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Messaggi - 0xdeadbeef

#691
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 13:49:12 PM
La precettistica mosaica la trovi anche tra gli aborigeni australiani e i nativi americani. Pur in assenza di tavole della legge e con numi assai diversi da quelli della tradizione biblica. Nessuna comunità umana può essere fondata su omicidio, furto e menzogna.


Certo, è per questo infatti che dicevo (risposta #66): "Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità
di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto").
Oppure (risposta a Sgiombo #70): "Se poi, come sostiene esplicitamente l'amica Ipazia, vi fosse: "un'evoluzione etica che
rifonda continuamente il significato di comunità e di individuo al suo interno" le cose sarebbero diverse".
Voglio con ciò dire che se vi fosse, effettivamente, un progresso etico e morale sia nell'individuo sia in una comunità umana
vista via via e sempre più come includente (naturalmente fino a includere l'intero pianeta) la vostra prospettiva sarebbe
senz'altro nel vero, ma è così? Secondo me niente affatto, perchè l'andamento della storia (non le "violazioni" di cui
parla Sgiombo) non mostra esser così.
L'andamento della storia ritengo mostri chiaramente quel concetto di "empatia" di cui parlavo, e che consiste essenzialmente
nell'istinto alla sopravvivenza e alla continuazione di se stessi e dei propri "affini" (e via via sempre meno affini). Ma
questa, ritengo, non è e non può essere considerata "moralità".
La moralità così come da me intesa non può essere altro che un "imperativo categorico"; un "ab-solutus" che, proprio in
quanto tale, non distingue fra affini e non affini (cioè che non si svolge all'interno di nessun "contesto").
Intendiamoci, la mia non è una proposta "politica" (semplicemente perchè, politicamente, non può realizzarsi - cioè è
priva di sbocco, come giustamente notavi), ma solo e soltanto una proposta di condotta personale.
saluti
#692
Citazione di: everlost il 16 Ottobre 2018, 21:00:33 PM
Osservi che il reddito di cittadinanza non ce lo possiamo permettere.



Ciao Everlost
Ti premetto che io non solo ho votato un partito attualmente al governo, ma che di questo governo sono piuttosto soddisfatto
(aggiungo che non ho alcun pudore a chiamarmi "populista" e "sovranista", quindi...).
Vedo il reddito di cittadinanza così come, sembra, proposto di problematicissima applicazione. Non che lo ritenga, in assoluto,
sbagliato (certo muove da un'intenzione nobile e condivisibile), ma in potenza ritengo possa creare più problemi di quanti ne intenderebbe risolvere.
Guarda, io parto da un presupposto molto semplice: se io ho una mela e un euro, quella mela costerà un euro. Se io stampassi
un altro euro ma la mia pianta di mele non fruttificasse amcora, e quindi rimanessi con quell'unica mela, questa costerebbe
adesso due euro...
In altre parole, i soldi non sono che carta; il loro "valore" risiede solo e soltanto nel "bene economico" che permettono di
comprare (questo voleva dire quel "pagabile a vista al portatore" stampigliato nelle vecchie e care Lire - ora non a caso
scomparso dall'Euro...).
Da questo punto di vista, il RdC non farà fruttificare il nostro albero di mele, laddove invece rischia di far moltiplicare
la "carta" (che non si mangia...) ben al di là della mera cifra in questione (per un effetto, appunto, di "moltiplicazione"
ben conosciuto in economia).
La conseguenza, insomma, rischia di essere quella per cui, a fronte di una disponibilità di "carta" APPENA maggiore, avremo
che il prezzo della nostra mela sarà MOLTO superiore (non so se mi sono spiegato...).
Un saluto
#693
Citazione di: Ipazia il 17 Ottobre 2018, 09:26:58 AM. Dalle tavole mosaiche possono scomparire i numi, ma non la precettistica che anche oggi è alla base del nostro diritto universale, proprio perchè saldamente radicata nella natura umana.



A Ipazia (e a Sgiombo)
Ma i precetti mosaici erano osservati essenzialmente perchè ritenuti comandamenti divini...
Mi chiedo quanti li avrebbero osservati se la loro origine non fosse stata ritenuta quella (se, per usare le tue
parole, da essi fossero scomparsi i numi).
Certo, se come dici tu quella precettistica fosse "saldamente radicata nella natura umana" non ci sarebbe bisogno di
alcun comandamento divino; ma, appunto, che non lo sia è la mia tesi di fondo.
A mio modo di vedere, nella tua tesi e in quella di Sgiombo è implicita l'affermazione di una natura umana
essenzialmente buona (mentre nella mia la natura umana è essenzialmente libera di operare sia il bene che il
male - pur sottostando a svariati condizionamenti). E questa è una affermazione che a parer mio cozza frontalmente
contro l'andamento della storia, che non mostra affatto questa tendenza umana alla bontà d'animo.
Questo, tra l'altro, è il motivo per cui Sgiombo, quando parla di episodi inerenti la malvagità umana, parla di
"violazioni" (la "violazione" è la trasgressione di un qualcosa visto come la "normalità").
saluti
#694
A Sgiombo
Io non credo che le violazioni dell'etica siano prova dell'inesistenza dell'etica. Credo piuttosto che le violazioni
dell'etica siano semmai prova dell'inesistenza dell'innatezza dell'etica (ma dovrei qui fare importanti distinguo,
che al momento tralascio).
La mia tesi principale in questo argomento non è che le violazioni siano prove dell'inesistenza dell'etica o dell'
innatezza dell'etica; ma è che l'"empatia", di cui parlavo, non è sinonimo di etica (empatia verso gruppi via via
a noi più vicini o lontani), ma è essenzialmente un concetto utilitaristico volto alla sopravvivenza di quelli che
sono ritenuti propri "affini" (e che, cosa importante, vengono da noi "preferiti" - tornando ai discorsi "assurdi":
quanti di noi sacrificherebbero un figlio per la salvezza anche di mille sconosciuti?).
Se poi, come sostiene esplicitamente l'amica Ipazia, vi fosse: "un'evoluzione etica che rifonda continuamente il
significato di comunità e di individuo al suo interno" le cose sarebbero diverse (ma per me, come dico nel precedente
intervento - cui ti rimando - così non è),
saluti
#695
A Ipazia
Comprendo come quello del nazismo sia un esempio "esagerato". Ti ricordo altresì che, allora, dei totalitarismi se ne
aveva un'idea molto diversa da quella posteriore (non dico di oggi, che certi giudizi vanno già annacquandosi...).
Quanto ai tedeschi, mi pare che in Germania non vi fu un'opposizione non dico "forte", ma nemmeno "reale".
Mi pare che persino Heidegger aderì convintamente al nazismo (così come fece Gentile col fascismo), quindi no, non
credo che quella dei nazisti contro gli Ebrei fu una operazione la cui falsità era percepibile da chiunque avesse un
minimo livello etico-culturale.
Comunque, non facciamone una questione storica sul nazismo, e facciamo un discorso un pò più largo...
Chi avrebbe predetto, nelle laiche città arabe degli anni 60 e 70, che un giorno vi avrebbe regnato lo "stato islamico"?
Chi avrebbe predetto, ai tempi dei "lumi" settecenteschi, gli orrori del 900 (non riducibili certo al solo nazismo)?
Cosa avrebbe pensato un Greco seduto nel "teatro" se gli avessero detto che un giorno quel luogo sarebbe diventato
"anfi-teatro", e che lì gli uomini sarebbero stati divorati dalle belve per "diletto" degli spettatori?
Senza tirarla per le lunghe (è chiaro che possiamo fare mattina con questi esempi), io non credo a quello che
è un pò il punto centrale del tuo discorso: "un'evoluzione etica che rifonda continuamente il significato di comunità
e di individuo al suo interno".
Il tuo discorso mi sembra inficiato "in nuce" da un concetto che permea nel profondo la nostra cultura (e che proviene
essenzialmente dalla sfera religiosa): quello di "progresso".
Io non vedo alcun "progresso" morale (diverso discorso, naturalmente, va fatto per la scienza e per la tecnologia); vedo
altresì "mutamenti", che possono essere verso il "bene" come verso il "male" (sempre assolutamente intesi...).
Non dandosi progresso morale, l'innatezza di cui parlate sia tu che l'amico Sgiombo rimame legata a quell'"empatia" di
cui parlavo nel precedente intervento, e che come dicevo non può per me essere identificata con la morale (essendo
empatia verso un particolare gruppo umano - e di conseguenza escludente verso altri).
saluti
PS
Chiaramente scritto prima di aver visto la risposta di Sgiombo.
#696
A Ipazia e Sgiombo
Si parlava, se non erro, di innatezza della morale...
In un precedente intervento, dicevo che l'empatia verso l'"altro" scema man mano che ci si allontana da se stessi. Quindi se
stessi, la propria famiglia, la propria cerchia di amici e parenti, quella dei conoscenti, e così via fino ad arrivare agli
sconosciuti che vivono in paesi a noi lontani sia geograficamente che culturalmente.
Sulla base di ciò, mi chiedo se la definizione di "morale", e di "bene", di Ipazia ("L'etica è qualcosa di molto concreto,
finalizzato alla sopravvivenza di una comunità umana con aspetti egoistici e altruistici equamente ripartiti") e Sgiombo
("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie") "dica" la moralità o dica qualcos'altro...
Sicuramente la morale così come da loro intesa è un qualcosa di innato; ma è davvero ancora definibile come "morale"?
Su una tale base, come è possibile, ad esempio, reputare immorale l'intenzione nazista di cancellare la "razza" (...)
ebraica? Non era forse, essa, vista dai nazisti come un pericolo per la sopravvivenza della razza ariana?
E allora? Lasciamo forse che sia il "nomos" umano a dirimere su ciò che è degno di sopravvivere e riprodursi e ciò che non
lo è (come del resto nell'esempio degli Hindi riportato da Jacopus)?
Ah sì, nei fatti non possiamo che agire in tal modo, d'accordo; ma, appunto, se reputiamo come "fondata" una morale che
fa NON della sopravvivenza e riproduzione dell'INTERO genere umano, ma della sopravvivenza e della riproduzione di un
particolare gruppo umano la propria sostanza, allora siamo in tutto e per tutto dentro la definizione utilitaristica della
filosofia anglosassone.
Naturalmente con quel che ne consegue. E cioè con l'impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità al di fuori di una
certa specificità (cioè al di fuori di un certo "contesto"). Che vuol dire l'impossibilità "ultima" di giudicare alcunchè
("non puoi giudicarmi", dice infatti la casalinga oggetto originario di questo post).
Non credo esista un "dato evolutivo reale" che possa confortarci circa una possibilità concreta di superare "oggettivamente"
questa impossibilità di "dire" la moralità e l'immoralità (se c'è, io non lo conosco...).
Mi tengo allora la definizione "continentale". Pur se "senza sbocchi" (Ipazia); pur se, giustamente, a rigor di logica dovrei
pormi il problema della bistecca di manzo e della carota; essa mi dà però un riferimento che l'altra non può darmi.
Ma quale riferimento? Non certo quello di un articolo di fede...
Essa mi indica non tanto una oggettività "possibile" (altrimenti ci sarebbe uno sbocco...), quanto appunto la necessaria
mancanza di ogni riferimento nell'altra, sulla quale è appunto impossibile la formulazione di qualsiasi giudizio di valore,
o morale che dir si voglia.
saluti
#697
Ciao Sgiombo
A parer mio ancor prima del "dove" (è la morale), è il caso di stabilire il "cosa" (è la morale). Perchè la definizione
di essa non è univoca, ed è su questa non-univocità che, per così dire, si gioca la partita.
Ti propongo la seguente definizione: la morale (o etica che dir si voglia) è la condotta rivolta al bene. La qual
definizione, come ovvio; ci rimanda allo stabilire un'altra definizione; quella di "bene" (e qui la facciamo finita con
questo gioco di scatole cinesi...).
Quindi: cos'è il "bene"?
Ti cito il Dizionario Filosofico di N.Abbagnano: "l'analisi della nozione di "bene" mostra subito l'ambiguità che essa
cela: giacchè il bene può significare o ciò che è - per il fatto che è - o ciò che è oggetto di desiderio, di
aspirazione etc".
Mi sembra che la tua definizione di "bene" ("ciò che è utile alla sopravvivenza e riproduzione di individui e specie")
rientri nella prima di quelle due categorie (infatti tu non dici che quello è ciò che desideri, ma che è quello che è).
Questo ti porta a squalificare come immorali quei comportamenti non conformi all'"essere" che affermi (senza, naturalmente,
tener conto che quei comportamenti potrebbero essere stati dettati da un desiderio ben preciso - magari di vivere meglio io
piuttosto che altri, o magari proprio vivere io piuttosto che altri...).
Torno sul dilemma filosofico di cui dicevo in un precedente intervento: cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte
di uno sconosciuto che vive in un paese sconosciuto, a migliaia di kilometri da noi?
Saremmo disposti a donare una grossa somma di denaro, tutto ciò che possediamo o la stessa vita di un nostro familiare?
Certo, sacrificheremmo forse un figlio per evitare la morte di migliaia di persone a noi sconosciute? Non sembrino queste
cose poi così assurde (anche se in un certo qual modo lo sono). Perchè la loro presunta assurdità ci mette davanti alla
domanda: cosa faccio io per gli altri, e cosa sarei disposto a fare?
Quante volte abbiamo anteposto il NOSTRO interesse personale o l'interesse di una ristretta cerchia a quello di un non ben
definito "interesse generale"? Quante volte abbiamo tacitato la coscienza con gli argomenti più disparati per non ammettere,
ecco che torna il punto, che il "bene" da noi preferito è stato quello che è oggetto di desiderio e di aspirazione (non
quello che è)?
La filosofia anglosassone (per la quale il "bene" è l'utile individuale, quindi è ciò che è oggetto di desiderio) se la
cava troppo facilmente: c'è Dio che interviene a regolare per il meglio le volizioni individuali (un concetto che in
economia si traduce con il vero fondamento di tutto il liberismo, e cioè la "mano invisibile" di A.Smith), ma per
quanto riguarda la filosofia "continentale", la nostra?
Per la "nostra" (ho qualche dubbio su questo aggettivo possessivo, visto che ormai la mentalità anglosassone sta dilagando)
filosofia il "bene" è ciò che è; e che lo è "assolutamente", cioè a prescidere dalla volizione soggettiva.
La nostra è dunque una posizione molto più scomoda di quella anglosassone; una posizione che, se presa seriamente (cioè alla
lettera), ci obbligherebbe a scelte morali pesantissime: persino a sacrificare noi stessi o la nostra famiglia sull'altare
della sopravvivenza e riproduzione degli altri.
saluti
#698
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
14 Ottobre 2018, 19:52:29 PM
Citazione di: anthonyi il 14 Ottobre 2018, 17:54:33 PM
I principali teorici dei sistemi di mercato hanno teorizzato sul ciclo economico (E' sicuramente l'argomento sul quale si è scritto di più in Economia politica) senza per questo avere la sensazione di mettere in discussione i fondamenti dell'economia di libero mercato (E non del capitalismo, perché capitalismo non definisce nessun sistema di pensiero ma è solo un concetto (A mio parere, e non solo mio, teoricamente molto discutibile) nel sistema di pensiero Marxista.
Il concetto di equilibrio dinamico, che a mio parere non è comunque necessario per sostenere la validità del metodo di analisi economico proprio della teoria marginalista, può essere elaborato anche all'interno di una teoria del ciclo, basta che i parametri si mantengano entro certi limiti.
Io comunque, pur essendo un liberale convinto, non sono un fan dell'equilibrio dinamico, sono cioè convinto che i sistemi economici abbiano caratteri di instabilità strutturale per cui se rompi un equilibrio non è affatto detto che il sistema ritorni sullo stesso equilibrio. In altri termini se la politica economica è fatta bene può migliorare i risultati economici, ma se non è fatta bene li può anche peggiorare.


Questo tuo ultimo intervento mi fa supporre che, forse, abbiamo più punti in comune di quanto sembrava alla
luce degli altri interventi...
Innanzitutto io nemmeno mi sogno di mettere in discussione l'economia di mercato come se fosse possibile una
alternativa ad essa (l'essere, come sono, ammiratore di Marx non vuol certo dire che io ne condivida ogni aspetto).
Condivido (e il punto mi sembra più importante di quanto appaia) anche sull'uso del termine "capitalismo". In
molti miei interventi infatti dico che mi sembrerebbe opportuno usare il termine "mercatismo".
Soprattutto (ed è questo che conta davvero) condivido l'affermazione circa la necessità di una politica economica
"ben fatta" (e certamente, come dicevo, questa dell'attuale governo è da questo punto di vista quantomeno
discutibile).
Però ti faccio notare che il termine "politica economica" risulta molto indigesto ai fanatici del mercato "libero"
(dicevo infatti di non sognarmi neppure di mettere in discussione l'economia di mercato - non del "libero" mercato...).
E' infatti proprio all'interno del "marginalismo filosofico" (Von Hayek) che nasce l'ortodossia liberista spinta
agli estremi. E questa, con la tesi dello "spontaneismo", nega la legittimità di ogni intervento politico in
economia (negando quindi la stessa praticabilità di una politica economica).
E questo è esattamente ciò che sta verificandosi (tramonta l'economia di mercato "classica", quella in cui la politica aveva
ancora un ruolo, ed emerge il "mercatismo", cioè l'estrema ed indebita estensione al tutto del concetto metafisico di "mano invisibile" - il mercato, cioè, come regolatore perfetto).
saluti
#699
Citazione di: Phil il 14 Ottobre 2018, 15:38:43 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Ottobre 2018, 15:30:02 PM
In altre parole, a mio parere viene a invalidarsi quel tuo: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza
degli individui "in lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo...".
In fondo concordiamo. Non a caso, parlo di "maggioranza degli individui" e, ad occhio, non mi risulta che la maggioranza delle persone non esiti a usare la forza per procurarsi cibo o soldi... certo, ci sono alcuni che lo fanno ma, per fortuna, direi che sono una minoranza (fra tutti quelli che potrebbero farlo, intendo).

Temo che la maggioranza non lo faccia per motivi etici, ma perchè non si sente forte abbastanza da poterlo
fare...
Non molto tempo fa lessi di un dilemma filosofico che, fra l'altro, riconduco a quanto dicevo sopra sull'etica.
Il problema, diceva il dilemma, consiste nel dire cosa saremmo disposti a fare per evitare la morte di uno
sconosciuto che vive a migliaia di km da noi.
Lo trovo affascinante...
saluti
#700
Sull'innatezza della morale
Vi confesso il mio disagio quando il discorso prende una piega scientifica...
Anche l'amico Sgiombo mi diceva di questi studi sull'innatezza della morale; io, che non ho una conoscenza
specifica dell'argomento mi limito, come si suol dire, a prenderne atto (sapendo l'attendibilità di chi mi
riporta certe notizie).
Posso quindi solo giudicare così, "a naso", fidandomi ma non troppo di quelle che sono le mie conoscenze
e le mie percezioni.
Ferma restando l'inconoscibilità "ultima" dell'essere umano, sono propenso a credere ad una preponderanza
dell'aspetto "sociale" su quello biologico.
Ciò che mi sembra di notare è che man mano che ci sia allontana dall'"io" l'empatia verso l'"altro" scema.
Proviamo gioia per la gioia di un nostro familiare, dolore per il suo dolore. Questi sentimenti vanno
affievolendosi già quando si parla di amici o parenti, e via via essi divengono sempre più flebili negli
abitanti del medesimo paese (io che vivo in un paesino di campagna posso testimoniare di come ancora vi
sia empatia fra gli abitanti), della medesima regione e nazione.
Scusate la brutalità, ma quando poi si arriva a parlare dei 20.000 morti che lo tsunami ha causato in
Indonesia, questa notizia ci procura, e nonostante l'enormità, assai poco dolore (ci fa quasi lo stesso
effetto della pioggia quando siamo al calduccio dentro casa, come disse quel famoso scrittore di cui adesso
non ricordo il nome).
Sono questo genere di considerazioni che mi portano a pensare che l'etica sia più un prodotto sociale che altro.
Sia, ovvero, più un prodotto dell'istinto di sopravvivenza, nostra e della nostra "gente", che una specie di
codice inscritto nella nostra biologia (nel qual caso, ritengo, i 20.000 morti indonesiani ci getterebbero
in uno stato di nera disperazione - come in realtà, kantianamente, ci "dovrebbero" gettare...).
saluti
#701
A Phil
Mah guarda, sono personalmente convinto (anzi, per meglio dire lo temo...) che, come afferma la filosofia
anglosassone, il movente primo dell'agire umano sia la ricerca dell'utile.
Quindi figurati se penso che l'uso della forza sia fine a se stesso...
Machiavelli, a proposito del "Principe", diceva che egli deve prendere il potere con la bruta forza (il leone),
ma poi, una volta acquisito il potere, deve governare con giustizia; e questo non per amore della stessa, ma
per sua convenienza (deve quindi agire poi con astuzia - la volpe).
Vorrei quindi riallacciare quel mio "faccio tutto ciò che la mia forza mi consente di fare" con la tesi di
Machiavelli...
Machiavelli dunque dice, a proposito del momento in cui il "Principe" ha già preso il potere, che il governare
con giustizia è nel suo stesso interesse: perchè?
Semplicemente perchè i sottoposti al suo potere potrebbero ribellarsi ad un dispotismo troppo accentuato (il
debole può pugnalare alle spalle il forte, o avvelenarlo, dice Machiavelli - o forse ricordo male e la frase
era di qualcun'altro - comunque essa illustra molto bene il pensiero di Machiavelli).
Insomma, da questo punto di vista il mio "faccio tutto ciò che la mia forza mi consente di fare" coincide
necessariamente con il tuo "faccio tutto ciò che mi conviene fare", perchè è impensabile che l'essere umano faccia
qualcosa contro il suo utile o conveniente (nemmeno nel caso dei masochisti, afferma lo psicologo A.Adler).
Ma tutto questo, ritengo, non può che voler dire che, al bisogno (ovvero laddove questo rapresentasse un utile),
l'uomo usi solo e soltanto la forza bruta (come, nel caso del "Principe", la fase di presa del potere), senza
minimamente curarsi se tale uso infranga o meno le regole etiche.
In altre parole, a mio parere viene a invalidarsi quel tuo: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza
degli individui "in lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo..." (che, dicevo, io
vedo come passaggio dirimente di tutto il tuo discorso).
Mi riservo di rispondere a parte sull'innatezza delle regole etiche (anche per rispondere a Jacopus).
Diciamo anzi che sto leggendo con grande interesse le vostre "botta e risposta" sull'argomento....
saluti
#702
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
14 Ottobre 2018, 12:25:18 PM
Citazione di: anthonyi il 14 Ottobre 2018, 07:56:14 AM
Citazione di: baylham il 13 Ottobre 2018, 18:09:07 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Ottobre 2018, 16:44:12 PM
Il "sistema" (che io, personalmente, chiamo "mercatismo") non può cambiare perchè esso ha la necessità precipua di
espandersi, sempre.

Tesi ingenua: il capitalismo non ha affatto bisogno di espandersi in continuazione. Ha invece bisogno di continue espansioni e contrazioni, le crisi sono altrettanto necessarie quanto le espansioni, fanno parte del normale funzionamento del sistema. Ancora non si è assimilato questo fatto derivante dalla lezione di Keynes, si continua nell'illusione di poter governare, controllare l'andamento del sistema economico a piacimento dei politici nonostante una storia secolare mostri il contrario.

Baylham, mi sembri in forte controtendenza rispetto all'interpretazione della sostanziale totalità del pensiero economico. Il ciclo economico è considerato qualcosa di negativo e la crescita stabile è ad esso preferita. Keynes stesso, che ha costruito la più grande teoria del ciclo economico, propone politiche economiche anticicliche per risolvere questo problema.

Sì infatti, quel che l'amico Baylam afferma nega la tesi dell'equilibrio dei mercati (che è a fondamento
del capitalismo, o mercatismo) e dà ragione piuttosto a Marx (che infatti aveva ragione).
Dal mio punto di vista non posso quindi che congratularmi con lui (Baylam) per aver compreso un
fondamentale così importante, ma non sono molto sicuro fosse questa la sua intenzione...
saluti
#703
A Phil
Il tuo discorso mi sembra fondato su un presupposto, e cioè che "forza statuale" e ciò che essa
istituisce come "diritto" giudichi quel che è lecito e quel che è illecito sulla base del medesimo criterio
"ab-soluto" che era prerogativa della divinità.
Mi sembra, in altre parole, che tu non faccia altro che sostituire "Dio" con lo "Stato"...
Dicevo in risposta a Jacopus: "Il giudizio, in altre parole, non può mai essere "morale" o etico nel senso che
tradizionalmente attribuiamo a questi termini, ma solo giuridico nel senso "positivo" di questo termine".
Perchè questo è, ritengo, l'autentico senso del "diritto positivo": chi comanda impone a chi è comandato le
sue regole.
Quindi, certo, il "diritto" di chi comanda è "ab-soluto" al medesimo modo del diritto divino (altrimenti nemmeno
si potrebbe dire che: "la legge è uguale per tutti"), ma questa è una "assolutezza" che non riguarda la lotta
per imporsi politicamente, e quindi per imporre il "proprio" diritto (cioè è, in fondo, una relatività...).
Ritengo dirimente questo tuo passaggio: "né è mai stato ritenuto lecito, fra la maggioranza degli individui "in
lutto per Dio", usare la forza per procurarsi soldi o cibo...".
Ohibò, non ti saranno certamente sfuggiti gli innumerevoli esempi storici che dimostrano il contrario...
Giusto per limitarci ad un esempio "leggiadro" ed evitarne altri ben più truci, nel caso delle politiche che i
Cinesi stanno attuando in Africa (poi nemmeno tanto "leggiadre", a ben pensarci, ma c'è di ben peggio) il tuo
"faccio tutto ciò che mi conviene fare" non coincide forse con il mio "faccio tutto ciò che la mia forza mi
consente di fare"?
In definitiva, il tuo discorso in materia mi sembra speculare a quello dell'amico Sgiombo (col quale ne ho
sovente discusso), il quale sostiene che nell'uomo vi è una morale innata che spinge "naturalmente" al bene.
Per quanto mi riguarda io dico semplicemente che magari così fosse, ma mi sembra proprio che la storia e la
cronaca dicano cose diverse.
saluti
#704
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
13 Ottobre 2018, 18:52:50 PM
Citazione di: baylham il 13 Ottobre 2018, 18:09:07 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 13 Ottobre 2018, 16:44:12 PM
Il "sistema" (che io, personalmente, chiamo "mercatismo") non può cambiare perchè esso ha la necessità precipua di
espandersi, sempre.

Tesi ingenua: il capitalismo non ha affatto bisogno di espandersi in continuazione. Ha invece bisogno di continue espansioni e contrazioni, le crisi sono altrettanto necessarie quanto le espansioni, fanno parte del normale funzionamento del sistema. Ancora non si è assimilato questo fatto derivante dalla lezione di Keynes, si continua nell'illusione di poter governare, controllare l'andamento del sistema economico a piacimento dei politici nonostante una storia secolare mostri il contrario.

In particolare direi che ha continuamente bisogno (nel senso di continuativamente ricorrente...) che i poveracci
paghino per le sue incongruenze strutturali, non trovi?
Oppure davvero siamo ancora così ingenui, anzi proprio cretini, da credere di "aver vissuto al di sopra delle nostre
possibilità" e che, adesso, è ora di pagare i debiti (per limitarci alla stretta attualità, come spiego nei miei
interventi precedenti)?
Se poi chiamiamo "normalità" ("le crisi sono altrettanto necessarie quanto le espansioni, fanno parte del
normale funzionamento del sistema") tutta questa porcheria, allora è davvero segno certo di rincretinimento (a meno
non si faccia parte di quel 10% che detiene l'80% della ricchezza...).
E' evidente anche ai sassi che Marx aveva sommamente ragione nella sua tesi circa il "plusvalore"; tesi che spiega
perchè quelle del capitalismo (ora "mercatismo") non siano crisi contingenti (come le anime belle hanno sempre
creduto), ma strutturali.
Perdonami lo sfogo, ma mi pare tu difenda l'indifendibile.
saluti
#705
Attualità / Re:Coraggio o temerarietà?
13 Ottobre 2018, 16:44:12 PM
Sapete come chiamavano nel 400 a Genova il prestito ad interesse composto (null'altro che un subprime, come dicevo)?
Lo chiamavano "miracolo del moltiplico". Si supponeva che la nave partita tornasse sana e salva in porto con il suo
carico di spezie (in genere), e sulla vendita "virtuale" di quel carico si facevano altre operazioni finanziarie
(nello stesso identico modo che negli USA si stipulava un nuovo mutuo ("sub") sul presunto aumento di valore di un immobile
su cui già gravava un primo mutuo ("prime").
Inutile dire che le bagnarole del 400 "a volte" non tornavano...(come del resto "a volte" l'auspicato aumento di valore
dell'immobile non c'era, o magari chi aveva stipulato il primo mutuo "a volte" non riusciva per qualche ragione a pagarlo).
Con questi giochini, oggi abbiamo che la "massa monetaria" circolante non corrisponde affatto al PIL (sul quale, fino a
prova contraria..., la moneta dovrebbe essere prodotta).
Sembra (qui, onestamente, mi dovrei aggiornare) che l'attuale massa monetaria ammonti, secondo i più ottimisti, a NOVE
volte il PIL mondiale (ma c'è anche chi parla di novanta).
Inutile allora parlare di garanzie sul risparmio (Anthony). Perchè, semplicemente, qui la "carta non canta", cioè la
carta non corrisponde ad un bene "fisico" (non è "pagabile a vista al portatore", come diceva la dicitura sulla vecchia
e cara Lira - oggi infatti, e non certo a caso, scomparsa dall'Euro).
Questo è uno dei motivi (probabilmente il principale, ma non certo il solo) per cui oggi abbiamo il debito pubblico
che abbiamo (come dicevo nel mio precedente intervento).
E questo è, indirettamente, il motivo per cui, come dice brillantemente InVerno: "i banchieri torneranno al bar
a insegnare al barista come si fa il caffè".
Il "sistema" (che io, personalmente, chiamo "mercatismo") non può cambiare perchè esso ha la necessità precipua di
espandersi, sempre.
L'altro ieri si espandeva geograficamente; ieri dal punto di vista della produzione industriale (crisi del 29) ed
oggi, nell'esaurimento di ogni possibilità alternativa di espansione, lo fa nella finanza, creando dal nulla
una ricchezza fittizia che, nei fatti, non c'è.
A Genova, almeno, avevano il buon gusto di essere consapevoli del carattere miracolistico di questo andazzo...
saluti