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Messaggi - Phil

#676
Direi che lo scenario è un po' confuso, se non contraddittorio: i vangeli dicono che non c'è perdono (ad es. per chi bestemmia lo Spirito Santo) e per i malvagi c'è punizione eterna; Duc dice che il perdono c'è stato e quindi «non c'è appello» (e allora cosa si è perdonato?); il Papa dice che chi sconta la pena è all'inizio della conversione (e quindi la pena non è eterna e l'"appello" c'è, così come il perdono); Alberto dice che il Papa come interprete non è infallibile e quindi propone la sua versione «idonea ai nostri tempi» della religione... mi sembra un quadro clinico abbastanza "coerente" su come venga vissuto oggi il cristianesimo, nel suo passaggio da dogmatico a critico, con tutte le (laiche) conseguenze del caso. C'è in ballo la credibilità del cristianesimo, ma in fondo anche la fede personale, perché in queste esegesi caleidoscopiche ciascuno è a un passo da una sua "religione fatta in casa" liberamente ispirata al cristianesimo.
#677
Citazione di: Alberto Knox il 18 Dicembre 2022, 10:24:49 AMSe l intenzione è cercare il male nella Bibbia  di sicuro lo trovi e Inverno ha dato buoni esempi . Ma nella Bibbia c è anche Abele , non solo Caino.
Concordo che i testi sacri contengano anche aspetti che sono diventati con il tempo contraddittori, in virtù del mutare della prospettiva con cui la religione si propone. A proposito di citazioni poco "attuali", in alcuni passi dei vangeli la punizione post-mortem viene prospettata come eterna, senza perdono o amore (corsivi miei):
«chiunque avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo, non ha perdono in eterno, ma è reo di un peccato eterno» (Marco 3:29)
«Allora dirà anche a quelli della sua sinistra: "Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli! [...] Questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna» (Matteo 25:41,46)
Per quanto riguarda l'ira divina sui "miscredenti":
«Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio rimane su di lui» (Giovanni 3:36)
Risulta dunque fondamentale il ruolo del Papa come interprete e "curatore" anche di ciò che è scritto nei vangeli; se ne consideriamo valida l'infallibilità, al punto da smentire il significato letterale (v. sopra), credo che i vangeli andrebbero sempre venduti (ma forse già capita) con note ed appendici esegetiche dell'ultimo Papa, per questioni di "aggiornamento" della dottrina ed evitare fraintendimenti "anacronistici".
#678
Citazione di: Freedom il 17 Dicembre 2022, 17:09:45 PMNon mi ricordo dunque in quale libro della Bibbia ho letto il passaggio che ho riportato. Se almeno fossi tecnologicamente più preparato potrei usare la funziona ricerca sulle Sacre Scritture ma non ne sono capace.
Per cercare parole o frasi nei testi della Bibbia (in differenti versioni), puoi usare questo sito: https://www.laparola.net/ricerca.php
#679
Citazione di: Pio il 17 Dicembre 2022, 12:25:37 PMMa dire che fare la volontà del Padre e' già il Paradiso significa che , seguendo questo insegnamento, si gusta già in terra quella gioia che sarà PIENA , o nella sua pienezza completa, quando saremo uno in Cristo. Come se. Invitati ad un banchetto, potessimo gustare solo in parte le pietanze.
Se la pietanza è buona, non ci sono dubbi possa essere "paradisiaca", ma se la pietanza è sgradevole, come talvolta capita, potrà sembrarci buona, o almeno meno sgradevole, solo in vista del lauto pasto che ci attende "di là". Per questo dico che, cristianamente, il ruolo dell'aldilà è fondamentale per dare un senso all'aldiqua.
Ad esempio: affrontare il lutto di una persona cara non credo sia esperienza paradisiaca o un "buon antipasto", probabilmente avremmo preferito non vivere tale esperienza. Pregare per l'anima del defunto è esperienza di "già paradiso"? Non direi, probabilmente è la cosa giusta da fare (cristianamente) e ci dà conforto, ma non è quel tipo di esperienza che credo possa essere associata alla beatitudine eterna. Fare il bene in terra, quando ciò comporta affrontare sofferenza, non è "già paradiso" se non nel senso che, nel farlo, ci proiettiamo già nell'aldilà e nella gaudiosa ricompensa che lì ci attende. Ci fa star bene il pensiero di aver fatto la volontà di Dio, ma una parte di noi, più o meno inconsciamente, associa tale rispetto della sua volontà al premio finale (che dà un senso al rispetto di tale volontà, v. sopra).
Fare la fila per entrare al cinema, non è bello come guardare il film (non me ne voglia Lessing), soprattutto se tale bel film dura un'eternità; si sopportano gli eventuali disagi della fila solo in vista della "bellezza promessa" del film.
#680
Citazione di: Duc in altum! il 16 Dicembre 2022, 17:48:39 PMRipeto e ribadisco (è inutile estrapolare): l'etica del cristiano non è fondata sulla ricompensa nell'aldilà, ma bensì sulla regola d'oro e sul comandamento nuovo riconosciuti come il miglior modo di vivere la propria esistenza.
[...]
In sintesi: il cammino al Paradiso è già Paradiso!
Per come la vedo "da esterno", la regola d'oro è cristianamente tale solo se ha radici nell'aldilà, poiché è da lì che trae il suo senso, il suo valore etico. Dimostrazione per assurdo: se Dio avesse detto «non verrete mai giudicati, non c'è alcun aldilà, preferisco se vi comportate in un certo modo, altrimenti non fa niente, fate voi...» difficilmente il "portare la propria croce" sarebbe inteso come paradisiaco (ammesso e non concesso che lo sia). Pregare per l'assassino di una persona cara, sopportare ingiustizie che riducono ai limiti della sopravvivenza, incassare un colpo e porgere l'altra guancia, etc. non sono di per sé esperienze piacevoli (o sbaglio? e se questo è il paradiso non avrei certo fretta di andarci) ma possono essere importanti solo se vengono intese come prove da affrontare con spirito cristiano in vista di un "premio" che ci attende alla fine del cammino presente. Se non ci fosse tale "ricompensa", perché affrontarle in quel modo e non in un altro, magari più "immanentemente" conveniente?
Se qualcuno fa del male ad una persona a me cara e non c'è alcun aldilà, che senso ha pregare per il colpevole? Potrei pregare la divinità affinché non gli faccia ripetere le sue nefandezze, ma difficilmente direi che tale pregare «è già paradiso»(cit.) essendo comunque basato su un dolore mio e sulla sofferenza altrui. Se tale pregare fosse già il paradiso, paradossalmente, dovrei anche pregare affinché il male accada di nuovo così che e io possa bearmi ancora di tale paradiso pregando per il malvagio. Il cammino tortuoso e talvolta doloroso è "già" paradiso solo se alla fine ci attende il paradiso, altrimenti il dolore non è certo paradiso in sé (chiedere ai martiri per conferma di quanto conti la fede nel paradiso e quanto soffrire non sia già il paradiso; d'altronde, se così non fosse, non sarebbe un'offerta della propria sofferenza a Dio).
Il cristianesimo che sembra voler "far a meno" di considerare l'aldilà, quasi volesse sostenere che, se anche non ci fosse, la sua gioia è comunque fare la volontà del Signore in terra, ha già risposto inconsciamente (o almeno interiormente) al perché abbia senso fare la volontà del Signore in terra e non dovrebbe avere remore nel non rinnegarlo (altrimenti, se il Signore ci avesse fatto come "giocattoli mortali" che egli non può punire o premiare, perché ascoltarlo? Credo che anche i Vangeli, se davvero ritenuti degni di fede, parlino chiaro sul tema della "ricompensa" per i giusti, ricompensa che essendo spesso smentita in terra, allora deve essere...). La fede nel paradiso e la differenza fra rettitudine in terra e ricompensa ultraterrena sono fra i capisaldi del cristianesimo, non sminuiamoli.

P.s.
Ciò non vuole essere una critica ostile, tantomeno mirata solo al cristianesimo: se togliamo il tassello dell'aldilà, di molte religioni resta poco o niente (in termini esistenziali, etici, etc.). Come per l'accostamento «fede»/«consapevolezza», anche per l'"immanentizzazione del paradiso" mi piace provare a fare chiarezza (e magari sbaglio), anche se finisco a fare indegnamente "l'avvocato del cristianesimo", ammonendo i cristiani sul tentare di farne una questione di logica o di immanenza, dimenticando di come andò nel medioevo, quando gran parte della teologia, nel tentativo di sposare fede e ragione, finì suo malgrado solo con il mettere in risalto le fallacie della fede. Di fronte a ciò che per la ragione sono paradossi o misteri indimostrabili, per un credente è tutto molto più semplice: basta "fare spallucce" e affermare «ho fede» (evitando un controproducente "chi si loda si imbroda"). Fine del sermone del sabato.
#681
Citazione di: Duc in altum! il 15 Dicembre 2022, 14:52:28 PMnel web ho incontrato: Consapevolezza = intuire, percepire, riconoscere e dare un nome alla realtà, il più possibile, in ogni ambito e aspetto della vita.
Mi riferivo alla «consapevolezza» intesa come elemento della spiritualità (v. sezione in cui siamo), in salsa perlopiù orientale. Tale consapevolezza non ci parla della genesi del mondo o di profeti (passato), di cosa accadrà dopo la morte (futuro), etc. poiché nel presente non c'è nulla di tutto ciò (la consapevolezza non prescrive leggi morali, la fede sì; mi dirai che allora la consapevolezza è inutile; ebbene, perché no?).

Citazione di: Duc in altum! il 15 Dicembre 2022, 14:52:28 PMLa consapevolezza di un cristiano è di essere immortale, nonostante domani, forse, non sarà vivo biologicamente.
Come detto, la consapevolezza di sé, che si ha ad esempio concentrandosi sul respiro o sulle sensazioni del proprio vissuto attuale, è sufficiente per essere oggettivamente consapevoli (e certi) del proprio istantaneo esser vivi. Per tale consapevolezza, tanto oggettiva quanto passeggera, non serve nemmeno usare un linguaggio, né far(si) domande, né concettualizzare anime o simili.
Capisco che «La consapevolezza di un cristiano è di essere immortale»(cit.), tuttavia mi pare sia ben differente della consapevolezza di essere vivi; se non altro perché, della prima, un cristiano "in tentazione" potrebbe anche dubitare, mentre per esser certi di essere, per il momento, ancora vivi, basta fare un respiro profondo (che espirando, espira via anche eventuali dubbi; nei credenti, nei miscredenti e negli atei).

Citazione di: Duc in altum! il 15 Dicembre 2022, 14:52:28 PMecco che dal mio punto di vista: non c'è nessuna differenza tra fede e consapevolezza.
Lunga vita alla fede e alla sua utilità, ma, stando a quanto detto, non mi pare che non ci sia nessuna differenza rispetto alla consapevolezza; né spiritualmente, né filosoficamente, né epistemicamente, etc. senza nulla togliere al linguaggio comune e al vocabolario, ovviamente. In fondo la consapevolezza si limita a constatare la momentanea presenza della vita, mentre la fede gli dà un senso, un valore e talvolta anche uno scopo; non sminuiamola.
#682
Citazione di: Duc in altum! il 14 Dicembre 2022, 15:09:52 PMMa poi, in definitiva, consapevolezza de che?!
La principale, ma non unica, differenza fra fede e consapevolezza è temporale: la fede è rivolta al futuro (sotto l'ombra lunga di un certo passato), la consapevolezza al presente. Ad esempio, non posso avere già consapevolezza che domani sarò vivo, ma solo "fede" (sarebbe meglio «fiducia», per non confondere il piano religioso con quello psicologico) che lo sarò; non ho "fede" nel fatto di essere vivo adesso, ma solo consapevolezza. Così come non ho "fede" nel fatto di avere ora determinati pensieri o sensazioni, ma solo consapevolezza.
#683
Citazione di: Eutidemo il 13 Dicembre 2022, 11:51:25 AM
Per cui, se non esistono nè il passato nè il presente nè il futuro, l'intero concetto di tempo è illusorio; come, d'altronde, tutto il resto.
Ma, in fondo, a noi cosa importa, se, "ontologicamente", IL TEMPO NON ESISTE?
Ed infatti, "in pratica", noi viviamo ed agiamo egualmente come se ci fosse; e le cose del mondo (illusorie o meno che siano anche loro) funzionano lo stesso!
Tendo a concordare che il tempo non esista ontologicamente (per questo mi domandavo quanto fosse costitutivo e affidabile il ruolo dello strumento, lui sì "ontologico", che misura il tempo, nel dire che il tempo si contrae, accelera, etc.), tuttavia, proprio essendo il tempo una categoria, un concetto convenzionale, ne consegue che esistono sia il passato, sia il futuro, sia il presente, pur con una esistenza che non è materiale, bensì, appunto, concettuale. Il presente ovviamente ognuno può estenderlo come vuole usandolo come aggettivo: il «giorno presente», l'«ora presente», etc. anche se sarebbe più corretto usare «corrente», per ricordare la transitorietà del divenire. Il passato e il futuro, sempre concettualmente, esistono già nella "griglia" convenzionale che si decide di usare: le ore 13 del 27 Novembre 2041 "sono" fra le ore 12 e le ore 14 del medesimo giorno (se ragioniamo per ore), lo stesso dicasi per date passate. Tali elementi della griglia del tempo hanno un "contenuto ontologico"? La domanda non ha in realtà senso, poiché una data non contiene niente, è solo un insieme di coordinate convenzionali che noi proiettiamo sulla nostra durata (proprio come meridiani e paralleli o altre convenzioni), che possono fra l'altro anche essere cambiate cambiando calendario: per gli ebrei l'anno 2041 è passato da un bel pezzo; quindi il loro passato è il nostro futuro? Chiaramente no; tutta questione di relatività, concettuale prima che quantistica.
Nondimeno, né la data né l'orario sono il tempo, che può anche essere misurato in rapporto allo spazio o alla frequenza di un atomo, e sono proprio queste misurazioni che, da profano, mi fanno sospettare di una immanentizzazione del concetto di tempo che ha dei limiti (concettuali) quando sottomette il misurato alle "debolezze" della misurazione, ossia rovesciando la questione pensando il tempo dipendente dallo strumento (v. frequenza atomo) anziché relativo (v. "geocentrismo" di cui sopra).
#684
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
13 Dicembre 2022, 17:39:32 PM
Citazione di: niko il 13 Dicembre 2022, 15:21:26 PMnoi non possiamo essere altro che volonta', e che l'essenza profonda [...] dell'uomo, e della vita, e' -proprio- volonta'
Possiamo chiamarla «volontà», o «intenzionalità» o «reattività cognitiva» o «metabolismo esistenziale» o altro, ma in fondo si tratta di "vitalità", nel senso della coincidenza fra l'esser vivi e il relazionarsi attivamente a ciò che ci circonda (ciascuno con i suoi sensi, i suoi imprinting, etc.). Se anche fossimo isolati in una bolla, ci relazioneremmo con l'interno della bolla e con ciò che eventualmente la trapassa (suoni, luci, etc.); che questa bolla sia il nostro corpo o un condominio o una realtà virtuale, non fa poi molta differenza.
Per «distacco», più che utopico "annullamento della propria volontà", forse ha senso parlare, come fanno più a oriente, di non-attaccamento, ossia un'aderenza senza prensione, un sentire sul palmo senza stringere la presa. Si tratta in fondo di educare la propria volontà, proprio come si ammestra un animale (interiore): con un metodo, con della pratica e per ottenere determinati risultati. C'è chi mira ad orientare la propria volontà verso una predefinita "santità" (o comunque sforzandosi di seguire canoni ben definiti), chi preferisce smorzare il desiderio che anima tale volontà (nel tentativo di assopire la sofferenza, dukkah), chi preferisce non imbrigliare troppo la propria volontà, domandola quel minimo per essere socialmente compatibile. 
Quale volontà decide per queste, o altre, "scelte di vita"? Quella dinamica ed "elaborante" che risulta dalla nostra costante interazione con il mondo e dalla eventuale riflessione che ne consegue, nella suddetta dialettica biunivoca interno/esterno.
#685
Attualità / Re: morto nel sonno
13 Dicembre 2022, 15:45:07 PM
Onestamente «covid-free» non è una mia creazione, devo averlo letto o sentito da qualche parte... come praticamente tutte le altre parole che ho in testa (neologismi a parte, ma «covid-free» non è fra questi). Concordo che per approfondire la questione servano competenze specialistiche non indifferenti; per questo, non avendole, mi sono limitato a postare i link senza commentarne il contenuto.
Per la traduzione di pagine dall'inglese, come forse già sai, è possibile installare nel browser delle applicazioni (come questa per Chrome) che traducono automaticamente le pagine visualizzate; la traduzione è tutt'altro che impeccabile, soprattutto per testi specialistici, ma aiuta a farsi un'idea del contenuto.
#686
Attualità / Re: morto nel sonno
13 Dicembre 2022, 12:38:55 PM
Per approfondire ulteriormente, segnalo questi articoli (tenete pronto il traduttore), tutti antecedenti al 2020, così da focalizzare il tema prima del Covid.
Per quanto riguarda i giovani atleti, c'è stato in USA un calo dagli anni '80 ad inizio 2000:
https://www.researchgate.net/figure/Annual-incidence-rates-of-sudden-cardiovascular-death-in-screened-competitive-athletes_fig2_255620669
a cui è seguita un'impennata di incidenza dalle sudden death dal 2007 al 2015:
https://www.researchgate.net/figure/Frequency-and-incidence-rate-of-sudden-death-in-youth-sports-by-year-2007-2015-Total_fig2_332599239
In altri contesti l'andamento è ancora più irregolare:
https://www.researchgate.net/figure/Annual-incidence-rates-of-sudden-cardiac-death-in-the-young-population-of-the_fig3_315700323
I parametri dei grafici sono differenti e sarebbero cento i fattori da incrociare per provare a spiegarne l'andamento (genetica, alimentazione, storia clinica, abitudini, "vizi", eventi contingenti, etc.), a dimostrazione di come il singolo capro espiatorio "di moda" spesso sia solo il centunesimo.

Più trasversali e generici, ma sempre "covid-free", sono:
https://www.healthline.com/health/sudden-death-syndrome#takeaway
https://www.ahajournals.org/doi/10.1161/JAHA.117.007837
https://www.dovepress.com/spotlight-on-sudden-arrhythmic-death-syndrome-peer-reviewed-fulltext-article-RRCC
#687
Nella mia abissale ignoranza in materia, mi chiedo quanto il tempo (categoria, convenzione) sia differenziato e/o indipendente dalla misurazione del tempo (tramite pratica tecnologica). Quando si parla di tempo che accelera o rallenta (in base alla distanza dalla Terra, etc.) quanto di tale mutamento dipende dallo strumento usato? Considerando, come ricordato da Alberto, che la durata di un secondo è standardizzata con riferimento al comportamento di un atomo (v. https://www.inrim.it/it/ricerca/campioni-primari/il-secondo), se il "rallentare del tempo" è dovuto alla modifica di tale comportamento (a seconda della sua interazione con masse e campi gravitazionali circostanti), non si confonde una modifica della misurazione con la modifica di ciò che andrebbe misurato?
Gps e altre triangolazioni dimostrano che è indubbiamente necessario "aggiustare i calcoli" del tempo quando ci si allontana molto dalla Terra, tuttavia è un aggiustamento che ha come riferimento sempre "esigenze terrestri", ma soprattutto si tratta di "ritoccare" il comportamento di strumenti non immuni a condizionamenti fisici (ossia che funzionano differentemente che siano sulla Terra o nello spazio).
Sfruttando l'assist (involontario, credo) di Ipazia: che ore sono adesso su Marte? Già sulla terra la risposta è mutevole a seconda della collocazione del domandante, ma se proiettiamo tale questione nello spazio, il concetto di orario diventa decisamente o insignificante (mancando il riferimento planetario) o proiezione dell'orario terrestre, con annesso relativismo rispetto alla collocazione della base di riferimento. Certo, l'orario non è il tempo, ma il fatto che nello spazio ci sia durata senza orario è forse il primo passo per supporre che anche la durata non è forse poi così assoluta, ma anch'essa relativa a quanto accade sulla Terra e a come la si misura.
Banalizzando (per tentare di spiegare la mia perplessità da profano): se sulla luna una clessidra da un'ora, impiega più tempo per "scaricarsi" a causa della differente gravità, non avrebbe senso concludere che sulla luna un'ora "duri di più" e il tempo si dilati; poiché ovviamente il modificarsi dell'attività dello strumento (rudimentale) di misurazione non influenza il concetto di «ora» per come è inteso sulla Terra (la 24ma parte del tempo necessario affinché la Terra compia un giro su se stessa). Se l'astronauta, mentre aspetta che la clessidra si "scarichi", ascolta un brano di musica con un lettore digitale (supponiamo piuttosto indipendente, nel suo funzionamento, dai campi gravitazionali), dopo aver ascoltato 10 volte un brano da 6 minuti saprà che sulla (superficie della) Terra è passata un'ora, a prescindere da quanto indicato dalla clessidra (palese l'antropocentrimo, o meglio, il geocentrismo di tale misurazione, tuttavia mi pare inevitabile trattandosi di convenzioni e misurazioni umane).
La mia ingenuità mi porta a chiedere, a chi è più competente di me, se con l'atomo di cesio non accada lo stesso: muta la sua frequenza allontanandosi dalla terra ed a ciò assegniamo un mutamento del tempo, mentre in realtà è un mutamento solo dello strumento che misura il tempo? Oppure è un atomo che in teoria dovrebbe "funzionare" allo stesso modo anche nello spazio, ma invece presenta una differenza in ciò che misura?
Banalizzando ancor di più (ai limiti del pudore): se ho tre pezzi di carne simili e ne lascio uno all'aria, uno in frigo e uno in congelatore, il fatto che quello all'aria marcisca prima, indica che fuori dal congelatore il tempo va più veloce e quindi il freddo rallenta il tempo, oppure il freddo rallenta solo lo stato di putrefazione (a cui noi possiamo assegnare un tempo)? 
La mia curiosità è in breve di mettere a fuoco quanto lo strumento sia impeccabile rispetto al concetto che deve misurare e quanto invece sia il concetto a venire adattato/relativizzato ai dati allo strumento (e alla sua collocazione nello spazio gravitazionale).
#688
Attualità / Re: morto nel sonno
11 Dicembre 2022, 23:33:35 PM
Dopo rapida ricerca online, segnalo che anche fuori dall'Italia, anche su siti istituzionali ed accademici, è usuale riferirsi alla Spike con «proteina S», per quanto la dicitura più diffusa sia «proteina Spike (S)» quasi ad usare «S» come abbreviazione (poi declinata in S1 ed S2 a seconda del ruolo).
#689
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
11 Dicembre 2022, 21:25:28 PM
Citazione di: Alberto Knox il 11 Dicembre 2022, 17:43:23 PMCon la pratica della consapevolezza del respiro o del passo possiamo tornare immediatamente a casa nella nostra isola. 
La meditazione sul respiro, anche quella «del passo» (kin hin), è un buon viatico per prendere rifugio, almeno finché non si comprende che non c'è nessuno che debba rifugiarsi: anatta, il non-sé, non ha nulla di mistico o di spirituale (bel rebus per la stirpe occidentale giudaico-ellenica). Tuttavia, nel "mondo convenzionale" (v. Nagarjuna) bisogna parlare la lingua convenzionale per essere intesi, quindi tale consapevolezza è un po' come le vecchie pellicole "in negativo": se la esponi troppo, non ci si vede più nulla.
#690
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
11 Dicembre 2022, 17:05:18 PM
Nota filologica sui "tre rifugi" nel buddismo: https://it.wikipedia.org/wiki/Triratna