Ogni Papalagi ha un lavoro. È difficile spiegare cosa sia. È un qualcosa che si dovrebbe avere una gran voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha. Avere un lavoro significa: fare sempre la stessa identica cosa.
Il Papalagi di ogni attività fa un lavoro. Se uno raccoglie le foglie appassite dall'albero del pane fa un lavoro. Se uno pulisce le stoviglie fa un altro lavoro. Tutto è lavoro se si fa qualcosa. Con le mani o con la testa. Anche pensare o guardare le stelle sono lavori. Non c'è niente che possa fare un uomo che il Papalagi non possa trasformare in lavoro. Se un bianco dice: sono uno che scrive lettere, significa che questo è il suo lavoro, e cioè non fa altro che scrivere una lettera dopo l'altra.
Mangia pesci, ma non va a pescare, mangia frutta, ma non raccoglie mai un frutto. Scrive una lettera dietro l'altra perché questo è un lavoro.
E così va a finire che la maggior parte dei Papalagi sanno fare solo quello che è il loro lavoro.
Il Grande Spirito ci ha dato le mani perché possiamo raccogliere frutti, prendere radici, ce le ha date per proteggere il nostro corpo dai nemici, e per la nostra gioia nella danza, nel gioco e in tutti gli altri divertimenti. Sicuramente non ce le ha date solo per costruire capanne, raccogliere frutti o strappare radici. Questo però il Papalagi non lo comprende. Ma che il suo agire è sbagliato, completamente sbagliato e contro il Grande Spirito, lo vediamo dal fatto che ci sono Bianchi che non riescono più a correre, che mettono molto grasso sulla pancia come i maiali, perché devono stare sempre fermi a causa del loro lavoro, che non riescono più a sollevare un giavellotto e lanciarlo.
Anche il lavoro è un demone che distrugge la vita. Un demone che da all'uomo allettanti consigli, e che però gli beve il sangue dal corpo.
Questa è la causa della grande infelicità del Papalagi. È bello prendere acqua al ruscello, anche più volte al giorno; ma chi deve farlo dall'alba al tramonto tutti i giorni e tutte le ore, finché gli bastano le forze, scaglierà via in un impeto d'ira il secchio, pieno di collera per le catene con le quali è tenuto il suo corpo. Perché niente è più pesante di dover fare sempre la stessa cosa. Per questo cova un odio profondo. Tutti quanto hanno nel cuore qualcosa che somiglia a un animale tenuto in catene, che si ribella ma non riesce a liberarsi.
Questo porta a confusione, disperazione o malattia. Se il Papalagi mi sentisse dire tutte queste cose, direbbe che sono io folle, ma il Papalagi non ci ha detto la verità, e non ci ha spiegato il motivo per cui dovremmo lavorare di più di quanto voglia Dio per saziarci, per avere un tetto e divertirci alle feste del villaggio.
Il Papalagi quando parla del suo lavoro sospira come se un peso lo schiacciasse. I giovani delle Samoa si recano cantando nei campi di taro, e cantando le vergini lavano i panni alla fonte zampillante . Il Grande Spirito vuole che rimaniamo fieri e giusti in ogni cosa che facciamo, e sempre uomini con occhi gioiosi e membra sciolte.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il grande spirito perchè non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell'ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un'ora.
Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perchè hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.
tratto da:
Papalagi: discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa
http://www.ibs.it/code/9788872264201/papalagi:-discorso-del.html
Il Papalagi di ogni attività fa un lavoro. Se uno raccoglie le foglie appassite dall'albero del pane fa un lavoro. Se uno pulisce le stoviglie fa un altro lavoro. Tutto è lavoro se si fa qualcosa. Con le mani o con la testa. Anche pensare o guardare le stelle sono lavori. Non c'è niente che possa fare un uomo che il Papalagi non possa trasformare in lavoro. Se un bianco dice: sono uno che scrive lettere, significa che questo è il suo lavoro, e cioè non fa altro che scrivere una lettera dopo l'altra.
Mangia pesci, ma non va a pescare, mangia frutta, ma non raccoglie mai un frutto. Scrive una lettera dietro l'altra perché questo è un lavoro.
E così va a finire che la maggior parte dei Papalagi sanno fare solo quello che è il loro lavoro.
Il Grande Spirito ci ha dato le mani perché possiamo raccogliere frutti, prendere radici, ce le ha date per proteggere il nostro corpo dai nemici, e per la nostra gioia nella danza, nel gioco e in tutti gli altri divertimenti. Sicuramente non ce le ha date solo per costruire capanne, raccogliere frutti o strappare radici. Questo però il Papalagi non lo comprende. Ma che il suo agire è sbagliato, completamente sbagliato e contro il Grande Spirito, lo vediamo dal fatto che ci sono Bianchi che non riescono più a correre, che mettono molto grasso sulla pancia come i maiali, perché devono stare sempre fermi a causa del loro lavoro, che non riescono più a sollevare un giavellotto e lanciarlo.
Anche il lavoro è un demone che distrugge la vita. Un demone che da all'uomo allettanti consigli, e che però gli beve il sangue dal corpo.
Questa è la causa della grande infelicità del Papalagi. È bello prendere acqua al ruscello, anche più volte al giorno; ma chi deve farlo dall'alba al tramonto tutti i giorni e tutte le ore, finché gli bastano le forze, scaglierà via in un impeto d'ira il secchio, pieno di collera per le catene con le quali è tenuto il suo corpo. Perché niente è più pesante di dover fare sempre la stessa cosa. Per questo cova un odio profondo. Tutti quanto hanno nel cuore qualcosa che somiglia a un animale tenuto in catene, che si ribella ma non riesce a liberarsi.
Questo porta a confusione, disperazione o malattia. Se il Papalagi mi sentisse dire tutte queste cose, direbbe che sono io folle, ma il Papalagi non ci ha detto la verità, e non ci ha spiegato il motivo per cui dovremmo lavorare di più di quanto voglia Dio per saziarci, per avere un tetto e divertirci alle feste del villaggio.
Il Papalagi quando parla del suo lavoro sospira come se un peso lo schiacciasse. I giovani delle Samoa si recano cantando nei campi di taro, e cantando le vergini lavano i panni alla fonte zampillante . Il Grande Spirito vuole che rimaniamo fieri e giusti in ogni cosa che facciamo, e sempre uomini con occhi gioiosi e membra sciolte.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il grande spirito perchè non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell'ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un'ora.
Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perchè hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.
tratto da:
Papalagi: discorso del capo Tuiavii di Tiavea delle isole Samoa
http://www.ibs.it/code/9788872264201/papalagi:-discorso-del.html