Citazione di: Donalduck il 03 Gennaio 2020, 13:10:54 PM
La frustrazione è originata da un vizio di fondo: la mania di voler trovare una realtà fondamentale da cui dipendono unidirezionalmente, ossia derivano, tutte le altre realtà (che diventano illusorie). La mania di mettere ogni punto di vista in contrapposizione agli altri, anche quando non c'è nessun necessario conflitto. Che porta a pensare cose come: o esiste il pensiero, l'idea e quindi il mondo fisico è un'illusione, o (esclusivo) esiste la materia e quindi il pensiero, la psiche, la coscienza sono illusioni (o, eufemisticamente e pressapochisticamente parlando, epifenomeni). O nel migliore dei casi: o viene prima il pensiero che poi genera la realtà fisica o viene prima la realtà fisica che genera quella psichica. Cosa impedisce di pensare che entrambe le "realtà" siano su un piano paritario e siano magari due facce di una stessa medaglia? Tutti i monismi si basano sul prevalere di qualcosa su qualcos'altro e sulla negazione del dualismo (o di un qualsiasi pluralismo). E alla fine tutto si basa sul solito tentativo di arrivare ai "fondamenti ultimi" che a me più che altro evoca l'immagine dell'asino e la carota.
Si tratta di una visione delle cose ben radicata nella mentalità della gran maggioranza delle persone, non solo filosofi e scienziati. E anche il concetto ponziopilatesco di proprietà emergente, inventato per far fronte all'evidente sovrapposizione di "piani di realtà" interdipendenti ma ben distinti che si intrecciano nel mondo dell'esperienza senza rinunciare al monismo (che spesso coincide col riduzionismo materialista), resta alquanto lacunoso e privo di contenuto informativo. Lo "stato di realtà" di queste proprietà emergenti, che possono poi formare interi sistemi relativamente indipendenti, rimane indefinito e il problema viene sistematicamente eluso.
Questa esigenza di un ordine gerarchico assoluto, che evoca sia l'assolutismo in politica che il monoteismo in ambito teologico è anche alla base della tendenza imperialista della scienza (di certi settori della comunità scientifica) che vorrebbe fagocitare ogni altra forma di conoscenza, diventando così partner naturale, simbionte, di un potere politico assolutista, come lo è la religione monoteista.
Almeno su questo aspetto la specializzazione e frammentazione del sapere sub specie scientiae sarebbe indicatore di saggezza. Chiamare emergente la vita dalla materia inorganica e l'autocoscienza dalla materia organica non mi pare bassamente "ponziopilatesco", ma l'apposizione di un segno su un confine misterioso di cui nessuno ha saputo dire meglio.
CitazioneCitazione di: IpaziaA questo bisogna mettersi d'accordo su cosa si intende per scienza, altrimenti si finisce per inserire tra le scienze anche la critica d'arte, o le arti stesse. Il punto è che solo la misurazione, la quantificazione permette l'uso della matematica e un criterio di verifica sufficientemente univoco e replicabile. E sono questi elementi che consentono in diversi campi alla scienza di rivendicare una superiorità metodologica che si concretizza in superiorità nei risultati rispetto ad altri sistemi di conoscenza. E quanto agli algoritmi probabilistici, bisogna vedere come vengono usati e se il loro uso porta a qualcosa di plausibile e affidabile, o solo a un castello di carte. Il mio parere è che discipline come la psicologia o, per focalizzare meglio un ambito specifico, la psicanalisi, non sono scienze, o sono scienze per modo di dire. Ossia usano anche il metodo scientifico (ma questo può essere vero anche per la più umanistica delle discipline) in qualche caso e in qualche misura, ma non sono affatto fondate su di esso. Sono basate su sistemi teorici in varia misura e in vario modo arbitrari, concepiti nell'immaginazione e non verificabili scientificamente (a meno che non si decida che il fatto che il paziente sia migliorato dimostri che l'impianto teorico è valido, ma questa sarebbe logica da strapazzo).
...Esiste un coacervo di scienze descrittive che si occupano di fenomeni qualitativi non misurabili. O semimisurabili attraverso algoritmi di tipo logico-probabilistico.
Si va per tentativi e ogni tanto si azzecca qualche risultato che soddisfa il metodo scientifico (mensurabilità e riproducibilità). In mancanza di meglio funzionano anche gli algoritmi, che combinano dati scientifici in correlazioni probabilistiche. Dalla registrazione dei fatti e affinamento dei parametri talvolta si giunge anche per via algoritmica ad un controllo "scientifico" sulla realtà. Tale metodologia è estendibile anche a discipline come arte, filosofia, storia e scienze umane varie perfezionando lo strumentario ermeneutico...
CitazioneIl mondo psichico può essere esplorato nel modo in cui si esplora quello fisico: osservandolo direttamente e imparando a distinguerne le entità, a individuare le proprietà delle entità e le relazioni tra le entità, e su queste basi descriverne i fenomeni e le relazioni tra fenomeni. Ma questo non va confuso col misurare l'intensità delle correnti elettriche che scorrono attraverso il sistema nervoso o le aree del cervello che risultano più o meno attive in determinate circostanze. Questo riguarda le tracce che l'attività psichica lascia nel mondo fisico (o nel lato fisico del mondo, se preferiamo quest'espressione). Dati che possono essere utili e possono anche essere messi in relazione con i dati rilevati dall'interno, ma che possono fornire solo un supporto ausiliario all'osservazione diretta. L'esplorazione diretta è quella che in vari contesti viene chiamata meditazione, ed è un'attività del tutto diversa dalla prassi scientifica corrente, anche se pure in queste attività è possibile usare in qualche misura il metodo scientifico, in particolare nella costruzione di un sistema basato sulle osservazioni fatte. E' probabile che nozioni come i chakra o i meridiani dell'agopuntura siano nati appunto dall'osservazione interiore e dal tentativo di sistematizzazione di queste osservazioni (a prescindere dal credito che si voglia dare a queste nozioni e ai sistemi di cui fanno parte). Sono convinto che ci sia molto da fare in questo senso, e che la psicologia manchi di concretezza perché sostanzialmente manca la pratica sistematica dell'osservazione diretta e la sistematizzazione delle informazioni ricavate da essa. Tutto è in genere fondato su assiomi indimostrati o su misurazioni degli effetti fisici e misurabili dell'attività psichica, che però forniscono solo informazioni indirette e marginali.
... a cui anche la meditazione e i riscontri intuitivi possono dare un loro contributo. Concordo che osservazione e registrazione dei fatti siano all'origine della conoscenza.
CitazioneDicendo che la scienza è autoreferenziale dal punto di vista dell'ontologia intendevo dire che la scienza, di per sé, non ci dà una mappa della realtà . La mappa la costruisce l'ontologia (filosoficamente intesa) avvalendosi sia della scienza che di altri metodi di conoscenza, mettendo in relazione, come già detto altrove, gli elementi della scienza (in generale del sistema di conoscenza) con gli elementi dell'esperienza (i dati della coscienza).
Possiamo anche chiamare la scienza una metafisica sui generis, filosofia della natura. Così è nata e così si è evoluta mentre piantava le sue bandierine sull'ontologia naturale disvelandone i misteri meglio di qualsiasi metafisica "dualistica" forte, per gran parte dell'universo di cui siamo, inclusa la nostra mente, parte.
CitazioneSulla teleologia bisogna innanzitutto notare che la scienza non se ne occupa e che la esclude volutamente dal suo campo d'indagine. Il che va bene finché non si pretende che questa visione diventi norma, come fa Monod nel suo Il caso e la necessità, un vero manifesto del pensiero riduzionista-materialista. Monod sostiene esplicitamente l'esigenza di un'"etica della conoscenza" basata sul "rifiuto sistematico" di considerare ogni chiave interpretativa di stampo teleologico (o teleonomico, come dice lui). Insomma un rifiuto arbitrario e aprioristico che tanto ricorda fenomeni come il razzismo o la caccia alle streghe. A parte il fatto che viene ribaltato il rapporto tra etica e conoscenza (non un'etica basata sulla conoscenza, ma una conoscenza basata su un'etica arbitraria), l'operazione nel suo insieme ricorda i sotterfugi della commedia dell'arte: prima la scienza autolimita il suo ambito di ricerca a tutto ciò che non riguarda cause finali, poi rivendica il monopolio della conoscenza e, dato che ha eliminato per sua scelta le cause finali, pretende che queste spariscano dall'orizzonte della conoscenza nel suo insieme.
Non ho letto Monod e mi devo fidare di quello che dici, ma condivido la preoccupazione etica e gnoseologica di non subordinare la realtà al principio, tipica di ogni paradigma finalistico. Vizio che ha danneggiato, nei secoli dei secoli, non poco la possibilità di produrre conoscenza. Ogni teleologia naturale si deve guadagnare sul campo della ricerca sperimentale i suoi galloni e pare che qualcosina stia uscendo fuori. Ma qualunque cosa esca la teleologia dell'unico dualismo (debole) evidente: la volontà umana autocosciente, è altra cosa.
CitazioneParlando invece di "natura" e "significato" ho qualche difficoltà a utilizzarli come rappresentanti di "causa in senso stretto" e "causa finale" o semplicemente "fine". Tutto il nostro sistema di conoscenza è basato sui segni. O, come si diceva prima, sulla creazione di modelli che vengono applicati all'esperienza. Ma i modelli sono costruiti con segni e di segni è costituito, in fin dei conti, anche il mondo dell'esperienza. E la "natura" temo che anch'essa non possa che essere costituita da segni. Io, in genere, soprattutto quando le cose si fanno confuse, uso come chiave interpretativa privilegiata l'informazione e i concetti ad essa correlati. Un segno si può considerare come un anello di una catena informativa, un componente di un flusso informativo coerente, individuabile e isolabile. Sia la natura che il significato, usando i tuoi termini, sia la causa che il fine fanno parte di un flusso informativo, ossia di catene di significanti che diventano significati (o che manifestano significati) dopo che sono stati interpretati con l'applicazione di un codice. Ora, la "natura" come la posso intendere? Direi che individuare la natura di qualcosa significa individuare il significante che ha veicolato quel qualcosa come significato. O, più realisticamente, l'insieme di significanti che hanno veicolato l'insieme di significati che hanno formato quel qualcosa (in effetti, in questo contesto bisognerebbe anche inserire il codice e la possibilità di usare diversi codici che determinano significati differenti, ma evitiamo di complicare le cose). Ma quei significanti che costituiscono la "natura" del nostro qualcosa sono a loro volta significati da qualche altro significante. Quello che distingue la causa dal fine non è la posizione (prima o dopo il nostro qualcosa) nella catena dei significanti-significati, ma il verso del flusso d'informazione. Mentre la causa efficiente determina un effetto senza preoccuparsi delle conseguenze, la causa finale si occupa proprio dalle conseguenze, che sono volute, pianificate, preconcepite, e cerca di determinare una sequenza di cause-effetti che portano ad esistenza quelle conseguenze. Questa inversione è ciò che induce a dire che le cause finali si posizionano temporalmente nel futuro, mentre le cause in senso stretto stanno nel passato o nel presente.
La scienza della "natura" si occupa di cause efficienti e poi le assembla razionalmente in catene causali finalizzate a risultati tecnici. La mente umana è il medium meta-fisico di tale processo di manipolazione teleologica della realtà naturale. La catena dei segni (significante-significato) è tutta nella nostra mente, ma la sua operatività è rivolta ai referenti naturali alla ricerca delle cause efficienti che li muovono e correlano. Questa operazione a ritroso (inversione), concordo:
CitazioneMa quello che sembra mettere maggiormente in difficoltà gli scienziati sembra essere la natura necessariamente psichica della causa finale, dato che non possiamo attribuirgli una realtà fisica e non possiamo prescindere dai concetti di volontà e intenzionalità. Mentre non hanno difficoltà ad ammettere le ripercussioni psichiche dei fenomeni fisici, sono estremamente riluttanti ad ammettere che il mondo psichico sia anch'esso un "mondo delle cause" con pari diritto di quello fisico. E ancora di più ad ammettere che possano esistere principi psichici immanenti all'intera realtà, immanenti come lo sono le forze o interazioni fondamentali e gli altri costituenti basilari del modello fisico. Non mi risulta facile capire questa presa di posizione aprioristica, tanto meno giustificarla, ma così è, a quanto pare. Permane nel mondo scientifico la tendenza ad avere una visione fantasmatica della psiche, qualcosa che non ha vera consistenza, vera "realtà", perché non sarebbe in grado di determinare effetti (a dispetto di ogni evidenza). E quello che costituisce un problema è che c'è una forte tendenza, nel mondo scientifico, a voler imporre questa arbitraria e sostanzialmente irrazionale visione delle cose in tutti gli ambiti del pensiero.
, mette in crisi la dogmatica scientista fino al punto di negare l'evidenza, ovvero tutto un mondo artificiale/tecnologico non previsto dall'evoluzione naturale. Oppure no, ma ancora una volta non possiamo che chiamare in causa il deus ex machina dell'"emergenza" apparentemente dal nulla. Di fronte al cui procedere lo scientista deve quantomeno prendere atto di un sempre maggior grado di libertà dei prodotti evolutivi fino a livelli indeterministici che si sottraggono beffardamente ad ogni tentativo di misura e riproduzione.
Salmo che finirebbe in gloria se le retroazioni di tale libertà non riconducessero inesorabilmente alla causa efficiente (limitata) frustrando quella finale (illimitata). Ma è un gioco talmente bello che vale la pena di giocarlo fino in fondo, nel rispetto dell'avversario (natura) e nel mancato rispetto dei caifa di tutte le religioni sacre o profane.
