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Messaggi - Lou

#691
@myfriend
"Abbiamo sempre creduto che tutto ciò che si palesa di fronte ai nostri occhi e che viene colto attraverso i nostri apparati sensoriali sia l'unica realtà esistente: e cioè corpi e oggetti distinti e separati nello spazio. Io sono distinto e separato da te; tu sei distinto e separato da me; entrambi siamo distinti e separati da una sedia o dalla Luna o da un cane. Questa "fede" è la più difficile da superare mentalmente. Perchè è una "fede" che nasce da ciò che vediamo con i nostri occhi. Come possiamo non credere a ciò che vediamo con i nostri occhi? "
La realtà é anche dividuale, che vuoi farci, mica solo individuale. Chiedo venia per la concisione.
#692
"Come è fatta la Realtà (con la R maiuscola)"
Come la descrive la visione scientifica, non era la tua posizione pomeridiana in relazione arte e scienza? O non era definitiva? @.@ O é stata una svista quella "R" e quella formula che mi hai propinato non descrive la "Realtà"? Non é fatta o é o fatta  di materia/energia dunque, la Realtà?
#693
Meno male, mi spiace che pure la scienza é interpretazione, efficace quanto vuoi, ma l'arte non é da meno, dipende dall'ambito di realtá che vanno a modellare. ;)
#694
O ma c'è l'hai con le interpretazioni? Funzionano pure quelle, spesso meglio dei transistor e paccottaglia varia.
#695
Mi riservo tempo per elaborare il tutto, ma il punto é, a pelle , non é che la visione scientifica sia essa stessa da considerarsi "interpretazione"?
#696
Sí ti sei spiegato (anche se almeno un "senso", quello del "funzionamento" é ammesso, ma tant'é) cmq una domanda che mi pare hai le idee strachiare, ma la "Realtà" descritta dalla scienza é priva di "senso" oppure è la scienza ad essere inetta ad indagarlo/i esulando dal proprio campo di indagine e non si può pronunciare a riguardo non potendosene occupare?
#697
E=M*C^2 pur significa: un significato lo ha altrimenti non sarebbe una formula comprensibile.
#698
"La scienza descrive la Realtà per ciò che essa oggettivamente è e non perchè sia così.
La scienza, quindi, è una visione oggettiva della Realtà e non attribuisce ad essa un significato."
Non è attribuire alla realtà un significato preciso il ritenerla oggettiva?
#699
"Comunque sia, salvo che qualcuno ne possa e voglia discutere, quel tal qualcosa spinge per venir preso in considerazione... di più, per prender l'artista entro la sua prospettiva (dentro il suo orizzonte) e condurlo al paesaggio... già perfetto e definito ma non manifestato, necessitando per ciò l'opera dell'uomo..."

Forse é sempre e solo quel tal qualcosa, l'impensato, a dar da pensare.
________

Molto interessante il riferimento all'animale guida, suggestivo. Grazie a te per questo spunto.
#700
"E il paesaggio che sará mai?"

Per me tutto ciò che accade all' interno all'orizzonte aperto dalle linee prospettiche e quello che non conosciamo ancora oltre l'orizzonte.

#701
Citazione di: HollyFabius il 08 Febbraio 2017, 22:46:37 PM
Citazione di: filosofia1 il 08 Febbraio 2017, 07:53:48 AM
...solo un appunto intorno all'arte; poichè son convinto l'arte non possa accedere, mai, a quel che tu chiami immortalità, perciò divenir sempre stante e soddisfar l'esigenze umane. Non possa farlo per le sue caratteristiche intrinseche che son dell'artifizio, di ciò che allontana e non avvicina l'esser uomo al desiderio suo primo, colui che appunto, l'immortalità, creda giovi e non danneggi se stesso. Io insisto che l'arte diverge dalla natura quanto l'uomo dal suo approdare la felicità, e più si ricercano nuove forme d'arte più si erra, e la natura allontana, che solo quella conduce a ciò che gli uomini chiamano per arte, libertà.

Saluti
Beh, io ho scritto che mira all'immortalità non che riesca ad accedervi. L'Atto creativo è in termini di volontà un atto divino, in termini reali il divino, l'immortalità possono essere pura illusione. Il desiderio di Immortalità è anche il fine della Scienza, attraverso la progressiva eliminazione degli ostacoli verso di essa; anche in questo caso il processo può essere illusorio. E' in realtà l'atteggiamento profondamente diverso che distingue Scienza e Arte, da una parte vi è una forma di ricerca immediata, come ho forse detto sopra attraverso una relazione estetica ed estatica, dall'altra parte vi è una forma di ricerca mediata, attraverso modelli di rappresentazione e tecniche di controllo.
Ciao Holy e ciao a tutti.
Leggendo questo intervento ho ripensato a Nietzsche che definisce l'arte una forza sovrastorica eternizzante. Non so se i termini del tuo intervento possono essere letti in questo senso senza essere male interpretati, tuttavia trovo che l'ambizione di trascendere i limiti della mortalitá attraverso l'arte è in ciò il tentativo di spingersi oltre l'umano caratterizzi l'atto creativo, "divino" anche perché capace di rendere immortale il mortale.
#702
Citazione di: Socrate78 il 18 Settembre 2016, 13:49:30 PM
Salve, avevo già scritto nel vecchio forum (nel 2014), adesso vorrei proporre questo thread sul rapporto tra la natura e l'uomo, un tema su cui amo riflettere spesso in quanto appassionato di filosofia e di letteratura.
A me sembra che la natura, in quanto tale, non sia affatto orientata al bene dell'individuo, ma anzi lo asservisce ad un sistema in cui il singolo è soltanto una mera pedina, un robot che viene usato e poi gettato quando diventa di intralcio al sistema stesso: il ciclo della nascita, crescita e morte obbedisce sostanzialmente a questa logica che però, per l'uomo dotato di consapevolezza razionale, appare fortemente inumana.
Infatti filosofi come Schopenhauer e poeti come Leopardi (che riprende in parte Schopenhauer) hanno appunto notato il carattere profondamente inumano del sistema-mondo, che non tiene conto dell'aspirazione dell'individuo alla felicità e alla libertà, ma al contrario sembra andare contro questi valori, poiché la "natura" sembra non farsi scrupolo di provocare calamità naturali, malattie e anche una passione apparentemente positiva come l'amore sembra limitare fortemente la libertà dell'uomo, poiché nella passione amorosa la persona appare come una specie di pedina nelle mani dell'altro, pronta ad assecondare l'altro in troppe cose e quindi condizionata al massimo. Tutto ciò provoca comunque illusione e dolore.
Ma c'è dell'altro: il sistema conoscitivo dell'uomo mi sembra molto fallace, poiché tante cose che vengono percepite attraverso i sensi (i colori, i suoni, i sapori) in realtà non esistono concretamente nel mondo esterno, ma sono solo il frutto dell'interpretazione del nostro cervello, ma in definitiva quest'interpretazione è una "menzogna", poiché non corrisponde ad un qualcosa di obiettivo. Ne consegue quindi il carattere relativo e del tutto aleatorio della conoscenza, un cane ad esempio ha una visione del mondo diversa dalla nostra, ma non si può affatto dire che sia sbagliata, semplicemente è differente. Quindi la natura sembra frustrarci anche nel nostro legittimo desiderio di obiettività e verità.
Secondo voi la mia analisi è corretta?
Io penso l'uomo parte integrante della natura, ovvero è parte integrante della natura intesa come oggetto di conoscenza. (Se si vuole l'osservatore è parte integrante dell'oggetto osservato.)Per quello che penso da parte mia sarebbe assai opportuno considerare il rapporto uomo/natura/conoscenza nella sua unità,  senza separare di netto i termini del rapporto. Lo stesso concetto di "natura" dipende dalla relazione che l'uomo intrattiene con l'ambiente e dal modo in cui intende questa relazione e si è modificato esso stesso nel tempo. E mii chiedo e se l'idea di una "natura in quanto tale", totalmente indipendente e indagabile da "fuori",  non sia essa stessa una finzione?
#703
Citazione di: maral il 17 Luglio 2016, 11:04:36 AM
Riprendo qui una parte del discorso di Jean, in "Percorsi ed esperienze", "La nostra riserva indiana...":
...
Partendo da qui vorrei porre la seguente questione: ci rendiamo conto (e in che misura ciascuno di noi) dell'impatto enorme che hanno sul nostro modo di pensare, di concepire il significato di noi stessi e del mondo, le scoperte scientifiche e gli stessi strumenti tecnologici che utilizziamo? Oppure pensiamo che la tecnologia che usiamo è indifferente, che potremmo pensarla e comunicare (influenzandoci reciprocamente) esattamente allo stesso modo con o senza di essa, che questa strumentazione elettronica che abbiamo davanti non ha alcuna influenza sul nostro "spirito" e dunque sul nostro modo di dialogare, pensare, credere, sperare o disperare?
Lo chiedo perché ritengo che sia fondamentale capire il ruolo dello strumento tecnologico (a partire dall'età della pietra) nella percezione prima o poi inevitabile del significato delle cose, ben più che in quello di una descrizione con pretese "oggettive" (nel senso di indipendente dalla posizione dell'osservatore) della loro realtà.  
Jean, ha ragione, gli strumenti tecnologici ci mettono in viaggio, e nel viaggio il panorama di cui partecipiamo muta e muta sempre più rapidamente e, che lo vogliamo o no, in questo panorama noi finiamo sempre con il finirvi inclusi, qualsiasi intima resistenza o ragione ci illudevamo di poter porre a questa inclusione per conservare un rifugio stabile per lo spirito.  
Ritengo che l'idea di una tecnologia neutra e indifferente rispetto alle modalità di comunicazione, incontro, scambio sia mitologia. Il mezzo non è neutro, nè indifferente, ma impatta profondamente sulla comunicazione in quanto è proprio la modalità di trasmissione e veicolazione del messaggio ad esser latrice di un potenziale di influenza ed esercitare funzioni sue proprie rispetto al fruitore, al di là dei contenuti che veicola. Uno slogan estremo di tale approccio fu "il medium è il messaggio" di McLuhan.
#704
Tematiche Filosofiche / Re:Cartesio aveva ragione?
17 Giugno 2016, 18:20:27 PM
Citazione di: Phil il 16 Giugno 2016, 22:46:51 PM
P.s. ...e fine del divertissement!
Re: non ancora, che c'é qualcuno che non perdona a Cartesio l'aver sostanzializzato lo iato platonico. ;)
#705
Tematiche Filosofiche / Re:Cartesio aveva ragione?
17 Giugno 2016, 18:12:20 PM
Citazione di: davintro il 16 Giugno 2016, 22:33:55 PM
Cartesio aveva certamente ragione nell'idea che la certezza fondamentale  da cui doveva fondarsi ogni pretesa di edificare il sapere sia il riconoscimento di ciò il cui esistere comprende la possibilità estrema di dubitare di tutto: il riconoscimento del dubbio stesso, cioè il pensiero. L'errore è stato quello di operare un passaggio logico arbitrario: dal riconoscimento della certezza di essere pensanti al fatto di considerare il pensiero come sostanza (res cogitans), esistenza autonoma e separata dal mondo fisico. Ma concepire il pensiero come "res" non tiene conto del fatto che il tratto costitutivo del pensiero è quello di essere sempre "pensiero di qualcosa" attività del soggetto che tende al rispecchiamento e rappresentazione del mondo oggettivo  e che da ciò si dovrebbe dedurre che la coscienza non è una realtà in sè, ma condizione, modalità d'essere per cui il soggetto pensante e cosciente non è chiuso in se stesso ma è sempre correlato ad una realtà trascendente e oggettiva. Questo errore cartesiano verrà corretto dal riconoscimento del carattere trascendentale, cioè concettuale dell'autocoscienza dalla gnoseologia kantiana e, in modo ancora più efficace, dalla fenomenologia husserliana con l'idea della coscienza non come realtà, ma come universale, cioè trascendentale punto di vista sul mondo, intenzionalità rivolta verso esso. La coscienza non sarà cioè più vista come "realtà", "sostanza", confusa col concetto di "anima", ma come necessario punto di partenza da prendere in considerazione per ogni discorso critico sulla realtà.

Cartesio resta comunque un grande per aver indicato come metodo del sapere razionale il portare il dubbio alle estreme conseguenze, senza timori reverenziali per l dogmi, la sottomissione intellettuale alle tradizioni, e per aver posto la conoscenza di se stessi come la sfondo necessario di ogni ricerca della verità che se vuole essere davvero critica deve prima di tutto essere "autocritica"cioè rivolgersi prima che verso l'esterno, verso se stessa, riconoscendo il proprio soggettivo punto di vista. In questo modo si riallaccia, certo a suo modo, alla grande tradizione socratico-agostiniana che cerca la verità prima di tutto nell'uomo interiore. Tradizione che andrebbe secondo me recuperata, rivalutata, chiarificata
In interiore homine stat veritas.
Ritengo, tuttavia, esista anche in Cartesio una istanza restaurativa, affiancata alla inaudita istanza socratica e rielaborata da Agostino: ho la convinzione che sostanziallizzare il cogito risponda più a elementi e fattori di carattere politico, che non puramente teoretici.  Un'eco di San Tommaso. Tra l'altro rimane fermo il Dio quale garante dell'accordo tra intelletto e cosa, occorre aspettare Kant e la sua rivoluzione per tirarlo fuori dai giochi.
Il dubbio cartesiano é certamente inebriante, ma rimane un aspetto di cui Cartesio stesso non acquista consapevolezza, sará la fenomenologia a indicare come anche Descartes, quando dubita, ricorra all'ipostatizzazione di ciò di cui dubita. Dubitare dell'apparire di questa candela che si scioglie fa dell'apparire il tanto d'essere di cui dubitare.