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Messaggi - anthonyi

#6106
Citazione di: maral il 28 Settembre 2016, 13:59:23 PM
Citazione di: Phil
Se posti il link dell'articolo, lo leggo volentieri (se non è troppo "tecnico"!).
Purtroppo non lo ritrovo, ma comunque non era un articolo, solo si annunciava che alcuni studiosi ritenevano, sulla base della analisi linguistica condotta su diverse lingue, che fosse possibile ravvisare una radice comune dei termini, mentre altri contestavano questo argomento sull'analisi di altri termini. In ogni caso la questione se sia o meno esistito un originario linguaggio universale (prima della mitica Babele), non credo sia determinante per stabilire se le parole esistono di per sé o meno.

Per quanto riguarda la questione sul divenire e come la intende Severino se ne è molto discusso a suo tempo nel vecchio forum. Comunque in breve Severino parte dalla tautologia di ogni ente che si basa sul principio di identità (A è A) su cui non si può dubitare. Se A è A non potrà mai essere qualcosa di diverso da A nella sua concreta presenza (ove concreta significa completamente definita) da quello che è, quindi non solo Phil che adesso legge questo messaggio è mai stato un oocita, né un embrione, né un feto, tutti enti diversi da quello che Phil che legge questo messaggio è, ma non è nemmeno il Phil che qualche ora fa scriveva un altro messaggio, anche costui è un ente diverso ed eterno, non potendo mai essere altro da quello che è. Severino considera la fede nel divenire la follia e la violenza estrema dell'Occidente (che si esercita ogni volta che si vuole far diventare una cosa un'altra cosa), appunto perché con essa si crede che le cose possano essere ciò che non sono, pur restando ciò che sono (se dico che A è diventato B, dico che pur non essendo A B a un certo momento A è davvero B, e per diventare B A si è annullato pur rimanendo A).

CitazioneMa come si risolve che il percettore percepisce il mutamento e non questi enti eterni?
Ottima domanda, infatti fenomenologicamente gli enti eterni non appaiono. Ma per Severino  noi non percepiamo affatto il mutamento, il mutamento che crediamo di percepire è solo il frutto di una volontà di crederlo (noi non percepiamo A che diventa B, ma A e B e poi affermiamo volendolo credere che l'uno è diventato l'altro). Questa fede sostiene che le cose possano cambiare pur rimanendo le stesse (lo stesso uomo che da embrione diventa bambino, poi adulto, poi  vecchio poi cadavere pur rimanendo il medesimo uomo). Questo errore è dato dal pensare astrattamente le cose non nella loro concreta ed effettiva interezza che è eterna e si manifesta nella dimensione di un continuo sopraggiungere e passare oltre degli enti eterni nei vari contesti di significato in cui parzialmente si mostrano. La dimensione in cui appaiono gli eterni è dunque quella di un immenso fluire la cui totalità è infinita.

Comunque anche partendo dall'idea pragmatica opposta che si basa sul principio che tutto è un continuo divenire di relazioni che continuamente si intrecciano, la questione se sia più fondamentale e originario l'oggetto o il suo significato soggettivo perde di senso ed è appunto a questa posizione (sicuramente meno sconvolgente di quella severiniana) a cui mi ero riferito, anche nei riferimenti ai testi tratti da Maturana e Varela.

La tesi di una lingua comune non è altro che l'ipotesi sulla radice comune delle lingue Indo-Europee, cioè delle lingue sviluppatesi nelle aree mediterranee, mediorientali fino al continente Indiano, certamente c'è chi la mette in discussione ma è una tesi linguisticamente dominante. Essa è d'altronde associata con contenuti culturali, mitologici e cultuali che mantengono elementi comuni in tutte queste aree.
#6107
Citazione di: davintro il 26 Settembre 2016, 01:32:29 AM
. Considerando la società invece come un fatto, una produzione umana, allora mi pare evidente che ciò che proviene dalla società dovrebbe avere comunque la sua origine nell'uomo, e la ricerca dell'origine ricade nella ciclicità di due termini "uomo" e "società" nella quale nessuno dei due sembra potersi porre come fondativo dell'altro e dove il dibattito pro-contro l'innatismo sembra protrarsi all'infinito


...

In un analisi teorica appropriata l'uomo può essere definito come fondamento della società, nel senso che le proprietà comportamentali che si assegnano a dati individui possono razionalmente costruire un equilibrio culturale che possiamo definire società. E' il contrario che non può essere fatto, nel senso che se definisci una realtà sociale devi implicitamente definire i suoi componenti, fermo restando l'esistenza di meccanismi educativi e di socializzazione che possono aumentare il numero di questi componenti.
#6108
Citazione di: davintro il 23 Settembre 2016, 16:46:21 PM
io credo che in linea generale sia un errore far coincidere la concreta applicazione di un processo mentale con l'apprensione dei contenuti di tale processo. Le pratiche di apprendimento di una funzione sviluppano la funzionalità di un processo mentale, ma senza creare il processo "ex nihilo". Se così non fosse allora si potrebbe, utilizzando tecniche didattiche standard, insegnere a contare, leggere, scrivere, a qualunque essere vivente, indipendentemente dalla struttura interiore mentale del soggetto che si ha di fronte. In realtà nell'uomo (ma non con altri mammiferi, ora non sono uno zoologo e non so se con altri animali come le scimmie si sia arrivati a risultati soddisfcenti da far pensare ad analogie con l'uomo) le tecniche didattiche possono aver successo perchè non autosufficienti, ma perchè nella loro opera si armonizzano non con una tabula rasa, ma una mente predisposta ad accoglierla. Questa ovvietà  potrebbe far pensare ad una mera dinamica potenzialità innata-attualità concreta esterna che fà passare dalla potenza all'atto il processo mentale. Invece, come già provato a dire all'inizio della discussione, limitarsi ad ammettere una potenzialità equivale a non spiegare nulla. La potenzialità fintanto che resta tale è un mero non-essere, dunque impossibilitata ad intervenire concretamente, completando l'azione proveniente dall'esterno. Tutto ciò che è reale è attuale, dunque la predisposizione nei processi mentali, in quanto fatto reale e concreto, presuppone l'esistenza di un'attualità originaria e interiore che converge con la causalità esteriore per produrre l'applicabilità dei processi. Una mera potenzialità astratta non potrebbe mai porsi come fattore concreto nella costituzione di alcunche, resterebbe una pura idea, e l'idea senza attualità reale, è solo una staticità che non può partecipare ad alcuna dinamica

Nel caso dei numeri, ipotizzo che la predisposizione umana alla quantificazione preuspponga un innata, o meglio originaria, apprensione intuitiva del significato intelligibile dei numeri, che però resta impossibilitata ad essere espressa linguisticamente fintanto che non trova dei segni sensibili per comunicarla, e in assenza di un linguaggio adeguato il bambino ripiegherebbe su concetti qualitativi, come giustamente osservato da Phil, "tanto", "poco". L'apprendimento dei numeri implica l'associazione tra il segno sensibile e il significato intelligibile, ma questa associzione non potrebbe aver luogo se uno dei due termini, il significato intelligibile, non fosse già presente nel bambino a prescindere dall'apprensione di contenuti sensibili esteriori (a meno di non ipotizzare una sorta di telepatia, di comunicazione mentale intersoggettiva senza mediazioni sensibili!)

Per quanto riguarda il nesso che Phil rilevava tra affermazione dell'innatismo e esigenza sociale e politica di identificare il modello intepretativo dell'uomo proveniente da una certa tradizione culturale, con una naturalità originaria ed unica possibile, direi, sempre che abbia compreso il senso dell'osservazione, che è una tesi valida e condivisibile. Al tempo stesso credo però si possa anche dire che le posizioni antiinnatistiche siano in un altro senso funzionali a livello ideologico. Penso a tutte le dottrine politiche totalitarie e rivoluzionarie intenzionate ad edificare modelli di società totalmente nuovi e rivoluzionari, la cui edificazione presupporebbe una netta trasformazione dell'uomo, che per essere adeguato alla nuova società, deve il più possibile essere descritto come realtà fluida e plasmabile da interventi esterni. Quanto più invece l'uomo viene visto come realtà avente in sè dei caratteri stabili e presenti indipendetemente dagli influssi dell'ambiente circostante, tanto più si pone un limite alla possibilità di maniplazione con cui un qualsivoglia potere intenda intervenire per modificare la natura umana in relazione ai suoi fini ideologici. Quindi entrambe le posizioni in campo posso essere viste come convenienti o sconvenienti in relazione alla natura ideologica di un approccio politico, senza che si debba vedere una delle due come un'illusione costruita ad hoc per certe istanze sociali

Io ho l'impressione che questa visione del rapporto tra innatismo e socialità, dipendente da una visione ideologica, sfugga a una domanda di verità di fondo. L'individuo sociale prende le idee da altri individui, tali idee o sono innate negli altri o sono socialmente determinate. Nel secondo caso il discorso diventa ciclico, solo nel primo abbiamo fatto un passo avanti e dobbiamo solo spiegare da dove vengono le idee che sono sempre in origine innate.
#6109
In paul11 109 si faceva riferimento alla ripartizione Potteriana in tre mondi. Riflettendo sul terzo mondo, "contenuti oggettivi di pensiero", mi veniva da pensare che tale mondo in effetti sintetizza le realtà simboliche. Il simbolo, come oggetto fisico che esprime uno stato, una percezione interiore, non è né parte del mondo fisico, né di quello del pensiero. Le teorie scientifiche sono infatti strutture simboliche che esprimono un'intuizione, ma anche una serie di eventi fisici. Anche le opere d'arte possono essere considerate come simbolo espressivo di quell'emozionalità che l'artista cerca di trasmettere.


Paul11, in 126, diceva che la scelta dell'ambito di interpretazione semantico viene dalle motivazioni individuali, ma da dove vengono le motivazioni. Ad esempio nel caso dei bambini più creativi noi notiamo che loro ne hanno più bisogno perché sanno meno cose e hanno bisogno di costruire delle risposte. Lo stesso ragionamento si può fare per le mitologie antiche, si usava la fantasia per compensare un vuoto  di conoscenza, mentre oggi se ne ha meno bisogno.


Sulla questione dell'innatismo dei numeri riflettevo su una situazione per me tipica, cioè la sensazione di avere ancora una cosa da fare, tra quelle programmate, come se il cervello le contasse e, pur non ricordando cosa bisogna fare, sa che rimane una cosa da fare. Il discorso per me si associa a quella ricerca per la quale sembra che i pulcini abbiano una percezione istintiva del numero dei chicchi di mangime a terra, cioè in qualche modo li contano e organizzano i loro movimenti di conseguenza, o alle ricerche antropologiche su non ricordo quale tribù i cui componenti, pur non avendo concetti di numeri, si accorgevano perfettamente della mancanza di qualche capo di bestiame.
:-*  :-*  :-*
#6110
Presentazione nuovi iscritti / Re:Buonagiornata a tutti!
22 Settembre 2016, 14:10:38 PM
Un saluto anche da me. :-*  :-*
#6111
Percorsi ed Esperienze / Re:Ho fatto un sogno ….
18 Settembre 2016, 14:48:02 PM
Citazione di: Sariputra il 18 Settembre 2016, 11:33:40 AM
Se la sensazione del tempo  che percepiamo non fosse lineare ma bensì circolare e, ipotizzando per assurdo, ci fosse in noi una sorta di comunicazione profonda di coscienza collettiva, non sarebbe possibile avere la sensazione di "sognare prima" qualcosa che in realtà abbiamo "sognato dopo"? Siccome i ricordi mutano spesso posizione nella nostra mente potremmo anche ricordarci, erroneamente, di aver sognato prima che il fatto sia avvenuto, quando in realtà lo abbiamo fatto dopo o, più probabilmente,nella notte stessa dopo l'avvenuto.
Sono semplici ipotesi, s'intende...
... :-[ :-[ :-[
.

P.s. "Siamo uomini che sognano di esser farfalle, o invece siamo farfalle che sognano d'esser uomini?"

Nel mio caso l'accavallamento dei ricordi non è possibile, in effetti io mi sono reso conto di aver avuto sogni particolari ai quali avevo dato un'altra interpretazione prima di sapere della morte di Padre Gabriele. Naturalmente è discutibile l'associazione che io faccio, visto che nei sogni non vi erano riferimenti, tranne un vago riferimento indiretto alla città di Roma.
#6112
Percorsi ed Esperienze / Ho fatto un sogno ….
17 Settembre 2016, 11:43:20 AM
Stanotte e ieri notte mi è capitato di fare due sogni simili, senza entrare in aspetti personali il riferimento comune dei due sogni era la morte. Nel secondo, poi, che rappresentava un funerale, il sogno si concludeva con una sorta di offertorio da parte mia del Corpo e Sangue di Cristo. Stamattina vengo a sapere che padre Gabriele Amorth, l'esorcista per eccellenza, è morto. Da persona esorcizzata(da un altro esorcista) e comunque ancora infestata da una forza malefica, e che molto ha seguito l'esperienza di vita di padre Gabriele, non posso non collegare le due cose, anche perché da quando è iniziata questa mia vita di contrasto con il male che agisce nella mia mente (sono circa 9 anni) i miei sogni sono sostanzialmente scomparsi e quindi questi due sogni sono un'eccezione significativa.
Naturalmente la mia riflessione va al significato del sogno, è un prodotto della nostra mente, oppure è la ricezione di messaggi da una realtà che è poi comune a tutti anche se impercettibile?
Lascio la domanda aperta per tutti coloro che volessero aggiungere una riflessione.
#6113
Citazione di: cvc il 12 Settembre 2016, 13:38:12 PM
Citazione di: paul11 il 12 Settembre 2016, 13:08:56 PM
Cvc,
l'ho letto parecchi anni fa il Principe di Machiavelli, ma non l'ho trovato cinico, ha ragione Rousseau a parer mio, asseconda la natura umana .In effetti è stato scritto da Machiavelli per  rientrare nelle grazie del potere fiorentino.
L'Arte della guerra di Sun Tzu è più cinico, ma sono scritti in maniera saggia.
Sono due grandi autori di epoche diverse che insegnano l'arte del governo degli uomini.

Il problema fra realpolitik ed etica non è solo il mezzo che dovrebbe essere coerente con lo scopo, (lo scopo giustifica il mezzo è il famoso detto machiavellico) ma dove chi governa dovrebbe avere come scopo non la conservazione del suo potere, ma la crescita del popolo in senso materiale ed etico.L'utopia quindi si scontra con la realpolitik. Anche perchè, "è poi davvero vero che il popolo ambisca  una crescita morale, oppure gli interessa il vil denaro, ricchezza e potere?"
Anch'io penso sia uno straordinario spaccato sulla realtà della natura umana, come trovo interessante rileggerlo nell'otica attuale, dove le decisioni istituzionali vengono prese in base ai dati macroeconomici e statistici nonché a quelli degli ideali libertari, mutuati perlopiù dal cristianesimo e dalla rivoluzione francese o dell'illuminismo in generale, ma si avverte lo spettro del vuoto di potere. Vuoto dato dalla mancanza di leader carismatici, dove l'incubo dei vari culti delle personalità novecentesche ci ha lasciato in eredità la fobia dei caratteri forti. Da questo potrebbe dipendere, in parte o molto, la mancanza di personalità che si lamenta nella classe politica e dirigente, in Italia e all'estero. Si cerca di risolvere tutto con la tecnocrazia e non si pensa più a coltivare l'arte della gestione del potere.


Sono d'accordo con le argomentazioni, che ripropongono l'idea che volevo rappresentare, per la politica i valori, gli ideali si pesano e assumono un significato relativo. Giustamente questo lascia un senso di vuoto rispetto a tempi nei quali un singolo valore diventava un assoluto, ma è meglio così, meglio il relativismo che l'assolutismo. Che poi questo implichi l'assenza di leader carismatici non lo so, comunque il governo non si improvvisa e la tecnocrazia è necessaria, per me una figura emblematica è Mario Draghi, un gran tecnocrate ma anche un bravo politico che ha saputo trascinare le opinioni dei vertici finanziari europei a favore delle sue tesi radicalmente opposte rispetto alle politiche monetarie europee che lo hanno preceduto.
#6114
Citazione di: davintro il 11 Settembre 2016, 17:35:32 PM
La discussione è andata molto avanti e sta toccando tantissimi temi e raggiunto tanti spunti teoretici davvero interessanti che per me sarebbe troppo impegnativo e dispersivo commentare, almeno per ora, e che tra l'altro sarebbe per me opportuno rileggere con più calma e meno superficialità. Quello che nei limiti di tale superficialità mi sembra di notare è un complessivo stato di sfiducia verso la metafisica tradizionale (è stato da più parti chiamato in causa il postmoderno) e l'esclusione della possibilità di ammettere degli elementi di innatismo nella nostra conoscenza. In fondo mi aspettavo che la mia "battaglia" pro-innatismo fosse difficile da sostenere dal punto di vista della retorica, della capacità persuasiva, e forse non solo per i miei evidenti limiti. Perchè in fondo, nel momento in cui la nostra relazione con il mondo si riferisce costantemente ad un'esteriorità, all'interno delle nostre attività quotidiane, ci sembra davvero difficile ammettere la possibilità che alcuni fondamentali elementi della nostra conoscenza possano essere appresi indipendentemente dal rapporto con l'esteriorità, che appare così esauriente nel assorbire tutti gli aspetti della nostra esistenza, ed anche quando operiamo riflessivamente, il condizionamento del mondo esterno ci porta ad ipotizzare una correlazione tra oggetti esterni e processi mentali stretta al punto di non poter in alcun modo immaginare questi ultimi senza i primi, sottovalutanto e svalutando l'interiorità, riducendola a tabula rasa senza autonomia. L'errore di fondo, io credo, sia quello di porre l'antropologia come base della gnoseologia (o epistemologia) Cioè si parte dall'essere umano, nella misura in cui ne abbiamo una certa esperienza storica per poi elaborare una teoria della conoscenza, un sistema gnoseologico adeguato alla limitatezza ed imperfezione dell realtà umana, escludendo in via preliminare la trattazione degli elementi della conoscenza riferibiti a un soggetto con uno statuto ontologico differente dal quello umano. Io considero questo modo di procedere epistemologicamente scorretto. L'essere umano è una realtà complessa, strutturata da differenti entità, corpo, psiche, coscienza, intenzionalità, percezione, temporalità, libertà, volontà ecc Queste sono tutte categorie che colgono ciascuna un aspetto appartenente a quella realtà che definiamo "essere umano". Quando si ha di fronte  una realtà complessa occorre cogliere il senso, le possibilità implicite in ciascuna singola componente per poi riunificare (non assommare in modo disordinato) organicamente il tutto per ricostuire l'immagine della realtà complessa. Non si deve partire dal concetto "uomo", ma indagare l'essenza di ogni singolo concetto "semplice", che lo costituisce, quindi quando in sede gnoseologica si parla di "coscienza" non si deve arbitrariamente restringere il campo di applicazione della coscienza alle forme in cui si manifesta in una certa determinata realtà, quella umana. L'uomo in virtà della sua limitatezza ed imperfezione dipende per la sua conoscenza dal corpo che lo mette in contatto con il mondo esterno, ma questa dipendenza non esclude che, in virtù di componenti distinte dalla mera corporeità, non possa accedere a un contenuto di coscienza originario ed a priori. La coscienza se nel contesto dell'essere umano presuppone per agire una dipendenza da un materiale sensibile ed esteriore, non per questo non potrebbe in un contesto differente esprimersi in modo indipendente da tale matariale. E dunque l'uomo quanto più orienta la sua attenzione verso l'interiorità, verso l'autocoscienza quanto più potrebbe riconoscere una conoscenza da sempre preesistente e originaria nella sua mente di cui non si rende conto qunto più la sua attenzione è orientata verso l'ambiente circostante, come è nello stato normale e naturale. L'uomo è sintesi di materia e spirito, una porta verso la dipendenza dall'esterno, l'altra verso l'interiorità. Il processo conoscitivo è una sintesi di entrambi i fattori e se l'aspetto di dipendenza va ricondotto alla materia non si può, pena la perdita del rilievo del carattere di complessità, trascurare l'intervento dello spirito, spirito che considerato nell'essenzialità del suo senso, a prescindere dalla sua presenza al'interno dell'uomo, determina un elemento di autosufficienza. Un puro spirito, come Dio sarebbe una realtà assoluta e autosufficiente e indipendente dall'esterno (questo discorso prescinde dal giudizio circa l'effettiva esistenza di tale realtà). E alla luce  della presenza dello spirito nello stesso "meccanismo" stessa conoscenza umana , pur condizionata dall'esterno tende a somigliare, in modo imperfetto, al modello di conoscenza di un soggetto, che essendo puro spirito, possiederebbe in modo originario il materiale di tale conoscenza. L'uomo va chiarito sulla base delle singole componenti, non sono le singole componenti a dover essere limitate nella loro semantizzazione dalla finitezza dell'umano, pena porre tale finitezza e limitatezza dogmticamente come posizione intrascendibile con tutte le conseguenze che da tale dogmaticità deriverebbero

Mi trovo d'accordo con il metodo rappresentato, in particolare la parte rappresentata in grassetto che poi altro non è che la destrutturazione alla quale aggiungerei la ricerca dell'archè, del punto di partenza delle strutture concettuali. In tale ricerca ci si potrebbe trovare in una situazione auspicata da davintro, nella quale cioè l'archè non proviene dall'osservazione del mondo e quindi, giocoforza, è innato (anche se questo non vuol dire che lo abbiamo spiegato).
#6115
Direi che sono per la realpolitik, i vincoli morali sono un problema per il politico, consideriamo quando devi contrattare con un dittatore, magari con uno che cerca di avere la bomba atomica, non conviene apparire rispettosi di principi, ma è meglio apparire temibili e vendicativi. In politica i vincoli morali si pesano, quello che è importante è avere una strategia che pesi i vincoli insieme alle opportunità. Un altro esempio è l'atteggiamento nei confronti degli immigrati, apparire disponibili ad accogliere per ragioni umanitarie implica un'esplosione del fenomeno e di tutti i problemi connessi, essere duri comporta invece una riduzione del fenomeno.
Giustamente i grandi dittatori leggevano Macchiavelli, il problema e che gli altri politici lo fanno troppo poco. :'(  :'(  :'(
#6116
Tematiche Spirituali / Re:Considerazioni sulla Fede
11 Settembre 2016, 15:28:11 PM
In riferimento a Sariputra 2

Sari, hai ragione dal punto di vista filosofico anche se hai torto da quello linguistico. In aver fede è implicito il riferimento al termine assoluto, cioè Dio. Così la fede viene trasmessa dalla gran parte delle religioni le quali assolutizzano anche il relativo e in questo aspetto c'è la tua ragione. Per tutte le religioni Cristiane, ad esempio, Cristo è un concetto assoluto, ma noi sappiamo che esistono religiosità anche al di fuori della Cristianità. .Nella Bibbia non mancano riferimenti che sottolineano spiritualità riferite a individui che non sono di religione giudaica che genericamente vengono definiti "giusti", anche nei Vangeli le maggiori espressioni di fede vengono da soggetti esterni alla tradizione giudaica. Questi etero-riferimenti ci parlano di qualcosa che è si assoluto, ma non riguarda gli aspetti più evidenti della fede, che spesso sono legati a contingenze sociali.





In riferimento a paul11 6 4° capoverso.

D'accordo sul concetto, ma bisogna tener conto che la rivelazione noi la riceviamo quasi sempre da altri esseri umani. L'essere umano mediatore della fede, con i suoi limiti, con le sue incomprensioni, crea problemi perché il messaggio di fede dipende da come si presenta il mediatore, e poi, che cosa stabilisce che il messaggio di fede di un altro individuo sia migliore del messaggio di fede che io porto già dentro di me.
L'altro giorno Papa Francesco metteva in discussione le fedi "Fai da te", il punto è che se l'alternativa è una fede fatta da altri, mi domando qual è il punto di forza di tale argomentazione, io posso sbagliare, ma anche gli altri possono sbagliare. Certo dal punto di vista di una Chiesa istituzionale la fede è fatta da Dio, ma questa affermazione presuppone già la fede, per cui non può spiegarla. Eppure la fede esiste, tanti affermano di averla e si comportano in maniera sostanzialmente coerente con essa. Certamente è anche il risultato della realtà sociale, dell'educazione e dell'imitazione alla quale ciascuno di noi è soggetto e forse, anche di una voce che sussurra dentro di noi in maniera impercettibile (Così mi sembra si esprima Paolo di Tarso).
#6117
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
08 Settembre 2016, 12:16:50 PM
Citazione di: giona2068 il 07 Settembre 2016, 16:13:20 PM
Citazione di: anthonyi il 07 Settembre 2016, 15:39:35 PM
Volevo rispondere a Sariputra risposta 2

Le tue considerazioni razionali sulla natura di Dio sono inappuntabili, la Teologia barocca ha costruito un'immagine di Dio insostenibile al vaglio dell'analisi, e lo ha fatto assegnando a Dio stesso attributi che lui stesso non si dà, quando interagisce con l'uomo.
Per me l'unica evoluzione possibile di questi problemi è la destrutturazione, il prendere un concetto complesso come quello di Dio, analizzandone le componenti, e valutando quelle che hanno aspetti critici. L'alternativa è la logica manichea, del tutto o niente, o si accetta Dio secondo un modello definito a priori, che poi bisogna capire come si è formato nel tempo (Io do per certo che all'origine c'è l'azione Divina, ma poi c'è sempre l'intermediazione dell'uomo).


A giona2068 risposta 3 volevo dire che la ricerca delle verità divine non è per me un atto di superbia, è un atto naturale effetto della nostra capacità di pensare. L'idea che sia un atto di superbia è stata costruita dalla chiesa istituzionalizzata che vedeva giustamente questa ricerca come lesiva del suo monopolio culturale
Anche in risposta 7 ritorna la stessa teoria discutibile per la quale Dio può essere solo adorato e non osservato analiticamente, ma se noi uomini abbiamo la capacità di analizzare Dio, ed essendo stati creati da lui, questa capacità ce l'ha data lui, è un talento che abbiamo, la conosci la parabola dei talenti? Devono essere utilizzati, certamente bene e a fin di bene, ma devono essere utilizzati.

Sono d'accordo con l'idea di acquario69 risposta 4, i concetti di buono e cattivo sono concetti umani, per degli enti spirituali serve altro, per Dio sarebbe buono il concetto di benigno, cioè colui che vede positivamente e favorisce il bene, cosi il demonio non è cattivo, ma è perfido, cioè vede positivamente e favorisce il male, naturalmente bene e male visti nell'ottica dell'ente spirituale, che è diversa dalla nostra di poveri esseri carnali.


Oh benedetto! Stai forse dicendo che vogliamo analizzare il Signore Dio, le sue criticità ecc...?
Non abbiamo nessunissima capacità di analizzare il Signore Dio e non siamo stati creati per questo. Il massimo che ci è dato di fare è analizzare chi è Lui per noi, per noi, e chi siamo noi per Lui. Detto con termini più precisi, con il Suo aiuto, senza il quale non possiamo fare nulla, possiamo scoprire chi siamo, chi eravamo e cosa dobbiamo fare per recuperare ciò che abbiamo perduto.
La verità è di due tipi oggettiva e soggettiva.
La verità oggettiva è il mistero divino e come tale è ben lungi dalla nostra capacità di comprenderla, mentre la verità soggettiva è la nostra verità di umani senza vita fino a quando non ci incontriamo con Lui.
Come si può pensare di conoscere chi è il Signore Dio, se non sappiamo chi siamo noi?
Solo l'incarnazione della superbia/satana può spingere l'uomo in questa impresa assurda.

Quando mi riferisco ad analizzare, io mi riferisco al concetto di Dio, quello mio, quello tuo, quello di una data chiesa. Siamo tutti uomini che dialogano, e quando parliamo di Dio ci riferiamo sempre all'idea che abbiamo di questa entità metafisica. L'analisi poi, secondo me, potrebbe anche azzardare contenuti ontologici nel momento in cui si avesse un'adeguata presa in considerazione dell'interazione uomo-Dio, di tutte quelle situazioni nelle quali Dio si manifesta. Per me ad esempio Dio è un essere estremamente razionale, che agisce ordinatamente in funzione dei suoi fini che si concretizzano nella storia dell'uomo.
#6118
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
07 Settembre 2016, 15:39:35 PM
Volevo rispondere a Sariputra risposta 2

Le tue considerazioni razionali sulla natura di Dio sono inappuntabili, la Teologia barocca ha costruito un'immagine di Dio insostenibile al vaglio dell'analisi, e lo ha fatto assegnando a Dio stesso attributi che lui stesso non si dà, quando interagisce con l'uomo.
Per me l'unica evoluzione possibile di questi problemi è la destrutturazione, il prendere un concetto complesso come quello di Dio, analizzandone le componenti, e valutando quelle che hanno aspetti critici. L'alternativa è la logica manichea, del tutto o niente, o si accetta Dio secondo un modello definito a priori, che poi bisogna capire come si è formato nel tempo (Io do per certo che all'origine c'è l'azione Divina, ma poi c'è sempre l'intermediazione dell'uomo).


A giona2068 risposta 3 volevo dire che la ricerca delle verità divine non è per me un atto di superbia, è un atto naturale effetto della nostra capacità di pensare. L'idea che sia un atto di superbia è stata costruita dalla chiesa istituzionalizzata che vedeva giustamente questa ricerca come lesiva del suo monopolio culturale
Anche in risposta 7 ritorna la stessa teoria discutibile per la quale Dio può essere solo adorato e non osservato analiticamente, ma se noi uomini abbiamo la capacità di analizzare Dio, ed essendo stati creati da lui, questa capacità ce l'ha data lui, è un talento che abbiamo, la conosci la parabola dei talenti? Devono essere utilizzati, certamente bene e a fin di bene, ma devono essere utilizzati.

Sono d'accordo con l'idea di acquario69 risposta 4, i concetti di buono e cattivo sono concetti umani, per degli enti spirituali serve altro, per Dio sarebbe buono il concetto di benigno, cioè colui che vede positivamente e favorisce il bene, cosi il demonio non è cattivo, ma è perfido, cioè vede positivamente e favorisce il male, naturalmente bene e male visti nell'ottica dell'ente spirituale, che è diversa dalla nostra di poveri esseri carnali.



#6119
Rispondo a davintro 45,
l'idea di una dialettica tra immanente e trascendente mi convince poco, la dialettica presuppone basi per un linguaggio comunicativo comune e i significati di fondo, tra una rappresentazione immanente e una trascendente (naturalmente pure) del mondo sono differenti. La dialettica può insistere tra individui su contenuti trascendenti se entrambe sono "predisposti". La dialettica su argomenti immanenti è più facile, perché tutti hanno esperienze e contenuti immanenti. Se poi con dialettica si intende il confronto interiore tra esperienze immanenti ed esperienze che si reputano trascendenti allora sono d'accordo.

Rispondo a paul11 56,
nell'altro thread mi dicevi che qui definivi la tua idea di razionalità. In realtà mi sembra che qui si parli soprattutto di senso, ma chissà forse le due cose si avvicinano. Potremmo differenziare tra un senso immanente ed un senso trascendente. Orrore! Cos'è un senso immanente, posso fare un esempio pratico preso dal thread, dove ci si domandava che senso ha il suicidio, ora se la domanda trovasse una risposta compatibile con la legge evoluzionistica (Cosa problematica, visto che è un comportamento direttamente opposto all'istinto di sopravvivenza), questo ridurrebbe la problematicità di trovare un altro tipo di senso, magari trascendente. Il senso, trattato in questo modo, si avvicina molto all'idea di razionalità, entrambe nascono dallo stesso bisogno umano di "chiudere il cerchio", trovare cioè una spiegazione per tutto (o almeno illudersi di averla trovata).
#6120
 :P Rispondo a paul11,

Non so se i greci ragionavano in maniera giusta o sbagliata, io parto dal loro ragionare e lo analizzo.
Nel mio approccio tutti gli oggetti metafisici sono considerabili come socio-culturali se trattati come parte di un sistema culturale.
Tu puoi anche affermare che esiste un ordine divino superiore rispetto alla separazione concettuale tra ordine e caos, è però indubbio che nella storia del pensiero teologico questa separazione è stata utilizzata per strutturare la spiegazione del mondo sensibile, producendo anche problemi logici:
"Se Dio è all'origine di tutto, e Dio è il bene, perché esiste il male?"
Tu scrivi: "E solo questo è RAZIONALE", contrapponendo la tua tesi all'empirismo, c'è aria di pensiero assoluto, di pensiero unico, mi domando se sei cosciente dei problemi che il pensiero unico, assolutizzante (anche di tipo religioso), ha prodotto nella storia umana.
Tu parli di un ordine originario divino, per cui ti situi perfettamente in quel sistema di pensiero che io analizzo, un sistema la cui crisi inizia nel 1492 quando un navigatore Genovese scopre nuovi mondi e nuovi popoli non descritti dalla Bibbia. Ti faccio un ragionamento, Dio è onnisciente, per cui sapeva che l'uomo avrebbe scoperto l'America, e sapeva quindi anche che quel sistema di pensiero che parlava di lui in un certo modo sarebbe entrato in crisi, ma è anche onnipotente eppure non ha fatto nulla per fermare Colombo, anzi, la profonda fede che caratterizzava lo stesso e altri particolari, mi portano a pensare che quel viaggio sia stato ispirato dalla volontà divina. E' Dio ad avere voluto tutto questo, cioè quel processo che tu definisci di sottrazione della conoscenza dal caos.
E' Dio anche ad avere voluto quegli enti che tu affermi metafisici entro l'empirico, secondo me mettendo insieme cose troppo differenti, l'interesse economico è una divinità che condiziona l'umanità da molto tempo prima del mondo moderno, lo stato e la persona giuridica, poi, sono strutture che vivono del problema opposto, nel senso che gli individui hanno scarso rispetto per queste strutture concettuali e spesso non rispettano le leggi e calpestano i diritti di qualcun altro.
Ti saluto e ti ringrazio per i complimenti anche se, vista la premessa, non me li aspettavo.


Rispondo a memento,

Direi che sostanzialmente mi trovo d'accordo.
Volevo cogliere l'osservazione finale per precisare il ragionamento di base. La rivoluzione Americana non ha cause religiose, ma è indubbio che il senso di identità collettiva dei coloni ribelli sia stato favorito dalla cultura religiosa, al punto che loro sentono il bisogno di scriverlo in maniera chiara. I comportamenti collettivi umani sono legati a meccanismi che si ritrovano anche in altri animali sociali, che comportano lo sviluppo di una sudditanza nei confronti di un cosiddetto maschio-a, la religione si sostituisce al maschio-a sviluppando sudditanza nei confronti di una struttura concettuale e quindi indebolendo le eventuali figure umane leader che si formano nella comunità, questa è la ragione per la quale la religione può favorire sistemi istituzionali più democratici.
Saluti