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Messaggi - Sariputra

#631
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
03 Ottobre 2018, 09:02:58 AM
@Phil
Grazie per il consiglio tecnico. In effetti è proprio nel momento dell'invio che spesso salta la connessione, portandosi con sé tempo e fatica...
cit.
Qui emerge l'introiezione soggettiva dei suddetti valori: non credo che tutti anelino per natura a compassione, saggezza e benevolenza senza danneggiare il prossimo; eppure non scommetterei che tali "dissidenti" vivano la loro condizione come connotata dal "male".
Non comprendono a fondo la loro situazione e il male in cui sono invischiati? Loro potrebbero dire lo stesso di chi li critica e (giurisprudenza a parte) non avrebbe senso logico argomentare citando "abitudini delle maggioranze" e "conservazione della specie"... credo che in fondo quasi nessuno faccia del male solo per il saperlo tale (ma ci vede sempre un po' di bene, magari egoistico) e sostenere che "il bene secondo qualcuno" sia "il Bene assoluto" è una delle maggiori cause di morte nella storia dell'uomo (non che la morte sia oggettivamente un male, intendiamoci.


Neanch'io penso che , tutti quelli che non anelano a compassione e benevolenza, vivano la loro situazione come 'male'. Nemmeno coloro che anelano alla benevolenza riescono a vivere sempre questa condizione, ma spesso la obliano, irretiti continuamente dal correre di qua e di là con la mente. Questo "tormento" fa sì che non si comprenda a fondo la situazione e il male in cui ci invischiamo. Sicuramente "loro" (e noi...) dicono lo stesso di chi li critica, in primo luogo per trovare giustificazione al desiderio di continuare a seguire la loro condizione che ritengono 'piacevole', seppur spesso malvagia, e così non iniziare nemmeno a provare a vedere se l'alternativa proposta funziona...
Credo che "far la morale" serva a poco o addirittura, come vediamo, ottenga l'effetto contrario. Sono tra quelli che pensano che sia più efficace la testimonianza e la coerenza...Cosa serve, per esempio, dire: "Aiutate i sofferenti" e poi personalmente non metter mai piede in un ospedale, anche solo per scambiare quattro chiacchere con questi?...
Non credo che il "bene" sia una causa di morte, sarebbe contraddittorio, ma è l'incoerenza rispetto al bene professato la causa di morte (anche di tutte quelle avvenute nella storia in nome del 'bene', dichiarato ma non vissuto...). Cioè, in sintesi, l'uomo 'predica' bene, ma spessissimo razzola male...è notoriamente molto più facile parlare che fare...( questo vale anche per i religiosi, ovviamente, anzi, per l'ufficio che svolgono si palesa maggiormente l'incoerenza...) :(.
#632
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 23:59:37 PM
Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2018, 19:24:03 PM@Bobmax: Io non credo affatto che sia l'etica che sorregga la logica. Ciò che è logico può anche essere errato per la morale, e viceversa. Immagina, per fare un esempio estremo, di essere il comandante di una nave in viaggio da lungo tempo che per una bonaccia si è quasi bloccata e sta perdendo le scorte di cibo, con il rischio che l'equipaggiamento muoia di fame: allora il comandante decide ripetutamente di uccidere buttando in mare alcuni uomini ed ecco che grazie a questa soluzione estrema la nave alla fine raggiunge il porto senza che ci sia altra gente che muoia. Ora, la soluzione del comandante è logica? La risposta è SI, è una soluzione razionale che sacrifica alcune persone per evitare una strage nell'equipaggio, la ragione dice che meno persone ci sono tanto più le scorte di cibo basteranno. Ma questa decisione è anche etica? Non direi, visto che non rispetta il valore di ogni singola vita umana, anzi, la calpesta.

Se nell'equipaggio esiste una persona che ha un senso dell'etica così elevato da farsi 'carne' per sfamare gli altri, verso cui prova pena, afflizione e compassione... un essere solo, taciturno, senza una donna e dei bimbi che lo aspettano al porto con le lacrime agli occhi, e per questo pieno d'amore da dare, senza magari averne ricevuto; un uomo 'eroico' nel vero senso della parola, un 'nobile' d'animo, quello che gli indiani chiamano un ariya, ecco che l'etica fornisce una risposta logica e una soluzione al problema.
Certo, se la bonaccia dura a lungo...servono molti 'nobili'! ;D
#633
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 23:45:36 PM
cit.Paul11:
Certo non è che un codice morale esterno sia la panacea assoluta sulla natura ambigua dell'uomo, ma costruisce la remora morale e la base del cemento sociale identificativo.O ci si riconosce e identifica solo in ciò a cui apparteniamo, ad es. la famiglia, trincerandosi nell'individualismo o atomismo sociale, o la morale costruisce il sistema di codificazione fondamentale nelle relazioni  prima di tutto umane.

Se prendiamo come assunto ( e lo prendo...) che non tutti gli esseri umani sono portati a investigare cos'è 'bene' e cos'è 'male', cosa salutare e cosa dannoso per se stessi egli altri, allora una morale condivisa appare importante per costruire relazioni che siano almeno di "tolleranza" reciproca. Oltre a questo una morale esterna è importante, a mio parere, nella misura in cui interroga la bontà delle tue scelte etiche, ti dà strumenti di riflessione a cui magari non saresti pervenuto autonomamente. Ti spinge a chiederti:"Perché si dice che questo è bene? E questo, perché si dice che è 'male'?". Diventa uno strumento per cercar di evitare gli ignobili 'alibi' che la mente si confeziona senza sosta, pur di non uscire dalle proprie egoistiche posizioni.

Krishnamurti, personaggio per molti aspetti controverso, ma ricco di intuizioni profonde, parlò, intorno agli anni trenta, della necessità di un 'fondamento autonomo' della morale.
Non essendo ormai possibile riproporre le morali tradizionali che la gente rigetta perchè sentite come 'imposizioni' e non potendo certo ridurci a delle moralità "atomizzate", come le hai definite, una per ognuno, a proprio uso e consumo e a uso e consumo del proprio relativo egoismo, s'imponeva, a suo dire, il trovare questa sorta di autonoma fonte di moralità. A tutt'oggi non credo esista risposta ...spesso me lo chiedo anch'io e mi dico: cosa può esserci di più condiviso e tangibile che non l'esperienza della sofferenza? Si può forse partire da questa?... :-\
#634
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 23:30:54 PM
Cribbio! Il web si è divorato l'intera risposta, con relativa fatica, che avevo scritto per Phil...  non c'è n'è più traccia...avevo messo così tanto impegno...passa proprio la voglia di scrivere:'(
Proverò a riassumere:
Eppure, andando nel concreto, nel momento in cui devo compiere una scelta di tipo etico, l'interazione con l'esterno della mente è inevitabile (pur non essendo cercata). Certo, la gioia viene esperita "dentro la mente", ma la causa è "fuori" ed è la scelta che compio (oltre alle sue conseguenze...): se oriento la scelta verso il bene, con quali criteri lo scelgo? Perché è "bene"? Se lo è perché mi dà gioia, questa è, per me, una forma di edonismo.(Phil)


Non è una forma di edonismo, perché la gioia (serenità) è il risultato di fare il 'bene', non il movente. La gioia è più profonda della felicità data dal piacere.
E' bene perché lo scelgo secondo il criterio di non arrecare sofferenza: a me stesso, agli altri, a entrambi. Se non è possibile in senso assoluto, allora nel recar la minor sofferenza possibile. La base è sempre la comprensione della profondità e vastità della sofferenza in cui versano tutti gli esseri senzienti e che fa sorgere nella mente compassione e benevolenza. 

Intendi che la mente per sua natura tende a ciò che chiamiamo "bene"? Per cui se facciamo il "male" è perché contrastiamo tale stato naturale della nostra "mente compassionevole", oppure è un discorso personale (tale natura è della tua mente)?


Sì, intendo che la mente per sua 'natura' è "luminosa" e che, quando realizza questo, tende spontaneamente a ciò che chiamiamo 'bene'. Ma la 'mente', sopraffatta dal contatto, è tormentata; dice che la malattia è se stessa. Tormentata dal 'divenire' , diventando continuamente altro, si compiace nel divenire.
E' la natura della 'mente', non della 'mia' o della 'tua'...

Se mi trovo a dover fare una scelta (in cui è coinvolto qualcun'altro) e scelgo la gioia spontanea del fare il "bene", uso come criterio di scelta proprio la previsione che ciò mi darà spontaneamente gioia (questo intendo per "edonismo"!): se so (per esperienza vissuta) che fare ciò che reputo "bene" mi rende spontaneamente contento, ad ogni scelta cercherò di fare il bene (perché ciò mi renderà piacevolmente contento...).
Oppure opterò per ciò che la mia "mente compassionevole" mi spinge a fare (questo intendo come "senso del dovere", in questo caso dovuto magari al mio "lavoro spirituale" su me stesso) oppure ciò che mi sembra utile fare (per eventuali scopi personali). Per ora, non vedo alternative...


Non scelgo come criterio la previsione che ciò mi darà gioia, ma agisco spontaneamente in base al criterio dato dalla compassione e benevolenza che provo.
Sarebbe un 'dovere' se io, invece di provare compassione, fossi del tutto indifferente alla sofferenza, non la comprendessi e agissi solo per rispetto di questo che sento come dovere.

I tre precetti universali non sono "non fare il male, fare il bene, aiutare tutti gli esseri"? La domanda è: perché (non "se") indicano il "bene"?
Se faccio "il bene" per rispettare tali precetti (che me lo indicano) è una forma di utilitarismo (con conseguenze propizie: cessazione delle rinascite, karma positivo, etc.); se lo faccio perché ho introiettato tali precetti, è "senso del dovere" (dimentico persino i precetti perché fanno ormai parte della mia spontaneità); se lo faccio perché so che il bene (mi) comporta il piacere della gioia, è edonismo (secondo me).


Senza entrare nello specifico della concezione buddhista, non essendo attinente alla discussione,non si può scambiare effetto con causa. L'effetto (uno degli effetti...) di operare il 'bene' è gioia (serenità) profonda ma la causa motivante all'agire è la comprensione della sofferenza, che genera compassione e benevolenza .
Perché è 'bene'? Perché una persona che è avida, che odia e che si illude, che è sopraffatta da questi, i cui pensieri sono controllati da questi agisce, parla e pensa in modo malvagio; non conosce il suo vero vantaggio, né quello degli altri. E' resa cieca dal 'male', da ciò che non è salutare.
Vedendo e comprendendo che seguire ciò è di proprio danno e di danno altrui e non porta a compassione e saggezza, né a benevolenza, lo si abbandona.
Questo abbandonare ( le radici di ciò che viene detto 'male') è ciò che comunemente viene detto 'bene'.
Questo non è edonismo (secondo me... :)).
#635
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 19:12:04 PM
cit.Paul11:
sono sostanzialmente d'accordo con Sariputra ,tranne che il bene sia finalizzato a far del bene all'altrui.
Ma se l'altrui ha un concetto di bene diverso dal tuo?


E' lì che prendi gli sputi in faccia... :(! C'è sempre una forte avversione quando si parla del 'bene'....
Infatti io non sostengo che il bene sia finalizzato solo a far del bene all'altro, ma che puoi realizzare quello stato di 'bene' interiore (privo cioè di bramosìa, avversione, rabbia, ecc.) per cui puoi diventare un 'bene' per l'altro, oltre che per te stesso.

quello che io temo è che se il bene non fosse un concetto formatosi fuori dall'uomo, inteso come osservazione del mondo, delle regole che governano il mondo delle sue essenze, ci troveremmo, come in fondo oggi, è, con ognuno una sua morale e con troppi malintesi, fraintesi.

Purtroppo anche far riferimento ad un Principio 'esterno' non ci mette al riparo dalle radici del male (vedi sopra) ,secondo me infatti, l'ingiustizia , la sopraffazione, ecc. erano ben presenti anche quando vigeva una morale per così dire 'assoluta'...si aderiva, ma ci si guardava bene dal cambiare, per così dire...

Oggi nel nostro mondo è già difficile trovare persone coerenti con la propria morale personale, perchè si sa "come trattarla" e questo può togliere i malintesi; è molto più facile che seguano utilità personali, per cui sono incoerenti se un giorno sono sul pero e l'altro sul melo.

Concordo. La coerenza è un enorme problema dell'uomo ( avendo ben presente che, per il solo fatto di esisetre in questo mondo condizionato, la coerenza assoluta è illusione...) e dove s'incontrano le più grandi difficoltà, qualunque strada di 'bene' s'intenda perseguire...Personalmente lavoro molto su questa, non senza amari insuccessi... :(
#636
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 17:20:49 PM
cit.Phil
Eppure se il bene è utile funzionale a realizzare tale "esigenza insopprimibile", non costituisce comunque un piacere, in termini di piacevole appagamento/realizzazione di un'esigenza? 
Il mio "desiderare di non recare sofferenza all'altro"(cit.) non è un desiderio che, in quanto tale, una volta appagato, dà piacere?
Chiaramente non è un piacere fisico-libidinoso, forse potremmo definirlo piacere psicologico... tuttavia, secondo me, può rientrare fra le forme di edonismo: fare qualcosa perché ne ricaviamo appagamento/piacere.


Credo sia difficile inquadrare il 'bene' all'interno di questo tipo di dialettica piacere/appagamento che porti avanti. Il 'bene' perde qualunque significato se non lo riferiamo a qualcosa e, nel mio caso, quel qualcosa è l'esigenza di non arrecare sofferenza all'altro. Dire che è un piacere/appagamento riuscire a non provocare sofferenza all'altro è come dire "gioire della gioia". Quindi gioisco nel fare il bene perché è la natura della mente che sperimenta il bene il gioire (il 'bene' è gioia , altrimenti detto...).
Non si tratta di 'appagare' la mente con una sensazione estranea ad essa e che si ricerca, pertanto. E' l'appagamento della mente nella realizzazione del suo stato naturale di 'mente compassionevole".
Quindi secondo me ti sbagli quando lo paragoni all'edonismo, perché l'edonismo essenzialmente identifica la morale col piacere, mentre qui c'è gioia spontanea (premio a se stessa) nel fare il bene.

Davvero quando fai il bene non provi nulla di positivo/piacevole a livello "mentale" (pur ricevendo metaforicamente "sputi")?
Se non lo fai per piacere (in tutte le sue sfumature), né per utilità, mi viene in mente solo la terza via del "senso del dovere" (v. sopra).


Vedi la risposta sopra se ti chiarisce il significato che intendo.


Se c'è distacco, non c'è esigenza; se c'è esigenza (di relazione), allora c'è attaccamento (all'esigenza e alla relazione); se c'è attaccamento, c'è di mezzo piacere o utilità o dovere... anche in ottica buddista; sbaglio?

Esigenza s'intende come esigenza di rispettare lo stato di compassione e benevolenza che prova naturalmente la mente, quando non è aggrappata ai suoi desideri e alle sue avversioni. Contariamente a molti stereotipi il Buddhismo non predica una sorta di alienazione dagli stati mentali: non fare il male, fare il bene , purificare la mente, questo è il Buddhismo (non-attaccamento è sempre riferito agli stati mentali e non alle qualità della mente non aggrappata alla brama, all'avversione e all'ignoranza...infatti si insegna a 'coltivare' la compassione e la benevolenza proprio per liberarsi da questi "condizionamenti negativi").
#637
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 15:46:58 PM
Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2018, 15:30:02 PMSariputra ha scritto: Un dolore viceversa vissuto nella rabbia e nell'odio per la mia condizione esistenziale limitata e per la mia dipendenza dall'altro è dannoso per me stesso e per le relazioni che creo con gli altri.......... Però forse proprio questo dolore rabbioso è più VERO, infatti dipendere da un altro anche per i bisogni fisiologici, non potersi muovere, essere in una condizione di handicap è indubbiamente un MALE e di schiavitù e se non si ha una qualche fede che ti permette di dare ad esso un senso la malattia diventa appunto una condanna. Non è vero che l'autosufficienza è qualcosa di illusorio, è un'illusione l'autosufficienza ASSOLUTA, ma non quella relativa, ad esempio se io ho gli occhi sani non ho bisogno di occhiali, e quella è un'autosufficienza relativa.

E cosa si ottiene dalla propria rabbia in quel momento? Nient'altro che dolore che va a sommarsi a quello inevitabile dato dal fatto che siamo esseri soggetti a vecchiaia, malattia e morte e non possiamo sfuggire a questa condizione. Allora si comincia ad insultare il vicino di letto, anche lui nella sofferenza, ad insultare i famigliari che non sono responsabile della nostra malattia, ecc.In poche parole alla nostra tristissima condizione fisica andiamo a sommare un'infinità di stati mentali negativi, di rabbia e di odio, che ci rendono ancora più infelici.
L'autosufficienza è sempre relativa: anche mantenere gli occhi sani necessità di cibo adeguato, di corretta illuminazione, di igiene, ecc.

Il sentimento della rabbia è perfettamente naturale, in certe situazioni, il problema è quando la mente s'identifica con questa rabbia... :(
Ciao
#638
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 15:36:37 PM
Citazione di: Phil il 02 Ottobre 2018, 15:00:13 PMSull'edonismo utilitaristico (@paul11 e @Sariputra): fatico un po' a pensare il bene (o il Bene ontologizzato) fuori dalla dinamica utilitaristica premio/castigo (faccio il bene per convenienza personale, per ottenere l'approvazione altrui e il paradiso o altri benefici spirituali, insomma perché devo farlo) e fuori dall'edonismo (potenzialmente volubile) del "bene fine a se stesso" (faccio il bene perché mi piace farlo, voglio farlo). Intendo dire che il concetto di "bene" forse esige edonismo utilitarista (oppure utilitarismo edonista) anche se ha le sue radici nella trascendenza di una divinità: se nel piano metafisico vige la legge causale, la divinità reagirà in base alla nostra condotta, facendoci a sua volta del bene o del male (almeno secondo il nostro punto di vista) e sapendo questo possiamo quindi volgerci verso ciò che la divinità ci ha suggerito come "bene", perché ci sarà utile a ricevere il piacere della ricompensa. Se usciamo dal piano metafisico, in fondo, ciò che cambia è solo il tipo di utilità (esclusivamente terrena) e/o di piacere (sensoriale o psicologico o altro). Un terzo movente per il bene potrebbe essere il "senso del dovere" (a prescindere dall'utile e dal piacevole), tuttavia ciò significherebbe incentrare il bene sul proprio, per dirlo con Freud, "super-io" (generato da influenze parentali, culturali, etc.) e quindi si spalancherebbero le porte alla contingenza, al relativismo, etc. lasciando il concetto di "bene" alla mercé del pluralismo de-ontologizzante (salvo interpretare tale "senso del dovere" come richiamo mistico-interiore ad un Bene trascendentale, come se ci fosse sopra la nostra spalla il piccolo angioletto che ci bisbiglia all'orecchio, in perenne competizione con l'inquilino dell'altra spalla...).

Basta intendersi sul significato che diamo al termine "utilità". Se ne facciamo un uso in senso economico ( premi. ricompense, castighi, ecc.da parte di divinità o società), come mi sembra intendi tu, o se lo intendiamo come 'funzionalità', ossia come lo intendo io. Faccio il 'bene' perchè è funzionale a realizzare l'esigenza che sento insopprimibile in me di realizzare questo 'bene' ( al mio desiderare di non recare sofferenza all'altro). Faccio il 'male' perché è funzionale all'esigenza che sento in me, determinata dalla mia bramosìa e dalle mie avversioni, di realizzare questo 'male' che ritengo possa darmi soddisfazione (al mio desiderare cose che possono provocare sofferenza all'altro).
Il bene non dà 'piacere', il termine è improprio. perchè fare il bene non produce alcun tipo di sensazione fisica o mentale di tipo piacevole,anzi spesso ricevi sputi in faccia come 'ricompensa', assai poco piacevoli devo dire: è semplicemente un'esigenza interiore data dal 'distacco'. Direi una cosa 'naturale', che vien da sé. E' la natura stessa della mente quando non è attaccata all'abitudine di usare in senso 'economico' gli altri...nulla di metafisico quindi. Provare per credere! ;D Se si provasse 'piacere' nel fare il bene, sensazioni meravigliose, ecc. nascerebbe inevitabilmente un sottile attaccamento a questo piacere e passeremmo alla fase 'economica', che non è più 'bene' in senso non-ipocrita...
Ciao
#639
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 11:51:14 AM
Citazione di: paul11 il 02 Ottobre 2018, 11:07:44 AMma c'è una controindicazione a mio parere Sariputra, quando si entra nelle prassi a discapito della teoretica, il bene e il male le morali si segue il concetto aristotelico e non più platonico e allora si passa al domino umano disancorato da quello naturale e divino. Accade come è accaduto, che dal nomos si cala alla domus domestica fino a far diventare il principio morale una questione economica. Non diventerà più è bene o male , ma se è utile o conveniente per entrambi. Non avendo più l'agire riferimenti sul come agiscono l'ordine naturale e quello divino ,ciò che è bene diventa pura ermeneutica, interpretazione nei processi storici fino costruire l'edonismo utilitaristico

Sì, comprendo l'obiezione, ma la mia intenzione era quella soprattutto di dare una consistenza sperimentabile a quello che rischia di essere un concetto astratto. Legare il concetto di bene e male solo ad una teoria o una dottrina, oltre ad essere sentito spesso come imposizione dall'alto, non fa comprendere in profondità, a mio parere, quanto sia il nostro agire, determinato dai nostri stati mentali, a condizionare la nostra esistenza e quella degli altri; in una continua relazione di cause ed effetti, spesso con risultati deleteri. Comprendere che siamo la causa del bene e del male, e del suo dispiegarsi nel mondo, è diverso che ritenere che questa causa sia esterna a noi, molto più responsabilizzante, privo di 'alibi' (non ero io, era il diavolo...) e , in definitiva, realmente etico, nella misura in cui diventiamo consapevoli che siamo noi la possibilità di un'etica e di una morale realmente sentita. Solo in questo modo si può evitare il pericolo dell'edonismo utilitaristico, proprio per la percezione e consapevolezza di questa rete di relazioni con le cose e le persone di cui siamo intessuti, che ci permette così di non 'usarle" riducendo quella spinta dell'ego a sentirsi al "centro" del mondo. Questo appare, a mio parere, particolarmente importante per quelle persone che fanno riferimento a rivelazioni riguardanti un ordine divino, chiamate proprio dalla responsabilità e consapevolezza dell'agire per ciò che è salutare, a realizzare quell'unità del 'Bene' da cui si sentono 'chiamate'...la famosa frase:"Dio non ha altre mani che le nostre mani"...
Ciao
#640
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
02 Ottobre 2018, 09:46:04 AM
Il male non può essere inteso, a mio modo di vedere, se non nelle relazioni e negli atti, in special modo negli atti intenzionali. Il "male" come danno nella relazione e come costruzione , attraverso l'agire, di un rapporto con le cose e le persone 'malato', insano e disarmonico. Operare per il 'male' significa quindi operare  a danno di se stessi e degli altri.
Il danno procuratomi si ripercuote sull'altro e il danno cagionato all'altro si ripercute su me stesso. Non esiste qualcosa come 'il male' , se non come definizione convenzionale,se non cogliamo che esso è essenzialmente un processo, una costruzione in divenire di sofferenza. Se questo 'processo' che alimentiamo costantemente con la nostra bramosìa rappresenta il danno, ciò che non costruisce questo processo è quello che comunemente viene definito come 'bene'. Già non alimentare questa fiamma distruttiva è bene, ma questo bene per dispiegarsi ha bisogno di costruire l'opposto del danno, ossia tendere , nelle relazioni e negli atti, in special modo negli atti intenzionali, a costruire rapporti con le cose e le persone sani ed armonici. Non esiste qualcosa come 'il bene', se non come definizione convenzionale, se non cogliamo che esso è essenzialmente un processo, una costruzione in divenire salutare.
Il 'bene' procuratomi giova anche all'altro e il bene verso l'altro giova anche a me stesso.
La 'mente' è la costruttrice di tutto ciò che è male e connesso al male, ma è pure la costruttrice di tutto ciò che è bene e connesso al bene.
Il 'bene' è anche un processo estetico. E' il momento in cui la mente sa cogliere la bellezza di un luogo o di una persona. Il 'male' è anche un processo di costruzione di bruttura e di imperfezione disarmonica. E' il momento in cui la mente non sa più cogliere la bellezza di un luogo o di una persona.
Naturalmente questi due processi mentali coesistono nella persona, a volte  rafforzandosi il 'bene' s'indebolisce il 'male', a volte succede il contrario, in relazione a come la mente reagisce o non reagisce all'insorgere dei vari stati mentali di desiderio o di avversione verso le cose o le persone.
Anche il dolore e la morte, comunemente ritenuti come un male, non sfuggono al processo di costruzione di ciò che è dannoso o viceversa salutare che opera la mente.
Un dolore che mi spinge a prendere consapevolezza della mia condizione esistenziale limitata e di quanto sia illusorio credermi autosufficiente, mostrandomi la mia dipendenza dall'altro, è salutare.
Un dolore viceversa vissuto nella rabbia e nell'odio per la mia condizione esistenziale limitata e per la mia dipendenza dall'altro è dannoso per me stesso e per le relazioni che creo con gli altri.
#641
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
01 Ottobre 2018, 17:19:41 PM
cit.Oxdeadbeef:
Pongo allora una domanda che ho già posto altrove e che ritengo basilare: che bisogno c'è di consultare il popolo 
(se il termine "disturba" possiamo usare: "gli elettori") quando si sa già qual'è la decisione da prendere?


Si potrebbe formularne anche un'altra: ha senso ancora parlare di un concetto così vetusto come "popolo"? Qual'è il popolo italiano? Chi lo rappresenta in questa società senza alcun riferimento? Io faccio parte del "popolo"? E tu ? Io non mi riconosco nei valori di questo "popolo" eppure devo accettarne le decisioni, perché mi hanno insegnato che è "democratico" fare così. Me l'han detto fin da piccolo. Eppure perché i desideri dei più numerosi devono prevalere su quelli dei meno numerosi? Perchè quello che sento io non vale nulla, eccetto forse per due gatti e un cane, e quello che scrive quel buffone di Rocco viene dibattuto da tutti?
Se il mondo è dominato dal tecnoscientismo e dalla finanza perché credere di poterlo cambiare sempre con gli stessi strumenti? Cioè con un pò di soldi di carità, risultati del solto gioco finanziario dello "spendi anche se non c'hai i sold"i, dati ai poveracci? Che un giorno i nostri figli dovranno continuare a pagarne gli interessi maturati? Arricchendo proprio quella finanza che si dice di disprezzare?
#642
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
29 Settembre 2018, 15:11:24 PM
Il problema è che questa appare come l'ennesima finanziaria basata sul deficit. Ogni 100 euro che lo stato incassa il Def prevede di spenderne 102,40. Si prevede quindi una finanziaria di circa 33 mld con 27,3 mld di nuove spese in deficit e solo 5,7 di tagli agli sprechi e semplificazioni. Questo conto già pesante però non tiene in debita considerazione i maggiori interessi sul debito che il Tesoro sarà costretto a sborsare dopo quello che appare come un probabilissimo declassamente del rating creditizio da BBB a BB+. Questo ha portato , solo nella giornata di ieri, a vendite massicce sui nostri titoli di stato, visto che gli investitori esteri, che si erano timidamente 'riaffacciati'  sul mercato secondario dei nostri titoli (abbandonato a gambe levate dopo Maggio, con l'esito elettorale che premiava i due partiti "anti-establishment"...), rassicurati dalle ferme parole del ministro Tria che non si sarebbe proceduto ad uno sforamento superiore all'1,6% (parliamo,tanto per fare un nome di BlackRocks...), si sono trovati spiazzati dalla decisione dei due potenti Salvini e Di Maio. Conte è chiaramente un fantoccio nelle mani di questi due e Tria, che dai roumors intendeva dimettersi, sembra essere stata 'pregato' da Mattarella di restare per tentare di fronteggiare la tempesta finanziaria prevedibile che si abbatterà. I conti sono semplici: un pensionato che prende 516 euro al mese e dispone di 50.000 euro di risparmi investiti in Btp, ne guadagnerà 76o al mese ma solo nella giornata ieri ne ha già persi circa 1.500 sui risparmi, nel caso avesse bisogno di vendere i Btp per pagarsi il funerale (praticamente 6 mesi d'aumento se ne sono andati...).
Se invece non li venderà e li porterà a scadenza dovrebbe riavere i suoi risparmi, sempre che il Tesoro, nel frattempo, non sia costretto a ristruttare il debito come occorso alla Grecia.
Dopo non ho capito una cosa: DI Maio, esultando come i Peronisti dal "balcone", ha detto che sono disponibili (sic) 10 mld di euro per 6,5 milioni di "poveri" (dei quali sicuramente fa parte una larghissima fetta di popolazione che lavora "in nero"); ma se facciamo la divisione vediamo che non vengono 780 euro a capoccia bensì 128 al mese. Se è così, vale la pena fare 'sto sconquasso' per soli 128 euro a testa? Mah...questi sono i conti che riportava un sito specializzato ieri (Borse.it). Tutto comunque è subordinato al reale effetto 'espansivo' che vorrebbe ottenere questa manovra, che mi sembra basarsi sull'idea: Diamo più soldi in tasca che poi rientrano sotto forma di nuova occupazione e di maggior consumismo. Vedremo se funziona...
#643
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
27 Settembre 2018, 10:25:20 AM
Sul coraggio della fede

Spesso, quasi sempre in verità, si pensa che la fede sia qualcosa che sta alle spalle del soggetto. Una sorta di condizionamento che lo sospinge verso attività che lui stesso non comprende fino in fondo. In realtà la fede si pone di fronte al soggetto e la sua non è una forza di spinta, ma bensì d'attrazione. Infatti la fede non implica semplicemente il credere nell'esistenza di una cosa o nella verità di una qualsiasi formula, ma implica anche la fiducia nel potere del suo oggetto. Nel caso della fede religiosa mi sembra consista essenzialmente nell'avere fiducia nel potere del bene o, detto in altro modo, nell'aver fiducia nell'efficacia di questo potere come trasformatore della nostra esistenza o, per usare un termine dhammico (buddhista), come liberatore.
Molte persone si definiscono 'credenti' o 'religiose'. Si definiscono cristiane o buddhiste o musulmane, ecc. ma pochissime hanno realmente questa sorta di fede genuina nel potere del bene di tarsformare la loro vita e di conseguenza, a cascata, le persone che stanno intorno e la società stessa. Quanti hanno il coraggio di affidarsi a questo potere del bene? A questo potente flusso di attrazione? Al contrario molti credono segretamente e intimamente, nonostante una dichiarata, ma vaga, sorta di 'fede', che la forza e il potere del male, in loro stessi e nel mondo, sia troppo forte. Un potere così forte e strutturato che è impossibile, di fatto, mettersi a combatterlo interiormente. Questo appare evidente, per contrasto con la 'fede' dichiarata, in special modo proprio nelle persone che si definiscono come 'credenti' o 'religiose', con le ovvie conseguenze che hanno percorso la storia e che sono sotto i nostri occhi. Molti politici, governanti, religiosi importanti e persone influenti, in ogni angolo del mondo, sembrano nutrire questa opinione, in special modo quelli che si definiscono 'realisti', nell'ovvia implicita conseguenza che ritengono solo il male come 'reale'.
Bisogna insomma 'sottomettersi' al suo potere maggiore e siccome non sono, e non siamo in fondo, disposti a mettere alla prova questa opinione, non possiamo meravigliarci che i risultati non rispecchino molto di buono...
Ovviamente, di fronte alla forza delle radici di ciò che non è salutare, di fronte alla stupidità, alla bramosia e all'odio, ci vuole un bel pò di coraggio per avere una fede genuina nel potere del bene. Però senza questo coraggio non è possibile nessun progresso interiore reale, nessuna trasformazione, nessuna catarsi liberatoria. Significa sottomettersi all'inerzia delle condizioni in cui ci si trova, sostanzialmente adeguandosi ad esse. Il coraggio è necessario per muovere il primo passo che rompe questa inerzia naturale, questa forte tendenza della mente all'autoconservazione delle cose  e degli attaccamenti stessi che vuole proteggere dal cambiamento.
Il coraggio diventa quindi la condizione preliminare per qualsiasi tipo di successo.
Pertanto possiamo dire che il coraggio è una caratteristica essenziale della fede. Voler cambiare significa aver coraggio, intraprendere una strada nuova, portando nello zaino la fiducia reale nel potere del bene.
Senza questa forma di coraggio le qualità necessarie per un progresso spirituale restano isolate o poco sviluppate. Come una vaga nostalgia, un 'vorrei ma non posso', un frustrazione in definitiva...
Se l'intelligenza rimane senza questa fiducia arriverà magari ad una comprensione teorica o ad un semplice apprezzamento di un dato insegnamento, ma senza la forza per viverlo e non solo quindi per studiarlo o discuterlo. Nel Buddhismo, solo per esempio, questo viene definito come "correre avanti e indietro sulla sponda del fiume".
Ci vuole apparentemente grande energia per correre continuamente avanti e indietro, ma il risultato qual'è?..Senza il coraggio e la fede che si può passare, non si arriverà mai ad immergersi nell'acqua del fiume e quindi a guadarlo. Il pensiero, privato della fede e del coraggio, non prenderà mai, da solo, l'iniziativa, ma continuerà ad esitare, ammaliato dal suo stesso "andare avanti e indietro". Fede e intelletto invece dovrebbero sempre aiutarsi reciprocamente nell'attraversamento, in questo cammino di trasformazione. Perché anche la fede, privata della forza dell'intelletto, rischia lo spreco delle proprie energie o di risolversi in semplice emotività che produce magari sforzi non ben indirizzati.
Armonizzare fede e intelletto, sorretti entrambi dal vigore e dall'energia, è compito della retta presenza mentale. Da questo equilibrio si inizia ad intraprendere e comprendere lo sforzo necessario per superare l'inerzia.
#644
"E che cosa leggete, signorina...?" "Oh! Non è che un romanzo!" replica la giovanetta, lasciando cadere il libro con indifferenza ricercata o con momentanea vergogna. "È Cecilia, o Camilla, o Belinda" o, per farla breve, non è che un'opera nella quale sono prodigate le più belle facoltà dello spirito e che offre al mondo, in un linguaggio scelto, la più completa conoscenza della natura umana, la più felice descrizione delle sue varietà, le più vive manifestazioni di spirito e di brio.

Jane Austen
#645
Percorsi ed Esperienze / Re:La tragicità greca
25 Settembre 2018, 14:54:26 PM
Qual'è il tuo senso dell'essere,dopo aver amato la vita ? il mio è poter essere se stessi, secondo proprie incinazioni, esperienze di vita. Il carattere;le prime esperienze in famiglia determinano il nostro senso della vita ,la capacità di amare, non tanto quella di essere comunque amati.. L'essere di Fromm è superato, oggi è aderire a una società liquida,di desideri indotti, di dipendenze. Sono estraneo al parlare invano diun Essere astrattp. metafisico, idealistico,sia occidentale che orientaleggiantej.Sono a favore di una maturazione psicoaffettiva, il mio scopo non è la salvifica via indotta dalla religione. Saluti [/quote]

Siccome non penso che esiste qualcosa come un "se stessi" il mio senso non può essere chiaramente rivolto all'edificazione di questo, che ritengo un inganno della mente. Sono anche assolutamente  a favore di una maturazione psicoaffettiva della mente che si manifesti in un atteggiamento di benevolenza verso tutti gli esseri senzienti e particolarmente verso quelli che soffrono di più.
Benevolenza pratica e pure di propensione mentale (non coltivare pensieri d'avversione...). Non aderisco ad una società liquida acriticamente: metto in dubbio e discussione qualunque cosa che tenti la mia bramosìa d'afferrare i piaceri. Non sempre ci riesco, ovviamente ( la coerenza assoluta è un'illusione...). Anche se magari sono "etichettato" per via del nickname che ho scelto per il forum, posso assicurare che il condizionamento suggerito dalla religione é ben misero a confronto con la strada personale che seguo e che mi condiziona, con un gioco di parole ( anche se spesso ci incontriamo lungo il percorso... ;D ).
La vita , a parer mio, rivela il senso quando la smettiamo di cercarne il senso...
Namaste