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Messaggi - 0xdeadbeef

#661
Ma è violenza o senso dell'onore ciò di cui parla Pinkert? Io non credo che la risposta sia semplicissima (con questo
voglio "anche" dire che non escludo che Pinkert abbia una parte di ragione).
Ma voglio rispondere ancora riportando un episodio di vita reale. Personalmente, vivendo nella profonda campagna ed
avendo (ahimè...) un'età non verdissima, ho avuto modo di vedere un certo "mondo" popolato di persone che certamente
un giovane, e tanto meno se di città, ha mai visto.
I nostri nonni, insomma, in molti casi erano reduci di guerra (il mio della guerra di Libia e della Prima Guerra Mondiale
- che fanno sette anni...), e come tali erano molto, ma molto "strani"....
Erano persone che oggi diremmo violente. Erano sempre pronti, e nonostante l'età, a rubare e a farsi coinvolgere in liti
"serie". Soprattutto, non sopportavano di essere derisi o presi in giro per nessun motivo (le reazioni potevano davvero
avere gravi conseguenze). Ma erano anche di una bontà oggi impensabile; di un cuore generosissimo e di grande altruismo.
E allora, li potremmo sempre definire come dei violenti?
Beh, non ho mai sentito episodi di violenza familiare (mai contro la moglie, solo qualche salutare ceffone ai figli ove
occorresse), ma non solo: state certi che sarebbero intervenuti in difesa di chiunque fosse stato vittima di prepotenza...
Mi chiedo cosa sia e dove sia la violenza.
Rimasi impressionato tempo fa, quando un tizio intervistato sulle differenze fra Mosca e New York così rispose: "a Mosca
se stai male per strada c'è sempre chi si ferma ad aiutarti"... Mi chiedo, in sostanza, se l'indifferenza e la viltà che
sempre più caratterizzano la nostra società non siano la forma più odiosa di violenza.
Non concordo con Jacopus dove afferma: "la violenza è stata messa sotto controllo". No, la violenza invece dilaga; dilaga
nell'individualismo senza freni che porta a considerare solo se stessi e la propria meschinità elevata ad "amor proprio".
Mi sembra viceversa avere dei tratti di condivisibilità la chiosa di Lou: "che fosse stato di donna o di uomo la protezione
o il tentativo di protezione sarebbe stato non dirimente". Sì, giusto, ed in effetti penso che oggi sia più facile vedere
una donna avere il senso dell'onore che non un cosiddetto "uomo".
saluti
#662
Quando parlo di "virtù maschie" e di "rammollimento" sto parlando precisamente di quello che una volta era chiamato "senso
dell'onore". Hanno forse senso dell'onore quegli individui che picchiano e spesso uccidono le donne? No di certo.
Chi ti ha detto, Jacopus, che una volta la violenza era all'ordine del giorno (se ben interpreto, naturalmente)? Certo la donna,
come dire, se ne stava al suo posto, remissiva, ma non c'era nemmeno l'odore di questa vera e propria mattanza quotidiana
dell'oggi.
Torniamo a quei tempi "felici", allora? No di certo (del resto non sarebbe né possibile né auspicabile), ma è bene rendersi
conto di come certe dinamiche si siano andate sviluppando (di come, ovvero, certi individui vivano in maniera psicotica
quella "castrazione" di cui parlavo - che invece altri, e per fortuna ancora la maggioranza, riescono ad affrontare in modi
diversi).
Se, quindi, da un lato dobbiamo senz'altro riconoscere l'equità dell'emancipazione femminile, dall'altro non dobbiamo però
far finta che questa non abbia ingenerato nell'uomo un sentimento di, appunto, "castrazione" della mascolinità.
Se non siamo capaci di fare questo (e non è facilissimo, perchè molto più facile è parlare il linguaggio ipocrita del
"politicamente corretto"...), non siamo neppure in grado di "leggere" ciò che sta avvenendo al di là dei luoghi comuni.
Mi si chiede (Jacopus) di fare un esempio concreto di "virtù maschie". Ne farò uno nemmeno direttamente collegato al
rapporto uomo-donna.
Tempo fa, in Germania (non ricordo in quale città), la sera di Capodanno è avvenuta una serie di molestie ai danni delle
donne presenti in centro da parte di non ben identificati gruppi di "migranti" (sembra non si sia trattato di qualche
episodio isolato, vista l'ampia discussione che ne è seguita). Beh, io dico che al di là che si sia trattato di migranti o
di tedeschi (così spero di tutelarmi dal termine "neofascismo", già apparso su questi schermi...), qualcuno fra gli "uomini"
presenti sarebbe dovuto intervenire, non credete (ma anche a costo di prendere un sacco di legnate)?
Qualcuno mi dice cosa se ne fa una donna di "uomini" simili? Oppure pensiamo davvero che questi siano discorsi da "abitanti
dei quartieri di periferia"?
La mia opinione invece è che discorsi come questo siano molto interessanti, e sia dal punto di vista sociologico che da
quello antropologico.
saluti
#663
Onestamente mi riesce difficile pensare ad una molestia, quando non addirittura a uno stupro, laddove vedo
la presunta vittima ridere e scherzare col presunto "approfittatore" nel medesimo tempo, e poi in seguito al
presunto "fattaccio"...
Questo, mi sembra, mostrano innumerevoli video dei protagonisti del "me too" (del resto tutti o quasi celebrità).
Bah, ci penseranno i tribunali, i giudici e gli avvocati, ma per me la cosa ha un terribile sentore di artefatto
(ma direi per molte delle stesse donne, che hanno espresso sostanzialmente il medesimo parere che esprimo io -
fra le tante mi pare anche Catherine Deneuve).
Per motivi che adesso non sto a spiegare, conosco piuttosto bene certe situazioni in cui si vengono a trovare le
donne lavoratrici (come le attrici, certo anch'esse lo sono), e posso testimoniare innanzitutto come certi
fattacci siano frequentissimi, ed in secondo luogo come tantissime donne per difendere la loro dignità non
esitino un solo istante ad esporre denuncia (magari anche dopo essersi difese, diciamo, "con onore"...)
rimettendoci, in primo luogo, il posto di lavoro.
Quindi no, mi spiace ma non confondo indistintamente questi comportamenti e modi d'essere...
Quanto alla "femminilizzazione" della nostra società naturalmente concordo con l'amico CVC (che esprime al
riguardo acute considerazioni). A me pare proprio una evidenza questa perdita delle "virtù maschie" e in genere il
rammolimmento di quelli che una volta erano "uomini".
Chiaramente non parlo di un rammollimento sessuale, come mal ha interpretato l'amico Baylam. Parlo piuttosto di
una vera e propria "castrazione" che la nostra società opera su certe caratteristiche istintuali dell'uomo.
Credete forse che tutta questa esplosione di violenza maschile sulle donne non faccia parte di questo discorso?
Io credo invece che se si fa salire alle stelle la pressione all'interno di un contenitore poi questo scoppia...
Questa, chiaramente, non vuol essere minimamente una difesa della violenza maschile. Anzi, ritengo questi soggetti
che usano violenza sulle donne come molto poco uomini (in sostanza li ritengo dei rammolliti...).
Ma è per comprendere, perchè mettere la testa sotto la sabbia non giova a nessuno.
saluti
#664
A Paul ed Ipazia
Trovo però che una certa sacralità vi sia anche all'interno dell'"oikos", del "clan", perchè altrimenti anche qui
la figura di spicco sarebbe, invece del "patriarca", il maschio più forte.
Non ti sarà certo sfuggito, Paul, che sulle più antiche rappresentazioni di sovrani c'è sempre un richiamo al suo essere, del
sovrano, organizzatore e garanzia del "bene comune".
Ad esempio per la civiltà egizia, il reperto più antico raffigura il re "scorpione" (quindi nel tempo detto "predinastico")
con in mano una zappa intento a scavar canali di irrigazione. E più o meno le medesime dinamiche ritroviamo in Mesopotamia.
Quindi, certo, la forza per difendere la comunità dai nemici, ma anche la sapienza, la saggezza e la capacità.
Ben presto, naturalmente, quelle che sono riconosciute come doti straordinarie del sovrano vengono supposte come
trasmissibili ai figli, ed è qui che nasce la successione dinastica (sovente, quando il figlio non si dimostra all'altezza
del padre, semplicemente viene ucciso).
Quindi sì, senz'altro, cultura e "bios" si compenenetrano. E questo avviene nella "autorità" (ma ciò riguarda, come dicevo,
sia la "polis" che l'"oikos").
Dunque il "sacer" come non prerogativa esclusiva della "polis", ma come elemento costituente già nell'"oikos".
Quindi non sarei troppo d'accordo laddove affermi il (quando c'è) primato "culturale" della politica su di una economia il
cui primato sarebbe, secondo logica, improntato alla "natura" (bisognerebbe invero dire "quale" economia...).
Se, infatti, guardiamo un attimo all'attualità, vediamo che questo primato dell'economia è rivendicato su di un piano che
più culturale non potrebbe essere: quello della scienza. Ma è davvero così?
Beh, direi di no, visto che il primato dell'economia è il primato del più forte (questo, del resto, dice in ultima istanza
la legge del mercato, che è la legge del più forte) laddove, beninteso, della stuttura dell'antica "oikos" dovesse venir
ripresa la sola "parte" inerente la forza (cioè obliando la restante "parte" che fa del forte una "autorità").
Ciò che intendo dire è che, nell'economia moderna, a differenza di quella antica, non v'è "padre"...
un saluto ad entrambi
#665
A Paul
Beh, da quella frase di Nietzsche mi sembra evidente che per lui il linguaggio è uno strumento; e quindi, come
tutti gli strumenti, serve ad uno scopo (e lo scopo è appunto il "vivere" - "se lo diciamo è così, per vivere").
Potrei dire che, per me, il linguaggio è uno strumento per "muoversi" nel divenire, ma per "dire" qualcosa siamo
costretti a fingere che questo qualcosa non "divenga", ma "sia".
Come del resto potremmo, nell'eterno fluire del divenire, dire di qualcosa che "è"? Cioè come potrebbe darsi il
divenire se l'essente, anche per un solo attimo, non divenisse?
E' questa considerazione che mi spinge ad ipotizzare una "struttura assoluta" del linguaggio. cioè la necessità
che il linguaggio si esprima per assoluti (anche laddove esprimesse il relativo).
Che poi questa dimensione dell'assoluto "ex-sista" o meno beh, questo fa parte della "fede"...

A Phil
Perchè rifiutare l'evidenza del divenire? Beh, Severino la rifiuta proprio per tutelare la funzionalità (onto)
logica parmenidea, ma mica bisogna per forza seguirlo...
Io non vedo nessun adattamento maldestro da parte della necessità di parlare per assoluti alla realtà delle
cose. Diciamo che vedo piuttosto un adattamento maldestro dello stesso linguaggio, per sua stessa natura
costretto ad esprimersi per assoluti.
Non è, ovvero, la teoria della struttura assoluta del linguaggio ad avere un adattamento maldestro, ma lo
stesso linguaggio.
Un saluto ad etrambi
#666
Ciao Baylam
Mah, guarda, concordo con molte donne che hanno espresso tutta la loro perplessità su fatti che vengono denunciati
anni e anni dopo che "sarebbero" avvenuti...
Non solo, ma per le quali, tutto sommato, normali "avances" sono state scambiate per, e ritenute molestie.
Guarda, tanto per fare un esempio, al movimento chiamato "me too"; donne del mondo dello spettacolo che, a mio
parere in maniera molto sospetta, denunciano un produttore col quale durante e dopo il periodo delle supposte
molestie sembravano essere in perfetta sintonia...
A me sembra che questo genere di cose vada INNANZITUTTO a scapito delle VERE molestie che molte donne lavoratrici
sono costrette a subire nel luogo di lavoro (e chiunque abbia un minimo di conoscenza dell'argomento sa essere
fenomeno diffusissimo).
Non capisco a cosa ti riferisci quando parli di "nuovo movimento maschilista". Se è quello cui si riferisce
l'amico CVC nel post d'apertura a me non sembra proprio "maschilista" (estremista forse, ma maschilista neanche un
pò).
Secondo me ci vorrebbe proprio un "movimento maschilista", ma non certo nel modo, ottuso, con cui molti lo
intenderebbero. Un movimento culturale e di costume che tenda al recupero delle, chiamiamole, "virtù maschie",
perchè no? Non vedi come la nostra civiltà sia sempre più una accozzaglia di rammolliti?
saluti
#667
A Paul
Ma ciò che afferma Nietzsche non vuol dire che egli creda nella morale o nell'assoluto. Vuol invece dire che
anche Nietzsche crede (perlomeno questo è quel che mi par di capire...) nella struttura "assoluta" del
linguaggio.
E questo è esattamente quel che io sostengo: al di là se si creda o meno nell'assoluto si "deve" credere nella
struttura necessariamente assoluta del linguaggio.
Questo e solo questo volevo dire riportando la frase di Nietzsche (ma ciò era in risposta al tuo: "il mondo
diveniente non può dare verità senza cadere nella regola della contraddizione" - che io ho interpretato come:
nel divenire, ogni affermazione di verità è contraddittoria - cosa che l'affermazione di Nietzsche mi
sembrerebbe confermare).
Naturalmente, la logica ci dice che cercare la verità nel divenire è cosa impossibile, su questo siamo
pienamente d'accordo.

A Phil
Ma infatti sono esse ad adattarsi al mondo, non il contrario...
Vi si adattano così tanto che riusciamo persino a "dire" l'assoluto dove, a rigor di logica, non potremmo dirlo.
saluti
#668
A me pare che questo "Men Go Their Own Way" ricalchi il sessontottino: "l'utero è mio e lo gestisco io"...
Facili battute a parte, a me sembra che tutto questo sia indice del manicomio che è diventata la nostra civiltà.
Come sempre succede (come sempre succcede fra gli stupidi, ma essi ahimè sono la maggioranza...), si è andati
da un estremo all'altro.
Prima la donna era trattata e vista nel modo che sappiamo (e che non occorre ripetere). Adesso, forse per un
senso di colpa, si è "femminilizzata" tutta la società, e ben oltre certe disparità giuridiche nei casi di
separazione.
Siamo onesti, certe accuse che vengono venti o più anni dopo i presunti reati di molestie fanno ridere chi non
ne è coinvolto e piangere chi invece lo è; ma c'è, a livello culturale e di "costume" ben di più.
Perchè certe notizie sulla cosiddetta "teoria di gender", che vengono in genere dai paesi nordeuropei, sono soltanto
la punta di un iceberg: c'è cioè un vero e proprio ripudio di tutto ciò che è "maschile".
Le conseguenze di questa follia sono sotto gli occhi di tutti. Si va da quella inoffesiva comunità virtuale che si
diceva a comportamenti sempre più improntati alla violenza (una violenza che, spessissimo, le donne nemmeno riescono
a intuire e a concepire nei suoi pur evidenti stadi iniziali).
Tutto questo, e molto altro, è a mio parere dovuto proprio a quella "castrazione" del maschio che caratterizza la
società occidentale in genere.
Non che con questo io intenda riproporre un ritorno ad una società nella quale la donna aveva il solo ruolo di
madre e di domestica, ci mancherebbe. Però, dico semplicemente che un pò di "misura" non guasterebbe.
saluti
#669
Citazione di: bobmax il 21 Ottobre 2018, 17:37:19 PM
Caro 0xdeadbeef,
sono convinto che la volontà di potenza nasca dalla stessa l'interpretazione razionale della realtà.



Ciao Bobmax
Concordo in pieno su una volontà di potenza che non potrebbe aver evidentemente luogo senza credere nel divenire.
Come, ritengo, ben dice Severino a proposito della "cosa" (l'oggetto a totale disposizione della potenza del soggetto),
è proprio il divenire la radice di quella che chiami "oggettività in sè" (e che presumo corrispondente alla "cosa" di
Severino).
Naturalmente l'oggettività in sè è soltanto un'illusione (cosa che invece non credo per il divenire); e questo, dicevo,
è stato dimostrato da Kant con la teoria del "fenomeno".
Prima di Kant l'oggetto era, come dire, immobile nella sua fissità. Il divenire già era creduto da millenni, eppure
l'oggetto non era ancora la "cosa" a disposizione del soggetto.
Dopo Kant, e soprattutto con l'Idealismo, oggetto e soggetto subiscono una vera e propria "sintesi", appunto dando
origine al "solipsismo".
Non meravigli dunque che nel clima post-idealistico emerga prepotente la figura di Nietzsche, con la pretesa (come
nello Zarathustra) di essere, l'uomo, il "creatore".
Del resto il solipsismo,a parer mio, dura tutt'ora (e anzi sembra godere di una eccellente salute...)
saluti
#670
Citazione di: paul11 il 21 Ottobre 2018, 00:54:36 AM

Vale a dire si può  negare l'immateriale dove sta il bene e la giustizia, e credere nel divenire, ma sapendo  ogni verità in essa cercata è una negazione del principio di non contraddizione della logica predicativa e quindi non-vera.
Concludendo, il mondo sensibile e diveniente non può dare verità senza cadere nella regola della contraddizione



Ciao Paul
La stessa logica, ritengo ineccepibile, che porta Nietzsche ad affermare: "nell'eterno fluire delle cose, di nulla
potremmo dire che è (se lo diciamo è, così, per vivere)".
Dunque l''assoluto affermato anche da chi non ne ha consapevolezza (seppur con uno scopo utilitaristico).
Quindi l'"ab-soluto" non come "possiiblità" (di coloro che vi credono), ma come vera e propria necessità.
saluti
#671
A Jacopus
Io credo che sia proprio sulle basi che tu descrivi che nella modernità si sia giunti a confondere i condizionamenti
con le determinazioni. Che sia giunti, ovvero, non solo a "comprendere" ma anche a "giustificare".
E questo è, precisamente, il motivo per cui molto spesso i processi penali si trasformano in qualcosa di grottesco
(in una specie di ricerca scientifica delle cause per cui l'imputato ha agito in un certo modo).
Inutile dire che, spessissimo, questa specie di "eziologia" processuale arriva a stabilire la non-punibilità
anche davanti a fatti accertati ben al di là di ogni ragionevole dubbio. E questo succede perchè si è smarrito il
concetto di "colpa" (e lo si è smarrito perchè questo concetto non è un concetto scientifico, laddove la nostra civiltà
ha come unico suo faro la scienza e ciò che ne concerne).
A mio parere, questa è l'ennesima dimostrazione di come la nostra civiltà sia essenzialmente una civiltà scientista;
una civiltà, ovvero, nella quale vige incontrastato il più estremo dei positivismi tardo ottocenteschi.
saluti
#672
Per la mia "pratica discorsiva" è stato Kant.
#673
A Bobmax
Embè direi proprio di sì: il "parricidio" è un momento fondamentale nell'intera storia del pensiero filosofico
occidentale...
Con esso comincia la metafisica, come scissione dell'eterno dal diveniente (e con essa comincia, secondo molti
autorevoli pensatori - per me Heidegger su tutti - la "tecnica"); e, sì, sono sostanzialmente d'accordo con te
sul divenire come "evidenza assoluta", con la conseguenza (per me tale è) dell'emergere di una "oggettività in
sè".
In altre parole, in quel momento comincia quel cosiddetto "mondo degli oggetti" che, però, sotto certi aspetti
avrà termine con Kant (quindi dissento da te laddove affermi - se ben ricordo - che oggi siamo ancora immersi
nella medesima oggettività). Ma su quest'ultimo punto dovremmo fare importanti distinguo...
Trovo il tuo discorso molto, come dire, "severiniano".
Ammetterai che è ben difficile mettere in discussione il divenire come "suprema evidenza". Lo si può fare, ma
a patto di finire in certi "contorcimenti" che sono molto, molto difficili da "digerire" (come ad es. l'eternità
di ogni istante che dice Severino).
Del resto, ritengo, non è neppure vero che il nichilismo sia il necessario sbocco del pensiero del divenire (come
sostiene Severino). Perchè mai affermare la necessità che, nel divenire, l'essente sorga e torni nel nulla?
saluti
#674
Citazione di: sgiombo il 20 Ottobre 2018, 16:04:50 PM
Ma anche nel mondo (per me puramente mentale, "di pensiero", delle idee; ma concordo che ci sarebbe molto da discuterne) delle idee trovo logicamente inconsistente, assurda la teoria socratica (poi mutatis mutandis cristiana) della "superiorità" del bene: per me sono comprensibili la "parità" fra bene e male (manicheismo), la natura ambigua buona-e-parimenti-cattiva dell' arché (o del Dio: Bobmax come da me interpretato-corretto-probabilmente indebitamente distorto) e l' esclusività "assoluta  totale" del bene, ovvero (sono esattamente le stesse "cose" ideali dette con parole diverse dal medesimo significato), del male o dell' indifferente (neutro o eticamente irrilevante: nichilismo); non così una "prevalenza relativa o parziale" del bene (creatore - distruttore del male, nella versione "teistica"); male che comunque, anche in versione "laica", mi sembrerebbe assumere inevitabilmente della caratteristiche di "mera, effimera apparenza" relativamente all' assolutezza, eternità, "infinita maggiore realtà" del bene (o viceversa).


Ah beh, la superiorità del bene sul male come scelta etica, è evidente...
Nel celebre dialogo platonico fra Socrate e il sofista Trasimaco, a quest'ultimo che afferma la giustizia essere
l'utile del più forte Socrate non dice : "sbagli". Ma dice la sua idea di giustizia ("la giustizia è l'utile del
più debole"). Socrate, cioè, sceglie eticamente una "parte", ma senza permettersi di affermare l'errore della
parte avversa.
Del resto, trovo che affermare la superiorità del bene sul male, sia pur nella dimensione dell'iperuranio,
non come una "libera" scelta morale, ma come effettiva "realtà" significherebbe trasporre tale superiorità anche
nel "mondo" (che è quello che in molti fanno, ma con risultati logicamente contradditori - come del resto ben rilevi anche tu).
Se Socrate avesse ragionato in tal modo avrebbe risposto a Trasimaco: "sbagli, perchè la giustizia non è l'utile
del più forte ma quello del più debole".
saluti
#675
Citazione di: InVerno il 20 Ottobre 2018, 13:17:36 PM

Io dico semplicemente, quando uno decide se fare o meno un azione prende in considerazione una serie di variabili e poi decide. Penso che il principio stoico si attenga al momento prima dell'atto in se, quindi al di la se poi sia presente una conseguenza punitiva, è nella valutazione dell'atto che il malvagio ignora le inevitabili ricadute negative del proprio agire. Non è molto diverso da tanti altri principi "universali" che intendono la circolarità dell'azione, come per esempio il karma, e che pongono il problema dell'ego come illusione. Se una persona tiene conto solamente del proprio godimento, e non considera le ricadute che l'atto ha sul contesto, molto probabilmente fa una valutazione errata, "ignorante", perchè ignora tutto ciò che non è se stesso. Il principio stoico non fa altro che ribadire una fondamentale verità della nostra "natura" ovvero che siamo individui sociali, immersi in un contesto, e che una valutazione solamente individualistica porta all'errore, che chiamiamo "male", che è un principio "super partes", proprio perchè prova a tenere in considerazione un valore superiore al godimento personale. In definitiva, il bene e il male ci sono solo in relazione all'altro, se fossimo soli sul pianeta, non avrebbero senso.



Beh, non credo che quei criminali che, giorni fa, hanno assalito quel medico e la moglie a Lanciano fossero poi
tanto preoccupati dalle ricadute sociali della loro azione...
Ora, dargli degli "ignoranti" perchè non si preoccupavano di quelle (ma del loro tornaconto) mi sembrerebbe un
tantino eccessivo proprio da un punto di vista antropologico...
Certo, Socrate gli avrebbe dato degli "ignoranti", ma glielo avrebbe detto non certo sulla base delle ricadute
sociali della loro azione, ma sulla base, si diceva, di una "preferibilità del bene in ab-solutum", cioè, detta
terra-terra, di una preferibilità che trova il proprio fondamento non su questo mondo...
Nella mia tesi quel che sostengo non è che una persona che opera il male lo fa: "perchè ignora tutto ciò che non
è se stesso"; ma perchè "tutto ciò che conta" è, per lui, se stesso.
E' chiaro che il bene e il male ci sono solo in relazione all'"altro", ed infatti per colui che opera il male
l'"altro" non conta, se non come oggetto da sfruttare per i propri scopi.
saluti