Citazione di: sgiombo il 13 Giugno 2016, 10:45:40 AM
Ribadisco la mia rassegnazione a constatare che non cogli la differenza fra fatti e pensieri, realtà e verità (o meno), eventi non simbolici (=senza significato) e simboli .
Riprendo dopo una breve pausa da questa contestazione di Sgiombo, che ringrazio comunque per le sue obiezioni che mi permettono di riflettere meglio sulle mie posizioni.
Penso di cogliere bene la differenza tra fatti (ciò che per esempio adesso sento accadere attorno a me) e il pensare all'accadere di quei fatti, ma lo colgo in qualità di osservatore e, come osservatore, non solo posso, ma devo mettere in dubbio la verità di questo mio pensare rapportandola alla realtà di quei fatti che vivo (e chissà mai se vivrei senza pensarli, dato che ciò che vivo sempre mi appare significando). Quello che qui vengo affermando però è che quello che giudica non è l'unico modo di pensare la verità (che a sua volta è un fatto che accade) e, ho tentato di spiegare, che in questo caso (nel caso in cui non mi ponga come osservatore esterno di quello che accade), la verità non sta in un rapporto tra ciò che soggettivamente percepisco e quello che oggettivamente accade in oggetto indipendentemente da me e fuori di me, ma proprio in quello che appare per come appare e che precede ogni soggetto osservatore/oggetto osservato.
Sono due prospettive diverse di considerare la verità delle cose in cui, nel secondo, non c'è alcun pensare, poiché non c'è né un soggetto che pensa né un oggetto pensato, c'è solo lo svelarsi della realtà e questo svelarsi è verità. E dunque, anche in questo caso, la verità resta diversa dalla realtà, essendone essa lo svelamento, ma ciò che si svela non esaurisce il reale, pur essendo quanto non si svela compreso nella verità dello svelarsi del nascosto come nascosto (quello che nel suo linguaggio, l'osservatore magari chiama noumeno). In questa dimensione, che è quella di un puro accadere, non c'è tempo né durata, perché il tempo è la dimensione in cui esiste un soggetto (e i suoi oggetti), dunque non ci sono né durate infinitamente piccole, né infinitamente grandi, è solo l'osservatore che vede le cose iniziare e finire e quindi può raccontarle e raccontarsele secondo un iniziare e un finire, un finire subito e anche un sembrare non finire mai.
Non c'è differenza tra accadere e significare, perché ogni accadere accade significando proprio ciò che accade. Solo la mente dell'osservatore vede che tra questi termini una differenza, pur potendo sentirne l'implicazione senza isolarli nella pretesa che da una parte ci sta quello che penso, dall'altra la realtà oggettiva, fuori da mio pensarla, come se entrambi, soggetto e oggetto, fossero del tutto auto sussistenti: io e il mondo presi in sé. L'apparire appare in immagini dirompenti di significato che richiamano altre immagini, ogni immagine è simbolo, quindi nulla quando appare è solo "simbolo". Non si immagina un inesistente per dirne l'inesistenza (fossero pure chimere, minotauri e ippogrifi), poiché ciò che appare è in quanto appare che è presente nel suo significare che comprende terrore, meraviglia, dolore, fino alla più pura angoscia e gioia ove ogni immagine si dissolve. Ma non c'è alcuna onnipotenza di un soggetto al quale basta immaginare per creare, proprio perché non c'è alcun soggetto, semplicemente l'apparire sperimenta se stesso e si sperimenta immediatamente vero.
So bene che è una dimensione questa che risulta assurda all'osservatore che giudica del vero e del falso, è estremamente rischiosa e il soggetto (e di conseguenza l'oggetto) nasce e vuole durare proprio per non incontrare questo rischio, lo esorcizza con descrizioni che istituzionalizzano giudizi di vero e di falso secondo metodo e regola, con definizioni di parole da credere solo convenzionali e arbitrarie, come mezzi a disposizione per maneggiare il mondo previa verifica, parole sottratte alla verità del loro accadere che precedette qualsiasi definizione concordata sul grido di un pianto, o su un riso di gioia.
L'osservatore nasce solo perché qualcun altro lo osserva (il volto di un altro che lo guarda gli appare) e gli restituisce ciò che si svela come un oggetto che egli potrà osservare e utilizzare per sopravvivere come io, potrà giudicare buono o cattivo, bello o brutto, vero o falso, vivendo in un mondo che ha durata e confini entro i quali potrà sentirsi, per un po', al sicuro.
Ma questa verità, che è lo svelamento del reale, sotto sotto resta sempre e ogni tanto riappare, magari per dileguarsi subito. Perché l'io dell'osservatore, una volta che c'è, c'è in qualche misura sempre, anche se a volte si immagina come se non ci fosse, fa finta di non esserci.
I significati non sono a disposizione arbitraria di chi li pensa o li immagina, ma sono duri come pietre e taglienti come lame acuminate, scavano e lasciano segni profondi, solo ciò che non ha significato non lascia alcun segno e quindi non si manifesta.
E tutto questo lo dico da osservatore, da uno che giudica del vero e del falso, ma in qualche modo sa, o forse ha solo un vago sentire del fatto, che non è tutto lì e cerca di recuperare il resto pur sapendone bene il pericolo.