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Messaggi - Phil

#691
Attualità / Re: morto nel sonno
11 Dicembre 2022, 12:30:24 PM
Citazione di: Gyta il 11 Dicembre 2022, 11:02:04 AMEsiste una ricerca tuttora in corso a tale proposito su una sindrome denominata per l'appunto SADS "Sudden Adult Death Syndrome" poiché di "naturale" in queste morti premature non c'è proprio nulla.
Pare che tale sindrome sia spesso interpretata come "Sudden Arrhythmia Death Syndrome", espressione che ambisce a suggerire nel suo nome anche la probabile risposta circa la causa della sudden death, spesso sganciandosi dalla "caccia alle streghe armate di siringa" (v. ad esempio qui, qui, qui e qui).
Questi sono link "covid-free" sull'argomento (li segnalo senza averli letti, sperando possano interessare):
https://www.rxlist.com/sudden_adult_death_syndrome/definition.htm
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8901078/
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0378111921006624

P.s.
Questa carrellata di link non contiene "sacre scritture" né dogmi di verità inconfutabili, ma forse può servire ad approfondire per andare oltre l'amatoriale «secondo me...». Ad esempio, secondo me, la ripresa dell'attività sportiva agonistica dopo mesi di lockdown ed inattività, magari combinata con strascichi di malattie respiratorie (senza fare nomi), potrebbe essere uno dei fattori da considerare nell'interpretare l'aumento delle sudden death fra giovani sportivi.
#692
Attualità / Re: morto nel sonno
10 Dicembre 2022, 16:12:17 PM
In merito segnalo: https://facta.news/articoli/2022/12/09/died-suddenly-documentario-vaccini-covid/ preferendo non indugiare nei soliti discorsi sull'inevitabilità di effetti collaterali nei vaccini, sui rapporti fra morti evitate e morti causate, sull'indubbia saggezza del "senno del poi" e del "chi non fa, non sbaglia", etc.
#693
Citazione di: niko il 09 Dicembre 2022, 13:08:15 PMIn realta' la mia posizione e' che il nulla non valorizza ne' svalorizza la vita: per quanto cio' possa essere difficile, bisogna riuscire a pensare oltre il presunto valore salvifico (come ricorreva nella precedente discussione su Schpenahuer) del nulla, e, allo stesso tempo, oltre il problema nichilista e pessimista della morte intesa come un sonno senza sogni eterno, insomma oltre il -cupo- problema del "terminare", dopo la morte, nel nulla.
Concordo in un "terzo nichilismo": oltre a quello pessimista che afferma che nulla ha valore (ricavandone, non senza  una certa autocontraddizione, un valore negativo per l'esistenza), a quello edonista-volontarista che afferma che tutto il valore positivo è proprio nell'assenza di un meta-valore post-mortem, aggiungerei il nichilismo per cui l'assenza di un valore assoluto è (pre)condizione di possibilità per la non assegnazione di un valore (negativo o positivo che sia).
Con questo terzo nichilismo si esce dal gioco "valore buono / valore cattivo", "spassiamocela di qua / spassiamocela nell'aldilà", etc. per entrare (e magari "risiedere") in una consapevolezza di assenza di valore, sia assoluto sia "libidico", consapevolezza a partire dalla quale ogni valore (sia assoluto che "libidico") traspare per quello che (non) è e per quello che "vale" nel suo contesto culturale di praticanti (e non-praticanti).
Una volta aperto uno schermo e visto cosa non c'è dentro, le immagini che scorrono sulla sua superficie si osservano con più disincanto, ma ciò non toglie che possano comunque affascinare o respingere.
#694
Tematiche Filosofiche / Re: Memoria e Coscienza
08 Dicembre 2022, 21:43:42 PM
Citazione di: Ipazia il 08 Dicembre 2022, 19:25:31 PMNelle dispute filosofiche, come nelle gare sportive, i contendenti sono avversari senza che nessuno si faccia male, solitamente. E vinca il migliore ! (sul campo).
Personalmente, non confondo le dispute filosofiche con le dispute politiche o da stadio: mi piace ricordare che in quelle filosofiche ci può essere un interlocutore che non è un "avversario", ma portatore di un'altra prospettiva che non è da (ab)battere, ma in primis da comprendere (v. ermeneutica); mi piace ricordare che confutare non è lo scopo del gioco perché quando si ha ragione in fondo non si impara nulla (per quanto non confutare ipotesi "franose" sia quasi scortesia); mi piace ricordare che non è filosofico difendere ad ogni costo (soprattutto a costo dell'onestà intellettuale) il proprio castello da qualunque assalto, ma è ben più filosofico lasciarci entrare qualcuno e chiedergli se trova qualche scala poco solida o qualche soffitto bucato (v. differenza fra retorica e logica); mi piace ricordare che il collaudo della maieutica non sta nel «ti spiego io qual è la verità», bensì nel «vediamo [plurale non a caso] quale verità può sostenere la tua posizione». Mi piace ricordare questo e anche che il buon Socrate è già morto, ma se facciamo della filosofia un duello sofistico fra citazioni, autodifesa a oltranza delle proprie idee e furori da "cavalieri della Verità", direi che lo ammazziamo una seconda volta, come faremo, appunto, con un avversario nel "Colosseo delle vanità". Giusto, sbagliato? De gustibus, ma a me non piace (e così anche stavolta sono riuscito ad andare off topic...).
#695
Citazione di: PhyroSphera il 06 Dicembre 2022, 21:45:29 PMIo ho mostrato che una cosa semplice come la frutta non è descrivibile sfruttando il principio di non contraddizione
[...]
La frutta non è l'insieme dei frutti diversi, è un tipo di organismo vegetale e non può essere fatto corrispondere a un insieme
Il principio di non contraddizione non ha lo scopo di "descrivere", ma di evitare contraddizioni, permettendo così la coerenza di un discorso. Nelle frasi che hai citato non c'è contraddizione logica (se si intende bene la suddetta differenza fra identità e appartenenza); ci sarebbe se tu affermassi che «la frutta è un organismo vegetale e non è un organismo vegetale». Se invece affermi che la mela e la pera sono tipi di frutta non c'è alcuna contraddizione, essendo infatti entrambi degli "organismi vegetali" (come vedi la logica serve anche a tenere a bada una certa sofistica). Che un uomo e una donna siano entrambi esseri umani è forse una contraddizione? Non lo è, né per la genetica, né per la realtà, né per la logica, etc.
Che la vita sia fatta di gioie e dolori non è una contraddizione esistenziale (che cosa viene contraddetto?), ma un dato di fatto, perfettamente coerente con la mutevolezza delle situazioni, delle esperienze e della loro elaborazione psicologica.
#696
Citazione di: PhyroSphera il 06 Dicembre 2022, 13:53:57 PMEppure anche la sola esistenza della frutta implica una contraddizione del reale, come ho mostrato.
L'esistenza della frutta non implica alcuna contraddizione, né logica né reale; specialmente se intendiamo «contraddizione» con il significato ben preciso che ha nel riferimento al principio di non contraddizione o anche, più in generale, nella logica formale.
La frutta non implica contraddizione logica poiché notoriamente è il nome di un insieme di elementi e, stando al primo principio fondatore di ogni logica conosciuta, il principio di identità, se "A = mela" e "B = frutta", si può affermare la verità dell'uguaglianza "A = B" se e solo se A e B sono la stessa "cosa"; così, evidentemente, non è.
Di fatto non si mangia mai la frutta, che è insieme concettuale di frutti, ma un frutto specifico, come già ricordato da iano che ha anche esplicitato la differenza fra appartenenza ed identità: un elemento appartiene ad un insieme ma non è l'insieme; la mela appartiene all'insieme della frutta, non è la frutta; in simboli: A ∈ B non è A = B (puoi trovare agevolmente riscontro di ciò in ogni manuale di logica, o anche solo di insiemistica).
Sul piano del reale, essere contraddittori per esistenza, come già detto, significherebbe esistere e non esistere allo stesso tempo e prescindendo dal discorso che se ne fa in merito; situazione ontologicamente contradditoria che, fino a prova contraria, non si realizza mai.
#697
Citazione di: PhyroSphera il 04 Dicembre 2022, 01:42:20 AMLa realtà invece è un'antinomia.

In termini più concreti: l'esistenza è contraddizione.
Oltre alla precisa osservazione di iano sulla differenza fra identità (onto)logica ed appartenenza insiemistica, aggiungerei che l'esistenza non può essere contraddizione, poiché la contra-ddizione presuppone la "dizione", un discorso il cui significato negherebbe se stesso; tuttavia l'esistenza non è discorso, non è logos. Le categorie del logos, che mirano a descrivere l'esistenza, vengono proiettate sull'esistenza ma non sono l'esistenza in generale. Se, di fronte ad un fiore giallo, affermo «quel fiore è rosso», l'esistenza di quel fiore non è scalfita dalle mie parole, tanto quanto le mie parole non perdono di significato per la mancanza di corrispondenza con la realtà; la falsità non è infatti assenza di significato/senso (semmai è assenza di referente).
L'esistenza stessa della contraddizione logica non è contraddittoria: se scrivo «oggi è e non è giovedì», l'esistenza di questa contraddizione non è contraddittoria, poiché tale affermazione, nello scriverla, esiste palesemente senza contraddizione (si avrebbe contraddizione di esistenza se tale scritta esistesse e non esistesse allo stesso tempo). Ciò che è contraddittorio è il significato dell'affermazione, ma ciò non ne contraddice l'esistenza. L'esistenza e il discorso sull'esistenza non si confondono in una logica attenta e, fino a prova contraria, non esistono contraddizioni ontologiche fuori dal linguaggio, nel "mondo extra-linguistico".
#698
@Mauro
Non ho affermato che "l'assenza sia un nulla"(?), bensì che lo stud-ente non è coinvolto in nessun evento ontologico a scuola, ma solo a casa, dove è pres-ente; a scuola accade l'evento psicologico dell'attesa della presenza dello studente che, non accadendo, non realizzandosi, ha come evento-effetto la registrazione della sua assenza da parte della maestra (credo concorderemo sul fatto che un evento psicologico può causare un evento ontologico... nel dubbio: un bimbo che non riceve un regalo a Natale, per la delusione, piange. L'assenza del regalo, che non essendo stato comprato ed essendo in quanto sorpresa una "variabile ignota", non è un ente chiaramente identificabile, tale assenza è per te comunque "lontananza"? Di quale ente, non essendo identificabile? Tale "regalo" non esiste più, o meglio, solo sul piano psicologico, piuttosto che ontologico? Non sto paragonando il regalo allo studente, intendiamoci, l'esempio mi serve per provare a capire meglio).
Se non si coglie la differenza fra evento psicologico ed evento ontologico, fra assenza come presenza attesa e assenza come mera possibilità mancata, fra ente presente (lo studente a casa) ed evento presente (la maestra che in quel momento ne segna l'assenza), etc. concordo che tutto possa sembrare un'elucubrazione poco chiara. Per chiarire, le domande già poste credo possano giovare (o, quantomeno, aggirarle non giova).

@viator
Concordo con te che il comprendere e il farsi comprendere (v. poco sopra) non sia un'impresa facile, anzi sia talvolta persino compito faticoso, quando ci vengono poste domande a cui poter (non «dover») rispondere, messaggi che meritano una rilettura calma, perché scritti male o piuttosto "densi",  etc. aggiungerei che le incomprensioni non riguardano purtroppo solo il "lettore medio", ma ogni lettore in quanto tale; tuttavia se si è motivati a comprendere, può capitare talvolta che la comprensione sia un fenomeno persino piacevole, oltre che, a suo modo, utile. Resta il fatto che non sempre gli sforzi danno buon esito, ma forse c'è un sottile edonismo, quasi ludico, anche nel solo provarci.
#699
@viator

Quando parlo con un interlocutore che usa un determinato vocabolario, cerco nel mio piccolo di usare il suo stesso vocabolario nella convinzione che ciò agevoli la comprensione reciproca. Più che forzarlo ad usare il mio vocabolario, se mi interessa comprendere la sua posizione, preferisco sforzarmi di capire prima di tutto il suo vocabolario (altrimenti più che parlare delle sue idee si finisce con il dissertare sul suo vocabolario e delle differenze con il mio, che non è quello che solitamente mi interessa).
Se non ho frainteso il vocabolario di Mauro quando parla di «evento» scrivendo «Se uno studente fa assenza a scuola, si tratta pur sempre di un evento non di un nulla»(cit.) e poi «Ma lo studente che resta a casa e non va a scuola è pur sempre un evento» (cit.) credo che lui abbia poi capito il senso delle mie osservazioni (in cui ho cercato di parlare la sua lingua) sull'evento della presenza a casa dello studente.
Altri, con altri vocabolari o con il vocabolario "giusto", possono anche restare spaesati, tuttavia se il focus del discorso è sui contenuti, credo che l'importante sia anzitutto assicurarsi un vocabolario condiviso per capirsi, ad esempio dando ad «evento» lo stesso significato.
Al posto di «evento» possiamo usare «fatto», «condizione» o altro, oppure soffermarci sulle differenze di significato fra ciascuno di tali termini, tuttavia se li sostituisci, impropriamente, alle frasi di Mauro che ho citato, nondimeno il "succo" della conversazione e delle mie osservazioni, non a caso, non cambia poi di molto.
#700
Citazione di: PhyroSphera il 29 Novembre 2022, 21:43:19 PMMa lo studente che resta a casa e non va a scuola è pur sempre un evento.
Certo, lo stare a casa dello studente è un evento; le mie osservazioni (e le mie domande) erano sull'assenza (fra)intesa come evento ontologico (e non psicologico); sulla presenza a casa dello studente credo siamo tutti concordi.
#701
Citazione di: PhyroSphera il 29 Novembre 2022, 12:11:53 PMSe uno studente fa assenza a scuola, si tratta pur sempre di un evento non di un nulla.
Considerando la differenza ontologica fra ente ed evento (l'affiorare all'esistenza dell'ente è un evento, ma l'evento non è in sé un ente), il mancato evento che esistenza ha? Cosa esiste nel mancato evento che lo differenzia dal nulla, se non l'evento (avvenuto) che qualcuno (ente) lo abbia pensato e, in un certo senso, atteso?
Se uno studente non va a scuola, ciò è davvero in sé un evento? Se lo è, in cosa si differenzia (se è il caso) dal non indossare certi orecchini da parte della maestra, dal non inciampare del bidello, dal non crollare della scuola e da altri letteralmente infiniti possibili mancati eventi? La maestra (ente) segna (evento) l'assenza dello studente solo perché c'era aspettativa al riguardo; non perché l'assenza in quanto tale sia un evento (come non lo è anche per gli altri casi suddetti), ma perché l'evento atteso della presenza non accade (entro tempi e luoghi prestabiliti). Non siamo quindi sul piano ontologico, ma sul piano psicologico dell'attesa di un evento, il cui non realizzarsi non è evento ontologico (non accade "nulla"), bensì evento psicologico in chi realizza (in entrambi i sensi) la non corrispondenza fra la sua attesa (aspettativa, o simile) e gli eventi reali.
La differenza ontologica fra eventi che accadono ed eventi che non accadono si risolve tutta nel gioco retorico che pensa l'assenza come "presenza menomata" ma pur sempre "(pseudo)presenza" della possibilità mancata? Davvero l'esistere nel mondo (ente e/o evento) è affiancabile ontologicamente all'esistere in potenza (né ente né evento mondano, ma solo evento "mentale")? Quanto senso ha un'"ontologia dell'assenza", del evento mancato, della realtà non realizzata, o ciò non è forse più una psicologia che un'ontologia?
#702
Citazione di: PhyroSphera il 28 Novembre 2022, 22:56:38 PMLa Noluntas schopenhaueriana infatti non è non-volontà ma è volere di non volere. La nullità in Schopenhauer non è del mondo in senso assoluto ma del mondo delle illusioni che manifestandosi inconsistente fa posto alla verità sull'universo non al niente.
Sul rapporto fra noluntas, mondo "oggettivo" e filosofia dell'esistenza, questa citazione audio da "Il mondo come volontà e rappresentazione" mi sembra abbastanza significativa:
https://www.youtube.com/watch?v=gA5dAi5MrDE
#703
Per approcciare l'argomento si possono leggere questo articolo e il primo capitolo di questo libro (pp. 19-43).
#704
Notoriamente, la felicità dipende dall'attitudine personale, da una certa indole e dalla visione del mondo entro cui si compiono le proprie scelte; si può esser felici con pochi soldi come infelici con molti. Nondimeno l'essenza dei soldi è il loro potenziale (d'acquisto) che consente di ottenere quelle particolari felicità che senza adeguata somma di denaro sarebbero precluse. Persino il tempo può essere "comprato", con le giuste condizioni. Il succitato Musk, nonostante il "ricco portafoglio", probabilmente non può "comprarsi" sei mesi con la spina staccata, offline, pur avendo magari validi manager a cui lascare le redini dell'azienda. Non può perché magari non vuole, perché preferisce gestire le sue mille attività, magari quel legame fatto di costanti impegni e investimenti lo rende felice. Se invece facciamo vincere una lotteria, seppur di valore inferiore alle possibilità economiche di Musk, ad un impiegato qualunque, egli magari si prenderà sei mesi o sei anni o più per viaggiare per il mondo, senza ansie da sostentamento economico e, supponiamo, con la certezza di avere abbastanza soldi residui per arrivare felicemente alla pensione senza dover tornare in ufficio. Quest'uomo, grazie ai soldi della lotteria, si è "comprato il suo tempo", smettendo di essere costretto a fare ciò che magari non gli piaceva per dedicarsi a ciò che lo rende felice (supponiamo viaggiare).
Morale della favola: non conta quanti soldi hai, ma quanti puoi effettivamente spenderne per ciò che ti rende felice. Fermo restando che non esiste una "felicità definitiva" (altrimenti non sarebbe felicità), i soldi non portano automaticamente felicità, ma in certi casi possono far comprare ciò che rende felici come, banalizzando ad un mese dal Natale, poter pagare fischiettando le spese di consegna a domicilio risparmiandosi la via crucis di negozio in negozio per comprare i regali (ed "acquistando" così felicemente tempo libero, meno stress e meno rischio di ingorghi alle casse o altri imprevisti da shopping).
#705
L'oggettività mi pare incompatibile con il bello nell'arte e quanto più la storia dell'arte avanza tanto più sembra evidente; così come è evidente che tentare di attualizzare categorie filosofiche attraverso i secoli è tanto più rischioso quanto più sono (appunto) categorie deboli in oggettività. Ci si può appoggiare a qualche passo del testo per cogliere l'impasse in cui cadono i rispettabili tentativi oggettivanti a qualche secolo di distanza:
Citazione di: PhyroSphera il 26 Novembre 2022, 20:43:09 PMNel giudizio estetico vediamo in atto il giudizio riflettente, ossia quel giudizio che non sussume il caso sotto la regola, ma fa in modo che sia il caso che inventi la sua regola.
Se è il caso che assurge a regola («inventare una regola» è già sintomo di congedo dall'oggettività), nulla vieta che da casi differenti originino regole contrastanti e persino contraddittorie; su questa base ogni oggettività perde automaticamente di fondamento. Le regole autoreferenziali dell'impressionismo e dell'astrattismo possono convivere sotto l'egida della bellezza solo se essa si concede di non presentarsi come oggettiva; viceversa la contraddizione fra le regole della casistica sarebbe tale che, per restare una disciplina oggettiva, una delle due correnti non sarebbe più da considerare "oggettivamente arte"1.
Citazione di: PhyroSphera il 26 Novembre 2022, 20:43:09 PMSappiamo ora che nell'arte non ci sono regole generali che preesistono i casi. Questo è interessante perché ci permette di evitare di usare gli stessi criteri per giudicare correnti artistiche completamente differenti come realisti, impressionisti, espressionisti, surrealisti, ecc. Sussumere casi sotto la stessa regola non avrebbe potuto permettere di pensare come arte molte correnti che rompono le righe rispetto alla tradizione. Ogni corrente, si potrebbe quasi dire, si è data una regola a se stessa.
Questa autoreferenzialità di ciascuna corrente artistica incarna l'antitesi dell'oggettività: se non è possibile usare trasversalmente gli stessi criteri, questi non sono criteri oggettivi adeguati ad un "contenuto" oggettivo; così come non può essere oggettivo il risultato di giudizi già prefigurati sulle peculiarità di una corrente artistica. Se non fosse assente tale oggettività, lo schizzo di un quadrato su carta sarebbe autoreferenzialmente ed "oggettivamente bello" tanto quanto «Il quadrato bianco su sfondo bianco» di Malevic (non conterebbe allora la firma, il contesto, etc. ma solo l'oggetto). Così non è, ma non perché c'è un gusto oggettivo che rileva oggettive differenze fra i due, bensì perché il contesto socio-culturale, il periodo storico, i gusti dei critici d'arte, etc. sanciscono cosa è arte a prescindere dall'oggettività dell'opera (l'utente Eutidemo l'ha implicitamente accennato in un suo topic: fare "i tagli su tela" non è oggettivamente arte se li fai per secondo e a decenni di distanza dal contesto in cui erano "elevabili" ad arte, pur restando i tagli oggettivamente tali). L'espediente del concetto di «gusto» (e l'annessa liquidazione di giudizi differenti e divergenti tramite una mera "carenza di gusto") non è sufficiente, anzi: è evidente (ed oggettivo) come il gusto cambi con le epoche e con i soggetti giudicanti, risultando piuttosto inaffidabile come garante di una ipotetica oggettività (e sostenere che «l'universalità del gusto si basa su una forma di senso comune» è praticamente un autogol, se si considera con attenzione come "funziona" il senso comune).  Inoltre, posporre il piacere al giudizio estetico non lo rende oggettivo fintanto che il giudizio (d'innesco del piacere) è soggettivo, essendo soggettive le facoltà d'intelletto, sentimento ed immaginazione chiamate in causa dall'arte.
Nel novecento (ma il buon Kant non avrebbe certo potuto saperlo) molti si sono interrogati su cosa renda tale un'opera d'arte e, non a caso, la conclusione oggettiva comune a molti, pur nelle rispettive differenze, è che l'arte non è questione di oggettività (così come il bello potrebbe non essere solo una questione di proporzioni auree, come pare suggerire, ma forse sbaglio, le neuroestetica quando riconosce che «la bellezza, [...] è un'esperienza astratta [personale e culturalmente orientata]», cfr. qui).


1 L'importanza dell'oggettività della regola ci è spiegata proprio dal sublime kantiano citato in seguito: sia quello matematico che quello dinamico si basano su caratteristiche oggettive sino ad essere misurabili in formule e rapporti numerici (dunque regole); nessun uomo può infatti affermare (s)oggettivamente che il cielo sia uno spazio piccolo o che un terremoto sia tranquillizzante; la soggettività del giudizio è quasi azzerata dalla matematizzazione degli elementi in gioco (la prospettiva e il campo visivo, la magnitudo della sollecitazione fisica, etc.). Tale quantificazione delle componenti e dei loro rapporti, non trova altrettanto successo nel bello dell'arte, mutevole con le epoche e le correnti culturali come sono mutevoli le forme e i contenuti dell'arte; a differenza del cielo e dei terremoti.