Jean e Anthonyi buongiorno.
I vostri interessanti post mi fanno pensare che un tempo (ancora oggi ?) la teologia e la predicazione pastorale riuscivano a convincere i credenti sull'esistenza dell'aldilà e la trilogia di inferno, paradiso, purgatorio, veniva affidata a immagini terrificanti o attrattive, per esempio quelle nel "Tableau des joyes du paradis", pubblicato a Lione nel 1609, nelle quali il gesuita tedesco Jeremias Drexel dipingeva tutte le gioie paradisiache per poter convincere anche il più renitente peccatore, il quale era informato dallo stesso dotto gesuita che già allora l'inferno era popolato da centomila milioni di dannati.
La recente riflessione escatologica ovviamente ha smitizzato queste ricostruzioni simboliche di indole parenetica; gli stessi catechismi si premurano di superare le concezioni spazio-temporali dell'oltre vita, trattandosi di un orizzonte di sua natura eterno e trascendente, e optano per la definizione di uno stato in cui l'essere umano e l'intera creazione si verranno a trovare.
Su quel «dopo» rimangono sospesi molteplici interrogativi che hanno esiti talora antitetici. Con realismo dobbiamo riconoscere che la generazione attuale alla morte e all'eventuale oltrevita non ci pensa, non la teme, non la spera, in pratica non se ne occupa.
La stessa predicazione ecclesiale o ne tace o, se è costretta a farlo durante i funerali, procede con un imbarazzo palpabile, reiterando formule tradizionali.
I vostri interessanti post mi fanno pensare che un tempo (ancora oggi ?) la teologia e la predicazione pastorale riuscivano a convincere i credenti sull'esistenza dell'aldilà e la trilogia di inferno, paradiso, purgatorio, veniva affidata a immagini terrificanti o attrattive, per esempio quelle nel "Tableau des joyes du paradis", pubblicato a Lione nel 1609, nelle quali il gesuita tedesco Jeremias Drexel dipingeva tutte le gioie paradisiache per poter convincere anche il più renitente peccatore, il quale era informato dallo stesso dotto gesuita che già allora l'inferno era popolato da centomila milioni di dannati.
La recente riflessione escatologica ovviamente ha smitizzato queste ricostruzioni simboliche di indole parenetica; gli stessi catechismi si premurano di superare le concezioni spazio-temporali dell'oltre vita, trattandosi di un orizzonte di sua natura eterno e trascendente, e optano per la definizione di uno stato in cui l'essere umano e l'intera creazione si verranno a trovare.
Su quel «dopo» rimangono sospesi molteplici interrogativi che hanno esiti talora antitetici. Con realismo dobbiamo riconoscere che la generazione attuale alla morte e all'eventuale oltrevita non ci pensa, non la teme, non la spera, in pratica non se ne occupa.
La stessa predicazione ecclesiale o ne tace o, se è costretta a farlo durante i funerali, procede con un imbarazzo palpabile, reiterando formule tradizionali.