siano sfruttate  le festività di Halloween per insegnare alle vetture a "...riconoscere i bambini, anche se sono mascherati, e a guidare con maggiore cautela in loro presenza, tarando appositamente le telecamere preposte a tale segnalazione". 
Cioè, "Se i sensori riconoscono bimbi, in maschera o meno, il software capisce che possono comportarsi diversamente dagli adulti. I loro movimenti possono essere meno prevedibili – attraversano improvvisamente la strada, o corrono lungo un marciapiede – e la loro presenza può essere nascosta dai veicoli parcheggiati". 
Questa è una buona cosa...ma i problemi di cui sopra, secondo me, restano in buona misura irrisolti!
Staremo a vedere che succede!
:o
#6008
Citazione di: paul11 il 05 Novembre 2016, 00:46:25 AM
Parecchi anni fa  leggendo La Stampa, imparai a stimare la competenza politica e del diritto di Norberto Bobbio.
Scriveva divinamente, la capacità di far capire concetti difficili con uno stile semplice.
Così lessi un libro in cui Bobbio spiegava la prima parte del giusnaturalismo, la seconda parte non era scritta da lui ed era sullo stato politico con riferimento ad Hegel e infine il diritto positivo di Kelsen.

Il giusnaturalismo riguarda soprattutto i filosofi che attingono dalla natura il diritto passando per i valori fondamentali, Rousseau rimane per me il migliore e il Contratto sociale è un capolavoro di filosofia politica ,il diritto positivo riguarda la forza della norma.
Forse, ma non sono sicuro, fu proprio Kelsen a dire che è il legislatore a fare il popolo, Quì c'è la coercizione della legge,
Il discorso è molto lungo, ampio e dipenderà che piega prenderà la discussione.
ma è ben lungi trovare una soluzione al come coniugare i diritti naturali idnividuali, l'aspetto sociale come pluralità di individui e infine lo Stato.Non amo le coercizioni, sono per la resistenza morale, ma pur  sapendo che dobbiamo convivere .Riuscire a coniugare i valori,esprimerli nelle norme per far sì che gli individui si sentano popolo e ne siano sereni è un punto di arrivo non ancora ottenuto.
Le crisi istituzionali degli Stati, il concetto di democrazia, le stesse norme, i diritti fondamentali, la dignità umana,i diritti individuali e sociali, stanno rimettendo in discussione giustamente i principi

Norberto Bobbio è stato sicuramente un Grande, sia del diritto, sia della filosofia (della politica); ed era anche un abile divulgatore.
Quanto a Rousseau, era sicuramente un grande filosofo,  ma, non per sua colpa, bensì per l'arretratezza delle conoscenze scientifico-paleontologiche dell'epoca in cui viveva, incorse in un errore di base; ed infatti (detto in estrema sintesi), lui partiva dal presupposto che, nello stato di natura, l'uomo non avesse necessità di rapporti sociali, i quali successivamente derivarono dal venir meno dell'autosufficienza, che ci indusse a stipulare una sorta di "contratto sociale".
Ormai, invece, è inequivocabilmente appurato che, nello stato di natura, l'uomo è sempre stato un animale sociale; ed infatti, a somiglianza dei lupi -e a differenza di altre specie-, l'uomo è sempre stato un "animale gregario", per cui è SEMPRE "naturalmente" vissuto in società (sia pure di diverso genere), senza alcuna necessità di stipulare alcun contratto, o di fare alcun calcolo razionale di convenienza al riguardo.
La società è nel nostro DNA!
Quanto a Kelsen, sinceramente, non ricordo se fu lui a dire che è il legislatore a fare il popolo; anche se, a mio parere, non è solo chi governa a dover evitare che il popolo cada in errore...ma, a volte, anche viceversa. 
Però, per fortuna, nei Paesi liberal-democratici è la stessa Costituzione a prevedere tale possibilità; ad esempio con l'istituto del "referendum confermativo", per mezzo del quale saranno i cittadini a valutare se il legislatore abbia o meno operato bene.
Fermo restando, peraltro, che, purtroppo (come spesso accade) possono sbagliare entrambi.
Quanto a trovare una soluzione al come coniugare i diritti naturali individuali, l'aspetto sociale come pluralità di individui e infine lo Stato, in effetti, il discorso si fa MOLTO complicato; anzi, forse TROPPO per questa sede.
:)
#6009
Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 14:31:06 PM
@ Eutidemo
Grazie per la puntuale risposta. :)
Quindi, se ho ben compreso, il presidente del seggio di Sotto il Monte ha commesso due errori:
- non annullare la scheda
-lasciare che la inserissi nell'urna con la mia mano.

Sì; ma non ha causato danni, perchè una scheda nulla vale esattamente quanto una scheda bianca.
#6010
Citazione di: Apeiron il 04 Novembre 2016, 10:18:48 AM
I miei "two cents".
Giusnaturalismo=riconoscere la dignità intrinseca dell'uomo
Giuspositivismo=bisogna fare leggi per l'uomo (il portatore della dignità e quindi dell'etica). Bisogna fare leggi per convenzione e utilità pratica. Se tale diritto è ben fatto deve riconoscere la dignità dell'uomo come "assioma".

Condivido in pieno l'assunto per il quale, un diritto ben fatto, "dovrebbe" sempre riconoscere la dignità dell'uomo come "assioma"; e, cioè, che l'uomo è sempre un "fine"...e giammai un "mezzo"  (per parafrase Immanuel Kant).
Dovrebbe...ma, purtroppo, talvolta non lo fa.
Secondo i giuspositivisti, però, il diritto scritto va sempre osservato, quale che ne sia il contenuto; altrimenti si darebbe la stura all'arbitrio dei singoli indivividui circa ciò che deve considerarsi giusto o ingiusto (o "ben fatto"  o "mal fatto" che dir si voglia), o, in altre parole, all'anarchia.
Secondo i giusnaturalisti, invece, il diritto scritto va osservato soltanto se corrisponde ai principi "naturali" di giustizia, che -a seconda delle propensioni- Dio ha scritto nei nostri cuori, o la Natura ha scritto nei nostri geni.
Sebbene le due cose non debbano necessariamente contrapporsi tra di loro, nè essere  entrambe necessariamente in contrasto con la "cultura" etica di un determinato periodo storico, in una determinata area geopolitica; anche se non di rado, purtroppo, tali discrepanze di fatto si verificano.
:)
#6011
A scanso di equivoci, nel prossimo REFERENDUM non è necessario nessun QUORUM.
:)
#6012
Citazione di: Sariputra il 04 Novembre 2016, 09:38:19 AM
Approfitto della competenza dell'insigne Eutidemo per formulare un quesito che mi segue da quando ne combinai una delle mie in un seggio elettorale della Contea.
Molti anni fa ( sigh...) mi recai al seggio di Sotto il monte, di là della Contea, per esercitare il mio "diritto al voto". Avevo la ferma intenzione di votare scheda bianca, non trovandomi, come mi capita di solito, in accordo con i programmi di nessun partito. Giunto dinanzi al banco mi fu consegnata, come si fa , la scheda elettorale con un mozzicone di matita e mi fu indicata la "gabina" dove nascondermi.
Presi la scheda e, senza andare da nessuna parte, feci il gesto di infilarla direttamente nell'urna. Infatti trovavo palesememte assurdo dovermi recare in cabina, far finta di aver visionato la scheda, richiuderla lasciandola immacolata e poi inserirla nell'urna. Apriti cielo! Il presidente del seggio andò nel panico, mi disse che non era possibile, che non si era mai vista una cosa simile. Di fronte alla mia ferma risoluzione di non muovermi e inserire la scheda bianca nell'urna, perchè era un mio diritto votare, corse al consulto con il presidente generale, che telefonò al sindaco, al questore, all'anas, al parroco e infine a mia madre! Però non potevano impedirmi di votare e , seppur molto perplessi, furono costretti a vedermi lasciar scivolare nella scatola la scheda...
Al di là del gesto provocatorio e plateale ( tipico della giovinezza...) chiedo a Eutidemo un parere sulla vicenda. Avevo ragione io o il presidente del seggio?...


Quello di votare è un diritto e un dovere civico (la cui violazione, peraltro, non viene sanzionata); ma non c'è nessun obbligo ad  esprimere la propria preferenza per un candidato o per un altro, ovvero, come per il prossimo REFERENDUM, per il Si' o per il NO, per cui è perfettamente lecito inserire nell'urna una scheda bianca.
Il problema, semmai, è un'altro: e, cioè, che se vai ad imbucare direttamente la scheda bianca nell'urna, senza passare per la cabina elettorale, violi (in un certo senso) il primo comma dell'art.48 della COSTITUZIONE, il quale sancisce che il voto deve restare SEGRETO.
Nel tuo caso, invece, si sarebbe trattato di un (non) voto PALESE!
Ora, nel caso di uno che imbuca nell'urna una scheda aperta, rendendo a tutti palesemente visibile la sua preferenza espressa, il Presidente non fa altro che annullare la scheda (per violazione della segretezza del voto.
Ma, nel caso di uno che imbuca nell'urna una scheda chiusa, senza nemmeno entrare in cabina, è evidente che sta rendendo a tutti palesemente visibile la sua NON espressa preferenza; in tal caso, pertanto, secondo me, il Presidente del Seggio -se proprio vuol fare il Pierino-  non dovrebbe fare altro che annullare la scheda (per violazione della segretezza del voto), tramutandola da scheda BIANCA in scheda NULLA.
;D

Ma il risultato, sempre lo stesso è...la scheda NON CONTA assolutamente NIENTE ai fini del voto!
In tutti e due i casi, però, si ha comunque una partecipazione al voto, e tutte e due le schede sono utili ad incrementare il numero totale dei partecipanti alla votazione; il che ha la sua rilevanza soprattutto nei REFERENDUM per i quali è necessario raggiungere un QUORUM
;)
P.S.
Grazie per l'immeritato "insigne".
:)
#6013
Citazione di: sgiombo il 04 Novembre 2016, 09:04:27 AM
Mi sembra (da profano,totalmente inesperto di diritto; "a lume di buon senso") che tutto dipenda dal fatto che ciò che é "propriamente, particolarmente umano", contrariamente a ciò che é "genericamente naturale", per così dire, di cui il peculiarmente umano fa comunque parte, l' eccezione (obiezione di coscienza) conferma la regola (legge scritta, uguale per tutti).

Mentre nelle scienze naturali (secondo me; so che molti dissentono, anzi che la mia convinzione "laplaciana" é decisamente minoritaria), in linea di principio, e non di fatto (perché spessissimo ciò richiederebbe una conoscenza di precisione praticamente infinita di un numero elevatissimo di variabili reciprocamente interagenti in maniere certe e precise ma complesse), tutto é calcolabile, tutto segue inderogabilmente (senza eccezioni, per l' appunto) "regole ferree", invece nelle scienze umane (e nell' agire umano pratico di fatto), 2 + 2 fa quasi sempre 4, ma talora fa 3,99 o 4,01.

Come rilevato anche da altri nell' altra discussione "nulla é contro natura", la cultura é una sorta di "sviluppo particolare della natura" o di "seconda natura", che non contraddice ma é complementare alla "prima natura" (la natura in generale), introducendovi caratteristiche alla sola cultura peculiari.

P. S.: Una curiosità personale (le cui motivazioni i più perspicaci e fra coloro che mi conoscono meglio nel forum facilmente comprenderanno): l' articolo da te citato dello statuto del Brandeburgo quando é entrato in vigore (prima o dopo la caduta del muretto di Berlino e quella che personalmente, e anche in questo caso alquanto anticonformisticamente, considero l' annessione della RDT alla RFG)?


La mia Tesi di Laurea era centrata, appunto, proprio sul "Fondamento biologico del diritto naturale", ed affrontava la spinosa questione sia della distinzione tra "diritto naturale" e "morale" (che è molto esile e controversa), nonchè la ancora più scabrosa  questione della derivazione dei comportamenti "etici" ("latu sensu") dalla evoluzione filogenetica del comportamento, ovvero dal mero condizionamento culturale.
Scrissi la mia tesi nel 1974, in un epoca di prevalente "culturalismo" riduzionista, di stampo prettamente sociologico ed etnologico; a cui, però, non ho mai aderito in pieno.
Sgiombo scrive che, come anche rilevato da altri in un'altra discussione, "nulla é contro natura", in quanto la cultura é una sorta di "sviluppo particolare della natura" o di "seconda natura", che non contraddice ma é complementare alla "prima natura" (la natura in generale), introducendovi caratteristiche alla sola cultura peculiari.
Tutto questo è verissimo, in quanto l'uomo è un animale "naturalmente culturale" (se mi si passa il "calembour"), giacchè la "cultura", per il tramite del linguaggio, è il principale -sebbene non l'unico- elemento filogenetico che, selettivamente, ci ha fatto prevalere a livello evolutivo rispetto alle altre "grandi scimmie".
Benchè, "nel loro piccolo", anche molte di loro abbiano una vera e propria cultura.
Per cui, in larghissima misura, i nostri "valori etici", sia che collimino con il diritto positivo (come in genere dovrebbero), sia che non collimino con esso, derivano dalla CULTURA, e non "direttamente" dalla NATURA; ciò, però, non significa che i più importanti  di essi vengano mediati (sia pure in modi diversi) dalla cultura, ma trovino la lo radice prima nella natura...o, più esattamente, nella "filogenesi".
Per esempio, in genere:
- gli animali la cui prole è "a dispersione rapida e/o estesa", non hanno il "tabu dell'incesto", perchè la probabilità di accoppiamenti parentali (geneticamente nocivi) è talmente scarsa, da rendere inutile l'insorgere di tale tabu comportamentale (che, umanamente, definiremmo "etico");
- gli animali, invece, la cui prole è "a dispersione lenta e/o ridotta", di solito hanno il "tabu dell'incesto" -come l'uomo, l'"oca cinerina" ed altri-, perchè la probabilità di accoppiamenti parentali (geneticamente nocivi) è molto intensa, e, quindi, l'insorgere di tale tabu comportamentale è selettivamente utile alla specie. 
Il che, è stato verificato anche sperimentalmente .
Ovviamente, modificandosi la pressione selettiva dei vari habitat (e dei "modus vivendi" connessi), si evolvono e cambiano anche i comportamenti genetici da una specie all'altra; ma si tratta pur sempre di comportamenti "naturali".
Nell'uomo, però, a tali comportamenti "etici" primarii, si sovrappongono comportamenti "etici" culturalmente appresi; i quali, di solito, collimano con i primi, adattandoli nel miglior modo possibile, e differenziandoli geograficamente e storicamente.
Ma a volte tali adattamenti vengono patologicamente distorti da anomale situazioni "ideologiche", che quasi li ritorcono contro la nostra stessa natura; come, ad esempio, spesso avviene per quanto concerne l'aggressività "intraspecifica", i cui freni inibitori la cultura cerca talvolta di bypassare "deumanizzando" le vittime, e rendendo così eticamente neutra -se non addirittura auspicabile- la loro stessa soppressione fisica.
Ma i freni inibitori filogeneticamente acquisiti, per fortuna, tendono comunque a resistere a tali "forzature" (o inganni) culturali.
Ad esempio, nella prima fase della "Soluzione Finale" 'Nacht una Nebel' (notte e nebbia), le SS uccidevano le loro vittime direttamente con un colpo alla nuca, "culturalmente" convinte di porre in essere un compito socialmente meritorio; ma moltissime, dopo un certo numero di uccisioni, dovevano essere ricoverate in istituti di cura mentale, perchè lo "stress" della soppressione diretta "a freddo", era TROPPO in contrasto con la natura umana (come in genere lo è per tutti i mammiferi, e non solo).
E così tale tecnica, troppo "brutale", venne sostituita con altre meno dirette e, quindi più "indolori" (per gli assassini): le camere a gas.
Indubbiamente, in questo ed in altri analoghi casi, lo "stress" psicologico può essere provocato "anche" dal contrasto tra diversi valori culturali presenti nell'agente; ad esempio, nel caso delle SS, nella inconscia coesistenza di valori cristiani e nazi-razzisti.
Ma quest'ultimo tipo di contrasto -a ben vedere- vale per qualsiasi forma di uccisione, sia se praticata in modo diretto sia se praticata in modo indiretto, perchè ha una natura di carattere "intellettuale"; mentre, la ripugnanza "emozionale" ad uccidere direttamente e freddamente faccia a faccia (o, peggio ancora, faccia a nuca), risiede nel sistema delle pulsioni filogeneticamente acquisite dalla specie...per cui, pur intrecciandosi con la cultura, è "anteriore"ad essa.
Comunque, il discorso è MOLTO più complicato di così; per cui il mio va preso come mero quadro generale semplificativo.
:)
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Quanto alla Costituzione del Lander di Brandeburgo, risale a subito dopo la seconda guerra mondiale (46 o 47, non ricordo bene).
In effetti, la stessa Sottocommissione incaricata di elaborare la prima parte della nostra stessa Costituzione, al 2° comma dell'art.50, voleva inserire la seguente analoga disposizione, "Quando i pubblici poteri violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino". 
Ma poi, visto il clima di scontro politico tra DC e PCI, e poichè la parola "resistenza" suonava troppo vicina a quella di "rivoluzione", tale disposizione venne stralciata.
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:)
#6014
Rammento che nella sua prima lezione in aula, il nostro Professore di Filosofia del Diritto (S.Cotta), ci espose la differenza tra Giuspositivismo e Giusnaturalismo.
Ricordo che il suo fu un discorso molto complesso ed articolato (anche se non lo rammento tutto molto bene), che lasciò perplessi molti di noi.
Al termine della sua esposizione, io alzai la mano per ottenere la parola, e chiesi: "Professore, si potrebbe sintetizzare il tutto, dicendo che i Giuspositivisti ritengono che sia giusto osservare solo la legge "scritta", mentre i Giusnaturalisti, invece, ritengono che sia giusto osservare anche la legge "non scritta", quale impressa nella nostra coscienza (sia pure condizionata culturalmente)?"
Lui rispose: "Sintetizzando all'estremo, in effetti, il nocciolo della questione è proprio questo.".
"Ma allora...", feci io "...in effetti anche i Giuspositivisti sono Giusnaturalisti, in quanto, "a monte" della loro asserzione di voler dare la preminenza alla legge scritta, c'è pur sempre un giudizio valoriale; e, cioè che è GIUSTO osservare la legge scritta, a prescindere da ciò che ci detta la nostra coscienza personale. MA NON E' FORSE SEMPRE LA LORO COSCIENZA PERSONALE, AD AVERLI INDOTTI A TALE SCELTA, CIRCA CIO' CHE E' GIUSTO O MENO OSSERVARE?"
::)

Il Professore si fece una risata, obiettando che il mio era un assunto un po' semplicistico.
Il che è vero.
Tuttavia, anche dopo avere approfondito l'argomento nella mia Tesi di Laurea su Giusnaturalismo, a distanza di più di quaranta anni sono sempre rimasto della stessa opinione; per cui, ad onta delle mie variegate esperienze in ambito legale e giuridico, sono sempre fondamentalmente rimasto un giusnaturalista (anche se di un genere molto particolare).
Ed infatti, sempre volendo io restare intenzionalmente "semplicistico", il dilemma di fondo è il seguente:
- se ciascuno seguisse il suo "uzzolo" personale di coscienza (o di convenienza), dettato dalle proprie opinioni o dal suo credo religioso, politico ecc., vivremmo nell'anarchia più totale, per cui l'osservanza di una legge scritta deve avere la preminenza, sia ai fini della "certezza del diritto", sia ai fini della pace e dell'ordine sociale (che ne conseguono);
- ma se asseriamo che l'osservanza di una legge scritta deve avere in ogni caso la preminenza, allora dovremmo obbedire bovinamente anche a leggi (tipo quelle razziali o, in genere, persecutorie) che urtano GRAVEMENTE la nostra coscienza, e che potrebbero anche condurci a legittimare il genocidio.
E' un bel dilemma!
Di solito mi sento obiettare che, in un regime democratico, la seconda ipotesi non si dovrebbe mai verificare; il che, in buona parte, è vero (anche se non risolve il problema teorico).
Ma, a parte il fatto che anche Hitler assunse il potere democraticamente, bisognerebbe però precisare che non ci riferiamo ad un regime democratico "in senso stretto" (tipo quello in cui tre leoni e due gazzelle decidono cosa si mangia a colazione); bensì ad un regime "liberal-democratico", in cui, anche per mezzo della divisione dei Poteri e di una Costituzione, vengono comunque posti dei limiti al volere indiscriminato della mera "maggioranza numerica" (che può essere la peggiore delle dittature).
Anche in tale ipotesi, però, sia a livello teorico che a livello pratico (sia pur raramente), possono verificarsi contrasti tra il tenore della legge scritta, e quello che ci detta la nostra coscienza; ad esempio, è questo il caso della obiezione di coscienza in campo medico e -una volta- in campo militare...che, però, in qualche modo, il nostro ordinamento rispetta (in quanto, appunto, liberal-democratico).
Peraltro, talvolta, possono verificarsi contrasti tra il tenore della legge scritta, e quello che ci detta il nostro buonsenso.
Ad esempio, tempo fa mi capitò di vedere due vigilesse che presidiavano un semaforo, il quale (presumo per mera dimenticanza) non era stato disattivato; in effetti, avrebbe dovuto esserlo, perchè, per lavori stradali all'incrocio, le due tangenziali erano verticalmente attraversate da trincee per la posa di tubi del gas...per cui, nè pedoni nè vetture avrebbero potuto in  nessun caso attraversarmi la strada (se non volando).
Sul momento, essendo il semaforo rosso, ed in presenza delle due vigilesse, fermai la mia automobile; ma poi, visto che l'inutile attesa si prolungava, ripartii attraversando lo (pseudo)incrocio...subito fermato dal fischietto di una delle due. :(
Quello che ne seguì, fu, più o meno, un dibattito filosofico sul Giuspositivismo e sul Giusnaturalismo, in quanto io sostenevo che, in quel caso, non aveva senso aspettare il verde, mentre loro eccepivano che il rosso va rispettato comunque; anche se -in effetti-, loro stesse ammettevano che in quel caso non serviva A NIENTE.
In sostanza, loro sostenevano la tesi giuspositivistica per la quale  "Befehl ist Befehl!" (Un ordine è un ordine!) e "Gesetz ist Gesetz!" (La legge è legge!), mentre io la tesi evangelica, per la quale: "Non l'uomo è fatto per servire la legge...bensì la legge per servire l'uomo." ;)
E, quando non lo fa...me ne sbatto!
Mi rendo conto che tale assunto, se generalizzato, condurrebbe al caos, perchè, anche se è vero che molte leggi vigenti sono assolutamente "idiote" (soprattutto nel nostro Paese), è anche vero che, spesso, le opinioni personali (comprese le mie), lo sono ancora di più; per cui, in via di principio, è comunque meglio uniformarsi alle leggi (quali che esse siano), se non altro per la certezza del diritto e la pace sociale, o per dirla latinamente "pro bono pacis", et "ne cives ad arma ruant".
A meno che, però, esse non violino drasticamente il nostro più intimo senso di giustizia e di umanità; ed infatti, per quanto anch'esso possa essere malinteso, io lo ritengo comunque prevalente sulla legge scritta (la quale, peraltro, è anche essa "posteriore" ad un nostro giudizio di valore su cosa sia meglio osservare). 
E' comunque singolare che la Costituzione del Lander di Brandeburgo (ed anche altre Costituzioni), all'art. 6 afferma: "Contro le leggi in contrasto con la morale e l'umanità sussiste un diritto di resistenza". 
In questo caso, è lo stesso diritto positivo a riconoscere la prevalenza del diritto naturale; peccato che, nella nostra Costituzione, non esista una norma analoga.
Ma, tanto, per fortuna, esiste comunque nella "Costituzione Naturale" della nostra coscienza.
:)
#6015
***
SGIOMBO ritiene che la domanda dovrebbe essere la seguente:
"Se qualcuno ti chiedesse se la porta "A" é questa cosa gli risponderesti?"
Ed ipotizza che, se la porta "A" fosse effettivamente quella indicata, nel caso in cui il secondino sia sincero, risponderebbe di SI'; e su questo sono perfettamente d'accordo.
Però, sostiene che risponderebbe di SI' pure se fosse un mentitore, in quanto (se ho ben capito):
- per mentire a chi gli chiedesse "direttamente" se é la porta "A" dovrebbe dire NO; 
- ma per mentire circa questa ipotetica domanda, invece, deve per forza dirmi SI.
Ed infatti, se qualcuno gli chiedesse "direttamente" se la porta "A" é questa, lui, a domanda diretta, risponderebbe di NO; ma, poichè è un mentitore, non ci dice quello che realmente risponderebbe a domanda "diretta" in qualità di mentitore, bensì il contrario , e, cioè di SI'.
Nell'ipotesi, invece, che la porta "A" non sia quella indicata ma l' altra, per il ragionamento di cui sopra, risponderebbe ovviamente di NO; ed infatti, per mentire a chi gli chiedesse direttamente se é la porta "A" dovrebbe dire SI, ma per mentire circa questa ipotetica risposta menzognera dovrebbe dirmi NO.
Per cui, concudendo, se mi risponde di SI' alla porta indicata, quella è sicuramente quella giusta (A); se, invece, mi risponde di NO, si tratta della porta errata (B), ed io scelgo l'altra.
Ed infatti, Sgiombo scrive:
"Come due negazioni affermano, così due menzogne (l' una circa l' altra: "moltiplicate", non "sommate"; e in generale "moltiplicazioni" di un numero pari di menzogne) dicono il vero."
Bravo Sgiombo, che, praticamente, ha messo in pratica uno dei principi basilari della logica modale: negazioni pari (¬ ¬ ) equivalgono ad affermazione della proposizione (= V); negazioni dispari, invece, a negazione (¬ = F) .
Chapeau!
:)
***
Io, invece, non essendo esperto di logica modale, avevo semplicemente proceduto ad una mera REDUCTIO AD UNUM (in stile aristotelico), dello stesso meccanismo, che è fondamentalmente lo stesso dei DUE secondini.
La mia domanda, infatti, sarebbe stata la seguente:
"Se la tua connaturata ed incoercibile predisposizione (che io ignoro) a dire sempre e solo la verità o a dire sempre e solo il falso, fosse l'opposto di quella che effettivamente è, quale sarebbe la porta che mi indicheresti per salvarmi la vita?"
Risposta:
1)
Se il secondino ha una connaturata predisposizione a dire sempre e solo la verità,  indicherebbe la porta B, perchè sa bene che, se la sua predisposizione fosse l'opposto di quella che effettivamente è, direbbe il falso: e cioè che la porta che conduce alla salvezza è la B.
2)
Se, invece, il secondino ha una connaturata predisposizione a dire sempre e solo il falso,  indicherebbe pur sempre la porta B, perchè sa bene che, se la sua predisposizione fosse l'opposto di quella che effettivamente è, lui dovrebbe dire la verità...ma, siccome mente, dice -appunto- una bugia; e cioè che la porta che conduce alla salvezza è la B.
Per cui, per salvarci, non ci resta che aprire la porta A.
Ma, in fondo, il meccanismo è fondamentalmente lo stesso dei DUE secondini, con una mera REDUCTIO AD UNUM; e forse, tutto sommato, e alquanto simile a quello proposto da Sgiombo.
O, almeno, così mi sembra!
:)