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Messaggi - doxa

#661
Tematiche Culturali e Sociali / Il destino del corpo
02 Luglio 2021, 08:06:11 AM
Jean e  Anthonyi buongiorno.


I vostri interessanti post mi fanno pensare che un tempo (ancora oggi ?) la teologia e la predicazione pastorale riuscivano a  convincere i credenti sull'esistenza dell'aldilà  e la  trilogia di inferno, paradiso, purgatorio, veniva affidata a  immagini terrificanti o attrattive, per esempio quelle nel  "Tableau des joyes du paradis", pubblicato a Lione nel 1609, nelle quali il gesuita tedesco Jeremias Drexel dipingeva tutte le gioie paradisiache per poter convincere anche il più renitente peccatore, il quale era informato dallo stesso dotto gesuita che già allora l'inferno era popolato da centomila milioni di dannati.


La recente riflessione escatologica ovviamente ha smitizzato queste ricostruzioni simboliche di indole parenetica; gli stessi catechismi si premurano di superare le concezioni spazio-temporali dell'oltre vita, trattandosi di un orizzonte di sua natura eterno e trascendente, e optano per la definizione di uno stato in cui l'essere umano e l'intera creazione si verranno a trovare.


Su quel «dopo» rimangono sospesi molteplici interrogativi che hanno esiti talora antitetici. Con realismo dobbiamo riconoscere che la generazione attuale alla morte e all'eventuale oltrevita non ci pensa, non la teme, non la spera, in pratica non se ne occupa.


La stessa predicazione ecclesiale o ne tace o, se è costretta a farlo durante i funerali, procede con un imbarazzo palpabile, reiterando formule tradizionali.
#662
Tematiche Culturali e Sociali / Il destino del corpo
01 Luglio 2021, 21:29:46 PM
La filosofa Francesca Rigotti in un articolo sul settimanale "Domenica" de "Il Sole 24 Ore" del 27 giugno scorso ha pubblicato un articolo dal titolo "Meglio un bel tatuaggio che l'eterna beatitudine". Condivido la sua riflessione sul "destino del corpo".

In sintesi la saggista dice che nel nostro tempo il corpo lo curiamo e lo alleniamo: la promessa cristiana di portarlo nell'aldilà è ormai poco convincente perché la morte non è più vista come un passaggio a un'altra fase dell'esistenza.

La vita dell'anima nell'eterna beatitudine (o nell'eterno castigo) promessa dalla religione cristiana è divenuta un'aspettativa fumosa o incredibile.

La morte ha cessato da tempo di essere il passaggio a un'altra fase dell'esistenza e si è ridotta a una semplice uscita dalla vita. Di conseguenza la vita del nostro corpo è l'unica vita che abbiamo.

Quali sono le conseguenze sociali e soprattutto le dimensioni filosofiche aperte da questa concezione?

Abbiamo solo un corpo, la vita del nostro corpo è l'unica vita che abbiamo e quella vita è la nostra unica possibilità individuale.
Possiamo trasmettere la vita della specie riproducendo, al seguito della pulsione biologica, la vita collettiva.

La secolarizzazione ha condotto anche coloro che credono nelle religioni che promettono la vita eterna nell'aldilà, ad attaccarsi alla fugace vita a termine dell'aldiqua.

Il secolarismo, nella ricostruzione fattane da Charles Taylor, filosofo cattolico credente, significa uscita della religione dalla sfera pubblica nonché allontanamento della gente da Dio e dalla Chiesa e declino delle pratiche religiose. Si tratta di un fenomeno iniziato storicamente nel mondo occidentale intorno al 1500 e sviluppatosi in alcuni paesi più che in altri, e in virtù del quale la fede in Dio da assioma che era all'interno di un contesto in cui non credere era virtualmente impossibile è diventata un'alternativa, una possibilità umana fra le tante.

La società moderna è diventata secolare cosí come è diventata democratica e la maggioranza dei suoi componenti sono di fatto laici (che siano fedeli a una religione, scettici, agnostici, dubbiosi, atei convinti).

La vita eterna dell'anima nell'eterna beatitudine è divenuta un'aspettativa fumosa e poco convincente, cosí come pochi si dedicano alla cura dell'anima per garantirle l'immortalità.

L'impegno contemporaneo, anche di molti credenti, più che mirare all'immortalità dell'anima, si concentra sulla cura del corpo, da mantenere in vita e proteggere dalla vecchiaia e dalle malattie attraverso interventi tecnici di vario genere e di diversa portata. Ci troviamo di fronte a un fantasma dell'immortalità che non si fonda sul predominio delle religioni quanto sul mito dell'uomo perfezionato dalla scienza e dalla tecnica.

La cura dell'anima, gestita dalle chiese e dai loro apparati e allenata dagli esercizi spirituali ha ceduto il passo alla cura del corpo e del cervello allenati dagli esercizi fisici e mentali.

La storia mostra che per molti secoli in Europa la preoccupazione per la salvezza dell'anima immortale stava al centro e meno ci si occupava della salute del corpo.

La preoccupazione principale era quella di «morire in grazia di Dio», confessati e comunicati e unti nell'ultimo sacramento, con la consapevolezza di non avere il peccato mortale sull'anima. Il peccato mortale, quello che condanna l'anima alla morte eterna.

Oggi la preoccupazione principale di tutti, credenti e non credenti, è di morire senza accorgersene (ma anche di non morire soli, che sono due desideri contraddittori).

Si nota questo passaggio di mentalità in un esempio illustre che è l'Amleto di Shakespeare, dei primissimi anni del '600. È il passo in cui lo spettro del padre di Amleto racconta al figlio le modalità della sua morte: il vecchio Amleto fu avvelenato da Claudio, lo zio del giovane Amleto, mediante istillazione di un veleno nelle orecchie mentre dormiva nel suo giardino. Il veleno è chiamato hebenon ed era stato forse prodotto con le bacche dell'albero del tasso:
"Mentr'io dormivo in giardino, com'era sempre mio costume al pomeriggio, tuo zio se ne venne di furto nel momento del mio più pieno abbandono, con il succo del maledetto hebenon entro una fiala, e versò ne' padiglioni delle mie orecchie quella lebbra distillata, il cui effetto ha una tale inimicizia con il sangue dell'uomo, che trascorre le porte e i viali naturali del corpo rapido come l'argento vivo, e con sùbita energia coagula e caglia il sangue più sano e delicato, come farebbero delle gocce d'acido versate nel latte" (Shakespeare, Amleto, I,5, 62-7o).

Qual era il senso di quella morte? di sorprendere nel sonno il re, impedendogli una morte cosciente! Questa infatti gli avrebbe permesso di pentirsi dei suoi peccati e forse di salvare l'anima dalla dannazione eterna.

Pensiamo alle strade dei paesi e delle città italiane, ancora costellate da edicole in cui le anime del Purgatorio si dimenano tra le fiamme (le cosiddette anime in pena) invitando i passanti a dire per loro una prece che possa diminuire il tempo della purga e avvicinare la salvezza dell'anima stessa.

Oggi l'individuo con la sua vita sulla terra, singola e singolare, ha soppiantato l'idea dell'individuo cristiano dotato di un'anima che ha la possibilità di ascendere al cielo dell'eterna beatitudine dopo il giudizio di Dio e godere della vita eterna, perché l'individuo dotato di anima ha un inizio ma non ha una fine.

In un certo senso il cristianesimo ha introdotto l'idea dell'individualità dell'anima personale, oggi sostituita dalla singolarità del corpo. E se la cura dell'anima era affidata al sacerdote pastore di anime, la cura del corpo è affidata al medico, delle membra e del cervello.
#663
Tematiche Spirituali / Re:L'uomo Gesù di Nazaret
12 Giugno 2021, 09:02:22 AM
Buongiorno Iano, quoto il tuo post.

Ti domandi
Citazionema chi glielo ha fatto fare?

La tua domanda suppone il Gesù soltanto uomo, un umano. Ma chi crede in Dio crede anche che Jesus sia Cristo, il Figlio di Dio, e Dio stesso, incarnato.

Però nel Libro della Genesi, Dio non afferma di avere un figlio. Durante l'epoca della Legge mosaica Jahvè  non affermò di avere un figlio. Ciò è sufficiente per ipotizzare la sola esistenza di Dio, per chi crede in lui, e che non esiste un  collegamento Padre-Figlio.

Allora perché il  Nazareno affermò di essere il Figlio di Dio? O era Dio ?  Per i credenti Gesù di Nazaret è manifestazione di Dio.

Nel Vangelo di Giovanni Filippo chiede a Gesù: "Signore, mostraci il Padre, e ci basta". 

Il Nazareno gli rispose dicendo: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse" (Gv 14, 9 – 11).

Jesus non disse che tra Lui e Dio esisteva un rapporto Padre-Figlio, ma solo: "Io sono nel Padre e il Padre è in Me", "Io ed il Padre siamo uno"  (Gv 10, 30).

Allora i  miscredenti  si domandano, se Gesù  è Dio perché nelle sue orazioni prega Dio Padre?

Ai credenti la Chiesa dice che è un mistero di fede da accogliere senza porsi domande.

Il Nazareno negli anni precedenti il suo "ministero" di predicatore si suppone che  visse la sua "normale" umanità. Poi si deve presumere che lo Spirito Santo irruppe in lui e cominciò la sua missione itinerante per realizzare la volontà di Dio, che  dovrebbe essere la sua volontà, anche se durante la Passione pregò dio Padre.

In altri post ho citato passi del Vangelo di "Giovanni", ma è la trascrizione da parte di autori anonimi della testimonianza del "discepolo che Gesù amava".

Oggi gli studiosi fanno  spesso riferimento anche a un'antica scuola giovannea nella quale sarebbe maturata la redazione del vangelo e delle lettere attribuite a questo apostolo.

Lo storico e teologo cristiano Rudolf Bultmann nel suo libro titolato "History of the synoptic tradition" evidenzia, il carattere leggendario della rivelazione del traditore da parte di Gesù durante l'ultima cena (Giuda Iscariota),  anche perché, dopo le preoccupate richieste dei discepoli su chi fosse,  nessuno dei presenti reagì a tale rivelazione.

Ed ancora dal Vangelo di Giovanni (1, 19 – 23):

"Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo (a Gesù): 'Tu, chi sei?'. Egli confessò e non negò. Confessò: 'Io non sono il Cristo'. Allora gli chiesero: 'Chi sei, dunque? Sei tu Elia?'. 'Non lo sono', disse. 'Sei tu il profeta?'. 'No, rispose. Gli dissero allora: 'Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?'. Rispose:
'Io sono voce di uno che grida nel deserto:

Rendete diritta la via del Signore,
come disse il profeta Isaia'."
#664
Tematiche Spirituali / Re:L'uomo Gesù di Nazaret
11 Giugno 2021, 21:55:30 PM
Socrate ha scritto:
CitazioneMa il popolo ebraico comunque non vive in pace in quella terra di cui ha ripreso possesso, segno che non è avvenuta la vera e piena riconciliazione con Dio, perché è l'amicizia con Dio a dare la pace...".

Ciao Socrate, invidio la tua certezza che sia Dio a dare la pace, ma nel caso Dio non esista ?


Bobmax ha scritto

CitazioneE non è la divinità di Gesù, bensì il tuo essere divino.
Tu che sei il figlio unigenito .

Buonasera Bob, faccio parte dei "Gentili" e non riesco a comprendere in me la parte divina, se c'è.  Non riesco ad immaginare di avere con Dio un rapporto Padre – figlio e neanche lo vorrei.  Comunque leggo con curiosità quanto scrivono i credenti in lui.

Da alcuni anni constato il "grido di dolore" che si leva alto dalla cupola di San Pietro per la scristianizzazione dell'Occidente.

La cosiddetta "Santa Sede" raccoglie quel che ha seminato nel tempo con le bugie. Siamo alla resa dei conti.  La gente studia e gli storici del cristianesimo svelano..., per esempio, che la Chiesa cattolica per secoli ha fatto credere come vere e fatte adorare da milioni di fedeli analfabeti o semi-analfabeti  le migliaia di false reliquie sparse ovunque. Ci hanno costruito santuari. 

Ormai i seminari sono vuoti o quasi. Gli attuali seminaristi sono in maggioranza africani o asiatici.

La "Santa Sede" (ci vuole un bel coraggio definirla tale) io la considero un'agenzia d'affari di livello mondiale ammantata di religiosità.


Tornando al tema, si può desumere che Jesus e gli apostoli vivessero con le elemosine leggendo il Vangelo di Giovanni, capitolo 6, versi 5 - 13:

5 "Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7 Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». 10 Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. 12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13 Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato".

Per quanto se ne sa il "cassiere" era Giuda Iscariota.

Dal Vangelo di Giovanni, 13, 21 - 30


"Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose allora Gesù: «È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: «Quello che devi fare fallo al più presto». Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte".
#665
Tematiche Spirituali / L'uomo Gesù di Nazaret
10 Giugno 2021, 21:17:13 PM
Fantasticando su Gesù come uomo non divinizzato...

E' l'ora della cena! Lo penso nella sua attività di predicatore itinerante negli ultimi tre anni della sua vita e mi chiedo se le sue parabole, i suoi discorsi venivano retribuiti abbastanza da chi lo ascoltava per pagarsi ogni giorno l'alloggio e il vitto, tre pasti: colazione, pranzo, cena.

I Vangeli canonici ci raccontano che, invitato, partecipò a 15 pasti conviviali, non si sa se a pranzo o a cena. Comunque ogni festosa riunione tra amici aveva una sua particolarità e per il Nazareno era occasione di insegnamento.

Gesù non svolgeva un lavoro manuale ! Parlava ! Chi gli dava il "denaro" per vivere la quotidianità ? Mandava i suoi adepti in giro per la questua ?

I Vangeli di Marco e Matteo narrano che una volta Jesus mentre era in cammino con i suoi apostoli da Gerusalemme verso Betania, ebbe fame. Forse non aveva monete sufficienti, vide un albero di fichi con molte foglie, si avvicinò ma era senza frutti. Lo maledì e l'albero si essiccò (vedi Mc 11, 12 - 24 e Mt 21, 17 – 22).

Gli evangelisti Marco e Matteo raccontano la simbolica parabola del fico avendo come antecedenti in merito la tradizione rabbinica e l'Antico Testamento, nel quale fichi e grappoli d'uva, rappresentavano gli uomini buoni.

Il profeta Osea narra che Dio trattò amorevolmente Israele come se fosse un fico buono, ma il suo popolo non credendo in lui rivolse la sua fede all'idolatria.

Secondo il profeta Michea, Dio accusò Israele paragonando se stesso a chi cerca invano frutti della vite e del fico: "Non un grappolo da mangiare, non un fico per la mia voglia. L'uomo pio è scomparso dalla terra, non c'è più giusto fra gli uomini".

Anche il profeta Geremia narra che Dio lamentò di non trovare più uva e fichi (= persone a lui devote) e annunciò l'invasione babilonese del territorio di Canaan.

Ma al di là del simbolismo, perché Jesus maledì quell'albero di fichi ? Per l'ira funesta causata dalla sua fame non saziata ?

Se aveva fame perché durante il cammino non sostò con i suoi accoliti da un venditore ambulante con cibo pronto tipo "fast food "? Perché né lui né i suoi discepoli avevano i Prutot necessari ?


In Palestina al tempo di Gesù come moneta si usava il "Prutah"(plurale Prutot), parola ebraica, presente nella Mishnah e nel Talmud. Una pagnotta di pane costava 10 Prutot.

#666
Grazie Iano per il tuo intervento, perché mi dai la possibilità di ampliare il mio precedente post in questo topic.


L'associazione per lo sviluppo dell'industria Mezzogiorno (SVIMEZ) ha pubblicato dei libri in occasione del centenario dell'unità d'Italia e ai 150 anni dall'unità d'Italia. Per esempio:  "150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011" ;  "Le Università del Mezzogiorno nella storia dell'Italia unita. 1861-2011", pubblicati dall'editore Il Mulino, e il numero speciale della Rivista giuridica del Mezzogiorno, trimestrale della SVIMEZ dedicato a "Federalismo e Mezzogiorno a 150 anni dall'Unità d'Italia".

Per quanto riguarda le strade ferrate, re Ferdinando II oltre la Napoli-Portici,  dal 1838 fece costruire la linea Napoli-Nocera con diramazione per Castellamare di Stabia.

Un secondo tronco ferroviario, finanziato dallo Stato borbonico, raggiunse Caserta nel 1843 e Capua nel 1844.
 
Nel 1853 fu concessa in appalto la costruzione della Nola-Sarno-San Severino, che avrebbe dovuto proseguire per Avellino. Il programma prevedeva poi che la linea Napoli Capua fosse prolungata a Cassino per allacciarsi con la ferrovia dello Stato Pontificio.

In Sicilia erano previste le linee Palermo Catania-Messina, e Palermo-Girgenti (Agrigento)-Terranova. Previste, ma non realizzate.

Le linee ferroviarie meridionali al tempo dei Borbone  è uno dei principali motivi di vanto dei sostenitori dell'idea di un Sud avanzato, penalizzato piuttosto che aiutato dall'Unità d'Italia. Ma fu veramente così?  Alcuni  progetti ferroviari non furono realizzati.

Secondo i dati contenuti nello studio della Svimez,  nel 1861 nel  Sud Italia l'estensione della linea ferrata era di 184 chilometri,  limitati in Campania. Nel Centro Italia i chilometri erano 535,  nel Nord 1.801, dieci volte in più.

Durante il regno di Ferdinando II, dopo la repressione del 1849, ci  fu una riduzione drastica della costruzione di nuove strade ferrate. Questo sovrano era giunto alla conclusione che  i collegamenti ferroviari  erano strumento di propagazione delle idee rivoluzionarie e, quindi, elemento di rischio per la stabilità politica ristabilita  in quell'anno.
 
Il Regno delle due Sicilie aveva un'economia basata sul trasporto marittimo, non sul trasporto ferroviario.

Ovvio! Il Sud aveva privilegiato le linee marittime perché circondato dal mare. La  grande flotta era un vanto del regno borbonico.   

Invece la Lombardia e il Piemonte non avevano la  flotta marittima, per i collegamenti dovevano costruire strade.

Per quanto riguarda il brigantaggio meridionale il protagonista fu quasi sempre il contadino, il pastore o il brigante (che poi è la stessa cosa), ma interessò anche la classe sociale dei 'galantuomini': grandi proprietari terrieri e allevatori del Sud Italia,  responsabili del patto con l'amministrazione piemontese. (Il romanzo "Il Gattopardo", di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, docet. Come ben sai narra le trasformazioni avvenute nella vita e nella società in Sicilia durante il Risorgimento, dal momento del trapasso del regime borbonico alla transizione unitaria del Regno d'Italia).

La lotta al brigantaggio coincise con i difficili anni successivi alla formazione dello Stato unitario, quando l'esigenza dei governi di quel tempo era quella di fermare in modo rapido le insurrezioni in varie province meridionali incorporate al nuovo Regno d'Italia dopo l'impresa garibaldina.

Le autorità militari  agirono con metodi brutali ed indiscriminati, a volte illegali. Ci furono molte esecuzioni sommarie ed eccidi. A loro volta, nel corso di una vasta ondata sommosse, anche numerosi crimini e atti di spietata violenza vennero commessi dalle bande di briganti col sostegno iniziale di ex soldati borbonici e la connivenza di esponenti clericali.

Tra il 1861 e il 1864 avvenne la guerra civile tra gli italiani del Nord e quelli del Sud, fra i  cosiddetti "piemontesi" inclini a considerare il Mezzogiorno una zona della penisola non ancora approdata alla "civiltà", e gran parte della popolazione locale indotta a odiare i "conquistatori" scesi del settentrione accusati di mire di dominio e di pesanti vessazioni fiscali.

Ma quello che si svolse dopo l'unificazione nazionale (con l'impiego da un lato di un esercito cresciuto man mano da 15 mila a 116 mila uomini contro i cosiddetti "briganti",  e, dall'altro, con la mobilitazione di folti nuclei di insorti trasformati in guerriglieri) fu un capitolo di un conflitto di più vasta portata. Tra l'eclissi dei Borbone e l'avvento dei primi governi post-unitari riemersero due generi di ostilità: una "guerra fratricida" di meridionali contro altri meridionali, e una "guerra di classe" fra proprietari e contadini senza terre.
#667
In Rete  scrivono appartenenti a gruppi che si definiscono neoborbonici o filoborbonici e  indicano il Regno delle due Sicilie come una sorta di paradiso perduto, basandosi sulle informazioni del best seller del 2010 "Terroni", scritto da Pino Aprile. Essi  tendono a enfatizzare i lati oscuri del Risorgimento italiano cercando il riscatto per una terra che non era né il paradiso perduto immaginato dai neoborbonici né l'inferno descritto dai primi storici risorgimentali.


Infatti si sbaglia chi considera il Regno delle due Sicilie un Paradiso trasformato in Inferno dalla dinastia sabauda.


Il Regno delle Due Sicilie in sé è esistito per un periodo relativamente breve, dal 1816 al 1861.


Analisi giuridiche, statistiche ed economiche decostruiscono la mitologia che negli anni è stata "fabbricata" dai cosiddetti neoborbonici o da studiosi che considerano il processo di unificazione nazionale come una guerra di conquista, saccheggio e distruzione del Regno di Sardegna nei confronti del Regno delle due Sicilie.


Per cominciare, furono davvero un milione le vittime meridionali dell'esercito piemontese ?  Le vittime furono poche migliaia, briganti inclusi.


Il Sud pre-unitario era davvero un territorio industrialmente avanzato ?


Ed è vero che le industrie del Sud furono depauperate, trasferite al Nord e osteggiate dal nuovo governo piemontese ?


Sono oggettivi i tanti primati che i neo-borbonici rivendicano sul Regno delle due Sicilie ?


Lo storico Pino Ippolito Armino nel suo libro titolato: " Il fantastico Regno delle due Sicilie. Breve catalogo delle imposture neo-borboniche" (edit. Laterza) abbatte tutti i totem dei neo-borbonici, leggendo il Regno delle due Sicilie nella sua interezza, evidenziando le bugie propagandistiche, le azioni liberticide e il disinteresse per le condizioni socio-economiche delle classi subalterne.


Armino contesta l'uso distorto  che i neo-borbonici fanno delle fonti storiche, spesso manipolate in funzione di una lettura populista e vittimistica della "questione meridionale".


Non era un Paradiso il Regno delle due Sicilie del 1860. E non è scaricando sull'unità d'Italia le responsabilità del ritardo socio-economico del Sud che si riesce a comprendere le reali ragioni del divario.


Il primo regnante della famiglia Borbone a entrare in Italia e regnare sia sul Regno di Napoli che su quello di Sicilia fu Carlo di Borbone nel 1735. 
Carlo, seguito dal fido consigliere Tanucci, avviò una serie di riforme che porteranno davvero alla rinascita di due territori che erano considerati delle colonie, passate di mano in mano tra corone francesi, austriache e spagnole.
#668
Percorsi ed Esperienze / Il silenzio
10 Maggio 2021, 22:00:54 PM
"Meno si riflette e più si parla. Pensare è parlare a sé stessi. E quando si parla a sé stessi, non viene in mente di parlare agli altri", disse il barone di Montesquieu: Charles-Louis de Secondat (1689 – 1755).


Il filosofo e giurista francese Montesquieu esorta a riflettere. Il pensare crea silenzio e si nutre di silenzio perché è un "parlare a è stessi". E' proprio questo che manca a chi parla troppo agli altri, correndo il rischio di dire banalità. Sono necessari la meditazione, l'ascolto, la lettura.


Un noto aforisma della tradizione ebraica: "Lo stupido dice quel che sa; il sapiente sa quel che dice".
#669
Riflessioni sull'Arte / Velatio Mater Dei
06 Maggio 2021, 18:11:46 PM
Usanza del velo come copricapo femminile



Una legge assira del 12/esimo sec. a.C. proibiva alle donne sposate e alle figlie di "uomini liberi" di mostrarsi pubblicamente a capo scoperto.



Nella lingua assira "kallàtu" indica "colei che è velata".


Dagli Assiri c'è l'antica testimonianza che in Mesopotamia il velo aveva anche un significato di distinzione e di appartenenza.



Nell'antichità il "velo" definiva lo stato sociale della donna, possesso del padre o del marito. Era obbligatorio soltanto per quelle appartenenti ai ceti economicamente benestanti. Le schiave e le prostitute non potevano indossarlo.


Le tre religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo ed islam) fecero continuare alle donne la tradizionale usanza del velo.
#670
Riflessioni sull'Arte / Velatio Mater Dei
06 Maggio 2021, 17:38:30 PM
Di solito le statue o le icone  che raffigurano Maria, la "madre di Dio", vengono realizzate  con i capelli della donna  coperti da un velo o dal manto.

Anche a Lourdes e a Fatima  miracolosamente "apparve" con il copricapo.  :mumble:

Invece Raffaello Sanzio la dipinse più volte  anche senza velo o maphorion: manto femminile  che veniva usato a Bisanzio; copre il capo e la tunica.

Come esempio vi faccio vedere uno dei dipinti realizzati dal Sanzio di Madonna senza velo sul capo.



Raffaello Sanzio, Madonna Esterházy, 1508 circa, tempera e olio su tavola, Szépművészeti Múzeum di Budapest, il Museo Nazionale di Belle Arti ungherese.


La composizione:  al centro la Madonna senza la velatio sulla testa mentre sorregge il Bambino Gesù;  entrambi  volgono lo sguardo verso il piccolo San Giovanni, inginocchiato e intento a leggere il cartiglio.

Sarebbe illegittima la raffigurazione della Vergine senza il velo sul capo, se si rispetta l'ammonimento di Paolo di Tarso nella prima lettera ai Corinzi, indirizzata alla comunità cristiana di Corinto: "Ogni uomo che prega  o profetizza con il capo coperto, manca di rispetto al proprio capo (= Cristo, = Dio). Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo (= al marito), poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo si tagli anche i capelli ! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.
L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è la gloria dell'uomo. E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo: né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli.
Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna; come infatti la donna deriva dall'uomo (= da Adamo), così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.
Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto ? Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli, mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere ? La chioma le è stata data a  forma di velo" (1Cor 11, 4 – 15).

Ovviamente l'ammonimento di Paolo rispecchia gli usi rabbinici del suo tempo.

Per convincere la donna ad indossare il velo, il tarsiota (o chi per lui) usa affermazioni e argomenti che vanno compresi nel contesto della dottrina paolina.

Egli pretendeva il velo sulla testa delle donne durante le assemblee liturgiche, e non in modo permanente. Ma sappiamo che all'epoca in pubblico le donne indossavano sempre il velo.

Nel passato famosi pittori nelle realizzazioni mariane si compiacevano di saper evidenziare con maestria i capelli della Madonna.

Esempi: la "Vergine delle rocce", di Leonardo da Vinci; la "Purissima", del Murillo; l'Annunciata di Filippino Lippi.

Ci sono anche statue dedicate alla "Madonna del rosario" realizzate senza velo, come quelle venerate a San Luca o a Bagnara, in prov. di Reggio Calabria.
#671
Riflessioni sull'Arte / Re:Il collezionista
02 Maggio 2021, 09:28:18 AM

Giovanni Paolo Panini (1691 – 1765), "Galleria del cardinale Silvio Valenti Gonzaga", 1749, Wadsworth Atheneum di Hartford, nel Connecticut (U.S.A.).

Questo dipinto  evidenzia la passione collezionistica del  prelato. Pochi anni dopo la morte del cardinale, avvenuta nel 1756, l'imponente quadreria costruita nel corso di tutta la vita venne successivamente  venduta e dispersa in musei e collezioni private.
#672
Riflessioni sull'Arte / Il collezionista
01 Maggio 2021, 23:18:12 PM
Ipazia, a proposito di arte,  in quest'ambito, specie nella pittura, ci sono "vecchie volpi" che non sono coinvolte dalla "follia" del dilettante allo sbaraglio ma dal proprio tornaconto economico.

Spesso usano la propria competenza per acquistare con lungimiranza opere di autori sconosciuti o quasi, perché ipotizzano che in seguito diventeranno famosi o le loro opere saliranno di prezzo.

Di solito non acquistano quadri per desiderio di possederli ma per rivenderli e trarne un guadagno.


Poi, anche loro, giungono al tramonto della loro vita, e quello che non riescono a vendere lo donano a musei e gallerie d'arte.
#673
Riflessioni sull'Arte / Il collezionista
01 Maggio 2021, 21:54:07 PM
Buonasera Ipazia, infatti il dipinto fa pensare all'horror vacui.  :D
#674
Riflessioni sull'Arte / Il collezionista
01 Maggio 2021, 16:51:17 PM



L'autore di questo dipinto è  il tedesco Johann Zoffany (1733 – 1810):

"Veduta della Tribuna degli Uffizi", 1776, olio su tela, Royal Collection Windsor.

La Royal Collection è la raccolta d'arte della famiglia reale britannica.  L'attuale proprietaria della collezione è la regina Elisabetta II; la collezione conta 7000 dipinti e 40000 acquerelli oltre a ceramiche, oggetti preziosi, tendaggi, arazzi, libri antichi.

La Royal Collection non è contenuta in un'unica sede, ma si trova sparsa in molte delle residenze reali britanniche, come Hampton Court Palace, Buckingham Palace e Windsor Castle. Alcune residenze sono aperte al pubblico con le loro gallerie, altre sono invece riservate alla famiglia reale. I dipinti conservati nella Royal Collection appartengono a diverse epoche, autori, generi e nazionalità.

Il dipinto di Johann Zoffany riproduce le opere esposte in quell'anno nella Tribuna, che è  una piccola galleria d'arte situata nella sezione nordorientale della  Galleria degli Uffizi, a Firenze.

Nella tela sono ritratte alcune note personalità dell'epoca. Per esempio, davanti al quadro della cosiddetta "Venere di Urbino", dipinta da Tiziano,  ci sono il pittore e antiquario Thomas Patch, in piedi, Felton Hervey, seduto, in conversazione con Sir John Taylor e Sir Horace Mann, residente a Firenze. Nel dipinto è ritratto anche  Pietro Bastianelli, curatore della Galleria degli Uffizi, mentre mostra la "Venere di Urbino" al collezionista John Gordon. 


Dopo aver ammirato questo  dipinto realizzato  dal tedesco Zoffany ho pensato alla figura del collezionista privato e la lucida "follia"  che lo attanaglia. Egli è scrupoloso e ingenuo, irrazionale e competitivo, individualista e curioso, dominato dalla frenesia di trovare il pezzo unico, s'impegna nella sua ricerca e quando  lo scova non sa resistere e lo acquista.

Spesso si pente, perché passa dall'irrazionalità all'ingenuità, ma non c'è nulla da fare, il collezionista desidera possedere tutto ciò che non ha. Si considera persona incompresa, ma chi si mostra interessato alla sua collezione si "apre" con fiducia  per descrivere il suo tesoro con affetto intenso.

Il complesso legame che lo unisce alla sua raccolta lo trattiene dal divulgare facilmente il suo hobby, di raccontare la sua soddisfazione nel compilare schede, catalogare, classificare. Chi colleziona ha una naturale predisposizione a salvaguardare e proteggere gli oggetti che possiede.

Le collezioni sono spesso ben organizzate ed esposte in modo attrattivo.

Comunque la pulsione  al possesso  non si manifesta  allo stesso modo nei collezionisti, però hanno caratteristiche riconoscibili e simili. Per essi le cose che conservano sono come figli, vanno protette, nascono e muoiono con loro. Con la fantasia immaginano di trattare con gli eredi o con estranei desiderosi di "adottarli".

Non ha importanza cosa si colleziona, la motivazione è la stessa: la ricerca dell'appagamento di un desiderio, quello di avere per sé un oggetto, o la volontà di acquistare un determinato manufatto per non farlo avere ad un concorrente.
#675
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Senescĕre
29 Aprile 2021, 21:53:27 PM
Per concludere vi faccio leggere un'intervista rilasciata dal prof. Umberto Veronesi, noto ancologo, circa un anno prima di morire.

Che cosa rimane della vita a 90 anni ?. "A volte il desiderio di morire".
Novant'anni, una data da festeggiare? "Certo. Lo farò con tutta la mia famiglia. Siamo una tribù di quasi trenta persone, dai novanta ai due anni. Un'era geologica".

"Quando sei giovane non pensi alla vecchiaia e man mano che invecchi il confine fra "giovane e anziano" si sposta sempre più in là. Semmai si pensa alla morte, questo sì. Io ci ho pensato molto perché sono un sopravvissuto. A diciott'anni in guerra sono saltato su una mina e sono rimasto vivo per caso. O per miracolo, qualcuno direbbe. Da allora ogni giorno di vita per me è una conquista. Ho deciso che avrei colto la bellezza dell'esistenza a piene mani, finché vita ci fosse stata. E così è avvenuto. Non mi sono fatto mancare nulla".


Lei ha detto: se esiste il diritto alla vita, esiste anche il diritto di morire. Si chiama eutanasia. Sarebbe pronto a farvi ricorso?
"Senza la minima esitazione. Se una malattia mi privasse della mia dignità di persona chiederei l'eutanasia. Ho fatto anche il testamento biologico che contiene le mie volontà sulla fine della mia vita, in caso mi accadesse di essere incapace di esprimerle di persona".

È sicuro di non essere sfiorato in alcun modo da un ripensamento sull'abbandonata fede?
"Perdere Dio mi ha obbligato a cercare valori morali dentro di me. Sono sufficienti a darmi forza. L'impegno etico è la sola cosa che mi ha lasciato Dio. Non ho avuto e non avrò alcun ripensamento, ma ho continuato a studiare le religioni. È un viaggio affascinante che aiuta a capire la storia, perché le religioni sono il risultato delle circostanze e della cultura di un popolo in un determinato periodo".

La religione ai tempi della sua adolescenza era l'unica cornice della vita. L'avvertiva addosso?
"Non mi pesava perché rientrava nei riti familiari di mia madre, una donna che io adoravo incondizionatamente. I suoi gesti mi rassicuravano: recitare il rosario, preparare la tavola, mettermi a letto con lo scaldino per i piedi, accendere una candela in chiesa. Quando ho sviluppato un mio senso critico e la cornice ha iniziato a gravarmi, l'ho subito abbandonata. Mia madre ci ha parecchio sofferto, ma mi ha capito".

Come laico ha mai cercato di costruirsi un suo Dio privato e succedaneo oppure, per dirla con Nietzsche, Dio è morto e nulla più?
"Sto con lo scienziato Peter Atkins, che dice che Dio non è mai esistito".

Se si guarda indietro, qual è il suo più grande senso di colpa?
"Non aver fatto abbastanza per salvare l'umanità dal cancro".

Meglio Derrida: imparare a vivere significherebbe imparare a morire, a considerare, per accettarla, la finitezza assoluta della vita, senza salvezza, resurrezione o redenzione. O Cioran: chiunque non muore giovane presto o tardi se ne pentirà.
"Derrida dalla prima all'ultima parola. Vivere più a lungo permette di produrre più idee e le idee rappresentano la nostra immortalità. Il senso della vecchiaia è questo. E il senso della vita, in fondo".

Un'altra sua citazione: mi preparo a morire senza accorgermene. Che cosa significa?
"Considero la morte un dovere e un imperativo biologico. Fin da ragazzo ho pensato che la vita deve finire e non ha alcuna dimensione metafisica. Chi crede nella finitezza assoluta della vita è sempre pronto a morire. Non c'è da perdonare né da chiedere perdono dei peccati o redimersi per garantirsi un buon soggiorno nell'aldilà. Se le nostre idee sono la nostra immortalità, con la nostra vita di pensiero, ogni giorno ci prepariamo a morire".

La sua definizione di vecchiaia?
"La vecchiaia del corpo è un massacro. Quella della mente no, se si è fortunati".

Quando ha cominciato a dirsi oggi sono diventato vecchio? Voglio dire, quando comincia l'età della nostra manutenzione?
"La manutenzione del corpo c'è sempre, o almeno dovrebbe esserci, ma mentre da giovane è un dettaglio della vita, da vecchio diventa un'attività prioritaria. La vecchiaia è anche questo: il corpo che non sta più dietro alla mente".

Quali sono i privilegi degli anziani, se ne esistono?
"Il potersi esprimere liberamente senza paura di rovinarsi la carriera, il matrimonio, la famiglia, i rapporti sociali profittevoli".

Tutto si perde, restano solo i ricordi?
"Sì. Dell'infanzia il sorriso di mia madre Erminia, il calore dell'amicizia degli animali. Degli anni della guerra le urla di dolore dei moribondi, gli sguardi increduli dei soldati di fronte alla follia della violenza. La prima donna che ho baciato, non rammento chi fosse, ma ricordo il suo profumo e la sensazione dello sbocciare di un sentimento. Il primo grande dolore, la morte di mio padre, Francesco. Avevo sei anni. Le persone scomparse delle quali continuo a evocare il nome, un gesto, le forme del viso o del corpo: mia madre, mia sorella Franca, i miei fratelli Pino, Lino e Antonio, Don Giovanni il prete-filosofo di campagna. Intorno ai diciotto anni ho vissuto sesso, amore e dolore. La mia vita è continuata così, in sovrapposizione permanente ".

Qual è il tempo più crudele?
"Quando si perde la lucidità, a qualsiasi età avvenga".

Ha finto spesso di essere felice?
"Più che felice, ho finto di essere ottimista, per dare speranza ai miei malati".

Pensa di essere riuscito a dare un significato al suo passaggio su questa terra?
"L'esistenza in generale non ha alcun senso. La terra è un granello in un universo indifferente, è destinata a scomparire per la seconda legge della termodinamica. Eppure ho cercato anch'io di dare un senso alla mia vita e l'ho trovato nel trasmettere un pensiero che spero possa contribuire al miglioramento concreto delle generazioni future che per circa due milioni di anni ancora vivranno su questo pianeta".

Quali sono i traguardi raggiunti di cui va orgoglioso?
"I progressi nel controllo del cancro prima di tutto e poi qualche battaglia vinta nell'avanzamento civile e sociale. Come la fecondazione assistita, per fare un esempio. Poi ho creato, con l'aiuto di molte persone straordinarie, delle istituzioni, che, spero, terranno vive molte delle mie idee. L'Associazione italiana per la ricerca contro il cancro, l'Istituto europeo di oncologia e la mia Fondazione per il progresso delle scienze".

Lei è stato spesso, diciamo così, un provocatore: dalla chirurgia sul seno all'eutanasia, dal nucleare agli Ogm, dalla posizione sull'ergastolo fino al riconoscimento parziale delle ragioni dell'Is. Mai un pentimento?
"Nessuno, quelli che lei cita come se fossero errori sono stati gli impegni scientifici e civili più importanti della mia vita. Non sono un provocatore a meno che per provocare si intenda indurre a una visione diversa delle cose che si distacca dai luoghi comuni e dalle posizioni più popolari. Pensi che non sopporto neppure lo scontro verbale dei talk show. Mi sento piuttosto un anticonformista e credo di averlo dimostrato pagandone le conseguenze, venendo preso di mira da critiche feroci. Vede, c'è un doppio fil rouge che lega tutte le mie lotte di pensiero. Il primo è il bisogno di infrangere i retaggi e le verità acquisite per sviluppare un sistema di idee e valori propri. Il secondo è la convinzione che tutti i fenomeni hanno una causa e solo agendo sulle cause si possono risolvere anche le situazioni più dolorose e tragiche. Questo è anche il senso delle mie parole sull'Is. Opporre violenza alla violenza non fa che alimentare una spirale di sangue, morte e paura. Esattamente ciò che l'Is vuole. Occorre invece capire le ragioni della follia jihadista e su queste intervenire dopo averle, non legittimate, ma decodificate".

Che cosa resterà di noi dopo la morte? Non saremo più nulla com'era prima di nascere?
"Noi non saremo più nulla ma rimarranno le nostre idee. Ce l'ha insegnato Socrate che infatti resta nel nostro pensiero anche dopo duemilaquattrocento anni".

Quali sono stati i suoi comandamenti privati?
"Credo nella libertà, nella giustizia, nella solidarietà e nella tolleranza".

E la sua fedeltà assoluta?
"Al principio dell'autodeterminazione della persona".

Siamo noi ad avere una vita o è la vita che ci possiede?
"Siamo parte di un disegno biologico codificato nel nostro Dna che ci impone di conservarci, riprodurci e poi morire ".

L'aldilà è dell'anima o del pensiero?
"Non c'è aldilà. Il pensiero può sopravvivere al corpo ma in modo immanente. Il nostro pensiero può continuare a vivere sulla terra attraverso chi ci pensa".

Ricordo una sua battuta: "Ti annuncio che sono moribondo". Perché? "In questi giorni non ho voglia di fare l'amore". In una classifica personale delle priorità in quale posizione mette il sesso?
"Altissima. Il sesso è

un'espressione vitale positiva e irrinunciabile. Oltre a essere, lo ripeto, un imperativo del Dna, che ci ordina di riprodurci".

È stato più Casanova o più Don Giovanni?
"Casanova. Ho sempre amato l'eterno femminino".