Il motto emblematico del rasoio, «non bisogna moltiplicare gli (elem)enti più del necessario», ha secondo me valenza metodologica più che descrittiva; solitamente si pone l'accento sul "non moltiplicare", sul tagliare via, ma la valenza metodologica più fertile sta più nel concetto di necessità che in quello di quantità. Ce lo dimostra, a suo modo, proprio il discorso della fede: la fede crede in un numero chiuso di enti (un dio, tanti uomini, un solo pianeta con una stirpe eletta, un inizio e una fine dei tempi, etc.), mentre la scienza è aperta ad un numero potenzialmente infinito di enti ("infinite" specie di viventi, "infiniti" eventi che scandiscono il tempo verso un futuro "infinito" in uno spazio che, dicono, si espanda "all'infinito", etc.). Dunque la scienza moltiplica gli elementi molto più della religione che, al massimo, ne infila solo uno in più (il divino) nel mucchio. Tuttavia la questione metodologicamente cruciale, per me, non è quella della quantità bensì quella della necessità: le ipotesi scientifiche moltiplicano spesso gli elementi del discorso (così come hanno moltiplicato gli universi, gli elementi della tavola periodica, etc.), ma lo fanno per necessità di descrivere nuove scoperte e, soprattutto, nella costanza che tali elementi siano sempre potenzialmente studiabili e "rasoiabili" (falsificabili, dicono in gergo).
La fede si espone quindi al rasoio non perché aggiunga un elemento, ma perché ne aggiunge uno non (più) necessario metodologicamente e per giunta infalsificabile. Il fatto che poi sia un elemento "necessario" psicologicamente, culturalmente, etc. è una questione che esula dal rasoio metodologico che ha per scopo tenere "in ordine" la conoscenza, non l'indole umana con suadenti suggestioni metafisiche ereditate dal passato. Questo rasoio è dunque il nuovo "dogma alla moda", oggetto della "fede contemporanea"? Uno strumento metodologico può essere un dogma (da non confondere con i dogmi strumentalizzati) se il suo impiego può dimostrarsi fallace? Il prendere atto di risultati epistemici può essere fede? Chi si fa la barba (o si depila a lama) sa bene che non è la cieca fede a guidare la lama, ma la mano attentamente coordinata dall'occhio (solitamente ben aperto) e non è l'aria che viene "infalsificabilmente" tagliata dalla lama, ma il pelo visibile (e cestinabile), così come non è un dogma che, dopo il passaggio del rasoio, ci sia spazio solo per la constatazione della realtà, senza atti di fede: o il pelo c'è ancora, o non c'è più. Lo stesso accade con la metodologia della conoscenza: l'occhio attento delle epistemologie prova a guidare la lama della ricerca, facendo in modo che vengano tagliati i peli e non la giugulare; anche perché, in caso di errore, per mano malferma o altro, sarà il sangue (della realtà) a ricordarci la differenza fra un pelo e un vaso sanguigno. Non a caso, se proviamo a tagliare via le regole di inferenza o il principio di non contraddizione otteniamo le migliori poesie (e metafisiche), giustamente incompatibili con analisi metodologica di ricerca scientifica.
Lasciando da parte depilazioni e globuli bianchi, la necessità che spinge la ricerca non religiosa alla moltiplicazione degli elementi dove si radica? Solitamente è la realtà a suggerircela "occamisticamente": se troviamo un osso che, più lo studiamo e meno appartiene ad una razza animale conosciuta, dobbiamo aggiungere nuove ipotesi alle teorie e alle tassonomie attuali, sperando di poter capire meglio le caratteristiche del proprietario di tale insolito reperto.
Da notare che c'è anche un "occamismo religioso" che, tagliando via, per "obbligo divino", tutto ciò che non è compatibile con la sua divinità (o addirittura con il suo "piano del discorso", come quando nega l'esistenza di "piani atei"), interpreta preventivamente ogni elemento possibile come firma di una divinità: come ai tempi in cui il tuono suscitava stupore ed aveva "inevitabilmente" natura "divina", così anche oggi si potrebbe dire (e forse è già stato detto) che il big bang, se accaduto, ha avuto altrettanto "inevitabile" causa "divina" (perché esporsi al rischio di aggiungere nuovi elementi da tagliare? Per quanto ogni religione risulti oggi, a mio giudizio, sempre un po' "pelosa": più taglia via da una parte i peli dello scetticismo, della logica e della scienza, più questi ricrescono dall'altra; per quanto, come dice il "proverbio antishaming", donna baffuta...). Come detto in precedenza, la vera forza della religione è la fede, il poter "fare spallucce" di fronte a scienza e logica dicendo «ho fede in questo, non mi servono né ragionamenti né dimostrazioni»; una religione che cerca invece di porsi come filosofia o come dialogante con la scienza, al netto di "concessioni" demagogiche e diplomatiche, sega, anzi "rasoia", il ramo su cui è seduta (anche se in fondo lo fa per gioco: sa già che, comunque vada, cadrà sul morbido cuscino della fede).
La fede si espone quindi al rasoio non perché aggiunga un elemento, ma perché ne aggiunge uno non (più) necessario metodologicamente e per giunta infalsificabile. Il fatto che poi sia un elemento "necessario" psicologicamente, culturalmente, etc. è una questione che esula dal rasoio metodologico che ha per scopo tenere "in ordine" la conoscenza, non l'indole umana con suadenti suggestioni metafisiche ereditate dal passato. Questo rasoio è dunque il nuovo "dogma alla moda", oggetto della "fede contemporanea"? Uno strumento metodologico può essere un dogma (da non confondere con i dogmi strumentalizzati) se il suo impiego può dimostrarsi fallace? Il prendere atto di risultati epistemici può essere fede? Chi si fa la barba (o si depila a lama) sa bene che non è la cieca fede a guidare la lama, ma la mano attentamente coordinata dall'occhio (solitamente ben aperto) e non è l'aria che viene "infalsificabilmente" tagliata dalla lama, ma il pelo visibile (e cestinabile), così come non è un dogma che, dopo il passaggio del rasoio, ci sia spazio solo per la constatazione della realtà, senza atti di fede: o il pelo c'è ancora, o non c'è più. Lo stesso accade con la metodologia della conoscenza: l'occhio attento delle epistemologie prova a guidare la lama della ricerca, facendo in modo che vengano tagliati i peli e non la giugulare; anche perché, in caso di errore, per mano malferma o altro, sarà il sangue (della realtà) a ricordarci la differenza fra un pelo e un vaso sanguigno. Non a caso, se proviamo a tagliare via le regole di inferenza o il principio di non contraddizione otteniamo le migliori poesie (e metafisiche), giustamente incompatibili con analisi metodologica di ricerca scientifica.
Lasciando da parte depilazioni e globuli bianchi, la necessità che spinge la ricerca non religiosa alla moltiplicazione degli elementi dove si radica? Solitamente è la realtà a suggerircela "occamisticamente": se troviamo un osso che, più lo studiamo e meno appartiene ad una razza animale conosciuta, dobbiamo aggiungere nuove ipotesi alle teorie e alle tassonomie attuali, sperando di poter capire meglio le caratteristiche del proprietario di tale insolito reperto.
Da notare che c'è anche un "occamismo religioso" che, tagliando via, per "obbligo divino", tutto ciò che non è compatibile con la sua divinità (o addirittura con il suo "piano del discorso", come quando nega l'esistenza di "piani atei"), interpreta preventivamente ogni elemento possibile come firma di una divinità: come ai tempi in cui il tuono suscitava stupore ed aveva "inevitabilmente" natura "divina", così anche oggi si potrebbe dire (e forse è già stato detto) che il big bang, se accaduto, ha avuto altrettanto "inevitabile" causa "divina" (perché esporsi al rischio di aggiungere nuovi elementi da tagliare? Per quanto ogni religione risulti oggi, a mio giudizio, sempre un po' "pelosa": più taglia via da una parte i peli dello scetticismo, della logica e della scienza, più questi ricrescono dall'altra; per quanto, come dice il "proverbio antishaming", donna baffuta...). Come detto in precedenza, la vera forza della religione è la fede, il poter "fare spallucce" di fronte a scienza e logica dicendo «ho fede in questo, non mi servono né ragionamenti né dimostrazioni»; una religione che cerca invece di porsi come filosofia o come dialogante con la scienza, al netto di "concessioni" demagogiche e diplomatiche, sega, anzi "rasoia", il ramo su cui è seduta (anche se in fondo lo fa per gioco: sa già che, comunque vada, cadrà sul morbido cuscino della fede).