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Messaggi - Carlo Pierini

#676
PAUL11
Sono abbastanza d'accordo sul tuo pensiero in generale, ma sbagli sulla capacità di trovare la verità nella scienza moderna


CARLO
Già ho risposto ieri alla medesima obiezione di Davintro
<<Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?>>


PAUL11
...la scienza moderna infatti riconosce la sua fallibilità.

CARLO
Come ho già detto, "fallibilità" non significa che ogni verità scientifica sia fallibile (fallibilismo).

PAUL11
Altro esempio: l'alchimia.
Il passaggio alla chimica-fisica moderna fu da una parte il metodo sperimentale galileano e dall'altra la natura non fu più ritenuta un tabù, si agisce sui diagrammi di causa effetto, poi più tardi arriverà la concezione organicistica e non più meccanicistica, anche se continuano a convivere per convenzione,
Questo passaggio dall'alchimia alla sistematizzazione moderna guadagna nella manipolabilità sulla materia, ma perde l'essenza che era insita nell'alchimia della materia. La materia non è un semplice conglomerato di atomi e molecole con livelli energetici. C'è qualche altra energia che a tutt'oggi non è spiegabile ad esempio nelle teorie dell'abiogenesi, su come è nata la vita. Ma il medico riesce comunque a dare sollievo al paziente, anche se non conosce il principio della vita, perchè agisce sulla materialità, ma non sa se a sua volta esiste un meccanismo ancora più profondo, originario. (...)
Avendo perso i principi ontologici che riconducevano alle essenze, e l'alchimia era ancora in quella cultura antica, l'uomo guadagna in potenza materialistica, ma perde nell'essenza esistenziale e dell'essere.


CARLO
Sono totalmente d'accordo. L'alchimia vedeva la materia come una manifestazione dello spirito, come una realtà affine alla realtà spirituale e nella quale lo spirito stesso poteva rispecchiarsi analogicamente, nello stesso modo in cui, in Oriente, il taoismo considera lo Yin-Materia e lo Yang-Spirito come le due polarità fenomeniche del Principio-Tao trascendente. Infatti, per descrivere la mèta della loro ricerca (la Pietra Filosofale) gli alchimisti adottavano delle metafore che abbracciavano entrambe le realtà ultime, come, appunto, la pietra filosofale, lo hieròs gámos (matrimonio sacro), il salvator spiritus et naturae, l'homunculus, lo spiritus mercurialis, ecc..
Ma tutto ciò non vuol dire che la materia non sia ANCHE quel conglomerato di atomi e molecole descritto dalla scienza. E io sono sicuro che un giorno la visione alchemica e quella scientifica si fonderanno in una forma superiore di conoscenza.

E' interessante quanto scrive Jung a questo proposito:

<<La mancanza di risultati positivi ha gettato sull'alchimia un discredito che si è fatto sempre più ampio. Ma rimane ancora una serie di testimonianze che fanno chiaramente vedere come questi brancolamenti senza speranza dal punto di vista chimico assumano tutt'altro aspetto, se considerati sotto il profilo psichico. Come ho mostrato in "Psicologia e Alchimia (1944), durante il procedimento chimico si manifestavano quelle proiezioni psichiche che portavano alla luce i contenuti inconsci, spesso perfino in forma visionaria. Come ha riconosciuto la moderna psicologia clinica, in certi casi tali proiezioni possono rivelarsi della massima efficacia terapeutica. Non per nulla gli antichi "Artisti" identificavano la loro "nigredo" con la melanconia e celebravano l'Opus come un rimedio sovrano per tutte le "afflizioni dell'animo": l'esperienza aveva loro mostrato - e non v'era altro da aspettarsi - che se la borsa, invece di colmarsi d'oro, si svuotava ancora di più, la loro anima traeva profitto da quell'occupazione, supponendo, beninteso, che essi fossero riusciti a non soccombere di fronte a certi non trascurabili pericoli psichici.
Le proiezioni degli alchimisti non sono altro che contenuti inconsci che appaiono nella materia, quei medesimi contenuti che la psicoterapia moderna rende consci con il metodo dell'immaginazione attiva prima che essi si tramutino in proiezioni>>. [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.329-330]

<<Se il "Lapis philosophorum" fosse stato solo oro, gli alchimisti sarebbero stati dei ricconi; se fosse stato la panacea, avrebbero avuto un rimedio contro ogni malattia; se fosse stato l'elisir di lunga vita, sarebbero vissuti mille anni e forse più. Ma tutto questo non avrebbe reso necessario parlare del Lapis in termini religiosi. Se infatti quest'ultimo viene celebrato come il secondo avvento del Messia, allora bisogna supporre che gli alchimisti intendessero proprio qualcosa di questo genere. Essi concepivano l'Arte come un carisma, come un dono dello Spirito Santo o della Sapientia Dei; si trattava, comunque, pur sempre di opera umana, e il misterioso figlio di Dio veniva prodotto artificialmente nella storta, sebbene il fattore decisivo fosse proprio un miracolo divino>>.  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pp.327-8]

PAUL11
La cosa in sè non è la somma delle proprietà e parti. Jung non avrebbe trovato l'archetipo nei suoi pazienti  se avesse seguito questa strada semplicistica.

CARLO
Io, invece, direi il contrario: che se Jung avesse dato retta all'idea kantiana di inconoscibilità del Trascendente, non avrebbe mai aperto la strada che ha portato alla conoscenza di quelle "cose in sé" che sono gli archetipi.

PAUL11

Questa cultura nega del tutto gli oggetti ontologici a cui tu credi, come Dio, spirito, ecc, in quanto nello schema sperimentale scientifico moderno sono indimostrabili "fisicamente e materialmente".

CARLO
Certo, la scienza si occupa SOLO di entità materiali-misurabili, quindi non può dire assolutamente nulla sulle entità metafisiche. Ma ciò non significa che esse siano inaccessibili alla conoscenza.

PAUL11
Per questo io non ritengo la scienza cultura, perché ha autolimitato il suo ambito e sbaglia quando si ritiene cultura e fa autolimitare altre culture come la filosofia.

CARLO
Infatti, le scienze della natura costituiscono SOLO UNA delle due polarità della cultura; l'ALTRA polarità è quella delle scienze dello spirito, sebbene quest'ultime non siano ancora pervenute alla determinazione di criteri di verità oggettivi comparabili a quelli che hanno trasformato l'antica Filosofia della Natura in una scienza affidabile ed estremamente feconda.
Insomma, le scienze della Natura non hanno alcuna colpa se le discipline dello spirito (tra cui la filosofia) sono ferme ad uno stadio ancora primitivo e non si sono mai evolute, come invece si è evoluta la scienza (nel dominio che le è proprio).
#677
Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2018, 11:32:24 AM
comunque se per te l'inglese non è un problema, ti segnalo un link dove Jung viene letto in chiave Kantiana http://www.friesian.com/jung.htm inoltre nello stesso sito l'autore espone il suo pensiero, parlando della sua affinità a diversi pensatori, tra cui Platone e Kant (e tra questi due trova diverse somiglianze e Kant viene interpretato anche come una sorta di platonico) http://www.friesian.com/ross/platonis.htm


CARLO
Purtroppo l'inglese non è il mio forte. Tuttavia, la concordanza tra il pensiero di Jung e quello di Kant è solo apparente. Per esempio, mentre Kant sostiene l'inconoscibilità di Dio, scrive Jung:

"L'ipotesi dell'esistenza di un Dio al di là di ogni esperienza umana, mi lascia indifferente; né io agisco su di lui, né lui su di me. Se invece so che Egli è un possente impulso nella mia anima, me ne devo interessare".    [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.59]

"Nel definire Dio o il Tao come un impulso dell'anima o uno stato psichico, ci si limita a compiere una asserzione su ciò che è conoscibile, e non invece su quanto è inconoscibile, intorno al quale non potremmo affermare assolutamente nulla". [JUNG: Studi sull'Alchimia - pg.63]

Si può rilevare una certa somiglianza tra i due punti di vista in scritti come questi:


"So ben poco che cosa sia lo spirito in sé e per sé, ma so altrettanto poco che cosa siano gli istinti in sé e per sé. L'uno mi riesce altrettanto misterioso quanto gli altri, ma non posso neanche spiegare l'una cosa come un malinteso dell'altra.  [...] Lo spirito è l'altro polo del mondo". [JUNG: Contrasto tra Freud e Jung - pg. 215]

"L'Io, che in apparenza è ciò che immaginiamo di conoscere meglio di ogni altra cosa, è in realtà un fatto assai complesso che racchiude in sé oscurità insondabili".  [JUNG: Mysterium coniunctionis - pg.105]

"L'esistenza psichica dell'inconscio collettivo si riconosce soltanto dalla presenza di contenuti capaci di divenire coscienti; possiamo perciò parlare di un inconscio solo in quanto siamo in grado di indicarne i contenuti quando questi si manifestano alla coscienza (sogni, visioni, intuizioni, ispirazioni, ecc.) sotto forma di immagini tipiche universalmente diffuse nella storia della cultura: gli archetipi".   [JUNG: Archetipi e inconscio collettivo - pg. 3]

...Ma queste non sono affermazioni sull'inconoscibilità dell'Io o dell'inconscio, bensì un riferimento alle nostre conoscenze attuali.


Infine, sembrano coincidere delle idee come queste:

"Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me".  [KANT: Critica della ragion pratica]

"Paracelso considera la psiche oscura [l'inconscio] come un cielo notturno disseminato di stelle, un cielo in cui i pianeti e le costellazioni sono rappresentati dagli archetipi in tutta la loro luminosità e numinosità. Il cielo stellato è infatti il libro aperto della proiezione cosmica, il riflesso dei mitologemi, degli archetipi appunto".   [JUNG: La dinamica dell'Inconscio - pg.213]

"La morale è una funzione dell'anima umana, ed è vecchia quanto l'umanità. Essa non è imposta dal di fuori, ma vive a priori in noi stessi: non la legge ma l'essenza morale, senza la quale la vita comune della società umana sarebbe impossibile".   [JUNG: Psicologia dell'inconscio - pg.65]

...Ma dalle parole che ho evidenziato in grassetto si può cogliere la differenza sostanziale.
#678
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 18:42:38 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 28 Luglio 2018, 13:42:07 PM
Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?  infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile.


PAUL
ciao Carlo,
dire fallibilismo e dire conoscenza fallibile in pratica sono la stessa cosa, in quanto l'agente conoscitivo, il soggetto è limitato.



CARLO
Non è così.
1 - La conoscenza è fallibile perché procede anche per prove ed errori; ma la storia ci mostra che gli errori possono essere corretti e che è possibile giungere a verità indubitabili.
2 - "Fallibilismo", invece, significa che TUTTE le conoscenze possibili sono fallibili e che dunque non esistono verità indubitabili. Il che è palesemente falso, perché la scienza è pervenuta a decine di migliaia di verità ormai pienamente accertate.

PAUL11
Perchè funziona la scienza? Perchè non è necessario conoscere la cosa in sè e per sè, ma le sue descrizioni e proprietà, le sue condizioni.
.
CARLO
...Ma la "cosa in sé" non è altro che la somma di TUTTE le proprietà-qualità e di TUTTE le verità che riguardano la cosa. Quindi sarebbe inconoscibile SOLO SE tale somma fosse infinita.  Ma non ci sono motivi per pensare che una cosa finita abbia un numero infinito di proprietà/verità.  Quindi è del tutto arbitrario postularne l'inconoscibilità.
E comunque, se con le limitate conoscenze che la scienza ha accumulato in soli tre secoli, essa ha rivoluzionato il pensiero e ha trasformato radicalmente l'attività dell'uomo, evidentemente il problema della "cosa in sé" è una questione talmente marginale da non rappresentare alcun ostacolo per il progresso del sapere.

PAUL11
Carlo Pierini, saresti davvero capace di descriverti come verità assoluta, come una cosa in sé?

CARLO
Oggi no, ma non si può escludere che tra diecimila (o centomila) anni di progresso delle scienze (fisica, biologia, psicologia, ecc.) sia possibile farlo.  COSA lo impedisce?
Per cui, sarebbe ora di finirla di considerare Kant e Hume dei geni dell'epistemologia e di cominciare a comprendere meglio le ragioni del successo strepitoso della scienza e di trasferire (mutatis mutandis) i suoi criteri anche alle scienze cosiddette dello spirito (filosofia, psicologia, teologia, ecc.) che sono assolutamente prive di criteri di verità e per le quali vige ancora la logica ancestrale e rudimentale dell'"ipse dixit".
.
#679
APEIRON
Rigurado alla mia congettura ( e sono felice di chiamarla tale, dopo spiego il motivo).
1- non ho mai detto una cosa del genere. Come ho detto (1) come Kant accetto le vertità universali del mondo fenomenico (ad esempio che la Terra non è piatta oppure che la relatività di Einstein spiega meglio le cose della teoria Newtoniana) (2) tali verità, però, si basano sullo studio dell'oggetto così come è per il soggetto (ovvero per la mente che conosce) e dunque bisogna tener conto anche del soggetto (ripeto, la differenza tra questa congettura e il relativismo è che, per il relativismo, dovremmo rinunciare a parlare di verità condivise cosa che, personalmente, ritengo molto erronea) (3) visto che c'è per così dire il contributo del soggetto, non vediamo la "realtà-così-come-è", ovvero in modo indipendente da come noi stessi rappresentiamo il mondo fenomenico (4) a differenza di Kant, però, non ritengo che la "realtà-così-come-è" sia completamente inaccessibile a noi e anzi ritengo che lo studio dei fenomeni ci fornisce una sorta di "approssimazione" della "realtà-così-come-è" (conoscibile da una mente inerrante, ovvero, che "vede le cose per quelle che sono". Ovviamente, l'esistenza di tale mente è una congettura). Il fondamento della vertità è proprio dato dalla "realtà-così-come-è" (cosa che è visibile da quella ipotetica mente).

CARLO
E' proprio questo l'errore fondamentale della concezione kantiana-humiana e, quindi, dell'epistemologia che ad essa si ispira. E' profondamente ambiguo sostenere che <<il fondamento della verità è dato dalla "realtà-così-come-è>>, perché, di fatto, nessuna delle verità con cui la Scienza ha rivoluzionato il pensiero e la vita materiale dell'uomo coincide rigorosamente con la "realtà-così-com'è", ma esse fanno parte di un processo progressivo che TENDE A descrivere la "realtà-così-com'è" attraverso l'acquisizione di un numero via via  crescente di tante piccole verità indubitabili riguardanti sia i fenomeni (la Terra è rotonda, i pianeti girano intorno al Sole, ecc.), sia le leggi che governano le relazioni tra i fenomeni (legge di gravità, leggi della dinamica, dell'elettricità, della termodinamica, ecc.).
Infatti, la verità non si definisce come "la realtà così com'è" (verità = oggetto assoluto) ma come la concordanza rigorosa tra i fenomeni oggettivi osservati e la descrizione soggettiva di essi, cioè, come sosteneva Spinoza: <<ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>. Ed è con QUESTO concetto di verità che si è costruita la forma di conoscenza più feconda e rivoluzionaria che l'uomo abbia mai concepito (è per questo che nessuno risponde alle domande che ho formulato nel post di apertura).
Pertanto, è assolutamente infondata l'idea secondo cui la conoscenza della "realtà-così-com'è" presupporrebbe una somma infinita di verità indubitabili e, quindi, irrealizzabile. Una volta accertato che *esistono* verità indubitabili (riguardanti i fenomeni), nessuno ha motivi validi per sostenere che la "realtà-così-com'è" sia accessibile solo parzialmente. Perché "solo parzialmente"? Perché la "cosa in sé" dovrebbe essere inconoscibile? Per quale ragione dovrebbe essere impossibile risalire dalla "cosa fenomenica" alla "cosa in sé", se Keplero osservando dei moti geocentrici soggettivi (fenomenici) è riuscito a risalire ai moti eliocentrici oggettivi (osservabili da una mente "inerrante" posta idealmente sul Sole)? ...Solo perché "ipse (Kant) dixit"?
#680
Citazione di: paul11 il 28 Luglio 2018, 01:50:38 AM
Ciao Carlo,
sicuramente c'è una realtà "minima" che prescinde dalla soggettività umana che è un limite.
Diversamente non si capirebbe come mai se sbatto contro un muro mi faccio male e domani è ancora là e poi ancora.
Potrei rispondere che tutto nasce dall'aporia del fondamento in filosofia.
Tagliando corto, ad un certo punto la filosofia ha compiuto delle scelte verso la pratica,
Significò abbandonare l'ontologia (l'essere), accettare il divenire(l'esperienza) e inserirvi i criteri di verità logica.
Il salto, come si sa è venuto da Galileo e direi Cartesio inizialmente.
I filosofi in realtà sono schierati su due fronti, banalizzo, dalla modernità ad oggi.
Kant è un precursore in quanto credette di scientificizzare la filosofia,come ben detto da davintro e aperion.
In realtà la scienza è figlia indiretta della filosofia, e diretta della Tecnica.
Proprio perché come hai descritto i processi induttivi e deduttivi nascono dalla logica predicativa(Aristotele) e proposizionale(stoici).
Kant, come antesignano prende da Hume l'indimostrabilità della realtà, descrivendo il procedimento cognitvo umano come proprio limite gnoseologico.Hume è a suo modo un precursore della filosofia della mente e quindi anche dell'epistemologia, perché già qui è intrinseca la fallibilità.
La tecnica, intesa come forma filosofica che sposa un modo esperienziale di approcciare nelle prassi, dà gli streumneti gnoseologici alla scienza, quest'ultima esplode come rivoluzione come capacità di poter categorizzare e sistematizzare i procedimenti esperienziali in teorie costruite proprio come le antiche geometrie e matematiche, in postulati, enunciati.
Un altro passaggio intanto era avvenuto, il soggetto è più importante dell'oggetto e muta il sistema relazionale epistemico.
Significa che l'uomo, nella filosofia antica era assoggettato all'ontologia di eterni, il procedimento gnoseologico era di tipo deduttivo e il pensiero si orientava su problematiche di armonizzazione fra natura, uomo, divino.
La tecnica sposando la prassi esperienziale, pone l'uomo al posto del divino e ritiene di modellare la natura.quindi il soggetto con la gnoseologia diventa propenderante fino ad annichilire l'ontologia..
Eì chiaro ,come ha ben detto davintro, che la morale antica poggiava sulle armonizzazioni fra divino, natura e uomo, il bene e il male, per così dire, era essere dentro o fuori le armonizzazioni dei tre soggetti ontologici.

Oggi assistiamo ad una crisi "scientifca" epistemologica, non solo filosofica.
L'abnorme soggettivismo e costruttivismo, ha debordato nel processo delle assiomatizzazioni.
Il passaggio del processo del elettromagnetismo di Maxwell, ha consentito la teoria delal relatività in quanto la velocità della luce venne ritenuta costante.Hilbert nel 1900 riformula lamatematica con 12 assiomi(se non ricordo male), la geometria euclidea viene riformulata mutando il postulato sulle parallele e si costruisce la geomtria delle ellisse e iprbolica.
Lì, nella grande fase di scoperte e invenzioni che hanno mutato lambiente umano, si è capito che bastava riformulare qualche assioma per mutare il modello di rappresentazione scientifico, ma poneva limiti ontologici e gnoseologici, L'epistemologo Feyarabend che prefersico a Poppper, disse una cosa reale: le teorie in realtà non vengono superate da nuove, ma semplicemnte si utilizzano quelle che meglio si confanno ad un ambiente ed ad uno scopo.
Significa che convivono le meccaniche di Galielo, Newton, Einstein e la quantistica, Dipende solo cosa vogliamo studiare. Einstein va bene fuori dall'atmosfera terrestre, ci bastano le convenzioni di Galileo e Newton dentro l'atmosfera terrestre.
Le teorie del multiverso, sono formulazioni matematiche
Le strumentazioni scientifiche sono solo amplificazione die sensi umani, intese come estensione delle frequenze elettromagnetiche, che noi umani abbiamo limitate dentro un range.
Ma tutto è sempre funzionale al limite gnoseologico di Hume

Quindi dire, che la tecnolgia non è nata con la scienza moderna, quando studiamo i lpassaggio dall'età del ferro a quella del bronzo, la scoperta ad esempio della polvere da sparo dei cinesi, le architetture con volte a tutto sesto che tengono in piedi ancora oggi colossali costruzioni senza bisogo dell 0ingegnere contemporaneo che fa i collaudi, sono segni che la scienza in fondo c'è sempre stata.
Fu l'esaltazione del soggetto umano nelle prassi sposando la Tecnica e divenendo consapevole del potere di modificare con l'artificio la natura spostando gli scopi del senso esistenziale nell'utile e funzionale al proprio ego che si sviluppò la scienza. La scienza in sé e per sé non fa cultura, semmai ci dà potere.questo potere fiducioso alla tecnica, questa sì che è cultura è la forma divinatoria decadente di affidamento ad un nuovo soggetto del nostro destino.
Inevitabilmente, per quanto ho scritto, sono mutate le etiche e le morali,così come i pensieri "deboli" e relativi sono in accordo al processo del modellare e mutare gli assiomi che tengono in piedi i fondamenti contemporanei del pensiero.

E' interessante quando dici che in fondo si tratterebbe di fare lo stesso salto alla filosofia per riguadagnare la differenza di "potenza" con la scienza.
Quì vi sono diverse modalità di approccio.
C'è chi ritenendo che il problema del potere della tecnica, nacque dall'aporia del fondamento, rimane di fatto in pratica in attesa che si compia il tragitto storico.
Altri ,che sto leggendo, cercando di disattivare i dispositivi culturali che reggono la decadenza, come il termine potenza, si tratterebbe di depotenziare la scienza, di depotenziare l'economia e di non ragionare più per scopi, ma di vivere "alla giornata".
Nel mondo attuale noi siamo trascinati via dal sistema tecnico , in cui le scienze e le pratiche politiche ed economiche, ormai corrono per conto loro , perché hanno acquisito un' ontologia di fatto data dalle prassi e noi ansiosamente dobbiamo reggere i tempi continui dei mutamenti .Questo è folle nichilismo e annichilimento umano. Ed è qui quindi il problema filosofico.

CARLO
Hai toccato talmente tanti argomenti (senza approfondirne nessuno) che per una risposta esaustiva mi servirebbero un paio di mesi di tempo (che non ho) e qualche centinaio di pagine di precisazioni.
Pertanto, affinché sia chiaro, perlomeno, che non sto difendendo la tesi dell'infallibilità della scienza, mi limito a porti una sola domanda: che differenza c'è, secondo te, tra "fallibilità della conoscenza" e "fallibilismo"?
#681
DAVINTRO
Un sapere fondato sull'esperienza non può mai raggiungere verità indubitabili al 100%, perché dovrebbe dare per scontata l'infallibilità dei strumenti percettivi, sia naturali (i 5 sensi corporei)

CARLO
Secondo te, non è vero al 100% che i pianeti del Sistema Solare girano intorno al Sole e non intorno alla Terra?
Non è vero al 100% che la Terra non è piatta, ma è uno sferoide?
Non è vero al 100% che il nostro sangue non è immobile (come si credeva fino al XVII° secolo) ma che circola nelle vene pompato dal cuore?
Non è vero al 100% che il fuoco non è una sostanza (chiamata flogisto, come si credeva fino al sec. XVIII), ma si tratta di una reazione chimica?
....
Vuoi che ti compili una lista di altre 2 o 3 mila verità inconfutabili, oppure ti bastano queste?
#682
Citazione di: Lou il 27 Luglio 2018, 18:30:39 PM
LOU
Che il ruolo della filosofia sia quello di scienza delle scienze ponendosi come la scienza atta a dare unità alla frammentazione delle scienze empiriche è una grande sfida di questi tempi, direi che l'ultimo tentativo che mi viene in mente sia stato quello sviluppato da Husserl, ma a mio modesto parere, direi che viviamo un'epoca in cui sono le tecnoscienze i principali soggetti a cui avrebbe da rivolgersi la critica filosofica, soprattutto nel loro afflato e nelle derive tecnocratiche a cui si assiste, con le sfide, per certi versi inedite che pongono, sia da un punto di vista etico che teoretico. Derive di cui la crisi della filosofia trovo sia uno tra gli ingredienti che ha contribuito a crearle. Il postmodernismo, fortissimo nella sua pars destruens non ha avuto lo stesso slancio nella pars construens, ma,  forse, le sue corde suonano l'atto decostruente come un momento di melodie creative.
Detto ciò e nonostante la narrazione scientifica in senso moderno risulti essere la narrazione più (con)vincente, ciò non la esime da critica e, soprattutto, figlia, abbastanza edipica a dire il vero,  o sorella che sia, non esaurisce le interrogazioni che, volenti o nolenti, l'umano continua a porsi.


CARLO
Sono pienamente d'accordo. 
A questo proposito ti propongo un brano di Cassirer molto significativo:

<<Che si fosse potuti arrivare a questa catastrofe, a questa disintegrazione dei nostri ideali di cultura etico-spirituali, non era, secondo Schweitzer, imputabile alla filosofia. Si trattava di un fatto emerso da altre condizioni nello sviluppo del pensiero. «Ma - spiega Schweitzer - la filosofia era colpevole perché non ammetteva il fatto... La vocazione ultima della filosofia è quella d'essere la guida e il guardiano della ragione in generale; sarebbe stato suo dovere, date le circostanze, confessare al mondo che gli ideali etici non erano più sorretti da alcuna concezione del mondo ma, sino a nuovo avviso, erano abbandonati a se stessi e dovevano farsi strada nel mondo con la loro sola forza intrinseca. Essa avrebbe dovuto esortarci a lottare a sostegno degli ideali su cui poggia la nostra civiltà... Non avrebbe dovuto risparmiare sforzo alcuno per rivolgere l'attenzione dei dotti e degli indotti al problema degli ideali della civiltà... Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna». Io credo che tutti noi, che negli ultimi decenni abbiamo lavorato nel campo della filosofia teoretica, meritiamo in certo senso questa censura di Schweitzer. Non mi escludo dal numero, né assolvo me stesso. Mentre conformavamo i nostri sforzi al concetto scolastico della filosofia, immersi nelle sue difficoltà fino a restar imprigionati nelle sue sottigliezze, troppo spesso abbiamo perso di vista l'autentico concetto della fìlosofìa nel suo nesso con il mondo.
Ma oggi non possiamo più tener chiusi gli occhi dinanzi al pericolo che ci minaccia. Oggi l'urgenza dei tempi ci ammonisce più vigorosamente e imperativamente che mai che sono di nuovo in giuoco per la filosofia le sue scelte ultime e supreme. Esiste davvero un qualcosa che chiamiamo verità teoretica oggettiva? Esiste davvero ciò che le generazioni precedenti hanno inteso come l'ideale della moralità, dell'umanità? Ed esistono proposizioni etiche universalmente vincolanti, che trascendano l'individuo, lo Stato, la nazione? In un'epoca in cui diviene possibile porre queste domande, la filosofia non può starsene in disparte, muta e inerte. Oggi come mai in passato è giunto per essa il momento di riflettere nuovamente su se stessa, su ciò che è e su ciò che è stata, sulla sua finalità fondamentale, sistematica, e sul suo passato storico-spirituale. [...] Senza la rivendicazione di una verità autonoma, oggettiva, indipendente, non soltanto la filosofia, ma tutte quante le scienze particolari, così della natura come dello spirito, perderebbero la loro stabilità e il loro senso.  Nel nostro tempo non è dunque soltanto un'esigenza di metodo, ma un comune destino spirituale, che congiunge la filosofia alle scienze particolari, e lega strettamente l'una alle altre. Al pessimismo persuaso che l'ora della nostra cultura è suonata, che il «tramonto dell'Occidente» è ineluttabile, che null'altro possiamo fare se non contemplare questo tramonto in quieto raccoglimento; a questo pessimismo e fatalismo noi non intendiamo rassegnarci>>.  [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.68/70]

<<Nel momento stesso in cui non ha più fiducia nel proprio potere, in cui cede il passo ad un atteggiamento meramente passivo, la fìlosofìa non è più in grado di assolvere il suo più importante compito educativo. Non può più insegnare all'uomo come sviluppare le sue facoltà attive al fìne di formare la sua vita individuale e sociale. Una filosofia la quale indulga a fosche predizioni circa il declino e l'inevitabile distruzione della cultura umana, una filosofia la cui attenzione sia totalmente concentrata sull'esser gettato dell'uomo, non può più fare il suo dovere. [...]
«Nel diciottesimo secolo e nei primi decenni del diciannovesimo - scrive Schweitzer - la filosofia s'era posta a guida del pensiero in generale. Allora la filosofia portava in idee elementari circa l'uomo, la società, la razza, l'umanità e la civiltà, alimentando così, in modo perfettamente naturale, una vivente filosofia popolare che a sua volta agiva sul pensiero in generale e teneva desto l'entusiasmo per la civiltà». Tutto ciò andò perduto durante la seconda metà dell'Ottocento. E la filosofia non si rese neppur conto della perdita. Non si accorse che la forza delle idee concernenti la civiltà ad essa affidate si affievoliva fino a svanire. Malgrado tutta la sua dottrina, la filosofia era divenuta straniera al mondo ed ai problemi di vita che concretamente occupavano l'uomo; e l'intero pensiero contemporaneo non prendeva parte alcuna nelle attività della sua epoca. [...] «La filosofia filosofò così poco sulla civiltà che non s'accorse che lei stessa e con essa l'epoca sua si svuotavano sempre più di civiltà. Nell'ora del pericolo il guardiano che avrebbe dovuto tenerci svegli dormiva, cosicché noi non opponemmo resistenza alcuna»>>.  [ERNST CASSIRER: Simbolo, mito e cultura - pp.233/36]
#683
DAVINTRO
Filosofia e scienza sperimentali non sono come due corridori che competono per la stessa gara e di cui si possono rilevare i fallimenti perché uno dei due non arriva al risultato che invece ottiene l'altro, ma "corrono" in campi separati, l'uno (quello della filosofia) quello dell'individuazione di princìpi assoluti, evidenti, indubitabili, che restano tali indipendentemente dalle contingenze spazio-temporali, princìpi che possono sia essere riferiti alla sfera dell'esistenza (ontologia) o della fondazione razionale della conoscenza (gnoseologia e epistemologia),

CARLO
...E dopo due millenni e mezzo di ricerca, quanti di questi <<princìpi assoluti, evidenti, indubitabili>> ha scoperto la filosofia? Vuoi che te la dia io una risposta, oppure la conosci anche tu?

DAVINTRO
...l'altro (le scienze sperimentali) devono limitarsi a un sapere costantemente provvisorio e incerto, perché fondato sull'esperienza, cioè su una dimensione per la quale ogni verifica successiva può in ogni momento smentire la pretesa di ricavare leggi universali sulla base dei dati precedentemente raccolti,

CARLO
Hai una concezione della storia del sapere totalmente immaginaria e fuori della realtà. Le scienze sperimentali solo le sole ad aver svelato una tale quantità di verità indubitabili e di leggi della natura da aver dato luogo alla più grande rivoluzione di tutti i tempi, sia sul piano dell'affidabilità delle sue conoscenza sia sul piano dell'utilizzo di queste conoscenze nella trasformazione della materia sia a proprio immenso vantaggio che, purtroppo, per fini distruttivi.
#684
Citazione di: viator il 27 Luglio 2018, 13:04:39 PM
Salve. Per Carlo : citandoti :
CARLO :Hume, come al solito, mette il carro davanti ai buoi. Infatti nessuno può escludere che esista un Principio universale "d'armonia" fra tutte le cose; e che un giorno potremo definire "etico" ogni comportamento che sia profondamente conforme al Principio, in modo analogo in cui oggi consideriamo "legittima" una norma quando è conforme con i principi della Costituzione.
E non si tratterebbe necessariamente di una "dittatura del Principio", se consideriamo che esistono infiniti modi diversi, liberi e creativi per conformarsi ad un medesimo principio generale, così come esistono infiniti modi liberi e creativi di ...ballare al ritmo di un unico travolgente brano musicale
.

Questo tuo brano coglie ovviamente il nesso e la similitudine tra la nostra percezione dell'essenziale e la percezione musicale. Un flusso armonico che conduce dalla singolarità alla molteplicità.

Il "principio universale di armonia", come ho già avuto modo di accennare qui nel Forum, è secondo me rappresentato da quello che io chiamo il "Principio Naturale del Bene":

     "Nessuno sottragga o distrugga ciò che - una volta che risulti poi necessario - non sarà in grado di restituire o rigenerare".

E' il principio che regola il funzionamento del Mondo, il quale è l'unico appunto che può sottrarre e rendere, distruggere e ricreare.

CARLO
Il principio a cui mi riferisco è qualcosa di più: è principio logico nella Logica, principio psicologico in Psicologia, principio morale nell'Etica, simbolico nella Simbologia, storico nella Storia, filosofico nella Filosofia, teologico in Teologia, ecc.. Un principio, cioè, chiaramente riconoscibile nella sua struttura "metafisica" e costituito da un corpus di regole precise, sempre uguali a sé stesse in ogni disciplina che governa. Si chiama Principio di Complementarità degli opposti. Ma in filosofia è stato chiamato perlopiù "Dialettica".
#685
Citazione di: Apeiron il 27 Luglio 2018, 12:57:46 PM
CARLO

CitazioneSe è vero, come sostengono certi "critici" (Kant, Hume, Berkeley, Korzybski, Bateson, ecc.), che i criteri di verità della Scienza sono infondati, indimostrabili, non-provabili e di valore solo intersoggettivo, per quale ragione la loro applicazione REALE alla ricerca ha permesso all'uomo in soli tre secoli di sbarcare sulla Luna, di mandare delle sonde su pianeti e comete, di volare in massa superando in breve tempo distanze enormi, di curare la maggior parte delle malattie che da sempre affliggevano uomini e animali, di comunicare in tempo reale da una parte all'altra del nostro pianeta, ecc.?


APEIRON
Non conosco Korzybski e Bateson e conosco poco gli altri filosofi qui citati ma credo che ti sbagli.
1)Berkeley era un empirista piuttosto radicale. Siccome noi, in realtà, non "abbiamo esperienza diretta" della materia ma solo delle sensazioni per Berkeley (che riteneva come uniche fonti conoscitive l'esperienza e la ragione applicata ad essa) dedusse che, in realtà, l'esistenza della materia, intesa come "sostanza delle cose" indipendente dall'esistenza dei soggetti, è indimostrabile e, inoltre, è un concetto ridondante. Dunque Berkeley eliminò la materia dalla sua ontologia, sostenendo che esistono solo le anime (le creature) e Dio. Le "cose materiali" sono semplici contenuti mentali. Tuttavia Berkeley ritieneva che la scienza potesse darci informazioni su come questi contenuti mentali si evolvevano. Dunque, il sapere scientifico era una sorta di "fenomenologia", ovvero uno studio dell'esperienza. Come giustifica il vescovo irlandese la persistenza delle cose anche quando non sono percepite? Semplicemente, dicendo, che Dio pensa sempre e quindi le mantiene in essere. (Faccio notare che San Tommaso d'Aquino riteneva che Dio mantenesse in essere le cose).
2)Hume, invece, era un empirista ancora più radicale di Berkeley. Secondo Hume la ragione non può essere a rigore applicata all'esperienza, perché il sapere che possiamo avere dall'esperienza è solo deduttivo. Quindi, ad esempio, anche ripetendo un numero enorme di volte l'esperimento del piano inclinato non possiamo essere sicuri che il movimento non sia dovuto a mere coincidenze casuali. Quindi Hume effettivamente disse che il pensiero scientifico è infondato se cerchiamo una "certezza" esatta, come in matematica. Ma, in realtà, possiamo comunque avere certezze provvisorie, pronte ad essere modificate.
3)Kant, ironicamente ha tentato di fondare la scienza contro le obiezioni di Hume. Come? Secondo Kant la scienza studia il mondo fenomenico dell'esperienza. Come può essere un sapere valido? Il motivo è che secondo Kant noi rappresentiamo i fenomeni secondo determinate categorie, dovute alla struttura della nostra mente. Kant ritiene che queste categorie sono a-priori nella nostra esperienza. Per esempio, i fenomeni sono sempre nello spazio e nel tempo e, inoltre, sono soggetti alla causalità. La scienza quindi è giustificata come fenomenologia: studia seguendo le categorie della nostra mente la nostra esperienza. Secondo Kant, però, la scienza si giustifica solo nello studio dei fenomeni, nello studio dell'oggetto relativo ad un soggetto conoscente (perché tale è la forma della "conoscenza", la quale è una conoscenza di un soggetto riguardante un oggetto). Non possiamo però fare, a rigore, affermazioni su come è il "mondo indipendente da noi" perché non è "visto" dalla nostra mente. Ovviamente Kant ritiene che ci siano verità universali, inter-soggettive, che possono essere verificate da tutti (non è quindi un "relativista"). Una persona che soffre di allucinazioni ha una mente con una struttura leggermente diversa che le fa vedere le allucinazioni.  
Dunque una "critica" alla scienza è presente SOLO in Hume. Ma Hume stesso era ben consapevole della "ragionevolezza" del sapere scientifico.

CARLO

CitazionePerché nessuno di quei critici hai mai spiegato i motivi della straordinaria "produttività epistemica" della Scienza proprio a partire dall'applicazione di quel "metodo scientifico" che essi considerano così insignificante?
In altre parole, se "la qualità di un albero si giudica dai suoi frutti", perché l'albero della scienza è immensamente più fecondo dell'albero della conoscenza pre-scientifica, cioè, della filosofia? Quali sono state le innovazioni che hanno reso i criteri di verità della Scienza tanto fecondi ed efficaci da permetterle di scoprire leggi e principi della realtà fisica? E perché la filosofia - che pretende di giudicare infondati i metodi della Scienza - non ha idea di quali siano le leggi e i principi che riguardano il proprio dominio di competenza, cioè, il pensiero?


APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.
Per quanto mi riguarda, divido la "realtà" in due (qui sono influenzato da quanto ho capito (poco!) del pensiero buddhista): realtà inter-soggettiva (o "relativa" o "convenzionale") e realtà ultima. La realtà inter-soggettiva è simile a quella di Kant. Noi possiamo fare scienza perché le nostre rappresentazioni sono simili grazie al fatto che le menti hanno una simile struttura. D'altro canto questo non è relativismo perché le rappresentazioni posseggono caratteristiche simili, come, ad esempio, il fatto di essere "regolari" (e quindi studiabili utilizzando le categorie dell'intelletto). D'altro canto, la rappresentazione è rappresentazione che dipende dal "contatto" tra un soggetto ed un oggetto. La "realtà ultima" è, invece, la realtà-così-come-è conosciuta da una conoscenza inerrante. Secondo Kant, il noumeno non può essere conosciuto perché le categorie dell'intelletto sono applicabili solo al fenomeno (che è l'oggetto conosciuto dal soggetto). Ma questo, secondo me, è troppo restrittivo perché non riesce a spiegare (1) perché le rappresentazioni si "formano" (2) perché le rappresentazioni hanno quella determinata "regolarità" (perché, ad esempio, la relatività funziona meglio della meccanica classica). Se infatti rispondiamo come le rappresentazioni si formano finiamo per darne una spiegazione, secondo Kant, fenomenica andando a finire nella circolarità. Quindi, secondo me, è giusto supporre che possiamo avere, studiando i fenomeni, una conoscenza approssimata o imperfetta della "realtà ultima", della realtà-così-come-è. Dunque, le "verità" che estraiamo dallo studio dei fenomeni (quindi anche quelle scientifiche) sono anche approssimazioni della "realtà ultima" della "realtà-così-come-è".    
Per evitare i due problemi sopracitati, secondo me, dobbiamo reintrodurre, in parte, la "metafisica classica". È vero infatti che noi abbiamo conoscenza diretta dei fenomeni. Tuttavia, ciò non significa che per forza non possiamo andare oltre.  Tuttavia non pretendo di "dimostrare" con certezza "esatta" (equivalente a quella logica e matematica) il mio "modello". Invece, riconosco, che è un modello che posso variare se ne trovo di migliori  :)

CARLO
Commenterò nel dettaglio questa tua "prolusione" dopo che avrai risposto alle domande che ho formulato nel post iniziale e che avrai commentato punto per punto quanto ho già scritto lì è in altri post che sono seguiti. Altrimenti dovrei perdere un sacco di tempo a ripetere il già detto o a chiarire fino allo sfinimento che i giudizi che vengono espressi sulle mie idee sono generici, distorti e che non corrispondono con quanto realmente io sostengo nei miei scritto.
Pertanto, per il momento rispondo solo ad un tuo breve passo:

APEIRON
Se avessimo una risposta a come fondare il sapere scientifico, saremmo veramente messi bene. Purtroppo non è così. La tua soluzione "platonico-junghiana" è una congettura, non hai dimostrato che la scienza si fonda come pensi tu. Dici solamente (similmente a Platone) che le proprietà matematiche sono intrinseche alla realtà. Cosa che è plausibile. Ma non dimostrabile.

CARLO
Vorrei chiarire che la mia non è solo una congettura, ma una tesi che si basa su osservazioni oggettive, e che quindi non è liquidabile a-priori senza entrare nel merito - punto per punto - di ciò che affermo (infatti non ho mai detto che <<le proprietà della matematica sono intrinseche alla realtà>>)
Al contrario, la tua una è vera e propria congettura , visto che
1 - l'idea sull'impossibilità di fondare qualsiasi verità è assolutamente arbitraria e priva di supporti;
2 - questa stessa idea è autocontraddittoria, perché non si può pretendere di dire il vero se si nega fondatezza a ogni possibile verità.
Pertanto, se ti interessa discutere l'argomento, comincia col rispondere alle mie domande iniziali, e poi vedrai che ...l'appetito vien mangiando!  :)
#686
Citazione di: Eutidemo il 27 Luglio 2018, 07:57:48 AM
Che cosa è una "cosa"? :D

CARLO
E' ciò in cui trova il proprio significato un significante, o un nome, o un'idea. E' il significato unitario che noi attribuiamo a ciò che si mostra all'esperienza in modo abbastanza coerente da poter essere considerato una sua proprietà. Senza l'esperienza qualunque "cosa" è solo un flatus vocis, un significante vuoto, privo di significato. ...Proprio come la "cosa in sé", il "Dio" kantiani e la "supercazzola" di "Amici miei". :)
#687
Cit. CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (dia=due) tra mente e cervello.

SGIOMBO:
Tu continui a polemizzare con un inesistente "Sgiombo" cui attribuisci pretese affermazuoni che invece sono tutte tue.
In particolare non ho mai considerato il mentale come noumeno o cosa in sè inaccessibile alla coscienza, ma invece sempre, immancabilmente e del tutto chiaramente e inequivocabilmente come qualcosa di fenomenico, apparente, accessibilissimo alla coscienza, di cui é parte (altrettanto che il materiale).

CARLO
Il problema non è che io parli con uno Sgiombo inesistente, ma che ho a che fare con una teoria ambigua e cervellotica costruita essenzialmente su artifici verbali. Per cui:
1 - Fammi un esempio di "mentale" fenomenico.
2 - Cos'è che identifichi col noumeno (l'"in sé"), se non è la mente (o psiche, o anima)?

Cit. SGIOMBO
...E' già considerato pacificamente dimostrato nelle neuroscienze, che qualsiasi evento neurofisiologico cerebrale é preceduto da determinati eventi neurofisiologici cerebrali secondo le leggi della fisiologia perfettamente riducibili a quelle della fisica - chimica

Cit. CARLO
Non inventarti dimostrazioni che non esistono. Chi l'avrebbe dimostrato?
E poi, fammi capire: per mesi hai sostenuto che la scienza non dimostra un bel niente, ...e adesso all'improvviso metti la mano sul fuoco sulla verità inconfutabile delle dimostrazioni scientifiche? ...E proprio nel campo della relazione mente-cervello, dove l'unica cosa dimostrata è una vaga corrispondenza tra stati mentali e stati neuronali?

Cit. SGIOMBO:
No, scusate, mai io mi chiedo: come si può continuare a discutere con uno che proclama chi io "per mesi" avrei "sostenuto che la scienza non dimostra un bel niente"...?
 
Cit. CARLO
Alcuni mesi fa mi scrivevi:

<<Le leggi scientifiche di natura, (finora) confermate dall'osservazione empirica, ovvero non falsificate, potranno essere "supportate" (= non falsificate) da ora all'infinito da qualsiasi numero di osservazioni distribuite in un arco di tempo di qualsiasi durata tutte indistintamente confermative, e ciononostante non è e non sarà mai contraddittoria (= è e sarà sempre pensabile essere possibile, è e sarà sempre assolutamente -proprio così!- non dimostrata essere impossibile) l'ipotesi che "la prossima volta" (sempre, qualsiasi prossima volta all'infinito) verrà falsificata>>.

Dopo una tale affermazione categorica, è difficile riconoscere a una qualsiasi verità l'attributo di "dimostrata", se <<qualsiasi prossima volta all'infinito>> potrà essere falsificata. Dico bene?

SGIOMBO
Certo, proprio così, come sostengo "da sempre"...

CARLO
Bravo. Quindi dovresti aver notato che la tua prima affermazione: <<...E' già considerato pacificamente dimostrato nelle neuroscienze...>> è in contraddizione con la seconda affermazione secondo cui una qualsiasi verità è sempre passibile di falsificazione e dunque non può mai considerarsi <<pacificamente dimostrata>>.
Al mio paese chiamiamo delle contraddizioni sfrontate come queste "trappole", cioè "balle".

Cit. SGIOMBO
Comunque, per entrare nel merito della domanda (nell'ambito del tuo abituale interrogatorio inquisitoriale), non conosco di fatto alcun neurologo che non dia per scontato come evidente da tutte le osservazioni disponibili di neuroimaging e dagli altri esperimenti condotto sui cervelli che le scariche dei motoneuroni che determinano fisiologicamente le azioni (i comportamenti; animali e in particolare umani) sono sempre e solo conseguenze fisiologiche di precedenti attività fisiologiche di altri neuroni chiaramente rilevabilie non di qualcosa di extraneurale (ed extramateriale: non rilevabile osservativamente nella materia cerebrale) quali sarebbero le ponderazioni mentali (senza corrispettivo cerebrale) ipotizzate da Eccles (e anche da Penrose ed altri) a "determinare l' indeterminismo quantistico" a livello sinaptico.

Cit. CARLO
L'hai detto tu stesso: Eccles e Penrose non lo danno affatto per scontato. E con loro ci sono anche J. S. Searle, S. Grof, S. Hameroff, E. H. Walker, J. A. Wheeler, G. Jung, ecc..
In altre parole, siamo ben lontani dall'aver <<pacificamente dimostrato>> l'origine biologica di tutti gli stati mentali. E tu dovresti astenerti dal mettere in circolazione con tanta leggerezza simili "fake news".
Persino un monista come A. Oliviero scrive:

<<Lo studio dei rapporti tra cervello e scelte morali sottolinea ancora una volta che, anche se siamo sempre più in grado di descrivere il cervello e di comprenderne i meccanismi, SIAMO ANCORA LONTANI (...) dal comprendere come (...) dalla materialità dei circuiti cerebrali possa scaturire quel mondo dei significati e dei valori che ci guida in ogni azione, anche la più banale, della vita quotidiana>>. [ALBERTO OLIVIERO: Etica e neuroscienze]

SGIOMBO
Io non mi astengo affatto dal sostenere le mie convinzioni, anche se contrarie a quelle di illustri scienziati.

CARLO
Qui non si tratta di opinioni, ma di sostenere che la neurobiologia abbia <<pacificamente dimostrato>> qualcosa che in realtà non ha dimostrato. Quindi ritorniamo alla mia definizione di "trappolone".

Cit. CARLO
E' il fisico quantista Margenau (che ha collaborato alla teoria di Eccles) che conferma questa tesi, e nessuno (né fisici né neuroscienziati) l'ha mai confutata.

Cit. SGIOMBO
Nessuno l'ha mai provata (è un' ipotesi teorica).

Cit. CARLO
In neurobiologia TUTTE le teorie sono solo ipotesi indimostrate, sia quelle moniste che quelle dualiste.

SGIOMBO
Infatti la neurologia é diversa cosa dalla ontologia (filosofica), e in quanto tale (fatto salva ovviamente la possibilità anche per dei neurologi di interessarsi di filosofia; che è comunque altro dalla neurologia) può studiare proficuamente i processi neurologici e le correlazioni o corrispondenze di fatto empiricamente constatabili fra questi e i processi coscienti; e non invece la natura di queste correlazioni.

CARLO
Certo, ma tali correlazioni possono essere interpretate SIA secondo il paradigma monista-riduzionista, SIA secondo il paradigma dialettico-dualista. E nessuno ha mai <<pacificamente dimostrato>> che tutti gli stati mentali siano determinati da stati bio-neuronali.

Cit. CARLO
La questione è talmente elementare, che dovresti essere tu ad argomentare da cosa deriva la nostra netta distinzione tra movimenti riflessi-involontari e movimenti intenzionali. Per me questa distinzione nasce dal fatto che alcuni di essi (quelli involontari) hanno origine nel sistema nervoso/cervello, mentre tutti gli altri (quelli volontari) sono prodotti da intenzioni mentali. Quindi non è vero che ogni azione si origina nel sistema nervoso/cervello. Se così fosse, non percepiremmo alcuna distinzione tra i diversi movimenti del corpo.

SGIOMBO
Tutti i movimenti corporei sono causati unicamente da eventi neurofisiologici perfettamente riducibili a eventi fisico-chimici.

CARLO
Questo è sicuro. Ma si tratta di capire se l'imput si origina nel sistema nervoso/cervello o in una modificazione dell'equilibrio neuronale prodotta da un'intenzione mentale.
E siccome ognuno sa distinguere benissimo un movimento prodotto da una intenzione della nostra volontà da un movimento in cui la volontà è solo una passiva spettatrice, quelle sull'origine organica di ogni azione fisica del corpo è solo una balla dovuta ad una omissione dei fatti osservati.
#688
Cit. CARLO
"Più che filiazione, io direi che la Scienza *è* Filosofia: è quella branca della Filosofia che ha affinato i propri criteri di verità per la comprensione del mondo fisico."

LOU
La scienza è filosofia nel momento in cui si interroga sulle condizioni generali della pratica scientifica e del proprio stesso atteggiamento conoscitivo:

CARLO
E la filosofia si eleverà al rango di scienza quando, seguendo l'esempio della "sorella-prodigio" (la Scienza), scoprirà la propria "matematica" e la propria "verifica sperimentale" con cui perverrà alle leggi generali del pensiero filosofico, invece di sprecare il suo tempo a fare da saccente maestrina d'asilo con chi può solo darle preziose lezioni di conoscenza.

LOU
È in campo filosofico che è possibile porre le basi epistemiche e rintracciare il criterio, meglio il Lògos, per la ricerca conoscitiva che permette di dar vita a un sapere razionale distinto da ogni altra forma di sapere.

CARLO
La filosofia non è una scienza a sé, ma, come diceva Fichte, la "scienza di tutte le scienze". Dovrebbe quindi studiare le scienze reali, interrogarsi sui principi che sono comuni a tutte le scienze e su come sia possibile unificarli in un unico principio fondamentale del pensiero. Mentre la filosofia attuale naviga nella direzione opposta: quella di "decostruire", di dimostrare che non esistono criteri di verità affidabili, che la verità è un'illusione, che, come dice Vattimo: <<oggi non siamo a disagio perché siamo nichilisti, ma piuttosto perché siamo ancora troppo poco nichilisti>>!! ...Altro che porre le basi epistemiche per un sapere razionale!

E' per questo che chi, come me, propone l'idea, per quanto fondata, di un Principio universale  è, non solo ignorato, ma addirittura oggetto di derisione e di insulti a-priori!
#689
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:29:56 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 27 Luglio 2018, 01:51:36 AMCARLO
Infatti la "filo-sofia" è l'amore per il sapere. E gli aerei che volano e la cura delle malattie sono i premi concreti per le verità conquistate. Il sapere, cioè, è ridondante: gratifica i bisogni della mente e i bisogni del corpo.

SGIOMBO
IL sapere ha anche scopi (e "riceve premi") puramente teorici, non pratici (è anche un fine "autogratificante", ovviamente per chi lo avverta come tale- oltre che un mezzo.

CARLO
In ciò consiste, appunto, la superiorità del sapere scientifico: nel suo essere doppiamente gratificante.
#690
Citazione di: sgiombo il 27 Luglio 2018, 09:26:44 AM
Citazione di: Phil il 27 Luglio 2018, 00:35:04 AM
CitazioneSGIOMBO
Io invece ritengo quello di Kant l' approccio giusto al problema (filosofico; e dunque non credo proprio che se vivesse oggi si dedicherebbe -per lo meno principalmente- alla neurologia) in quanto non credo che mente e cervello coincidano e che il cranio contenga alcunché di "mentale".

CARLO
Certo. Ma il problema è che tu hai relegato il "mentale" nello stesso limbo di inaccessibilità, di inconoscibilità e di impotenza (oltre che di nullità ontologica) in cui Kant relegò Dio. Il tuo dualismo, cioè, è solo una presa in giro, è un monismo mascherato, non esistendo alcuna dia-lettica (dia=due) tra mente e cervello.