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Messaggi - Phil

#646
Ultimo libro letto / Re: Ragionamenti sbagliati
08 Gennaio 2023, 21:37:14 PM
Citazione di: doxa il 08 Gennaio 2023, 18:33:59 PMNel 1690 il filosofo Bacone scrisse nel "Nuovo Organo":  "...è errore caratteristico ed eterno dell'intelletto umano di essere motivato dalle affermazioni più che dalle negazioni, mentre per correttezza e per metodo  dovrebbe mostrarsi imparziale verso entrambe".
Questa citazione mi ha fatto tornare in mente, a proposito del ragionare, magari non erroneo ma manipolabile, un "vecchio" studio (di una decina d'anni, qui uno dell'anno scorso) che osservava come un popolo che dà alla donazione degli organi un valore maggiore, ma deve scegliere di registrarsi per farlo («opt-in»), finisce con il donare (<15%) molto meno del popolo che non gli dà un valore particolare, ma per non donare deve dichiararsi "fuori lista" («opt-out» e finisce con tasso di donazione >90%; fonte). 
Tutta questione di pigrizia nel mettere una spunta su un modulo? Traduco, o meglio, faccio tradurre da Google, la sintesi di un articolo al riguardo:
«I tassi di partecipazione ai programmi di donazione degli organi sono noti per essere fortemente influenzati dalla relativa politica di default in vigore ("opt-in" vs. "opt-out"). Tre studi forniscono la prova che questa differenza nella partecipazione può verificarsi in parte perché il requisito di opt-in o opt-out comporta grandi differenze nel significato che gli individui attribuiscono alla partecipazione. Dai partecipanti americani nello Studio 1 la partecipazione è stata valutata come azione più significativa quando l'accordo [per la donazione, n.d.t.] è stato presumibilmente ottenuto in base all'opt-in, piuttosto che condizioni di opt-out e il mancato accordo come maggiore abrogazione di responsabilità quando tale decisione è stata presa in opt-out piuttosto che in condizioni di opt-in. Lo Studio 2 ha replicato questi risultati con gli intervistati che vivono in Germania, che impiega una politica di donazione opt-in, e in Austria, che ha un politica di opt-out. Lo studio 3 ha richiesto ai partecipanti americani di valutare varie azioni che differiscono nello sforzo e nel sacrificio di sé che richiedono. Come previsto, il posizionamento della donazione di organi, su una scala graduata di paragone, differiva in modo significativo a seconda che fosse presumibilmente realizzato in un paese opt-in (dove era considerato più o meno come regalare metà di una ricchezza in beneficenza alla propria morte) o un paese di opt-out (dove ricadeva tra il lasciare che gli altri passino avanti di un posto in fila e fare volontariato per un po' di tempo per aiutare i poveri). Discutiamo il rapporto tra questo cambiamento di significato ed altri due meccanismi - l'inerzia comportamentale e le norme implicite - che crediamo siano alla base del effetto di default nel processo decisionale e in altri effetti delle politiche progettate per influenzare i decisori». (fonte)
#647
@InVerno

Se l'uomo ha anche una sua "natura estetico-edonistica" (nel senso che dicevo in precedenza), di cui fa parte il delegare compiti ai computer per guadagnare in ozio o produttività (a seconda dei casi), le analisi "etologiche" che l'AI potrebbe fornire sull'animale-uomo non credo saranno gradite al narcisismo umano. L'AI potrebbe essere uno di quegli specchi così limpidi e sinceri tanto da "meritare" reazioni luddiste (tanto quanto sono bistrattate, non a caso, le correnti estremamente razionaliste in filosofia).
Ben venga la condivisione del tuo "esperimento mentale", sia esso in stile Turing, Davidson o... Logos. Come detto, nel mio piccolo preferisco la verosimiglianza del "gusto menta" (sembra menta ma non è) ai viaggi in stile LSD (Lenin, Stalin, Deng-Xiaoping) che prima iniziano con un incantato «supponiamo che l'umano non si comporti più da umano...» per poi svegliarsi con hangover piuttosto infausti; ma lasciando da parte i miei gusti personali, credo abbia sempre senso esporre la propria teoria: in questo forum ne abbiamo lette di cotte e di crude, ed è forse proprio questo il bello.
#648
Tematiche Culturali e Sociali / Re: Archìa e Crazìa
08 Gennaio 2023, 14:00:22 PM
Per arricchire il quadro citerei anche epistocrazia e oclocrazia.
#649
Stavolta temo che, a malincuore, "tertium non datur", nel senso che nella realtà di tale terzo non scorgo traccia; possiamo augurarcelo, magari "vederlo" in "sogni lucidi", ma in ogni gerarchia amministrativa che mi viene in mente, l'amministrazione ha una sua piramide verticale e non è indifferente stare sopra o sotto, fintanto che l'amministratore decide cosa possono e devono fare gli amministrati, fintanto che gli amministratori si accordano fra loro "sopra" gli amministrati, fintanto che lo stipendio dell'amministratore non è quello dell'usciere, etc. 
Un domani non sarà più così? Chissà: c'è la realtà e c'è la possibilità, c'è la storia e c'è il futuro, c'è la descrizione e c'è il progetto.
#650
Se il capovillaggio è "primo inter pares" solitamente non sono tutti indiscriminatamente "pares", magari (vado per stereotipo) c'è il consiglio di anziani che comanda i giovani guerrieri che proteggono le donne; e già così la piramide gerarchica ha quattro gradini i cui membri non sono "pares" per potere, ruolo sociale, etc. Nondimeno il villaggio globale di miliardi di persone esterne alla piccola tribù, conferma quanto su larga scala tale disparità resti tale, mutatis mutandis, anche quando non c'è da cacciare cibo e combattere per l'accesso al fiume.
A scanso di equivoci, questo intendo con «naturalità» o con «natura umana»: non lo stadio primordiale della tribù o l'istinto animale, ma naturalità come spontaneità che porta sempre al medesimo risultato (gerarchia) a prescindere da luoghi, tempi e livello di sviluppo tecnologico. La gerarchizzazione è dunque artefatta tanto quanto è artefatta la costruzione ed uso di strumenti tecnici: entrambe sono tendenze spontanee che denotano la natura umana e, non a caso, il manifestarsi di entrambe prescinde appunto da luoghi, tempi e livello di sviluppo tecnologico (come ci suggeriscono la storia e l'antropologia).
Nella polis come nella metropoli è quindi naturale che l'uomo si strutturi in gerarchia, perché non ha mai fatto altrimenti e perché il suo habitat e il suo cervello (razionalità, creatività, istinto di sopravvivenza, finalismo, etc.) lo spingono a farlo.
C'è la possibilità di una svolta storica, di un mutamento della natura umana, di una società globale senza gerarchie? Le "costanti etologiche" dell'uomo non sembrano vacillare più di tanto nonostante gli otto miliardi di individui e i millenni di storia, per cui la domanda forse è: pillola per sognare un futuro migliore o pillola per restare sincronizzati con l'attualità? Lsd o mentina? Nella mia grigia serenità apolitica, preferisco la seconda.
#651
Non intendendo la sopraffazione come mera "violenza della clava", piuttosto arginata dalle legislazioni moderne e, come già detto, trasmutata in forme di sopraffazione più strumentali, mi riesce difficile ricordare (ma qui fate bene a diffidare della mia memoria) una gerarchizzazione sociale che non implichi sopra-fazione: sia nel senso di essere "retti" da chi sta sotto, sia nel senso di avere vantaggi rispetto a chi sta sotto (continuando per semplicità con questa icastica metafora delle verticalità). Banalizzando: in una tribù, pur senza denaro e altri orpelli moderni, il capo villaggio è tale per la sopraffazione che esercita sugli altri, nel senso che decide lui come gli altri debbano comportarsi, associando a questo potere magari anche il "benefit" della capanna più grande e la fiducia dei guerrieri che ne applicano la legge. In una società più complessa la piramide è ben più strutturata, ma i meccanismi che denotano la verticalizzazione restano perlopiù i medesimi. Non credo sia questione né di ideologia né di natura plastica del cervello: stando ai fatti, mi pare che ovunque la gerarchia abbia sempre comportato oggettivamente privilegi per chi sta sopra a spese di chi sta sotto (e questo non è quello che le classi dominanti hanno interesse a raccontare, eppure è così lampante che non serve nemmeno che lo ammettano).
Forse non sarà la natura umana o è questione di contingente "determinazione storica" (l'unica ovunque e da sempre, tranne sparute mosche bianche? Normale allora che qualcuno la scambi per "naturale"; più difficile sostenere che la natura sia ben altra ma non riesca mai ad affiorare), tuttavia quando Ipazia ricorda che «l'intelligenza del padrone è sempre più avanti dell'intelligenza dello schiavo»(cit.), magari si può non concordare sull'intelligenza, ma va riconosciuto che stando sopra il padrone ha di certo risorse e vantaggi che ne agevolano le modalità di sopraffazione (ripeto, nei modi contemporanei, non tramite violenza o vessazione fisica). Così come è altrettanto innegabile che talvolta «la violenza cambia di segno in lotta di liberazione»(cit. Ipazia) confermando come, a proposito di natura umana, l'aggressività sia uno strumento spontaneo, non solo per chi se ne serve per restare in alto, ma anche per chi vuole (ri)emergere, poiché la verticalità non è, appunto, solo questione di ideologia, ma soprattutto di funzionalità e livello di benessere. Sintomatico che le "alternative" ad una gerarchizzazione sfocino puntualmente in un'altra gerarchizzazione che ripete la sottomissione del basso all'alto, seppur in forme differenti (quando membri "del basso" sono riusciti a salire un po' sono diventati borghesia, disprezzata da chi invece non è riuscito ad emergere; anche questo è un sintomo di come sia la natura umana, quella dei libri di storia, prima che di antropologia o neuroscienze).
Non sto dicendo che la gerarchia concettualmente funziona solo se chi sta sotto viene sfruttato, tuttavia mi pare che l'animale umano tenda sempre e ovunque a declinarla in quel modo, il che mi fa sospettare che il suo rapporto con l'habitat e con i suoi simili non sia questione di recente deformazione ideologico-capitalistica della sua buona natura, ma prassi oggettiva del suo relazionarsi in modo strutturato agli altri e al mondo (e qui c'è lo "svincolo autostradale" per uscire dalla strada della descrizione storico-antropologica ed entrare nella progettazione del "mondo che vorremmo").
#652
Citazione di: Jacopus il 06 Gennaio 2023, 18:58:16 PMle indagini più recenti in campo neuroscientifico ci dicono che questa "tracotanza" dell'uomo è il risultato di una storia culturale dell'umanità e non un tratto per così dire genetico/biologico dell'uomo. In questo modo è possibile pensare ad un diverso tipo di società.
Concordo che non sia una questione di mera genetica; nel passo già citato da Ipazia avevo infatti osservato che le forme di sopraffazione sono mutate «confermando quanto la sopraffazione sia connaturata all'uomo (sapiens, faber, economicus, etc. non sembra fare molta differenza), o forse suggerendo che tale sopraffazione sia connaturata quasi più all'habitat della nostra specie che all'abitante, risultando un'istanza di organizzazione e selezione piuttosto trasversale a tempi e luoghi».
Pensare ad un diverso tipo di società è certamente possibile, ma credo abbia tanto più senso quanto più sia ancorato alla descrizione della società attuale; se l'uomo ha il "potenziale neurologico" per essere altro, non può essere insignificante il fatto che non riesca mai ad esserlo più di tanto: vuoi per motivi ambientali, vuoi per tradizioni culturali, dalla tribù più sperduta ed "anacronistica" alla metropoli più democratica e tecnologica, il denominatore comune è sempre la divisione verticale dei ruoli e dei poteri, con conseguente divisione "di diritto" delle risorse e delle possibilità sociali. Sintomatico (e ancora descrittivo) è che le varie direzioni politiche del "mondo evoluto", non si siano dimostrate capaci di emanciparsi dalla sopraffazione, tenendo ancora ben imbrigliato quel quasi messianico "potenziale di poter essere altro".
Inoltre, la spontaneità con cui è spuntata anche la "sopraffazione 2.0" dei vari "ing" (mobbing, stalking, bullying, shaming, etc.) conferma l'ennesima mutazione di forma (per quanto insignificante, in questa sua forma, a livello globale) di un processo relazionale a quanto pare radicato, se non nella genetica, in una certa socialità piuttosto "triggering" (considerando come tale "tendenza a sottomettere" non sia quello che viene propugnato a scuola, eppure riesce comunque ad emergere, come elaborazione di un disagio o altro, e quantomeno come un meccanismo che pare ritrovare una risonanza in pulsanti "inclinazioni limbiche").
#653
Come sempre, descrivere non comporta affatto giudicare (in positivo o negativo); tuttavia, un giudizio, per essere saldo e fondato, ha bisogno di basarsi su una descrizione. La descrizione che ci propone la storia (che non conosce petitio principii ma fatti, interpretabili ma non ad libitum), in attesa di proporzionate smentite storiografiche (non ideologiche), mi sembra priva di dubbi: da sempre e ovunque, l'uomo si organizza in modo piramidale e gerarchico, con chi sta sopra intento a sopra-ffare chi sta sotto; ripeto: non più tanto con la violenza fisica, ma piuttosto con la sovra-posizione economica o sociale (magari persino con un pizzico di compassione, ma in concreto non è prassi consueta "retrocedere" per solidarietà con il basso, al limite gli si scarica il proprio superfluo perché "a Natale siamo tutti più buoni"). La sopraffazione non comporta l'ingenuo annientamento di chi sta sotto, poiché egli è necessario a chi sta sopra, ma una decisa e palese discriminazione in termini di potere, di possibilità, di godimento delle risorse, etc.
Possiamo appellarci all'empatia, alle onlus, ai beau geste, all'istinto materno, etc. ma la storia dell'uomo, fino a prova contraria, testimonia inequivocabilmente che la sua natura (con buona pace di minoranze ed eccezioni), all'atto pratico, resta quella verticalizzante della sopraffazione: la geopolitica, l'economia, la sociologia, etc. non ci raccontano altro, pur con tutti gli ammorbidimenti diplomatici e le "rimozioni" della contemporaneità (e anche la nostra vita personale, per quel che vale, suppongo sia facilmente incasellabile, non a caso, fra "qualcuno sopra" e "qualcuno sotto").
#654
Citazione di: Ipazia il 06 Gennaio 2023, 09:20:37 AMPetitio principii. Dal riscontro fenomenologico alla causalità senza una analisi approfondita delle circostanze storiche, salvo un accenno rattoppante ad un habitat generico.
La petitio principii è una fallacia e, in quanto tale, riguarda un'argomentazione o un tentativo di dimostrazione; non ha senso se invocata su una descrizione. L'analisi della causalità del fenomeno non intacca la validità del riscontro fenomenologico. 
Esplicitando la descrizione: alla sopraffazione fisica è seguita (o meglio, si è aggiunta) quella economica; l'uomo tende a sopraffare e a gerarchizzare/discriminare, su scala planetaria, sia prima che dopo il capitalismo. Lo fa contro la sua natura, da millenni e pur cambiando forma di sopraffazione? Questa è una tesi (controfattuale già in partenza) che richiederebbe eventualmente argomentazioni e dimostrazioni.
Restando sempre sul piano della descrizione: la combinazione scarsità/necessità di risorse (e/o di denaro) spinge alla sopraffazione, più o meno violenta, più o meno economica, più o meno legalizzata. Non mancano certamente le eccezioni, ma anche la casistica, su larga scala (l'habitat di riferimento non è «generico», bensì globale), credo descriva senza troppi dubbi il differente peso statistico fra possesso e condivisione, competizione e collaborazione, etc.
Non c'è "toppa", non c'è inganno (né fallacia): questa è la descrizione "etologica" di ciò che accade da sempre fra gli uomini sulla terra; ci sono poi i cieli delle divinità e delle utopie e lì si entra nel campo minato delle fallacie e/o dell'infalsificabilità (quindi preferisco restarne fuori).
#655
Per squadernare un po' il suo pensiero, ho dato un'occhiata qui e, per avere una testimonianza più diretta, qui.
Mi pare proponga un'analisi abbastanza assennata del percorso storico che ha caratterizzato l'Europa ed esponga i suoi ideali senza edulcorazioni o limature da "politicamente corretto", il che rende la sua posizione tanto esplicita quanto poco disponibile a compromessi esegetici. Conservatore, ma non nazionalista, critico dei pensieri che mancano di aggancio pragmatico con la realtà (utopie e postmodernismi), è fra quelli che non traducono «progresso» con «ibridazione» e «politica» con «mondialismo». Non concordo in toto con la sua posizione, ma non posso nemmeno dire sia una posizione totalmente ingenua.
#656
Se ne parlava giusto una decina di giorni fa con Duc (qui e dintorni); parafrasando Platone: non si può scegliere di credere davvero in una divinità se non si crede che essa esista, non si può decidere a piacimento in cosa credere, per cui qualunque mano che il Cielo ci porge (o qualunque sacralità che un libro ci propone) non viene vista come tale e, di conseguenza, non viene accolta come sacra. Tale cecità, se onesta e in buona fede, non è stata scelta a priori e punire per tale cecità è un po' come "sparare sulla croce rossa"; fermo restando che, se una divinità esiste, non deve per forza essere compassionevole e comprensiva verso la nostra cecità (come noi, eventualmente, vorremmo lei fosse).
Se qualcuno decide di sventolare una banconota da cento euro davanti agli occhi di un non vedente e, quando viene a sapere che questi è morto di fame, commenta l'accaduto assolvendosi e dicendo che in fondo gli sarebbe bastato prendere la sua banconota, costui certamente è libero di avere tale beffarda opinione (che, se spontanea, non ha nemmeno scelto di avere). Tale burlone potrebbe anche andare oltre, sospettando che il non-vedente abbia volutamente ignorato la banconota per evitare il viaggio e la fatica di andare a comprare il cibo (di "vita eterna") che gli avrebbe salvato la vita; la conseguenza di tale pigrizia sarebbe dunque una "ben meritata" morte di fame.
Se piuttosto che sventolare la banconota davanti ad occhi ciechi, gliel'avesse lasciata in mano, avremmo di certo risolto i dubbi sulla pigrizia del cieco e chissà come sarebbe andata a finire... tuttavia, come già detto, persone e dei non hanno necessariamente sempre una "natura" amorevole (e possono davvero scegliere di averla? Si può decidere di cambiare senza sentire prima la propria condizione come carente? Platone dice di no).
#657
Ho curiosato un po' in rete e pare che, per quanto riguarda i farmacisti, sia piuttosto comune il serpente singolo con la testa rivolta in basso o addirittura nascosta dal bastone, sia su spille che su libri e insegne:











#658
@niko

L'animale estetico (l'uomo) è prima di tutto sempre animale, con i suoi bisogni primari inderogabili; la differenza rispetto altri animali emerge, come dicevo, dopo che sono stati soddisfatti i bisogni primari.
La naturale sopraffazione fisica, basata sulla violenza diretta, ha pian piano lasciato il posto, in gran parte del globo, alla sopraffazione economica, confermando quanto la sopraffazione sia connaturata all'uomo (sapiens, faber, economicus, etc. non sembra fare molta differenza), o forse suggerendo che tale sopraffazione sia connaturata quasi più all'habitat della nostra specie che all'abitante, risultando un'istanza di organizzazione e selezione piuttosto trasversale a tempi e luoghi. 
Come accennato altrove, l'«etica del pavimento e della scarpa» (sto constatando, non esaltando) ha favorito il successo sociale basato su doti sempre meno fisiche (sportivi e buttafuori a parte) creando "spirali" economiche basate anche sul superfluo edonismo di qualcuno (lusso) che fornisce il necessario a qualcun altro (stipendio), in una dinamica che in natura credo non abbia paragoni. Il denaro come simulacro di un valore, di un potenziale indefinito (nel senso che può tradursi in cibo o in capricci) è ciò che meglio rappresenta l'alienazione umana dalle dinamiche naturali e, come giustamente osservi, il suo scopo primario resta indubbiamente quello di soddisfare bisogni primari, tuttavia che possa anche essere impiegato per edonismi contingenti è, secondo me, la vera cesura radicale rispetto all'animalità, che pare non contemplare nemmeno la possibilità di tale contingenza (almeno finché non vedremo uno scoiattolo barattare una delle sue tante ghiande con una foglia, perché la trova bella).
#659
Citazione di: Ipazia il 30 Dicembre 2022, 08:33:20 AMTutto è riducibile ad una prospettiva utilitarista: il gioco, l'affettività, l'estetica, la ricerca scientifica e filosofica.
Se per utilitarismo intendi finalismo, non ci sono dubbi: c'è sempre un perché e uno scopo, tanto nel cercare cibo quanto nell'ascoltare musica. Il discrimine, secondo me, è la "natura" di tale fine: i fini degli animali sembrano sempre fortemente connessi ai bisogni primari; anche il legame con l'uomo quale fornitore di cibo, tana e cure non è "amore animale" puramente disinteressato (fermo restando che anche gli animali, soprattutto in quanto tali, sappiano ben essere diffidenti verso gli sconosciuti di altra specie, per cui un umano non vale certo l'altro). L'edonismo umano ha invece come fine/utilità il piacere, quello non fondamentale per la sussistenza (non è il piacere di mangiare quando si ha fame) e l'impiego della tecnica per qualcosa di piacevole, ma non necessario, credo separi nettamente l'uomo dall'animale, aprendo una dimensione in cui anche il contingente ha valore (dimensione cognitivamente inaccessibile all'utilitarismo animale, secondo me, sempre profano in materia).

Spoiler del "doppio fondo" di questo approccio: quali sono i prerequisiti per poter usare stabilmente la tecnica per attività edonistiche? Astrazione concettuale (ingegno e creatività), sperimentazione manipolatoria (metodo e scienza), capacità di tramandare quanto appreso (dimensione storico-linguistica). Il bearsi in tale ricerca del piacere, ben oltre i bisogni primari, racchiude dunque tutti gli ingredienti che rendono vanitoso l'uomo e che costituiscono ogni cultura umana. Sto rovesciando il rapporto fra estetica ed humanitas, o è la nostra cultura a volersi prendere così sul serio da degradare l'estetica a frivolezza, perché la "missione" e la "dignità" dell'uomo nel cosmo sono ben altri? Questo è l'"antropocentrismo ermeneutico" di cui diffido; non "innalzo" gli animali a creature estetiche, ma "abbasso" l'uomo ad animale onanistico (se proprio vogliamo utilizzare i soliti parametri di "verticalità" cari all'uomo).
Perché un animale non potrebbe mai capire, ad esempio, la fame di denaro di un uomo che ha comunque la pancia piena e una tana? Perché l'animale non può capire il gusto, squisitamente umano, di trastullarsi con la tecnica, fatta di giocattoli costosi e di esperienze edonistiche. Ritornando all'inizio: qual è l'utilità/finalità della ricchezza, del potere, dell'avidità, del giocare la lotteria, dell'essere contenti di avere un buon conto in banca? Solo la prospettiva futura di basilari cibo e tana? Solitamente no, siamo onesti; se così fosse non saremmo umani/edonisti (e sì, anche la morale, la filosofia, la scienza, etc. ricadono in questa iperdeclinazione contemporanea della "natura estetica" dell'uomo, ma per intravvederla bisogna uscire da quell'antropocentrismo di matrice ideologica di cui, chi più chi meno, siamo tutti imbevuti sin dai tempi dell'umanesimo).
#660
@Ipazia
Da profano (mi) chiedo: quei gatti hanno vissuto davvero un'esperienza estetica? Una melodia tarata ad hoc sullo stesso range di frequenze dei naturali vocalizzi del gatto, risulta certamente più felinamente amichevole dei Queen e dei Beatles, essendo, appunto, più simile alla voce di altri gatti (senza offesa per Mercury e Lennon). I gatti hanno trovato quella melodia bella, o semplicemente affine alla propria "voce", quindi non ostile, non allarmante né spaventosa? Mi pare resti in gioco il rischio della suddetta proiezione (come per i dipinti di Congo): facciamo partire la musica in "mi(cio) maggiore", il felino ne imita i toni (studiati per essere felini), si avvicina alla fonte sonora (come fosse un altro gatto) e concludiamo che gli piaccia... tuttavia ciò dimostra che il gatto prova piacere musicale, estetico, oppure solo che non percepisce quei suoni (che noi chiamiamo «musica») come avversi, bensì rasserenanti come la presenza di un proprio simile? 
Nel mio piccolo, ho ascoltato il brano linkato e, pur non essendo un gatto, sotto le note (capziose?) musicali, ho riconosciuto nitidamente prima il suono delle fusa e poi il suono di un gatto che lecca il cibo in una ciotola... sicuramente, anche togliendo le (pur minimali) melodie aggiunte, queste due sonorità sono ben note, ben apprezzate dai gatti e sufficienti per suscitare attrattiva; utilitaristicamente, non esteticamente.
Per gli uccellini amanti del flauto dolce, vale la stessa domanda: esperienza di piacere estetico, imitazione a pappagallo (pur non essendo tali), tentativo di comunicazione o suono non ostile?
Non fraintendermi, non ho certezze in merito, sono solo molto sospettoso degli umani e di come interpretino alcune  loro ricerche, sempre scivolando verso categorie (troppo?) antropizzate.

@iano
Non a caso, non ho parlato di «superiorità», bensì di differenza; l'arte è utile, a suo modo, per alcuni (non per tutti) gli umani, ma di quell'utilità, contingente ed autostimolatoria, che si basa sull'edonismo (di per sé non certo spiacevole), magari antidoto o catarsi per i dispiaceri della vita (per quanto la produzione dell'arte non vada confusa con la sua fruizione). Non è la percezione in sé a renderci, per me, differenti dagli animali, ma il fatto che siamo disposti ad usare la tecnica pur di provare percezioni piacevoli e non direttamente utili alla sopravvivenza; alienandoci, per brevi istanti, dalla schiavitù dei bisogni primari ci alieniamo dalla dittatura dell'animalità: ci impadroniamo di un istante che non è l'istante in cui vive l'animale sempre vigile e "focalizzato", ma l'istante in cui godiamo per qualcosa di cui potremmo anche fare a meno, ma nondimeno cerchiamo perché... ci piace