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Messaggi - Phil

#661
@Ipazia

Concordo che non sia affatto facile decifrare esattamente i vissuti interiori degli animali dalla sola osservazione esterna; tuttavia, pur non conoscendo prima della tua segnalazione la zoomusicologia né gli uccelli giardinieri, rilevo il rischio di proiettare criteri estetici umani su forme esteriori dell'agire animale: un nido addobbato secondo simmetria e monocromia (per mimetizzarlo meglio?) è prima di tutto un nido, quindi oggetto utile, anzi, vitale; diverso sarebbe stato se i volatili avessero appeso foglie per ornare un ramo senza poi dargli un uso (un po' come facciamo noi con i quadri). Usare tonalità musicali per comunicare può essere una forma di linguaggio, ma non troppo fine a se stessa se appartiene comunque al «ramo semiotico della musicologia»(cit.); in fondo anche la poesia è comunicazione, ma non una mera "comunicazione di servizio", dunque si tratta di verificare (semmai sia possibile), se la musica venga apprezzata dagli animali perché bella oppure solo riconosciuta perché capiscono cosa comunica, come fosse un comunicato in codice Morse (non proprio il massimo dell'estetica e dell'edonismo). Sul corteggiamento è ben noto che il fine non sia l'espressione di una bellezza estemporanea, quanto l'atto copulatorio a cui, istintivamente, si ambisce. Lo scimpanzé Congo è stato elogiato da Mirò e Dalì, ma lui vedeva davvero bellezza nei suoi dipinti (ed era consapevole che lo fossero)? Peccato non possa dircelo. Si tratta comunque di un filone di ricerca etologica evidentemente molto più fertile di quanto pensassi.
#662
Citazione di: Jacopus il 28 Dicembre 2022, 19:50:05 PMIn questo senso la figura mitologica più appropriata per definire l'uomo è quella del centauro, che non a caso era in parte cavallo ed in parte uomo. Ed è, nella mitologia greca, un centauro colui che scoprì e diffuse la medicina fra gli umani, ciò che di più extra-animale ci sia, poichè sa far rinascere, salva la vita e sconfigge "temporaneamente" la morte.
Proporrei simbolicamente anche un'altra figura mitologica, anch'essa ibridazione di uomo ed animale selvatico: il fauno. Le sue corna a ricordarci che l'animalità non è stata totalmente espulsa dalla nostra testa e le mani impegnate nella musica, che allegoricamente ben rappresenta ciò che, secondo me, più ci distingue dagli altri animali: l'edonismo. Anche alcuni altri animali hanno una loro "interazione tecnica" con il mondo che li circonda, ma tale strumentalizzazione, se non sbaglio, è sempre finalizzata alla soddisfazione di bisogni primari, mentre l'uomo è probabilmente l'unico che produce strumenti (come quelli musicali) con il solo scopo di ottenerne piacere (ossia stimolazione di alcune parti del cervello, rilascio di alcune sostanze, etc. probabilmente per altri cervelli sarebbe strutturalmente impossibile tale "esperienza estetica"). L'asservimento della tecnica e dell'intelligenza all'edonismo, al piacevole contingente e fine a se stesso, come autostimolazione mediata da uno strumento artificiale, credo sia ciò che più radicalmente ci distingue dagli altri animali; ancor più dei viaggi su Marte, della medicina, di internet e delle teorie quantistiche.
#663
Citazione di: green demetr il 28 Dicembre 2022, 05:50:46 AMMa basta con sti moralismi di un cattolicesimo piccino piccino picciò
Poi detto da un giullare della parola, francamente triste.

Ma cosa vuoi fare una etica degli schiavi vero!?
con la RESSSSSPONSABILLLLIITTTAAAA...ma andate a quel paese va.
una etica che ti chiede di essere schiavo non è una etica, è il contrario dell'etica.

infatti non esiste l'etica del tiranno (che poi usi la religgggiiooonnee o la sciiienzzziaiaaaa come mezzo da tagliagole...ma dai smettila!)
Dopo opportuna rilettura, non mi pare che nel mio post ci sia alcuna proposta etica, né di "etica degli schiavi" né altro (tentare di descrivere un processo storico, per comprenderlo, non comporta esserne né entusiasti né avversi), così come non rintraccio alcuna inclinazione verso «moralismi di un cattolicesimo piccino»(?), né negli intenti né fra le righe; nemmeno mi risulta ci siano accenni alla responsabilità (comunque venga scritta), né usi di religione e scienza come «mezzo da tagliagole».
Una risposta non si nega a nessuno, tuttavia mi pare che questo «giullare della parola» abbia (de)scritto ben altro, oppure il tuo commento era riferito ad altro post di altro utente?
#664
Citazione di: Ipazia il 27 Dicembre 2022, 21:16:39 PMIl frammento che ho postato ha un impianto etico incontrovertibile. Si martella la morale,  anestetica fino alla tossicità, del "mondo dietro il mondo" per liberare le ragioni del "mondo".
[...]
Morali immanenti di tipo solidaristico si fondano su principi di uguaglianza e cooperazione, lontanissimi dal darwinismo sociale.
Non sono affatto esperto di Nietzsche, ma l'appello alla terra di quella citazione non mi pare lasciare adito a nessuna solidarietà, né uguaglianza, né cooperazione. Magari in altri passi l'autore è più filantropico, ma uno schietto appello alla terra (mi) suona come un appello alle leggi della natura (per nulla ingenuo, come ben ricordato da atomista) che nella sua immanenza fa cooperare i lupi fra di loro, ma non con gli agnelli e, se nasci lupo, la seconda informazione da apprendere (la prima è che non mangi altri lupi bensì gli agnelli) è che, nel branco, un lupo non vale l'altro; ne va della tua sopravvivenza (senza nemmeno bisogno di concettualizzare la vita come valore, saranno l'istinto e i morsi altrui ad "orientarti").
Solo un "mondo dietro al mondo", una trascendenza dietro un'immanenza, può imbastire una (seconda) "natura" dietro la natura della sopravvivenza (essa sì incontrovertibile). Se parliamo con ("innaturale") ovvietà di valori come uguaglianza, rispetto di ogni vita umana, etc. non è perché ci ispiriamo alla terra, ma perché la seconda natura ha "darwinianamente" avuto la meglio sulla prima natura: inizialmente grazie alla cinica astuzia, tipicamente umana, che ha compreso che un debole strumentalizzato vale comunque più di un debole morto (v. schiavitù), instaurando una  manipolazione e gestione selettiva della violenza; poi grazie alla forza della quantità (molti deboli diventano più forti di pochi forti) la cruda legge della terra è stata relativamente arginata (spesso con non disinteressato "avallo divino"), favorendo il "successo sociale" anche per doti meno fisiche. A questo punto "la terra" era già molto lontana, nemmeno più sotto i piedi, poiché non tutti i piedi erano abbastanza duri da sopportarne le asperità: per far camminare tutti, abbiamo pavimentato la terra e costruito scarpe (e sono fra quelli che senza scarpe non resterebbe in piedi a lungo...).
Certo, la terra c'è ancora, inevitabilmente, così come abbiamo sempre e comunque una natura animale, ma non è sulla terra che è fondata, nè che possiamo fondare, l'"etica del pavimento e della scarpa" (comportante l'alienazione dalla terra per un "cammino" differente: l'uomo non è affatto solo un animale, dicono infatti le religioni "hard" e anche le ideologie sociali, eredi più o meno consapevoli di quell'antica astuzia, lo confermano, e nel farlo separano aulicamente l'uomo dalla terra su cui, sotto sotto, o meglio, sopra sopra, cammina).
#665
Citazione di: Duc in altum! il 23 Dicembre 2022, 18:40:05 PMEh no, in buona fede sarebbe se non avessero saputo e riflettuto di un certo Dio e del suo progetto.
Per esempio, se Dio esiste ed è quello cristiano, non è che Crudelia de Mon potrà dire: "...io ero in buona fede...", ma: "...non sentivo il Tuo bisogno, le cose mi andavano bene, ero sveglia e c'ho saputo fare, quindi ho vissuto con l'amore faidate.
Non so Crudelia de Mon, ma un ateo potrà ben dire, parafrasando Platone: «non sapevo di essere in difetto, quindi non potevo certo aspirare a ciò di cui non sentivo il bisogno», ovvero «non sapevo, in buona fede, che fosse vera questa religione o quell'altra, d'altronde dicevano tutte di esserlo e nessuna lo dimostrava; quindi non aspiravo a nessuna fede in nessuna divinità, perché onestamente le ritenevo tutte false».
In fondo, per capirci meglio, se quando andrai "di là", tu dovessi trovare solo una divinità induista che ti chiedesse come mai, nonostante i suoi libri, i suoi miracoli, i suoi profeti, etc. tu non hai creduto in lei, non saresti tu in autentica buona fede nel dire che non ti sei posto il problema di valutare a fondo quella religione, poiché pensavi onestamente che non fosse vera? Secondo me, pur non conoscendoti, sì, saresti in buona fede. E non sarebbe forse in cattiva fede quella divinità se ti dicesse che invece secondo lei tu non hai avuto fede in lei perché preferivi seguire altre regole, mangiare vacche, etc.? Secondo me, pur non conoscendo quella divinità, sì, sarebbe in cattiva fede (eventualmente, ricordati che ho scommesso su di te; non farmi fare brutte figure).

Posso capire i dogmi celesti, ma, come già detto, il dogma terreno che non credere in un dio comporti "sentirsi svegli e saperci fare" con "le cose che vanno bene", è un dogma quotidianamente falsificato da milioni di atei. Magari può far comodo ai credenti pensare che coloro che sembrano godere più di loro in terra, soffriranno per l'eternità, in una sorta di gelosia/impotenza che chiama vendetta divina (a proposito di amore e perdono), ma ciò, da un lato dimostra che inconsciamente preferirebbero non seguire quelle regole che pur dicono essere "già il paradiso in terra"; dall'altro lato, rivela che seguono tali regole solo perché dopo la morte sperano di essere loro a godere (e si ritorna al ruolo egemonico del post mortem); da un altro lato ancora, emerge come tale "gelosia" verso chi non ha vincoli e comandamenti da seguire, non è consapevole di quanto in realtà la mancanza di tali vincoli non coincida affatto automaticamente con vivere nel "paese dei balocchi" o "sentirsi furbi".
Da un punto di vista psicologico, magari sbaglio, si potrebbe forse parlare di totemizzazione del non-credente per esorcizzare frustrazioni terrene e incertezze "postume", ma aldilà di ciò, prima di badare alle verità celesti, non credo guasterebbe guardare un po' anche alle verità terrene (magari sollevando "gli occhiali della cattiva fede" quando si guarda chi non la pensa come noi).
#666
Citazione di: Duc in altum! il 23 Dicembre 2022, 16:55:49 PM"Naturalmente chi non avverte d'essere in difetto non aspira a ciò di cui non crede d'aver bisogno" (Platone)
Preferendo non indugiare sulla differenza lapalissiana fra una divinità religiosa e una "divinità" in senso metaforico (non certo ipostatizzabile apponendo una semplice maiuscola, fintanto che la doxa non è l'episteme), non sarei comunque così "crudele" con Dio tanto da pensarlo «in difetto» e quindi «bisognoso» della devozione dei credenti*.
Il perché Dio abbia impostato questo "gioco", creando umani per poi dividerli fra buoni e cattivi, ed infine farli beare o soffrire in eterno, credo sia uno dei misteri della fede, che riecheggia nel classico «perché l'essere piuttosto che il nulla?» (anche qui: l'imperscrutabile volontà di Dio è, a suo modo, una "risposta"; per molti, ma non per tutti).

*Se intendi, invece, che siano i non-credenti ad essere in difetto, in quanto privi di fede e, come osserva Platone, persino ignari di tale difetto (se non "in buona fede"), ebbene il fatto che Dio punisca questa loro carenza con la dannazione eterna, basando sulla loro sofferenza la sua giustizia, credo confermi ulteriormente l'assenza divina di amore e perdono, di cui parlo già da alcuni post; non mi pare fosse necessario convocare anche Platone ad ulteriore discolpa dei peccatori (dopo questa tua citazione, non so bene "da che parte stai"; il mio discorrere è per capire meglio il cristianesimo nelle sue paradossalità, non per farti "cambiare parte"; mi e ti auguro ci voglia ben altro...).
#667
Citazione di: Duc in altum! il 22 Dicembre 2022, 15:47:17 PMBene, forse la riflessione da fare, allora, è: che cosa mi fa scommettere la mia fede su quel cavallo invece che quell'altro?
Solitamente, in gran parte dei casi, è una questione di imprinting culturale (famiglia, contesto sociale, etc.): nasciamo tutti "atei" poi qualcuno sceglie per noi, ci battezza, ci manda a catechismo, ci educa secondo le consuetudini locali (cristiane, islamiche, induiste o altro); esistono, ovviamente, anche le eccezioni.
C'è poi chi decide di non scommettere su nessuna divinità, e con ciò veniamo a:
Citazione di: Duc in altum! il 22 Dicembre 2022, 15:47:17 PMIo non posso imputare un bel niente all'ateo, giacché esso non esiste nella Bibbia.
[...]
il mio dire che "se non sei con Dio sei nel paese del balocchi" è Vangelo, quindi nient'altro che apologia cristiana (moderna e contemporanea).
Moderna e contemporanea che sia (pur basandosi su testi di "qualche" secolo fa e, a quanto pare, ignara degli atei perché nella Bibbia non se ne parla), se la lettura del Vangelo, o della Divina Commedia(?), rende analfabeti alla lettura di ciò che oggi ci circonda (v. milioni di atei), rendendoci sordi alla voce viva dei nostri fratelli perché la lettera morta di un testo ci dice, controfattualmente, che loro "vivono nel paese dei balocchi" (anche se essi affermano esplicitamente il contrario), ebbene, secondo me (e sono l'ultimo che dovrebbe dirlo) bisogna forse ripensare a quanto gli "occhiali della fede" (anche quella della fratellanza, si direbbe) abbiano dei punti ciechi non trascurabili (per quanto forse coerenti con un dio che guarda, con gli "occhiali della giustizia", milioni di anime soffrire per l'eternità solo perché non lo hanno venerato come lui esigeva).
#668
Citazione di: Duc in altum! il 22 Dicembre 2022, 13:34:05 PMMa Dio fa molto di meglio.
Purtroppo per noi, il suo "meglio" è, in concreto, fornirci contraddizioni da sbrogliare senza poter verificare l'esattezza della soluzione (v. problemi esegetici citati in precedenza) e lasciar diffondere altre divinità (v. altre religioni), tutte impegnate a manifestarsi, a camminarci affianco, a dirci cosa fare e a lasciar segno della loro esistenza per chi "ha occhi per vedere"... se la vita consiste allora nel puntare sul "cavallo vincente" (gioco non troppo "amorevole", direi), non è rincuorante sapere che, se si punta su quello sbagliato, ci attendono le fiamme eterne (o punizioni simili).
Citazione di: Duc in altum! il 22 Dicembre 2022, 13:44:57 PMMai detto questo.
Se non ho frainteso, hai lasciato intendere anche di peggio nel tuo post precedente, quando imputi all'ateo lo scegliere il « falso paradiso terrestre»(cit.); come se il non credere in Dio comportasse vantaggi e godimenti terrestri nel «paese dei balocchi»(cit.): altro stereotipo fazioso che non comprende cosa significhi essere atei e che fa dell'ateo colui che sceglie il male (mondanità del peccato) secondo la suddetta atavica dicotomia «o con me o contro di me». Chiunque abbia ascoltato attentamente i discorsi esistenziali di un ateo, sa cosa intendo; se non bastasse quello che gli atei scrivono da anni su questo stesso forum.
Dio non deve certo giustificarsi né piacere a tutti, ma accostarlo ad amore e perdono, stando a quanto egli stesso dice e promette, è talvolta un'offesa all'intelligenza umana; non per nulla è, ripeto, questione di fede e dogmi.
#669
Citazione di: Duc in altum! il 22 Dicembre 2022, 01:15:44 AMper discernere il suo modo di "pensare" sull'Amore, sul Perdono e sul Male, dobbiamo essere - anche involontariamente - in comunione con Lui.
Quindi, citazioni a parte, se ho ben capito, resta vero che, di fatto, Dio ci ama e ci perdona solo se ci convertiamo e ci pentiamo (sinceramente, certo); altrimenti il suo "amore" consiste solo nel restare pazientemente in attesa che lo facciamo (attendere non è proprio sinonimo di amare, quando si potrebbe fare molto di meglio, ma non divaghiamo); e se non lo facciamo entro la durata della vita, sono guai perenni. Dunque si tratta di un amore (attesa a parte) e un perdono subordinati a ciò che noi diamo a lui in vita (pentimento, fede, etc.); se non gli diamo il nostro pentimento e la nostra fede, alla fine dei giorni non riceviamo, in concreto, né amore né perdono; do ut des.
Come già detto, allora, mandare qualcuno all'inferno per l'eternità non mi sembra un gesto d'amore, quanto piuttosto una punizione infinita per un male finito, secondo un criterio della cui proporzionalità "non si deve" discutere, rimandando tutto alla imperscrutabile giustizia divina (ecco la fede che più prova a farsi comprensibile, più si dimostra dogmatica).
La retorica del «chi non crede, sceglie l'inferno e Dio lo lascia libero di andarci» mi pare onestamente piuttosto "povera": chi non crede, non crede nemmeno nell'inferno (per ignoranza, ottusità o altro), quindi non può "scegliere" di andare in un "posto" che per lui non esiste. L'unico che potrebbe salvarlo dalle fiamme eterne, ossia Dio, a quanto pare non lo fa e scarica il suo mancato gesto di amorevole perdono su una falsa volontà del peccatore, nonostante la sua palese ignoranza o ottusità (che non dovrebbero suscitare in lui compassione?).
Lo stereotipo, tanto paradossale quanto fazioso, dell'ateo che "sotto sotto" crede in Dio, ma non lo segue per pigrizia o malignità, si basa sulla mancata comprensione di come (banalmente) ragioni davvero un ateo (in generale); comprensione che, in tutti i sensi, sembrerebbe, con tutto il rispetto, mancare anche "ai piani alti", dove pare si ragioni (molto umanamente) con "o con me o contro di me", senza contemplare la possibilità di una mera mancanza di fede, che non comporti affatto avversione (se Dio per me non c'è, non ha senso essergli ostile, non avendo un bersaglio reale per tale ostilità).
Alla fine dei giorni, a quanto pare, è come se una mamma dicesse al figlio di non giocare con i fornelli e quando il figlio si incendia (che non era certo nei suoi desideri, v. suddetta stupidità, e la mamma questo lo sa) la madre non lo soccorre, lasciandolo "libero" di bruciare dicendogli «te l'avevo detto che era pericoloso, ma in fondo l'hai scelto tu, buona combustione (eterna)». Per me, umano, l'amore e il perdono sono ben altro; tuttavia, come detto, sicuramente ciò dipende dai limiti della mia "carnalità".
#670
Scienza e Tecnologia / Re: Chat GPT
21 Dicembre 2022, 17:34:22 PM
Per quel poco che l'ho provato, mi pare si tratti di una sorta di potente "database in forma dialogica"; va detto che è in grado di svolgere alcune funzioni già proposte online da alcuni motori di ricerca o siti (decodificare linguaggi di programmazione, tradurre lingue, trovare ricette, etc.), ma in più sa anche produrre semplici programmi (solo benevoli?) a comando, spiegare paradossi e, qui confesso un certo stupore, sa (e)seguire una conversazione senza dover ripetere ogni volta ciò di cui si sta parlando, rispettando il filo del discorso. Dichiara esplicitamente di non consultare internet, per questo non può fornire informazioni in tempo reale (previsioni meteo e simili). Si presenta come un  "informatico coltellino svizzero" dotato di parola, e anche se è stato addestrato ad essere creativo combinatorio, producendo rime o canzoni, non credo avrà effettiva utilità aldilà di consultazioni tecniche (perlopiù informatiche).
Il ruolo dell'interlocutore umano secondo me resterà dunque insostituibile, magari sempre meno caratterizzato dalla raccolta di "informazioni fredde", ma proprio per questo più importante per l'instaurarsi di "relazioni calde"; ChatGPT non ha saggezza, non ha esperienza di vita, non ha opinioni, non dà consigli, a differenza dei nostri anziani (come dire, un motore di ricerca, per quanto versatile, non sarà mai in competizione con i social network; sono funzioni basate su esigenze umane ben differenti).
#671
Avendo deviato il tema parlando del perdono, provo a farmi perdonare tornando in tema: per un credente (tento di proiettarmi) la venuta di Cristo è indubbio punto di svolta per la storia, sia per quella dell'uomo, che riceve parola "pubblica" direttamente della divinità (senza che questa si rivolga ad un eletto in particolare), sia per quella "biografica" di Dio (che diventa uomo di generazione divina, ossia «generato non creato della stessa sostanza etc.»). Che tale venuta comporti un mutamento "caratteriale" di Dio, rendendolo meno ostile verso gli uomini, dopo che egli stesso ne ha "resettato" il peccato, è per me un'interpretazione che, più che sanare le divergenze fra i due testamenti, rende ancora più problematica e imperscrutabile la figura di Dio. La rivelazione sembra sortire l'effetto contrario: proprio "abbassandosi" all'umano, il senso del suo agire e le sue volontà si allontanano ancora di più oltre la comprensione umana (e un Dio mutevole è difficile da seguire...). Le contraddizioni che ne derivano (v. sopra) non aiutano il credente ad orientarsi, poiché deve giostrarsi fra quanto scritto nei due differenti testamenti (cercando di far tornare i conti con retoriche esegetiche spesso troppo opinabili), quanto scritto o detto dai papi (e anche qui le ambiguità non mancano, v. sopra), quanto scritto dai santi (che classificano a tavolino le bestemmie contro lo spirito Santo basandosi su... ispirazione divina? ci può stare) quanto scritto nel catechismo (e anche qui non tutti concordano), etc. Se lo scopo della venuta era chiarire e dare una nuova rotta, direi che si è passati da una rotta pericolosamente "sbagliata" (prima della venuta di Cristo) ad una molteplicità di rotte incerte, magari alle fine convergenti, ma di certo occorre molta fede e, appunto, non conviene farsi troppe domande. Forse il fatto che Dio non si sia più rivolto all'uomo come a «un popolo di pastori ignoranti»(cit.), ha confuso le acque più che chiarirle.
Non si sa se, dopo la venuta di Cristo, Dio abbia «cambiato atteggiamento»(cit.) verso l'uomo, ma sicuramente ha smesso di parlare (forse perché sono cresciuti quelli che dicono che la sua parola vera è questa o quella o quell'altra...). Alla fine, come sempre, il fascino del nuovo scalza il vecchio (a spanne direi che le conversioni al cristianesimo superano quelle all'ebraismo, o almeno la proliferazione dei primi eccede quella dei secondi) e con tutti gli aggiornamenti del caso (v. tentativi dei papi) il messaggio può avere ancora una sua attualità, fornendo risposte adeguate ai tempi. Forse il problema della conciliazione con il Vecchio Testamento, per arginare la confusione, può essere "anestetizzato" come un falso problema (o almeno di quelli da tenere chiusi nell'armadio...).
#672
@Duc in altum!

Grazie per la comprensione riguardo le mie carenze da catechismo; come avrai intuito non è il mio pane quotidiano e i ricordi dell'infanzia non sono un granché. 
Tutto il discorso (bestemmia Spirito Santo, contraddizioni esegetiche, etc.) mi sembra, se non sbaglio, si possa ridurre a queste considerazioni:
Citazione di: Duc in altum! il 20 Dicembre 2022, 12:55:51 PMLa condizione (l'unica del resto) che Dio ha posto all'uomo è di amare come Lui gli ha detto, ma affinché questo amore fosse sincero, deve includere il presupposto di poter essere (l'umano) pur libero di rifiutare/odiare/non accogliere quella disposizione (come del resto ancora oggi induce e consiglia questa regola).

Quindi non c'è nessun scarico sui figli, ma una scelta ben precisa e decisa di essi di declinare quella potestà.
Amen e così sia.

La condizione del perdono è consequenziale, ma sempre perché Dio rispetta la libertà dell'uomo/donna di potersi credere un dio o d'illudersi dell'amare faidate.

Tutto non finisce lì, perché è la donna/uomo che non prendono proprio in considerazione un'eventuale necessità di essere perdonati.
E perché dovrebbe Dio obbligarli a ricevere per forza il suo perdono?
Non sarebbe così un Dio tiranno e sopraffattore?
Dunque, correggimi se sbaglio, Dio ci perdona e ci ama solo se ci pentiamo sulla terra, altrimenti che siano fiamme e dannazione per l'eternità. Il suo amore consiste quindi nel contemplare la possibilità del perdono, nel non essere automaticamente vendicativo senza appello.
Le mie perplessità sono allora dovute probabilmente al mio eccessivo (mea culpa) sublimare il "perdono per amore": se amo qualcuno e lo perdono, tale perdono dovrebbe essere subordinato al suo pentirsi, o questa è una peculiarità solo del perdono divino? Affermare che perdonare anche chi non si pente sarebbe un'imposizione, per me perde totalmente di vista cosa significhi perdonare per amore, facendone una questione di "scelta altrui" (quindi, sì, c'è lo «scarico sui figli» se sono loro a scegliere), come se per perdonare fosse necessario ottenere qualcosa in cambio (pentimento, preghiere, etc.) altrimenti l'amore che si prova per il colpevole non è sufficiente (è davvero amore se è subordinato alla "compensazione" altrui?). Secondo me, da umano (ovviamente) per perdonare qualcuno (soprattutto per amore) non serve né il suo assenso, né il suo pentimento, né che accetti(?) il mio perdono. Il perdono autentico, per me, è quello a senso unico: mi hai fatto del male e io ti perdono; non conta se mi chiedi scusa o se confermi la "ricezione" del perdono. Certo, è più facile perdonare chi ci dà, come "rimborso" per il male fatto, almeno le sue scuse e le sue preghiere di perdono. 
Perdono che comunque non è certo sopruso malevolo per colui che lo riceve: se tu mi dai un pugno e io ti perdono, "ti impongo" il non ricevere un mio pugno in cambio; ma solo perché so che ciò ti procurerebbe sofferenza; ossia: amandoti non ti colpisco. Viceversa, il buon Dio per non "imporre" il suo perdono amorevole, manda all'inferno eterno chi non si scusa con lui prima della morte... intendiamoci, il perdono divino è giustamente di ben altra pasta del mio (e ci mancherebbe), ma non avendolo intuito subito, mi aspettavo un "meccanismo di indulgenza" differente (certo, non si può dire «fate pure quello che volete, tanto io vi perdonerò», ma è anche vero che una punizione eterna, ossia infinita,  per i peccati finiti non può essere associata ad un genitore amorevole; sarebbe come dire a un bambino: «se stasera guardi troppa tv e poi non mi chiedi scusa, non ti farò guardare mai più la tv in vita tua e ti picchierò per l'eternità...»; la morte della pedagogia).

P.s.
Che il Papa si riferisca anche alle carceri italiane piuttosto che al post-mortem, onestamente, mi sembra una forzatura poco coerente con il testo; ma probabilmente non ho la "fede adatta" per interpretarlo in quella direzione; oppure il Papa mistifica troppo l'esperienza di detenzione nelle carceri, vedendoci ottimisticamente «sperimentazione di tenerezza e perdono» (meglio non chiederlo ai detenuti però...). Anche qui, forse, è solo questione di "occhiali della fede".
#673
@baylham
L'"oggettività" (non a caso posta fra virgolette) di un certo buddismo non sta nel postulare un ciclo di rinascite, tutt'altro che oggettivo, ma nel porre alla fine (e come il fine) la cessazione della vita, similmente a quanto accade, appunto oggettivamente (senza virgolette), sulla terra. Capisco l'esaltazione della soggettività, tipica della responsabilizzazione individuale che propone ogni religione, ma non colgo in che senso l'estizione del ciclo delle rinascite sia «esaltazione della volontà e della potenza», considerando come tale cessazione non sia solitamente voluta (v. suddetto attaccamento alla vita, "fame di eternità", etc.) e non sia espressione della potenza umana (se non piuttosto espressione dell'impotenza umana di fronte all'impermanenza dell'essere).

@niko
Grazie davvero per la segnalazione, ignoravo esistesse quel «filone annichilazionista eretico», cercherò di curiosare in merito, anche se la tua esposizione mi ha già spiegato bene il nucleo centrale dell'impostazione "eretica".
#674
Si può avere "fame di infinito" (altra faccia dell'horror vacui) al punto da pensare non infinita la retta del tempo, bensì infinite le volte che percorriamo la circolarità del tempo. Si può pensare di essere un'eternità inconsapevole della propria ciclicità. Quello che si fa fatica a pensare, anche solo ad intuire, è il proprio non esserci più; la biologia stessa ci "programma" per essere attaccati alla vita, tanto che la voglia di non vivere più viene letta da molti come una "malattia", più che una radicalizzazione della padronanza della propria vita (fino a privarsene).
In fondo, la prima salvezza, quella che tutti (o quasi) chiedono a qualsiasi religione, è la salvezza dalla morte. Curioso, ma solo fino a un certo punto, che nessuna religione abbia contrapposto al premio del gaudio eterno e alla punizione della sofferenza per l'eternità, il tertium della mera morte biologica senza un dopo; quasi fosse tabù teoretico il solo pensare ad una spiritualità senza un necessario post-mortem. Questo perché la prospettiva di un'eternità, sia essa premio o punizione (v. comportamentismo elevato alla trascendenza), è quello su cui tutti vogliono "istintivamente" puntare. O meglio, quasi tutti: c'è una "religione" che, in alcune sue diramazioni, propone come traguardo ultimo l'estinzione, la cessazione del ciclo delle (ri)nascite. Tuttavia, non a caso, anch'essa è stata recepita a livello popolare come "promessa di paradiso", mentre "in realtà" (dottrinalmente parlando) il Nirvana è negazione, spegnimento (etimologicamente) dell'"esistenza condizionata", senza più eternità né sete di essa. Al netto delle narrazioni dottrinali e del ruolo etico-spirituale di tale credenza, quella del "sommo traguardo" come cessazione dell'esistenza, se ci si pensa attentamente, è una prospettiva piuttosto disincantata e "oggettiva" della vita; magari non rincuorante per tutti, certo, ma non è detto che la verità debba per forza esserlo sempre.
#675
@Duc in altum!

I versetti citati mi sembrano chiari: «chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno»(cit.), il perdono è negato, non si parla di possibilità di accoglierlo, né in terra né in cielo; così come la dannazione post-mortem è descritta come eterna. Confinando il perdono e l'amore divino nella vita terrena si cade quindi in contraddizione: l'amore e il perdono, se per esser tali devono essere accolti solo sulla terra, quanto sono autentici? Se un padre ama e perdona il figlio non scarica sul figlio il dovere di accogliere il suo amore e il suo perdono, altrimenti non sarebbero davvero tali: se hai un figlio che commette un errore e tu lo perdoni, non lo punirai, perché lo ami, e tutto finisce lì. Se invece poni come condizione che debba essere lui a chiederti perdono, altrimenti non lo perdoni, anzi lo punisci in eterno... diciamo che non sei proprio il più amorevole e compassionevole dei padri. E qui entra in gioco il testo del Papa; se non lo fraintendo, quando afferma: «Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l'inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza e il perdono» non credo intenda che nelle carceri italiane, scontando la pena, si sperimenta la tenerezza, il perdono e la conversione... suppongo parli di queste caratteristiche come sperimentabili dopo la morte, nella misericordia divina; quindi contraddicendo sia i versetti citati in precedenza (v. dannazione eterna) sia chi lo ha citato per poi concludere che dopo la morte «non c'è appello».

P.s.
Se le mie considerazioni ti paiono basate sulla "convenienza" e sul «tornaconto di chi crede diversamente dal cristianesimo»(cit.), prova a chiederti: quale convenienza? Quale tornaconto? Per un ateo, il fatto che il cristianesimo sia "polimorfo" ed opinabile non aggiunge né toglie nulla alla sua visione immanente del mondo, rende solo più difficile il suo tentativo di cercare di decifrare quella religione (ostacolando anche un eventuale processo di conversione, se vogliamo dirla tutta).