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Messaggi - 0xdeadbeef

#631
Citazione di: Ipazia il 31 Ottobre 2018, 17:24:32 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Ottobre 2018, 16:53:18 PM

Ti sfugge che il valore aggiunto si dà in una situazione di "relazione".
Nel nostro esempio, (nella mia zona) il tabacco è più redditizio dei cavoli, cioè ha un valore aggiunto superiore ai cavoli.
saluti
Quindi non c'entrano nulla gli ananas coltivati in Svezia. Ripeto la domanda: perchè se nella tua zona è più redditizio piantare tabacco che cavoli c'è qualche coltivatore che si ostina a piantare cavoli, guadagnando meno ?




Allora Ipazia, avrai senz'altro notato che ad alcune aree geografiche (prendiamo per comodità quelle del nostro paese)
corrispondono alcune specifiche colture (anche alcune specifiche produzioni industriali, ma non complichiamo inutilmente).
Giusto per fare qualche esempio: nel Trentino si coltivano le mele, in Puglia l'uva da tavola, in Campania i pomodori
e così via.
Ora, vi sono in quelle stesse zone anche colture diverse, ma si tratta di appezzamenti limitati.
Quindi vengo alla tua domanda: "perchè se, in Trentino, è più redditizio coltivare mele qualcuno coltiva qualcos'altro?
Evidentemente perchè si tratta di appezzamenti di terreno non adatti alla (evidentemente più redditizia) coltivazione
delle mele (per svariati motivi).
Nella zona dove io abito, si è coltivato tabacco per una trentina di anni, con grandi guadagni per i coltivatori diretti
e per i lavoratori stagionali che vi erano impiegati. Ora la redditività è molto calata (c'è, fra l'altro, la concorrenza
del tabacco romeno), e molti stanno cercando colture alternative (il nocciolo sembrerebbe dare buone prospettive).
E' una fase incerta. Molti continuano a produrre tabacco, ma molti altri hanno abbandonato credendo quella coltura senza
più prospettive.
Vedremo solo fra qualche anno quale sarà la nuova coltura a più alto valore aggiunto (cui la stragrande maggioranza dei
coltivatori si convertirà).
saluti
PS
Non insisto così tanto sul valore aggiunto per un mio capriccio, ma perchè esso dà l'esatta misura di quella che è ormai
la insostenibilità del concetto di valore-lavoro (a parte le considerazioni che faccio nel mio ultimo intervento...)
#632
Citazione di: Ipazia il 31 Ottobre 2018, 16:16:35 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 31 Ottobre 2018, 15:40:20 PM

Ciao Ipazia
Se si fa una domanda simile è proprio perchè non si ragiona (passami sta battuta...).
Per lo stesso motivo per cui in Svezia non si coltivano gli ananas. Cioè per motivi "colturali": clima, ph del terreno, diponibilità di acqua per irrigare etc.
Non sfuggirà di certo che in alcune zone le coltivazioni (e anche certi tipi di manifattura) siano le medesime (mele in
Trentino, uva da tavola in Puglia etc).
Si coltiva (e si produce industrialmente - o meglio: si produceva...) ovvero ciò che dà una redditività maggiore, cioè
che ha un valore aggiunto più alto.
E questo (tanto per tornare al nostro discorso) poco e male era preso in considerazione dalla teoria del valore di un bene economico come valore-lavoro, mentre senz'altro risulta più efficacemente inquadrato dalla teoria del valore di scambio, che pertanto risulta "migliore" (migliore nel senso di più aderente all'oggi).
Mi sembra inoltre che la politica, con i cavoli, gli ananas e il ph del terreno non c'entri un fico secco, come dicevo (con la politica economica, cui ti riferivi, invece sì - ma il mio è un discorso diverso; molto più "terra-terra"...)
saluti

Forse se si fa una domanda simile è per testare la capacità del tuo interlocutore di ragionare. Allora quello che tu erroneamente continui a chiamare valore aggiunto (piazzandolo ovunque) è, in questo caso, il valore di base di un prodotto, quello che determina la sua rendita di posizione. Se l'acqua vale/costa di più nel Sahara che in Irlanda non dipende nè dal brand, nè dal mercato, nè dallo scambio, ma semplicemente dalle condizioni ambientali. Quindi è un fattore fisso della produzione, non un fattore variabile come qualsiasi genere di valore aggiunto in qualsiasi tipo di dottrina economica. E con ciò mi pare che ogni barlume di oggettività del linguaggio si sia affossata da sola. Peccato, perchè ero pure d'accordo con te.



Ti sfugge che il valore aggiunto si dà in una situazione di "relazione".
Nel nostro esempio, (nella mia zona) il tabacco è più redditizio dei cavoli, cioè ha un valore aggiunto superiore
ai cavoli.
saluti
#633
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2018, 23:33:14 PM
il capitalismo è sicuramente più adattativo perchè deve soddisfare un cliente individuale non lo Stato.
Il concetto  è il mercato  dove chi fa la domanda e chi l'offerta, possono mutare sostanzialmente le forme del mercato.
Ed è quì che dò ragione a Mauro(Oxdeeadbeef), non è tanto il valore/lavoro ad essere mutato come paradigma, perchè il costo del lavoro e il mercato del lavoro sono decisivi sui costi così come la disoccupazione mantiene basse le richieste salariali/stipendi.



Vorrei far notare un particolare che a me sembra estremamente interessante...
Premesso che, a parer mio, il sistema capitalistico "vince" storicamente perchè sa dare una risposta concreta a quella
emersione dell'individuo che caratterizza tutta la storia dell'occidente (e che dalla fine del 700 in poi diventa
travolgente), mi par di rilevare negli ultimissimi tempi dei segnali che vanno decisamente in controtendenza.
Si diceva (perlomeno lo dicevo io...) del valore di scambio come di un parametro migliore (più efficace) del valore-
lavoro per descrivere il valore economico che un bene ha acquisito ad occhi non più "oggettivi" (come quelli precedenti
la "rivoluzione del pensiero" kantiana), ma a quelli di un individuo che, nel clima della modernità, occupa quel posto
fin'allora occupato dall'"oggetto".
Dicevo altresì del "valore aggiunto" come di quel valore che, appunto, va ad "aggiungersi" al valore-lavoro classicamente
inteso (determinando, dicevo, un nuovo criterio della "produttività").
Ecco, mi sembra di rilevare nei processi economici della stretta attualità (da pochi anni, insomma) una negazione di queste
dinamiche che ho ora sommariamente descritto.
Già la delocalizzazione, dicevo, rappresenta una di queste negazioni (se è vero come è vero che si cerca il "plusvalore"
nella riduzione delle retribuzioni degli operai - e magari anche in regimi fiscali più favorevoli).
Ora, è pur vero che la FIAT delocalizza ed altri no (mi risulta che Mercedes e compagnia producano sempre e solo in Germania),
a dimostrazione che il nostro paese ha risposto malissimo alle sfide della modernità (non puntando sul "brand", sul valore
aggiunto, si deve per forza puntare sulle forme classiche - e "marxiane" - del "plusvalore"). Ma non c'è solo questo...
Mi sembra ci sia, nello stesso concetto di "globalizzazione", una indiretta tendenza a ridurre l'impatto del "valore aggiunto".
Come altresì giudicare certi trattati internazionali sul commercio (alcuni fatti saltare da Trump) che vanno in direzione
opposta a quella di tutela del "brand"?
Vogliamo parlare, ad esempio, di come i nostri prodotti alimentari d'eccellenza vengano pesantemente penalizzati da tali
trattati? Eppure è noto: vi sono alcuni "potentati" che hanno un preciso interesse a far sì che i nostri prodotti non
vengano neppure "riconosciuti" (ad esempio che il Parmigiano Reggiano non venga distinto dal Parmesan)...
E poi, se vogliamo, la stessa battaglia che la UE sta facendo contro i dazi di Trump va proprio nella medesima direzione,
non credete (pur, certo, in maniera molto meno chiara che non nell'esempio precedente)?
In sostanza, a me pare che questi andazzi rivalutino il vecchio concetto di valore-lavoro. Perchè se si va a colpire
il valore aggiunto (del chiamarsi Parmigiano Reggiano piuttosto che Parmesan), ciò che resta è appunto il valore-lavoro
(ed è su quello e solo su quello che, allora, si può realizzare un "plusvalore").
Non credo davvero che queste dinamiche siano indifferenti al drammatico calo delle retribuzioni cui stiamo assistendo
ormai da diversi anni.
saluti
#634
Citazione di: Ipazia il 30 Ottobre 2018, 20:28:45 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Ottobre 2018, 19:49:49 PM

Suvvia che al posto della canapa indiana avrei potuto mettere il tabacco "normale" (che da campagnolo ti assicuro avere
un valore aggiunto - in questo caso una redditività per ettaro - superiore ai cavoli)...
Secondo il tuo ragionamento qualunque cosa io coltivi la redditività sarà data soltanto dall'estensione coltivata, e quindi
dal numero di ore lavorative che io vi dedico (qualunque contadino delle mie parti sa che non è così).
Dai, ragioniamo...
saluti

Ragioniamo, ragioniamo. Come mai non coltivano tutti tabacco invece che cavoli, visto che la redditività è maggiore ?




Ciao Ipazia
Se si fa una domanda simile è proprio perchè non si ragiona (passami sta battuta...).
Per lo stesso motivo per cui in Svezia non si coltivano gli ananas. Cioè per motivi "colturali": clima, ph del terreno,
diponibilità di acqua per irrigare etc.
Non sfuggirà di certo che in alcune zone le coltivazioni (e anche certi tipi di manifattura) siano le medesime (mele in
Trentino, uva da tavola in Puglia etc).
Si coltiva (e si produce industrialmente - o meglio: si produceva...) ovvero ciò che dà una redditività maggiore, cioè
che ha un valore aggiunto più alto.
E questo (tanto per tornare al nostro discorso) poco e male era preso in considerazione dalla teoria del valore di
un bene economico come valore-lavoro, mentre senz'altro risulta più efficacemente inquadrato dalla teoria del valore
di scambio, che pertanto risulta "migliore" (migliore nel senso di più aderente all'oggi).
Mi sembra inoltre che la politica, con i cavoli, gli ananas e il ph del terreno non c'entri un fico secco, come dicevo
(con la politica economica, cui ti riferivi, invece sì - ma il mio è un discorso diverso; molto più "terra-terra"...)
saluti
#635
Citazione di: sgiombo il 30 Ottobre 2018, 19:47:53 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Ottobre 2018, 13:57:17 PM


Inviterei perciò a, come dire, "rimanere sul pezzo", ed analizzare le cause storiche del fallimento (perchè credo proprio
che di fallimento storico si possa parlare, visto che il socialismo ed il comunismo sono "effettivamente" crollati).
CitazioneDissento.

Il socialismo reale (non il comunismo) non é "crollato" per intrinseche debolezze o difetti strutturali, ma invece é stato sconfitto in un' acerrima lotta di classe condotta con tutti i mezzi dal capitale imperialistico, spesso e volentieri costituita da aggressioni armate tout court (ma non solo).





Ciao Sgiombo
Non ne farei una questione terminologica. Ho parlato infatti di fallimento "storico" proprio per evidenziarne l'aspetto
oggettivo del "crollo" (ritengo si possa crollare anche a seguito di una sconfitta militare), senza ovvero insinuare
che di altro tipo di fallimento si possa parlare (anche se per me si può parlare anche di un fallimento teoretico, che
è dato a parer mio dal non aver saputo attualizzare le teorie di Marx, il cui materialismo è stato considerato, e contro
Marx stesso, scientifico - cioè non storico come Marx lo intendeva).
Il problema del periodo successivo a Marx è stata l'incapacità della "sinistra" di trovare un degno erede del grande
economista tedesco. Il dibattito è stato, a dir poco, confuso e sterile, dominato da una oscura "realpolitik" che ha
impedito alle idee feconde di venire alla luce (basti vedere solo in Italia, dove fior di pensatori sono stati ridotti
al silenzio dal "mainstream" togliattiano).
Sulla Cina nemmeno io mi esprimo, ma solo perchè come le cose stanno è talmente palese che non occorrono spiegazioni.
L'economista J.P.Fitoussi, autore di quello che mi risulta essere uno dei pochissimi studi sul rapporto fra mercato
e democrazia, sostiene che il massimo grado di efficienza del mercato è laddove le libertà politiche non intaccano
in maniera significativa le libertà economiche.
E in Cina, chiaramente, c'è libertà economica ma non politica...
saluti
#636
Citazione di: Ipazia il 30 Ottobre 2018, 19:29:54 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Ottobre 2018, 18:09:50 PM

Se io ho un appezzamento di terra e vi coltivo cavoli per tre ore al giorno avrò una certa resa economica, mentre
se sempre per tre ore al giorno vi coltivo canapa indiana ne avrò una resa enormemente superiore (perchè la
canapa indiana ha un alto valore aggiunto laddove i cavoli ne hanno invece uno basso).

La canapa indiana non ha un elevato valore aggiunto, ma un prezzo di mercato elevato, perchè è illegale e la sua coltivazione comporta rischi aggiuntivi (non galera, non ci va nessuno, ma perdita del raccolto) molto maggiori che coltivare cavoli. Il che comporta anche che la domanda sia molto maggiore dell'offerta. Cosa che non accadrebbe se fosse un prodotto legale.




Suvvia che al posto della canapa indiana avrei potuto mettere il tabacco "normale" (che da campagnolo ti assicuro avere
un valore aggiunto - in questo caso una redditività per ettaro - superiore ai cavoli)...
Secondo il tuo ragionamento qualunque cosa io coltivi la redditività sarà data soltanto dall'estensione coltivata, e quindi
dal numero di ore lavorative che io vi dedico (qualunque contadino delle mie parti sa che non è così).
Dai, ragioniamo...
saluti
#637
Citazione di: Ipazia il 30 Ottobre 2018, 16:50:48 PM
Il valore aggiunto, secondo dottrina marxista, è quello della forza-lavoro alle materie prime lavorate. E' evidente che dove la retribuzione della forza lavoro costa meno, costerà meno il suo valore aggiunto e quindi anche la merce (valore di scambio). L'unica alternativa per chi ha un costo della forza-lavoro più elevato è diminuire la quota del suo valore aggiunto per unità di prodotto. Questa è la produttività a cui ci spronano. Intendere il brand come valore aggiunto è un vezzo tardocapitalistico che ne rivela la natura mistica. Misticismo che funziona benissimo, per carità. come in tante altre religioni. E che può avere un suo valore commerciale, come la religione. Ma non è il fondamento del valore di una merce (valore di scambio) e tende a ridursi a zero con grande facilità, a differenza del valore intrinseco di un valore d'uso divenuto, nel mercato, valore di scambio. Che il mercato sia un luogo mistico lo dimostra la superbamente ironica merda d'artista di Piero Manzoni, archetipo di tutti i brand. Ma che essa possa reggere una qualche economia non credo proprio. Semmai è la ciliegina da ricchi sulla torta di merda del capitalismo.



Scusami Ipazia, ma con "valore aggiunto" intendi il "plusvalore" (il di più che l'operaio produce calcolato sulla sua
retribuzione)?
Beh, se così fosse io direi proprio "plusvalore" per non confonderlo con un altro concetto, non credi?
Le tue ultime considerazioni sul "plusvalore" sono giuste, e le condivido (dicevo infatti: "se per "produttività"
intendessimo solo quella del valore-lavoro daremmo ragione a chi la dà ad intendere come: "i lavoratori italiani non
sono fulmini di guerra. Ma così non è"). Ma appunto sono riferite a quel concetto, e non tengono conto del "valore
aggiunto", che non è un concetto politico ma economico (e dunque materialistico).
Se io ho un appezzamento di terra e vi coltivo cavoli per tre ore al giorno avrò una certa resa economica, mentre
se sempre per tre ore al giorno vi coltivo canapa indiana ne avrò una resa enormemente superiore (perchè la
canapa indiana ha un alto valore aggiunto laddove i cavoli ne hanno invece uno basso).
Perdonami, ma non capisco come sia possibile ficcare sempre la politica anche dove non c'entra un fico secco...
saluti
#638
Citazione di: Phil il 30 Ottobre 2018, 13:16:31 PM
Concordo con Lou che (proprio dopo la crisi storica degli Assoluti) si corra il rischio di definire "assoluto" (concetto per me da usare a piccole dosi, lontano dai pasti e da tener fuori dalla portata delle "anime belle") ciò che non ha motivo di esserlo: l'"assolutezza del linguaggio", di cui si parla negli ultimi post, è in fondo semplicemente la sua funzione dichiarativa (la tautologia del "dico ciò che dico") in un contesto sociale in cui il linguaggio in uso è accettato e istituzionalizzato (quindi immanente, contingente, etc. la nemesi dell'assoluto, insomma...).
Il significato delle parole ha valore assoluto? Se "assoluto" può essere sostituito con "dichiarativo", "performativo", "condiviso" e persino "convenzionale", allora stiamo maneggiando, forse con ostinata malinconia, un assoluto imbalsamato, sfarzoso simulacro di se stesso.


Ciao Phil
Ma infatti ho più volte etichettato come contraddittoria questa, da me definita, "struttura necessariamente assoluta
del linguaggio" (cioè ho più volte definito contraddittorio il linguaggio).
Non mi persuade però questa affermazione circa la funzione "dichiarativa" del linguaggio. Bah, certo che il linguaggio
"dichiara", ma dichiara come - oltre che cosa? Ecco, io dico che dichiara "assolutamente"...
Dal mio punto di vista, "assoluto" non è sostituibile con "dichiarativo", e direi tantomeno con "convenzionale".
Se del resto il linguaggio fosse una "convenzione", come potremmo dire se esso afferma il vero o il falso?
Il problema filosofico del linguaggio non è forse quello del fondamento dell'intersoggettività del segno linguistico?
E come possiamo "dire" di questo fondamento se esso, il linguaggio, è una convenzione (se è una convenzione, allora
la convenzione che dice una cosa vale quanto quella che dice l'opposto)?
Con ciò non voglio tanto dire che il linguaggio certamente NON E' una convenzione, ma che la "struttura assoluta" del
linguaggio (come a me sembra sia) non è sovrapponibile con la considerazione del linguaggio come convenzione.
Mi sembra del resto che solo con un concetto assoluto e, allo stesso tempo, strumentale del linguaggio sia possibile
quella affermazione di verità o falsità che altri concetti rendono impossibile (cioè, come dicevo, la verità e la
falsità gudicate sul fine - che per me come per Nietzsche è il "vivere" - che lo strumento-linguaggio si prefigura).
saluti
#639
Citazione di: Ipazia il 30 Ottobre 2018, 14:46:04 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 30 Ottobre 2018, 13:57:17 PM
...la teoria economica del valore-lavoro era una teoria perfetta per il mondo "degli oggetti"
che è stato fino alla "rivoluzione copernicana del pensiero" operata da Kant. Da quel momento in avanti, siccome il "centro"
è stato occupato dal "soggetto", era inevitabile che questo si ripercuotesse anche in economia.
Ecco allora che l'oggettività del valore-lavoro diventa la soggettività del valore di scambio; non vi è "taroccamento", ma
solo un diverso paradigma del pensiero.

Peccato che con la soggettività e i paradigmi non si mangi. Basta che chiudano i rubinetti del gas o del petrolio e anche Kant diventa marxista.



A Ipazia
Beh, avrei bisogno di fare delle citazioni separate di quel che hai scritto ma non so come fare (cioè, ho capito
come si fa ma solo con una...). Comunque, procediamo ugualmente.
Con la soggettività e i paradigmi non si mangia ma almeno qui è lecito fare un discorso "anche" teoretico?
Poi, se vogliamo, facciamo anche quello pratico (il discorso), e lì vediamo come la teoresi incontri il terra-terra
(vedi l'esempio dell'allevatore che faccio nella risposta all'amico Paul11).
I Cinesi non hanno per niente fatto tutto da soli, visto che sono stati ammessi nel WTO (Organizzazione Mondiale del
Commercio) pur non rispettando affatto alcuni importanti paramentri dell'economia capitalistica.
Diciamo che gli occidentali si sono dati da soli la zappa sui piedi. Bah, buon per i nostri amici dagli occhi a
mandorla, che nella globalizzazione (insano frutto dell'occidente) ci si trovano a meraviglia.
Per concludere, io penso che quando un cinese compra una Ferrari sia ben conscio di comprare non una automobile
come tutte le altre (nel qual caso, penso, valuterebbe il prezzo con un parametro determinato dal concetto di valore-
lavoro), ma uno "status symbol", ed in questo caso valuterà il prezzo secondo il parametro suggeritogli dal
concetto di valore di scambio).
saluti
#640
Citazione di: paul11 il 30 Ottobre 2018, 14:26:48 PM
ciao Mauro(Oxdeadbeef) e Anthonyi.

non è affatto mutato il paradigma economico, ma il focus e per esigenza semplicemente di costi.
Come  si potrebbe calcolare la produttività ,seguendo la scuola marginalista, senza il valore/lavoro?



Non sto dicendo che il valore-lavoro è scomparso (se fosse scomparso non vi sarebbe la delocalizzazione); sto dicendo
che un nuovo parametro è apparso a rendere le cose più "complicate" di quanto lo fossero prima.
Diciamo che sto dicendo "anche" che, a "sinistra e dintorni", non s'è purtroppo visto nessun nuovo Marx, ma non andiamo
fuori dal tema...
Sulla produttività, beh, si dice sempre che il nostro paese abbia una produttività molto bassa (ed è vero).
Però, se per "produttività" intendessimo solo quella del valore-lavoro daremmo ragione a chi la dà ad intendere come:
"i lavoratori italiani non sono fulmini di guerra" (perchè questo intendono...). Ma così non è.
La produttività si gioca innanzitutto sul "valore aggiunto", cioè su quella parte di valore che è, appunto, "aggiunto".
Aggiunto da cosa? Ad esempio dal "brand", tanto per dirne una (e guarda caso il nostro paese sta perdendo tutti i suoi
"brands"...).
Parlavo tempo fa con un allevatore di bestiame (Chianina). Mi diceva che gli pagavano la bestia viva 9 euro al kg, e
che lui con quel prezzo non ci ripagava nemmeno le spese. Certo, mi dico fra me, perchè quel prezzo "di mercato" è
calcolato sul piano internazionale del valore-lavoro (e su quel piano vincono gli allevatori olandesi...).
Chiaramente, bisognerebbe valorizzare l'"aggiunto" che quell'allevatore mette sui capi venduti (il fatto che siano
allo stato brado, che siano di razza Chianina etc.), ma per far questo bisogna avere le "infrastrutture" necessarie.
Dunque, voglio dire, non è che questo valore di scambio sia un prodotto orrorifico del turbocapitalismo come qualcuno
la darebbe ad intendere. E' un parametro nuovo (si fa per dire, "nuovo": c'è sempre stato ma non così come adesso
andrebbe considerato) di cui tenere conto.
Del resto, a me sembra che con la globalizzazione, mantenendo fermo il valore di un bene economico come valore-lavoro,
gli unici ad esserne avvantaggiati sono coloro che producono al costo più basso (come i Cinesi o gli allevatori
olandesi...).
saluti
#641
Citazione di: Ipazia il 30 Ottobre 2018, 09:19:00 AMLa teoria del valore-lavoro non è stata falsificata, ma taroccata dall'economia capitalistica, attraverso dispositivi autoritari di carattere imperialistico militare e finanziario.





No, questo non credo sia affatto vero.
Che il discorso sarebbe ben presto scivolato sulla "infida" china della contrapposizione politica era presumibile.
Inviterei perciò a, come dire, "rimanere sul pezzo", ed analizzare le cause storiche del fallimento (perchè credo proprio
che di fallimento storico si possa parlare, visto che il socialismo ed il comunismo sono "effettivamente" crollati).
Vi sono a mio parere delle cause politiche, alcune delle quali riportate negli interventi dei simpatizzanti del
social-comunismo, sulle quali posso dirmi d'accordo. Ma vi sono, e di fondamentale importanza, anche delle cause
prettamente economiche (che, sempre a parer mio, non vengono considerate abbastanza).
Da ammiratore di Marx, quale ancora mi ritengo, non posso che sottolineare come il grande pensatore tedesco tenesse
in scarsa considerazione la "sovrastruttura" politica, ritendendola (e non del tutto a ragione) subordinata alla
"struttura" economica.
Per questo motivo egli fonda, come dicevo, tutta la sua teoria (che era e resta grandiosa) sulla base "materialistica"
rappresentata dal valore di un bene economico come valore-lavoro.
Questa teoria non è stata né falsificata (in quanto non era falsa) né taroccata dall'economia capitalistica.
Le opere di Michelangelo non erano apprezzate perchè di Michelangelo, ma perchè erano da tutti considerate bellissime.
In altre parole, se Michelangelo avesse fatto delle opere brutte tali sarebbero state considerate.
Cosa voglio dire? Voglio dire che la teoria economica del valore-lavoro era una teoria perfetta per il mondo "degli oggetti"
che è stato fino alla "rivoluzione copernicana del pensiero" operata da Kant. Da quel momento in avanti, siccome il "centro"
è stato occupato dal "soggetto", era inevitabile che questo si ripercuotesse anche in economia.
Ecco allora che l'oggettività del valore-lavoro diventa la soggettività del valore di scambio; non vi è "taroccamento", ma
solo un diverso paradigma del pensiero.
Non credo che l'esplosione economica cinese riconfermi la correttezza della teoria del valore-lavoro.
Innanzitutto perchè non vi era alcuna "scorrettezza" da confutare; e poi perchè tale esplosione è stata "in ultima istanza"
determinata proprio dalla "ratio" capitalistica, che ha individuato nella Cina la "fabbrica del mondo" (almeno fino all'avvento
di Trump...).
Del resto mi meraviglia non poco veder citato il "turbocapitalismo" cinese quasi fosse un nuovo "modello" per le sinistre
occidentali. Non dimentichiamo inoltre che la Cina sta rapidamente salendo la classifica sui consumi dei beni di lusso
(non vorrei sbagliarmi ma credo sia già il primo mercato per la Ferrari), per cui questo dimostrerebbe che anche lì
sta prendendo piede il concetto di valore economico come valore di scambio.
saluti
#642
Il discorso è molto, molto complesso (e non so da dove cominciare...).
A mio modo di vedere, il "socialismo reale" non è più praticabile (e me ne dispiace non poco). Non è più praticabile
per molte ragioni, ma ve n'è una di particolare importanza: il valore di un bene economico non è (più) il valore-lavoro
che diceva Marx, ma è (adesso) il valore di scambio così come teorizzato dalla Scuola Marginalista.
Diciamo due parole di spiegazione su questi concetti.
Secondo Marx e secondo tutta l'economia fino al suo tempo, il valore di un bene economico è dato dal lavoro necessario
a produrre quel bene (Marx fa l'esempio di 19 passaggi necessari a produrre uno spillo). Quindi il valore sarà dato
dal tempo necessario alla produzione, dal costo delle macchine e del personale impiegato e così via.
E' su questo concetto che Marx "costruirà" tutta la sua grandiosa teoria sociale, economica e politica.
Tuttavia, e non certo perchè Marx abbia sbagliato qualcosa, la modernità si accorge di un elemento nuovo (che fin'allora,
semplicemente, non c'era). Questo elemento oggi lo chiameremmo il "brand", il marchio...
Il valore di un bene economico diventa allora il valore che ad esso attribuiscono gli attori dello scambio economico
(diciamo il venditore e il compratore). Il valore del "brand" diventa fondamentale, e soppianta il valore come
somma dei costi di produzione.
Per meglio capire facciamo un esempio: la teoria di Marx non spiega come l'opera che un grande artista realizza in poco
tempo possa costare così tanto...
Ora, le cose da dire sarebbero tantissime. Almeno per il momento limitiamoci a notare come una economia "pianificata",
come necessariamente è quella priva di proprietà privata, non possa in alcun modo calcolare il valore di un bene economico
secondo il nuovo standard introdotto dalla modernità (e che la Scuola Marginalista ha solo "ratificato").
A parer mio, questo vuol semplicemente dire che a rendere non più praticabile il "socialismo reale" è, con mio grande
disappunto, la forma-mentis moderna.
saluti
#643
Citazione di: Ipazia il 29 Ottobre 2018, 17:18:51 PM
Per nulla. E' esattamente così. Il linguaggio dice l'assoluto nel contesto di un significato condiviso tra chi parla e chi ascolta.



Certo Ipazia, sono d'accordo. Il linguaggio come strumento prevede infatti un "uso" (e dunque un uso all'interno
di un certo contesto).
Chiaramente, non può darsi un "uso" del linguaggio in contesti troppo diversi (non vi sarebbe, ovvero, lo stesso
uso...).
Nel caso del nostro esempio, fra un gruppo di falegnami il termine "sedia" assumerà un certo significato (magari
una forma ben precisa), mentre fra i partecipanti ad una assemblea ne assumerà uno molto più generico (basterà
che ci si possa sedere). Poi, fra gli scienziati nucleari magari potrà anche essere una "danza di elettroni"...
Logicamente, come ben affermi, le cose si complicano maledettamente in presenza di certe categorie immateriali.
Quando si parla di giustizia, libertà etc. bisogna fare molta attenzione, perchè la struttura necessariamente
assoluta del linguaggio (quella che ci fa dire: la giustizia è...) può creare non pochi "attriti" fra contesti
ed usi diversi...
saluti

A Lou
Beh, diciamo che per come la vedo io il linguaggio ha sempre una struttura necessariamente assoluta, anche quando
si rivolge a contesti diversi (come dicevo sopra in risposta a Ipazia, quando diciamo: "la giustizia è..."
lo diciamo assolutamente).
Naturalmente, la persona "saggia" è consapevole di questo, e saprà che il linguaggio, essendo uno strumento, avrà
lo stesso significato (che però non è mai identico...) solo quando parlato "usualmente" all'interno di un certo
contesto (tipicamente: la medesima cultura).
Questo vale ahimè per i "saggi", perchè gli stupidi, inconsapevoli del carattere strumentale del linguaggio, ne
manterranno la struttura necessariamente assoluta (e contraddittoria, come dico altrove) cercando di piegare
al suo usi del linguaggio diversi dal suo.
saluti
#644
Citazione di: sgiombo il 29 Ottobre 2018, 15:53:14 PM
Se non altro ora mi sembra sciolta l'ambiguità fra assoluto e relativo nel linguaggio che mi sembrava evidente nel precedente intervento.

Però purtroppo, malgrado l' assenza di contraddizioni, la locuzione <<Il linguaggio, per me, "dice" necessariamente l'assoluto anche quando intenderebbe "dire" il relativo>>, non é che non mi interessi, ma semplicemente mi resta totalmente incomprensibile.

Indipendentemente da ciò per me il linguaggio (senza virgolette; ma non so se intendiamo la stessa cosa o cose diverse) non può che essere relativo: esposizione simbolica verbale di concetti (ciascuno dei quali stabilito mediante relazioni fra altri concetti) messi in determinate relazioni reciproche.


Ciao Sgiombo
Ma, al di là di come si possa definire il linguaggio, da che cosa possiamo vedere se una proposizione linguistica
afferma il vero o il falso (o meglio: ciò che presumiamo essere tale)?
Quando (riprendo l'esempio che ti facevo) Junker afferma che: "è bene vi sia austerità monetaria", e dall'altra
parte Di Maio dice: "è bene vi sia espansione monetaria", chi dei due dice il vero e chi il falso?
Chiaramente non ci interessa, in questa "sede", il discorso economico: ci interessa però che se uno dei due
afferma il vero, l'altro afferma necessariamente il falso (come lapalissiano, dirai...).
Ed in effetti sì, è lapalissiano, ma molto meno lapalissiano ritengo sia il constatare che ambedue affermano
con certezza, in maniera assoluta, quel che affermano.
Im parole povere, io sostengo che questa certezza, questa assolutezza, non sia di Di Maio o Junker in quanto
megalomani, ma sia DEL linguaggio in sè (gli sia cioè intrinseca).
saluti
#645
Citazione di: Elia il 28 Ottobre 2018, 19:43:32 PM
Premetto che ho letto solo i primi post, poi ci sono le solite elucubrazioni e giri di ragionamenti e citazioni, molto belli eh, che apprezzo, ma che prolungano la via che porta alla soluzione del "caso".

Qui si sta parlando di morale come se la morale fosse solo quella del sindaco di Riace. Secondo la morale di altri è deprecabile combinare matrimoni al solo scopo di fare ottenere la cittadinanza anche se sembra (sembra a chi?) a fin di bene.  




Ciao Elia.
Sono, come puoi vedere, l'autore del primo post (poi non sono più intervenuto...)
Mi sembra che tu, come dire, abbia inquadrato male l'argomento che ho proposto, che non è certamente quello di dire
chi, fra Mimmo Lucano e le leggi della Repubblica Italiana, abbia ragione...
O meglio: se ne può certamente parlare (di chi ha ragione), ma non era questo ciò che io originariamente intendevo.
Dicevo che quello di Lucano è un caso molto, molto antico. Un caso che nel Vangelo ha una sua interpretazione che,
almeno per quel che a me sembra, lo inquadra in maniera molto precisa.
"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio", così dice Gesù Cristo. Ma questa affermazione, che in
molti traducono con una netta separazione fra la sfera politica e quella religiosa, in realtà è l'affermazione della
superiorità del comando divino su quello terreno.
Non importa se vi è o può esservi una morale diversa; quella del sindaco di Riace è quella lì, e Lucano la prende
come dev'essere presa, e cioè come un imperativo categorico.
E allora, come accennavo, la questione dev'essere affrontata nel modo suggeritoci da Kant con la domanda: può la
morale assolutamente intesa contrapposrsi frontalmente al diritto giuridico?
La risposta di Kant è precisa, ma non esauriente (ma perchè non può esservi una risposta esauriente...).
La morale, dice Kant, può "ispirare" il diritto, ma mai "dettarlo": che significa?
Significa che il diritto giuridico deve avere le sue radici nella morale, ma la morale non può trasformarsi in
diritto, o ne avremmo come risultato uno stato "etico" (e in sostanza assolutista).
Dunque hanno torto senz'altro sia Lucano che Saviano, i quali non si rendono conto di voler trasformare uno
stato democratico e liberale in qualcos'altro (o peggio, se ne rendono conto ma lo fanno per questioni di opportunità
politica). Ma hanno torto anche coloro che con troppa facilità affermano la superiorità del diritto giuridico sulla
morale, perchè così facendo giustificano qualsiasi legislazione vista nel corso della storia (e ne abbiamo viste di
abominevoli...).
saluti