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Messaggi - Phil

#631
Il motto emblematico del rasoio, «non bisogna moltiplicare gli (elem)enti più del necessario», ha secondo me valenza metodologica più che descrittiva; solitamente si pone l'accento sul "non moltiplicare", sul tagliare via, ma la valenza metodologica più fertile sta più nel concetto di necessità che in quello di quantità. Ce lo dimostra, a suo modo, proprio il discorso della fede: la fede crede in un numero chiuso di enti (un dio, tanti uomini, un solo pianeta con una stirpe eletta, un inizio e una fine dei tempi, etc.), mentre la scienza è aperta ad un numero potenzialmente infinito di enti ("infinite" specie di viventi, "infiniti" eventi che scandiscono il tempo verso un futuro "infinito" in uno spazio che, dicono, si espanda "all'infinito", etc.). Dunque la scienza moltiplica gli elementi molto più della religione che, al massimo, ne infila solo uno in più (il divino) nel mucchio. Tuttavia la questione metodologicamente cruciale, per me, non è quella della quantità bensì quella della necessità: le ipotesi scientifiche moltiplicano spesso gli elementi del discorso (così come hanno moltiplicato gli universi, gli elementi della tavola periodica, etc.), ma lo fanno per necessità di descrivere nuove scoperte e, soprattutto, nella costanza che tali elementi siano sempre potenzialmente studiabili e "rasoiabili" (falsificabili, dicono in gergo).
La fede si espone quindi al rasoio non perché aggiunga un elemento, ma perché ne aggiunge uno non (più) necessario metodologicamente e per giunta infalsificabile. Il fatto che poi sia un elemento "necessario" psicologicamente, culturalmente, etc. è una questione che esula dal rasoio metodologico che ha per scopo tenere "in ordine" la conoscenza, non l'indole umana con suadenti suggestioni metafisiche ereditate dal passato. Questo rasoio è dunque il nuovo "dogma alla moda", oggetto della "fede contemporanea"? Uno strumento metodologico può essere un dogma (da non confondere con i dogmi strumentalizzati) se il suo impiego può dimostrarsi fallace? Il prendere atto di risultati epistemici può essere fede? Chi si fa la barba (o si depila a lama) sa bene che non è la cieca fede a guidare la lama, ma la mano attentamente coordinata dall'occhio (solitamente ben aperto) e non è l'aria che viene "infalsificabilmente" tagliata dalla lama, ma il pelo visibile (e cestinabile), così come non è un dogma che, dopo il passaggio del rasoio, ci sia spazio solo per la constatazione della realtà, senza atti di fede: o il pelo c'è ancora, o non c'è più. Lo stesso accade con la metodologia della conoscenza: l'occhio attento delle epistemologie prova a guidare la lama della ricerca, facendo in modo che vengano tagliati i peli e non la giugulare; anche perché, in caso di errore, per mano malferma o altro, sarà il sangue (della realtà) a ricordarci la differenza fra un pelo e un vaso sanguigno. Non a caso, se proviamo a tagliare via le regole di inferenza o il principio di non contraddizione otteniamo le migliori poesie (e metafisiche), giustamente incompatibili con analisi metodologica di ricerca scientifica.
Lasciando da parte depilazioni e globuli bianchi, la necessità che spinge la ricerca non religiosa alla moltiplicazione degli elementi dove si radica? Solitamente è la realtà a suggerircela "occamisticamente": se troviamo un osso che, più lo studiamo e meno appartiene ad una razza animale conosciuta, dobbiamo aggiungere nuove ipotesi alle teorie e alle tassonomie attuali, sperando di poter capire meglio le caratteristiche del proprietario di tale insolito reperto. 
Da notare che c'è anche un "occamismo religioso" che, tagliando via, per "obbligo divino", tutto ciò che non è compatibile con la sua divinità (o addirittura con il suo "piano del discorso", come quando nega l'esistenza di "piani atei"), interpreta preventivamente ogni elemento possibile come firma di una divinità: come ai tempi in cui il tuono suscitava stupore ed aveva "inevitabilmente" natura "divina", così anche oggi si potrebbe dire (e forse è già stato detto) che il big bang, se accaduto, ha avuto altrettanto "inevitabile" causa "divina" (perché esporsi al rischio di aggiungere nuovi elementi da tagliare? Per quanto ogni religione risulti oggi, a mio giudizio, sempre un po' "pelosa": più taglia via da una parte i peli dello scetticismo, della logica e della scienza, più questi ricrescono dall'altra; per quanto, come dice il "proverbio antishaming", donna baffuta...). Come detto in precedenza, la vera forza della religione è la fede, il poter "fare spallucce" di fronte a scienza e logica dicendo «ho fede in questo, non mi servono né ragionamenti né dimostrazioni»; una religione che cerca invece di porsi come filosofia o come dialogante con la scienza, al netto di "concessioni" demagogiche e diplomatiche, sega, anzi "rasoia", il ramo su cui è seduta (anche se in fondo lo fa per gioco: sa già che, comunque vada, cadrà sul morbido cuscino della fede).
#632
Citazione di: Duc in altum! il 20 Gennaio 2023, 20:49:32 PMDovresti solo, facendoti un po' di violenza intima (tanto non ti vede nessuno ...e tra te e te), individuare se hai, per quel che riguarda i misteri ontologici umani, delle verità assolute che - "per adesso" - le accogli come vere e giuste.
Se ti fidi, posso dirti che, per ora, mi pare di non averne: sono tendenzialmente diffidente verso gli assoluti che vogliono spiegare a tutti i costi i "misteri ontologici", soprattutto quando sono assoluti che non sanno dimostrarsi tali (e si reggono solo sulla fede altrui in un circolo vizioso). Nel mio piccolo considero alcuni misteri come misteri (altri mi paiono mere fantasie sotto forma di domanda), accetto l'impossibilità di spiegare tutto e riconosco l'infalsificabilità delle teorie infalsificabili per quella che è (ragionando solitamente "a matita", lasciando la penna e lo scalpello per chi è più "ambizioso" o più "ispirato" di me).

Citazione di: Duc in altum! il 20 Gennaio 2023, 20:49:32 PMNon sei il solo a non saperlo, caro @Phil, ma gli ebrei erano già avanti sull'inevitabilità della fede: se non credi in YHWH non puoi che credere in altro (allora non c'erano la scienza, il determinismo e l'ateismo - idoli moderni e contemporanei - ma solo idoli come divinità), non è che puoi non credere!
Sempre al netto della non trascurabile differenza (soprattutto in termini di spiritualità) fra credenza religiosa e credenza non-religiosa (almeno per come interpreto la questione della credenza), per quanto riguarda la non-esistenza degli atei, se non sbaglio alcuni papi hanno parlato dell'ateismo e degli atei, quasi fossero persone davvero esistenti (ad esempio in «Gaudium et spes», in passi citati anche nel «Catechismo della chiesa cattolica»; tuttavia, non sarà certo un'eventuale interpretazione "divergente" a minare la fede e la religione in oggetto, al massimo le rende ancora più "versatili").
#633
Citazione di: Duc in altum! il 19 Gennaio 2023, 21:09:11 PMnel frattempo che si comprenda che quel "mi pare e spero che possa funzionare" è stato un fallimento, quelle scelte sono divenute i nostri dogmi
Se concordiamo che alla base di ogni scelta c'è qualcosa che decidiamo di chiamare sempre e comunque «dogma», l'importante credo sia allora non confondere (almeno) i "dogmi" che sono opinioni scritte a matita su una salvietta da bar con i dogmi che sono verità assolute incise nella pietra delle "tavole della legge"; i "dogmi" che possiamo cambiare da soli (ri)pensandoci sopra un attimo e quelli che non cambiano da secoli e ai quali dobbiamo solo inchinarci, etc. fatto salvo questo tipo di distinzioni, possiamo anche chiamare "dogma" lo scegliere i numeri del lotto sperando che esca un numero; è pur sempre fondamentale condividere un linguaggio comune, per potersi capire.

Citazione di: Duc in altum! il 19 Gennaio 2023, 21:09:11 PMdal punto di vista del credente nel Dio biblico, non esiste il senza-dio (l'a-teo è un'illusione umana), ma l'empio, ossia, colui che adora un idolo al posto di Dio
Da quanto mi dici (non lo sapevo) mi pare che la non-esistenza del senza-Dio, l'a-teo come illusione umana, etc. siano dogmi in cui alcuni devono credere (anche se "apparentemente" falsificati dalla realtà circostante) al punto che quando incontrano qualcuno senza idoli, gliene devono assegnare uno "d'ufficio" (chissà qual è il mio e soprattutto quanto è religioso il mio adorarlo; e così mi ritrovo ad essere idolatra ed empio pensando invece di essere ateo; evidentemente anche l'opinione, o meglio, il "dogma" che avevo su di me è piuttosto sbagliato; per fortuna che ho dogmi "a matita"...).

Citazione di: Duc in altum! il 19 Gennaio 2023, 21:09:11 PME no, tu stesso (rileggiti) stai affermando che se hai scommesso male te ne accorgerai quando si fermerà la pallina, sicché tu sì che hai scommesso pensando/credendo/avendo fede che quella puntata era la vincente (...come verità assoluta).
La partita è finita non hai più opportunità di correggere, da quel momento la doxa è considerata/valutata/giudicata come episteme.
Anche qui viene, in buona fede, tradotto in "dogmatichese" ciò che non lo è; quindi provo a chiarire: se un domani, da morto, incontro Dio, non potrò certo negare la sua esitenza, ma ciò non significa che oggi, da vivo, consideri la sua non esistenza una "verità assoluta", perché (per me) non può proprio esserlo, essendo l'esistenza di un dio non verificabile epistemicamente per definizione. Resta solo una mia opinione ("dogma" nel nostro linguaggio condiviso) pronta, in quanto tale, ad essere facilmente falsificata nell'evento di tale possibile incontro post-mortem (certo, puoi anche non fidarti di quello che dico). Ovviamente, se Dio considererà episteme la mia doxa, avrà di certo ragione lui (anche perché non so nemmeno con quale doxa, pardon, "dogma" arriverò al momento della mia dipartita).
#634
Citazione di: Duc in altum! il 18 Gennaio 2023, 18:23:55 PMBene, questo è avere fede pur credendo di non averla: "...opinioni, congetture e ipotesi, sulle quali baso le scelte che la vita mi costringe a prendere...", visto che non hai certezza che quelle scelte siano giuste, buone e belle, oltre che sono esse stesse a forgiare i tuoi dogmi.
Anzi, a pensarci bene, può darsi proprio che stai sprecando la tua esistenza, casomai ci fosse una verità assoluta agli antipodi delle tue:  "...opinioni, congetture e ipotesi, sulle quali baso le scelte che la vita mi costringe a prendere...".
Temo di non capire come un atteggiamento del tipo «scelgo di fare così perché mi pare (e spero) che possa funzionare» concorra a «forgiare dogmi» che, correggimi se sbaglio, solitamente non iniziano con «mi pare...» e non terminano con «speriamo... staremo a vedere». Se poi tali "dogmi" sono mutevoli (potenzialmente, ma talvolta anche in pratica) come possono esserlo (e talvolta lo sono state) le mie opinioni, non so quanto sia corretto definirli «dogmi». Mi concederai (almeno) che non sono "dogmi" religiosi?
Sullo "sprecare" l'esistenza: se c'è una "verità assoluta" agli antipodi delle mie «opinioni, congetture, etc.» me ne accorgerò, se non da vivo (dipende dalle opinioni in questione), probabilmente solo dopo la morte e avrò allora la conferma che le mie erano, appunto, solo opinioni, congetture, etc. Sarebbe stata un'esistenza forse più "sprecata" se avessi invece ritenuto tali opinioni delle verità assolute (e magari anche dogmatiche), tuttavia, mi pare che così non sia; dopo la morte starò (eventualmente) a vedere quello che succederà.
#635
Citazione di: Duc in altum! il 18 Gennaio 2023, 11:43:53 AMSì, ma devi leggerlo sempre con fede che  questo oracolo riveli la verità.
Altrimenti come puoi immaginare che Dio si annulla nell'uomo.
La (contro)proposta interpretativa era contestualizzata alla proposta di Kobayashi, in un dialogo per capire meglio cosa intendesse con «Dio è Spirito» e sondare quali ne fossero i fondamenti.
Personalmente, quindi uscendo dal discorso sul dio-spirito di Kobayashi, non credo negli oracoli, né ho fede nella possibilità di conoscere Dio tramite l'introspezione, poiché ciò presupporrebbe la fede nell'esistenza di Dio, altra fede che non ho. Mi attengo solo a ciò che esperisco ad ogni mia sporadica introspezione e non c'è traccia di divinità, né di fedi. Ma ho almeno fede che tale mia introspezione sia veritiera? No, perché non mi pongo nemmeno il problema se ci sia della verità in tale mia introspezione; è un'esperienza da "curiosone" che mi concedo saltuariamente e la vivo come tale (non come "esperienza di verità", o rapporto col divino né altri "sovraccarichi" semantici). Probabilmente avrò altre "fedi", ma non credo siano religiose o inerenti le divinità. E allora l'aver fede che Dio non ci sia? Nemmeno quella è davvero una fede, perché è solo una mia opinione e so bene che potrei sbagliarmi (trattandosi di ipotesi infalsificabile, almeno in vita).
Se invece scindiamo la fede dal presupporre la verità del suo oggetto (e dai dogmi annessi), allora sono pieno di "fedi", ossia: opinioni, congetture e ipotesi, sulle quali baso le scelte che la vita mi costringe a prendere (con poca fede-fiduca circa la possibilità di valutare quali siano davvero le migliori; ho imparato che ciò che lo sembra a breve termine spesso non lo è a lungo termine e viceversa).
#636
Citazione di: Kobayashi il 17 Gennaio 2023, 10:47:10 AMDio non è un oggetto; dunque di esso non si può avere conoscenza così come si conosce qualcosa del mondo; [...]
cercare Dio non significa cercare di conoscerlo, ma incarnarlo, ritrovarlo in se', diventare come Lui [...]
il fondo dell'interiorità dell'uomo liberato è uguale a Dio; sono la stessa cosa e nello stesso tempo non sono ne l'uno ne l'altro;
[...] non è l'umano in devozione di fronte al Dio onnipotente della religione; non è il divino perfetto che regna nei cieli.
Ho estratto i passi in cui la questione del divino si rivela più problematica di quanto lo sia nella religione standard: tale discorso sul dio interiore è, come puoi notare dalla citazione, basato sulla ricorrenza della negazione e sull'infondatezza dell'affermazione. In questo sta la problematicità di tale "spiritualità negativa": non dà appigli né per la riflessione, né per un'esperienza orientata ("orientarsi all'interiorità", così in generale, non significa nulla).
Quindi chiedo: in concreto, nell'esperienza spirituale individuale, che significa "diventare come Dio", "trovare Dio dentro di sé", etc.? Proposte sicuramente suggestive e poetiche, ma nella pratica di tale spiritualità, in cosa consistono? Qual è la «esperienza religiosa realmente non alienante»(cit.) di cui parli?
La pacificazione interiore non ha affatto bisogno di "sconfinare" nel divino, come ben insegnano ad oriente. Come faccio dunque a sapere che sono in rapporto con Dio magari quando prego liberamente, e non quando medito sul vuoto, e non quando ho un rapporto sessuale (v. tantra), e non quando sogno (creando mondi), e non quando ho uno scatto d'ira, etc.? Se tutti questi sono rapporti con Dio, allora tale dio è una "proiezione ridondante" di me stesso, poiché sono tutti palesemente elementi individuali che mi dimostrano umano (non un dio). Ne conseguirebbe che tale divinità-spirito è mera proiezione della mia autoconsapevolezza, proiezione che è immanente alla mia mente e per nulla "ontologicamente divina".
Mi sorge dunque il sospetto che siamo noi epigoni del cristianesimo e delle varie teologie che "sentiamo il bisogno" di infilare un dio sempre e comunque nella spiritualità, anche a costo di spogliarlo della sua tradizione, della sua identità "rivelata" ed incatenarlo in apofatismi e teologie negative; rendendolo, così facendo, più problematico in quanto ancor più indefinibile e, in ultima analisi, ancor più assente, del Dio che forse si è "fatto vivo" (in tutti i sensi).
E se provassimo a leggere il consiglio dell'oracolo di Delfi laicamente, come consapevole implosione del divino nell'interiorità umana, con Dio che si annulla nell'uomo e non viceversa? Ne risulterebbe un uomo terreno, senza dei, ma con un'interiorità da decifrare senza fronzoli mitologici (sarebbe, secondo me, molto meno "ridondante" e "proiettivo", nonché,  tornado al rasoio gnoseologico, più "a pelo corto").
#637
@Kobayashi

La "visione" di Dio come puro spirito è ancor più problematica di quella del Dio delle scritture, a cui appartiene comunque anche Giovanni, con annessi problemi esegetici e veritativi. Se Dio è "spirito" (che a ben vedere significa tutto e ni-ente), ma diffidiamo di quando tale spirito ha parlato o si è rivelato (semmai lo abbia fatto, a questo punto), dando direttive sul bene e sul male, allora come "trattare" tale  eventuale Dio-Spirito, annidato silenziosamente nella nostra interiorità, che non ha detto nulla e di cui nulla si possa dire? Ciò, come già osservato, ne compromette persino l'esistenza: se l'unico indizio al riguardo è che qualcuno un giorno ha affermato «Dio è spirito» o «conoscerai Dio», usando Dio quasi come nome comune, senza referente, sappiamo davvero cosa stiamo cercando? Siamo sicuri che l'oracolo di Delfi e Giovanni (o Agostino) parlassero dello stesso Dio-Spirito? Se sì (avversità filologiche a parte), in base a cosa? Loro lo hanno poi trovato nella loro interiorità e hanno concluso che non fosse minimamente comunicabile/descrivibile? 
Mettere un dio "da qualche parte" è una leggerezza che molte religioni si sono ben guardate dal commettere: per questo nessuno crede più negli dei dell'Olimpo, pochi credono in quelli del "Cielo", ma molti in quelli che non sono da nessuna parte. Certo, si può sempre imputare il mancato rinvenimento all'incapacità del cercatore, ma se tutti i cercatori risultano incapaci, o quelli che lo trovano lo descrivono sempre come quello che "gioca in casa", la credibilità del posizionamento interiore, a mio avviso, ne risente non poco.
Questo dio per tutti e per nessuno, di cui non si sa nulla e che non fa sapere nulla di sé (perché è spirito che non comunica), sembra quasi più una creazione della mente di quel soggetto che altri soggetti invitano all'introspezione (e ha ancor più senso, allora, affermare che conoscendo se stessi si conoscerà anche dio...). A mio giudizio, si tratta del fantomatico (e un po' posticcio, onestamente) "dio dei filosofi renitenti" come denominatore comune (interreligioso quindi post-religioso, se si considera attentamente cosa sia una religione), sfrondato di tutte le caratteristiche che lo rendono connotabile, fino a ridurlo a concetto aleatorio, oggetto chimerico di silenzio e di ricerca senza chiari indizi (un po' come quella di Diogene "il cinico" che andava per la città cercando, con la sua lanterna, «l'uomo»...).
Sia l'uomo della strada che il filosofo si trovano di fronte le famigerate domande kantiane (cosa posso conoscere? cosa devo fare? in cosa posso sperare? cos'è l'uomo?) e tale dio-spirito sembra aggiungerne una quinta: come rapportarsi al dio-spirito? Qualcuno reciderebbe tale aggiunta con una netta "rasoiata ochkamistica", ritenendo più opportuno, al limite, congetturare spiriti dei defunti o divinità che, forse, si sono almeno rivelate "in qualche modo" (per chi ci crede).
#638
Citazione di: Socrate78 il 15 Gennaio 2023, 10:24:28 AMSecondo voi come mai in Kierkegaard non viene analizzato il ruolo sociale nella costruzione della fede, ma essa viene vista come qualcosa di indipendente dal contesto in cui l'uomo vive?
Ripassando un po' Kierkegaard, direi che la scelta di fare appello ad Abramo è dovuta al protestantesimo dell'autore, che è non a caso la versione del cristianesimo che meno confida nella intermediazione delle istituzioni religiose (che ricadono dunque in extremis nello stadio etico), privilegiando quel rapporto "diretto e personale" con Dio (che può sfociare anche nella mistica esistenziale).
Il caso di Abramo è emblematico perché viene superato lo stadio (e stato) etico, della legge umana e di quella religiosa del "non uccidere", poiché, essendo Dio assoluto e superiore a tutto, alla sua richiesta scandalosa di uccidere il proprio figlio viene destituita ogni legge (anche a quella stessa divina; se Dio cambia idea, la sua ultima parola è quella che vale). Abramo è colui che, nella sua emblematica solitudine (anche nell'episodio narrato ), ha fede in Dio anche quando gli chiede di compiere gesti umanamente assurdi, e in ciò rappresenta la sottomissione della soggettività, pensante e affettiva, al volere divino. Ma ciò rappresenta anche come Dio possa mettere alla prova solo per vedere quanta fede si ha in lui: di fatto Isacco, alla fine, la scamperà (tranne che in una versione dei «Diari» di Kierkegaard). Da notare, come, in una versione proposta dall'autore, prima di compiere il gesto "disumano" (in quanto di ordine divino), Abramo "protegga" Dio, il "mandante", dicendo ad Isacco che non sta facendo la volontà di Dio (ma non è questo rinnegare Dio, come fece Pietro?), per timore che Isacco perda la fede (ragionamento etico, seppur finalizzato alla fede); Abramo sceglie la propria fede in Dio sopra all'amore paterno, al punto da voler anche tutelare la fede in Dio della vittima sacrificale.
Il famoso "salto nella fede" tuttavia non è sinonimo, per Kierkegaard, di gioia e serenità, ma, proprio nel suo essere asimmetrico contatto con il divino, con una volontà superiore, paradossale per la razionalità umana, etc. comporta "timore e tremore" (come la sua opera), anch'essi emblematicamente incarnati da Abramo che non è certo gioioso nell'(e)seguire la richiesta di Dio, richiesta che non comprende razionalmente (né eticamente), non condivide emotivamente, eppure verso cui ha fede.
Ulteriore criticità nel rapporto con Dio, nonostante il ruolo non secondario del concetto di "provvidenza divina" (adesione alla volontà di Dio come possibilità), è la mancata certezza della chiarezza della volontà divina, in assenza di autorità di riferimento (o di "voci dal cielo", come per Abramo): la possibilità della scelta sbagliata, del fraintendere la volontà di Dio, la libertà di peccare senza che ci venga "segnalato dall'alt(r)o", etc. rendono la scelta della fede un gesto tanto radicale quanto "tormentato", basato sulla disperazione per se stessi e l'angoscia per le possibilità del mondo («disperazione» e «angoscia» nel senso kierkegaardiano). Insomma, quella di Kierkegaard non è una fede per chi ama la serenità né per deboli di cuore.
#639
Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2023, 17:43:38 PMChe vi sia una guerra in corso tra credenti e non credenti sembra sia un dato poco contestabile.
Per fare una "guerra" fra "fedi" bisogna essere anzitutto "guerrieri" ("arruolati" nella gerarchia "militare", pronti a scontrarsi) armati (della verità e della fede in essa) e con un obiettivo da ottenere (la conversione dell'altro). A scanso di equivoci, questo identikit non appartiene solo ai crociati, più o meno contemporanei, ma anche ai non credenti che ragionano da "crociati della verità": combattere contro chi la contesta. Ci sono poi i civili, che pur non estranei ad eventuali ripercussioni sociali di questa "guerra", possono fare "obiezione di coscienza" e scegliere di non combattere, perché disarmati (e magari dotati di achillea resistenza agli strali altrui) o semplicemente non interessati a conquistare nuovi territori nel "Risiko delle credenze".

Citazione di: daniele22 il 13 Gennaio 2023, 17:43:38 PMDall'altra parte bisognerebbe sapere meglio a cosa crede il non credente
La domanda appare paradossale solo se posta in ambito religioso (dove diventa «quale vino beve l'astemio?»); tuttavia, se posta fuori da tale ambito finisce con il riguardare "di rimbalzo" anche i non religiosi, scalzando la differenza temntica fra credenti in una divinità e non. Provo a spiegarmi: se chiediamo a un credente in cosa crede religiosamente, egli risponderà con il nome della religione o della divinità in cui crede; se facciamo la stessa domanda religiosa a un non credente, egli risponderà che non crede in nulla di religioso (sempre tenendo ben ferma la distinzione fra autentiche religioni e religioni metaforiche, come il "Dio denaro", etc.). Se invece crediamo ad una persona, senza sapere se sia religiosamente credente o meno, se crede che domani sorgerà il sole, se crede che aiutare il prossimo sia giusto, se crede di non essere stato adottato, etc. le varie risposte non saranno il discrimine fra chi crede religiosamente e chi no, non essendo necessariamente connesse ad una visione religiosa.
Chiedere dunque «a cosa crede il non credente» in ambito religioso, è un non-senso (poiché l'ateo, se davvero tale, non ha credenze religiose); porre la stessa domanda fuori dal contesto religioso, non ha troppo senso per il sottoinsieme ("non credenti" rispetto a "tutti") a cui si riferisce, sottoinsieme che, essendo basato su una negazione, è un sottoinsieme piuttosto "trasversale" se interrogato in ottica propositiva (salvo presupporre che l'essere non credente comporti necessariamente avere i medesimi valori di tutti gli altri non credenti, quasi fossero una setta o un partito fondati su una negazione; che è come sostenere che tutti quelli che non amano passare le ferie al mare, debbano in quanto tali andar pazzi per gli stessi cibi; in fondo basta pensare a quanti valori siano in comune fra cristiani e comunisti, eppure quanti comunisti non siano credenti, quanti non credenti non siano comunisti, etc.).
Certo, una riposta statistica "a maggioranza" è comunque possibile, a seguito di sondaggio fra i non credenti; così come è possibile in teoria sapere "che squadra tifano solitamente le persone nate a maggio", senza che tuttavia ciò stabilisca un legame di implicazione forte fra l'essere nati in quel mese e tifare una certa squadra; senza contare tutte quelle persone che sono nate a maggio e non tifano affatto, quelli che tifano per la stessa squadra dei nati a maggio ma non sono nati a maggio, etc.
#640
Ultimo libro letto / Re: Ragionamenti sbagliati
14 Gennaio 2023, 10:12:42 AM
Citazione di: Ipazia il 14 Gennaio 2023, 06:53:40 AMLa statistica è la sistematizzazione logica del feticismo scientista per i polli (Trilussa) che hanno fede nella Scienza.
Eppure senza statistica non c'è analisi quantitativa su larga scala; senza analisi quantitativa su larga scala non ci sono né scienza, né medicina, né democrazia, né approvvigionamento dei supermercati, etc. senza tutto ciò non so quanto resti di "qualitativo" per l'uomo contemporaneo... di certo non i ragionamenti: se vedo qualcuno che mangia due polli e qualcuno che non mangia, per stabilire davvero chi è ricco e chi è povero, dovrei prima stabilire statisticamente quanti polli ognuno di loro mangia in media al giorno; altrimenti rischio di considerare ricco il povero (che si concede un pollo dopo una settimana di risparmiosa parsimonia) e ritenere povero il ricco (che invece ieri ha mangiato così tanti polli da essere sazio ancora oggi).
Certamente si può sragionare anche con le statistiche, tuttavia il problema, in buona o cattiva "fede", non è allora nello strumento, ma in chi lo usa.
#641
@InVerno

Sul piano puramente logico, gli "onnipoteri" di Dio (onnipotente, onnisciente, onnipresente e forse altro) effettivamente non depongono sempre a suo favore: se è onnipotente, significa che potrebbe perdonarmi ma non vuole (da cui l'"amore condizionato" di cui s'è parlato già molto in precedenza; anch'Egli non fa ciò che non vuole); se è onnisciente, sa anche se mi salverò dall'inferno o meno, quindi sa anche che non mi perdonerà perché magari non mi convertirò, dunque non è realmente disponibile ad accogliere il mio pentimento perché già sa che questo non avverrà; se invece è onnisciente del presente, ma non del futuro, allora c'è spazio per "il finale a sorpresa" nel post-mortem (e si torna al "misterioso sadismo" del non superare un test terrestre finito che comporta sofferenza ultraterrena infinita). Se l'onniscenza abbraccia anche il futuro, ne conseguono poi altre questioni più tortuose e cavillose, del tipo: Dio non ha libero arbitrio perché se è onnisciente già sa cosa farà, e non può cambiare il suo futuro perché altrimenti verrebbe meno la sua onniscienza (nel prevederlo), ma allora non è onnipotente se non può scegliere di fare ciò che vuole ma solo ciò che già sa che farà, e non può nemmeno essere pura coincidenza di sapere e volere, perché così verrebbe meno il suo poter scegliere liberamente di fare qualcosa (con annessa deterministica impotenza di fronte al proprio destino, il che lo renderebbe solo 'ingranaggio primario" mosso da altro a lui "superiore" e non il fantomatico "motore immobile" aristotelico), etc.
Onestamente questi logicismi lasciano il tempo che trovano, perché in quanto Dio potrebbe anche piegare le leggi della logica umana, o averne una tutta sua, etc. la questione che invece mi solletica, nella mia ignoranza filologica, è invece se ci siano dei passi biblici o evangelici dove esplicitamente Dio (o Gesù) si attribuiscano in prima persona tali "onnipoteri", oppure se sono stati poi "assegnati d'ufficio" dalla chiesa e dalla teologia (per l'onnipotenza ho trovato subito qualcosa in rete, ma per l'onniscienza forse servono ricerche più attente, per questo chiedo a chi magari sa già indicarmi i passi).
#642
Varie / Re: Il problemino dei triangoli
12 Gennaio 2023, 12:02:01 PM
Sono 18, più eventualmente quello della A:

#643
@Duc in altum!

Confesso che ho messo quel «se» in corsivo non a caso, ossia per non tacciare aprioristicamente i credenti di disinteresse verso la comprensione dell'orizzonte altrui (pur conoscendo bene i loro "vincoli"), tuttavia la conferma del tuo post mi spinge ad essere più esplicito con la certezza di non essere frainteso. Non si tratta banalmente di "politicamente corretto", poiché questo si limita a dare una retorica e ipocrita "pacca sulla spalla" a chi non la pensa come noi; ciò di cui parlavo è invece la curiosità (e la possibilità) di comprensione, fuori da logiche diplomatiche o di facciata. Comprensione che ovviamente non comporta concordare: posso leggere un autore filosofico, cercare di capirlo il più possibile pur avendo, personalmente, una visione diametralmente opposta; è quello che insegna a fare la filosofia, e l'ermeneutica in particolare (ad esempio, tutte le domande e le obiezioni che ti ho posto sul cristianesimo, l'amore, il perdono, etc. mi hanno aiutato, tramite le tue risposte, a capirlo meglio; tuttavia, che me ne faccio se resto comunque ateo? Misteri del "gusto della comprensione"). Le religioni non vedono di buon occhio tale "stravaganza del voler comprendere", né il rischio di esporre le proprie certezze all'incudine dell'altro senza l'invincibile "fodero dalla fede", ma non per questo non meritano, a loro volta, di essere possibile oggetto di comprensione anche per chi non crede.
Sul non voler mollare la presa dalla propria verità avevo già postillato: «sempre che la rigidità della "propria verità" non intralci eccessivamente tale sospensione deformando l'avventurarsi nell'altrui orizzonte». Insomma, glissavo per non non sembrare provocatorio, ma la fede in una religione non aiuta troppo quando si tratta di comprendere una prospettiva differente (di questa attitudine stavo parlando), sia se si segue il modello di Gesù che, non per nulla, si è presentato per indottrinare e non per fare l'antropologo o l'ermeneuta, sia se si segue la propria fede in altre religioni, che in quanto tali mirano solitamente all'ecumenismo e alla conversione altrui e non hanno, giustamente (se mi metto nei loro panni, potendolo fare, pur da ateo...) alcun interesse alla comprensione di prospettive per loro sbagliate, peccatrici e "da sanare". Qui sta tutta la differenza fra l'orizzonte metafisico-veritativo e quello semantico-ermeneutico, in veste di ulteriore asimmetria fra credenti e non credenti: nel comprendere la posizione altrui non godono della medesima possibile "apertura/gusto dell'indagine" (né interesse, probabilmente, il che è un "bene", mutatis mutandis, per ciascuno di loro, ad ulteriore riprova che una fede/fiducia non valga l'altra...).
#644
Citazione di: Kobayashi il 11 Gennaio 2023, 11:20:51 AMSecondo me ci può essere vero dialogo tra credenti e atei a patto che:
1) i credenti comprendano e accettino una volta per tutte che la loro fede non può riguardare un racconto, una rivelazione. [...]
2) gli atei, almeno nel tempo del dialogo, devono [...] aprirsi (o riaprirsi) allo sguardo della filosofia classica greca che sapeva pensare il divino pur criticando la mitologia.

[...]trascendere il particolare per accedere ad una visione armoniosa del mondo e ad una vita di pace. Al distacco.

A queste condizioni si può fare ricerca insieme.
Credo che il fattore chiave sia l'argomento di tale dialogo o ricerca; se si parla di «spiritualità» non ci si può aspettare che un credente religioso (ac)consenta che la sua fede non sia basata su una rivelazione o su un testo sacro, perché così facendo smetterebbe di avere un fondamento chiaro e dogmatico (qui non in senso dispregiativo) e non avrebbe più fede nella specifica "divinità-x". Alla fine dei giochi, avere fede in una religione, comporta non averne in un'altra, soprattutto quando la si pratica e si recitano sensatamente alcune preghiere (o simili), i dogmi dell'una non sono i dogmi dell'altra, etc. e la generica credenza in una divinità ignota e senza rivelazioni o "comunicazioni dall'alto" è per me, come detto altre volte, mero sintomo della mancata elaborazione del lutto divino: si è capito che il dio delle religioni non esiste, ma non si vuole accettarlo e nemmeno costruirsi un vitello d'oro, quindi ci si accontenta di un "apofatismo consolatorio" senza religione, senza ragione e, forse inconsapevolmente, senza dio (poiché di un dio senza manifestazione e senza religione non si possono predicare "proprietà", al punto che la sua stessa esistenza non ha più "indizi" su cui fondarsi, se non la nostalgia di un simulacro adatto al ruolo che vogliamo dargli).
D'altro canto, non ci si può nemmeno aspettare che un "ateo qualunque" (ma alcuni sì) inizi a «pensare il divino pur criticando la mitologia»: tale possibilismo, basato sull'ìnfalsificabilità di alcuni concetti, non consente ricerca perché di fatto manca il campo d'indagine: screditati i racconti mitologici e le tradizioni religiose, qual è il fondamento del presunto "divino senza divinità" o "divinità senza comunicazione con l'uomo"? Forse il senso di stupore di fronte alla vita? Stupore umano per un domandare umano che, in caso di eventuale mancanza di spiegazione accettabile, ha imparato con il tempo anche a non postulare necessariamente divinità che alienano la non-spiegazione esistenziale in dogmi così non-spiegabili da richiedere, appunto, fede.
Ripartire da quello stupore, significa ritornare alla domanda a cui hanno già risposto le religioni e, volendo trovare una nuova risposta, può essere utile proprio la storia delle religioni per decostruire quella domanda, anziché ripresentarla senza farsi altre domande su di essa. Inoltre è da notare come, secondo me, il distacco e la fede religiosa vanno in direzioni opposte: l'esperienza dell'uno è totalmente divergente dall'esperienza dell'altra, tanto quanto il presente è diverso dal futuro, la constatazione è differente dalla speranza, etc. scegliere una direzione significa allontanarsi dall'altra; il punto in cui si incontrano, per un attimo, è il tema della morte, che ognuna "percorre" a modo suo.
Resta sicuramente aperta la possibilità ermeneutica della comprensione del senso di un determinato orizzonte cultuale, comprensione che prescinde dal valore veritativo di ciò che studia (l'ermeneutica non è l'epistemologia; banalizzando esponenzialmente: «è vero che Tizio ha raccontato questo» non equivale a «Tizio ha raccontato il vero»), come l'antropologo non studia le differenti culture per capire "chi abbia ragione e chi torto", ma per comprendere le ragioni e i meccanismi di senso di ciascuna cultura, nella propria autoreferenzialità normativa. Sia il credente religioso che il non credente, se interessati alla comprensione, hanno la possibilità di sospendere fra parentesi la "propria verità" per essere meglio in grado di provare a comprendere quella altrui, sempre che la rigidità della "propria verità" non intralci eccessivamente tale sospensione deformando l'avventurarsi nell'altrui orizzonte (impossibile essere "tabule rase", ma almeno ci si può impegnare a limitare gli stereotipi e le "scorciatoie esegetiche").
#645
Varie / Re: Il problemino dei triangoli
10 Gennaio 2023, 19:24:50 PM