Citazione di: Phil il 24 Settembre 2016, 17:12:43 PMIn termini ontologici è ente tutto ciò che è essente come unità, non alcuni elementi degli essenti, dunque anche i concetti sono essenti solo in virtù del loro esserci. E, dal punto di vista della sola essenza tutti gli enti sono perfettamente equivalenti, non ve ne sono alcuni che precedono altri in essenza.
Cercando di restare sul piano ontologico (anche se il mio era perlopiù linguistico), non confonderei gli enti con i concetti: gli enti non si inventano, i concetti direi di si (non ex nihilo, ovviamente...), altrimenti il concetto di "inflazione" sarebbe dovuto esistere prima dell'invenzione del denaro... e ciò è ammissibile solo con una fantasiosa teoria neo-platonica, o mistica, in cui tutto il pensabile c'è già, da qualche parte (metaforicamente parlando, ma non troppo...) e noi ci limitiamo, epoca dopo epoca, ad attingere da questo "serbatoio concettuale eterno e completo" (è questa per me la congettura ardua da sostenere, se non per "fede"... ma non voglio impantanare il discorso con speculazioni ontologiche).
Il concetto di inflazione peraltro non necessariamente è riferibile al denaro: si accompagna anche al concetto di denaro per descrivere certe situazioni, ma non solo mi pare.
Citazione di: maral il 24 Settembre 2016, 13:30:58 PMdove stanno allora i numeri e i colori prima del loro apparire alla nostra coscienza?
Citazione di: PhilIn questa domanda affiora il preconcetto che la (pre)orienta, ovvero che i numeri debbano essere sempre stati da qualche parte, per cui non resta che chiederci "dove?"; e se invece, fossero uno dei tanti concetti inventati?Scusa, ma la mia domanda introduceva un dubbio a quello che venivo dicendo io stesso, non tu, e, per risolvere il dubbio concludevo che la domanda non ha senso: non può apparire un luogo dove stanno gli essenti prima di apparire, se questo luogo apparisse sarebbero già apparsi.
CitazioneProviamo a fare una dimostrazione per assurdo: se credere che i numeri non sono innati, comporta una contraddizione o va contro esperienze attendibili, allora i numeri sono innati...La contraddizione è che non si può contare senza avere i numeri dunque non è contando che si arriva a inventare il numero, deve già esserci e non in un modo generico e impreciso da raffinare (un "tanti" o "pochi"), ma proprio per quello che è (dal "tanti" o "pochi", proprio come è già stato detto, non si arriva a nessun numero).
Citazionela contraddizione in questo caso sarebbe l'ammissione di un'esistenza-non-manifesta (vedi sotto) che quindi va contro ogni esperienza attendibile (e anche se si è d'accordo con questa prospettiva, non sono pochi i punti interrogativi metafisici e epistemologici che ne conseguono...).Bè mi pare che di esistenze non manifeste ce ne siano sempre state tante nella storia dell'umanità (e sicuramente ce ne sono tuttora che forse si manifesteranno in futuro), senza che questo pregiudichi alcuna esperienza attendibile. Tanto più che i numeri sono esistenze manifeste che ora hanno luogo, dunque esistenze si sono manifestati senza che, mi pare, questo implichi che a un certo punto siano sorti per pura invenzione da altro (da un non numero), ossia siano nati dal loro essere niente come numero.
Non è fede ciò che asserisce che ogni essente è, ma non ogni essente solo a un dato momento appare, lo constatiamo continuamente.
CitazioneChiaramente le lingue, e le rispettive convenzioni, si sono modificate con i secoli, nessuna lingua è nata dalla sera alla mattina o ad opera di un solo uomo... per "convenzione" va inteso un "inventare artificiale" che diventa poi un "affermarsi socialmente"; se le lingue non fossero convenzioni, a cosa servirebbero i dizionari, le grammatiche, etc.?I dizionari e le grammatiche fissano le lingue esistenti temporaneamente a mezzo di convenzioni, ma non è certo dai dizionari e dalle grammatiche che nascono le lingue. Ossia le lingue possono portare a convenzioni sull'uso dei termini, ma non viceversa. Non mi pare risulti a nessun antropologo che per cominciare a parlare una lingua si sia iniziato con il convenirne un dizionario, scritto o orale che fosse.
CitazioneLa prospettiva diacronica delle lingue sembra indicare il contrario: non c'è necessita del nominare qualcosa con un determinato segno o suono, semplicemente una comunità ha deciso di usare quella combinazione, altre una combinazione differente, ma non c'è nessuna "intrinseca necessità"(cit.) fra l'oggetto e la parola (salvo per le onomatopeiche), solo arbitrarietà convenzionale...Certo a posteriori posso dire che se chiamo quel colore con la parola rosso o red è sempre lo stesso colore e sicuramente è così, ma nessuna comunità fa questa scelta, cioè nessuna comunità si è mai trovata davanti a qualcosa di rosso e ha cominciato a discutere se chiamare quel colore rosso o red, mettendosi d'accordo magari per alzata di mano a maggioranza come suonava meglio. Anche perché se ci fosse mai stata questa discussione le parole avrebbero ben dovuto già esserci e dunque, di nuovo, come per i numeri, per avere le parole, ci vogliono delle parole!
Pensa anche ai neologismi, che abbondano con il fiorire di nuove dimensioni (come quella attuale dell'informatica), che necessità c'è di chiamare alcune novità tecnologiche proprio con quel nome? Nessuna, semplicemente qualcuno le battezza così e gli altri "condividono" (in tutti i sensi) quella parola...
CitazioneCredo vada distinta la "scrittura" dal "gesto" (e penso lo faccia anche Derrida quando, vado a memoria, distingue il "segno" dal "fare-segno"...), altrimenti "scrivere" e "gesticolare" diventano sinonimi! Non ricordo bene, ma non scommetterei che il concetto di "archiscrittura" di Derrida, al netto di metafore e giochi linguistici, neghi che ci sia stato, come sottolineavo, un momento in cui l'uomo non scriveva ma comunicava solo oralmente...Premesso che non conosco direttamente Derrida e quindi mi riferisco solo alla lezione di Sini che, per quanto ne so, potrebbe anche averlo interpretato male. Premesso che mi pare che lo scrivere nasce comunque come un gesto (anche se non direttamente rivolto all'interlocutore, ma rivolto all'interlocutore attraverso un mezzo che rende possibile una dilatazione del tempo tra espressione e ricevimento e forse questo è quello che distingue il gesto dello scrivere dal gesto del gesticolare). Non è di una scrittura umana che qui si parla, ma di una scrittura più originaria che nell'uomo si traduce in una ricerca di significati e quindi in suoni vocali, poi questa parola si può tradurre per l'uomo in una scrittura fonetica, come è accaduto in Occidente, ma non necessariamente in Oriente, ove la scrittura intende ancora richiamare direttamente proprio quella scrittura- segno originario e silente. Per questo, in Oriente, la scrittura viene prima della oralità e non è la semplice traduzione grafica di un suono. Questo mi pare si dica nella lezione di Sini.
CitazioneP:s. La convenzione, non la intenderei solo in modo accademico: ad esempio, come accennavo prima, molti neologismi nascono ed entrano nel vocabolario senza che ci sia un convegno di esperti, ma soltanto perché si innesca un "passaparola" fortuito e molto esteso: l'espressione "figlio dei fiori" (con tutti i riferimenti concettuali annessi) è ormai comprensibile a tutti, eppure non è sempre esistita, ma il suo successo sociale ne ha decretato la legittima appartenenza alla comunicazione (pur non sapendo, almeno io, chi sia stato il primo a coniare questa espressione).Figurati, Severino è colui che vuole proprio mettere in dubbio le radici stesse della metafisica dell'Occidente che ritiene basata sulla pretesa assurda di un'assoluta e incontestabile evidenza del divenire. Ma tornando al tema, l'espressione "figlio dei fiori", certamente è apparsa a un certo punto come un composito fatto da espressioni che avevano già significato, è una combinazione di termini che si rivela nell'apparire di una certa figura umana che la richiama, per via metaforica. Tutti i linguaggi non sono altro fondamentalmente che metafore, ossia accoppiamenti tra enti diversi che si richiamano (si fanno segno) l'un l'altro, indipendentemente da qualsiasi scelta. I linguaggi sono sistemi di metafore non scelte, non eterne e tanto meno convenzionate.
Magari mi dirai che anche questa espressione esisteva da sempre, ma attendeva solo di manifestarsi, che "era ma non appariva", ma mi concederai che con questo presupposto di innatismo radicale, perdiamo ogni presa epistemologica sull'argomento, abbandoniamo la ricerca per "accomodarci" in una "fede metafisica" di cui tutto il '900 (con buona pace di Severino?) ci ha insegnato a dubitare...