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Messaggi - Apeiron

#706
Varie / Re:Varie
12 Agosto 2017, 10:06:51 AM
Ciao Amphitrite ne approfitto per darti il benvenuto e ringraziarti dell'augurio :) e per augurare buon Ferragosto a tutti!

Per il resto da adesso comincerò ad essere meno "presente" nel forum fino a data da destinarsi. In termini meno criptici credo che scriverò ancora ma senza il ritmo che avevo nei giorni scorsi (quindi avviso in anticipo che potrei rispondere dopo n giorni...).

Buon proseguimento a tutti! (avrei voglia di condividere ancora molte cose con voi ma il tempo per noi mortali è quello che è... di certo non è infinito, non è "Apeiron" (senza confini)...)
#707
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
11 Agosto 2017, 12:00:51 PM
Perdona l'equivoco lorenzo. Ti ho frainteso completamente  ;D 

Quello che volevo dire è che (1) anche se la neurologia o la psichiatria associano alle esperienze "spirituali"/mistiche spiegazioni molto più terra-terra non significano che hanno "falsificato" la spiritualità (come invece si crede...) (2) anzi si può usare la conoscenza scientifica per "capire" meglio queste esperienze - quello che invece vedo è che da una parte i "mistici" rigettano la scienza perchè non accettano che le loro esperienze possono avere "cause neurologiche" e dall'altro gli specialisti o i riduzionisti troppo spesso usano questo tipo di "scoperte" come prove per dire "è tutto il prodotto di una mente e/o un cervello malati". Ossia dire che l'OBE ha una base neurologica significa comprendere un aspetto in più del fenomeno, non è necessario abbandonare in toto quello che si "sapeva" prima. Di certo se ci fosse una collaborazione anziché un conflitto, sarebbe moooolto meglio  ;D

Effettivamente quando sento gente che dice di "vedersi" dall'alto o di fluttuare in aria sinceramente non riesco a dare una spiegazione senza introdurre un qualche "sesto senso".
#708
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
10 Agosto 2017, 23:10:04 PM
Se ti riferisci a me dall'otorino ci ero andato per un attacco abbastanza forte di sinusite che stava cominciando a farmi venire alcune vertigini. Dovevo aggiungere che mi sembra di ricordarmi che mi abbia detto che posso avere una tale sensazione (mi riferisco allo "sprofondamento" - anche perchè anche io ho sempre sentito parlare di vertigini dovute a tipo la labirintite e non a "sprofondamenti"). Forse davvero mi ricordo male (d'altronde è passato un po' di tempo).
Ma non credo che ti riferivi a questo  ;D 

Volevo semplicemente far notare che a volte il nostro corpo ci da delle sensazioni veramente strane che possono essere interpretate male. Ad esempio è noto che l'emicrania può mutare l'umore e che alcune forme di epilessia (o addirittura tumori cerebrali) possono provocare "esperienze" quasi mistiche. Quindi non mi sorprenderebbe che un giorno riescano a correlare un mutamento in qualche livello della struttura del cervello (non necessariamente qualcosa di "organico", magari qualche "squilibrio chimico") anche con le OBE, i viaggi astrali ecc.
#709
davidintro,
avevo in mente a quanto pare un concetto un po' diverso di trascendenza. Per me infatti mentre l'immanente è ciò di cui abbiamo esperienza sensibile (faccio notare che per "esperienza sensibile" ci metto anche le particelle subatomiche perchè ritengo che i rivelatori che si usano negli esperimenti siano in un certo senso paragonabili a "nuovi organi di senso"), il trascendente è ciò che non può essere "contattato". Per esempio il mondo delle idee di Platone è "trascendente" perchè se mi va bene la mia anima lo raggiunge quando schiatto - ma adesso non posso in alcun modo "sperimentarlo". Un Assoluto come quello che sta uscendo dai nostri discorsi non è immanente e nemmeno trascendente secondo le mie "definizioni". Diciamo che "trascende" entrambi i concetti (d'altronde è "oltre ogni concettualizzazione"  :P ) - il tuo concetto di trascendenza è una buona "approssimazione".
In realtà il rapporto Assoluto-mondo è davvero impossibile da concettualizzare per quasi tutte le religioni e le filosofie - e questo devo dire che è molto interessante (ad esempio quando si dice che "L'Assoluto è onnipresente" è errato dire che "l'Assoluto si "trova" in questo tavolo" ma anche "l'Assoluto si trova in tutto lo spazio" perchè d'altronde "essere ovunque" è abbastanza simile all'"essere da nessuna parte"  ;D ).
La cosa interessante è che noi abbiamo una ovvia tendenza a creare concetti, ad estremizzarli fino a quando diventano quasi contraddittori. Come ben faceva notare Cusano con un bellissimo esempio di "coincidentia oppositorum" quando diceva che una circonferenza di raggio infinito non ha centro da nessuna parte (e quindi non è più una vera e propria circonferenza, visto che la circonferenza è definita come il luogo geometrico dei punti equidistante da un punto). Sono d'accordo nel dire che i concetti non sono innati ma mi pare abbastanza "innata" questa tendenza.
#710
Citazione di: Sariputra il 09 Agosto 2017, 16:07:59 PMQuando ci poniamo di fronte all'idea di trascendenza o di immanenza dovremo credo lasciar andare ogni concetto su di essa che ci siamo fatti o ci hanno insegnato. Dovremo proprio dimenticare persino il significato di questi due termini. In primis perchè non ci servono e poi perché rischiano sempre di essere fuorvianti. Dobbiamo per prima cosa essere "vergini" spiritualmente. Non siamo "occidentali" o "orientali"...siamo semplicemente noi, con tutta la nostra forza interiore e la nostra debolezza psicologica. PercHè c'è una grande forza interiore in noi. C'è, è sempre là, presente ma noi ci soffermiano spesso solo sulle nostre debolezze e non vediamo che queste non sono insuperabili, non ci impediscono di camminare, se lo vogliamo. La "trascendenza" ( uso questo termine per favorire la comprensione ma in realtà non lo condivido...) è una ricchezza, non un impoverimento come ritenuto dalla mentalità corrente. Una persona che cerca di seguire un sentiero spirituale non è un frustrato che pone limitazioni al godimento della vita, ma anzi ..ne ha in sovrappiù! Il fallimento che vediamo in molte persone che hanno seguito un particolare sentiero spirituale non dimostra l'inefficacia del sentiero ma la mancanza di autentico vigore spirituale del viandante. L'uomo che continua a confrontare la propria vita con quella degli altri e soffrirne per la sensazione di non essere all'altezza; l'uomo che non ha stima di se stesso e della propria capacità di amare veramente; l'uomo che dubita in continuazione di ogni cosa e anche delle proprie ricchezze interiori, non è adatto ad un sentiero spirituale. Bisogna lasciar andar tutta questa massa di incertezze, lasciarle sullo sfondo della nostra vita. Smetterla di confrontarci e di ritenerci "spirituali" o " materialisti". Essere autenticamente nudi e poveri, come un Siddharta che si nutre del letame dei vitelli di bufalo per sopravvivere. Non possiamo farlo? Non possiamo denudarci da tutta la catasta senza fine di idee che ci siamo fatti sulla "spiritualità"? Su Dio, Allah, Nirvana o qualunqua altra cosa? Non possiamo metterci soli e nudi di fronte a "Dio"? Non possiamo farlo perchè siamo esseri culturali e socievolmente sociali? AH... ma siamo anche altro. Lo siamo, e quando siamo stanchi di tutto, alla sera nel nostro letto, non c'è qualcosa che frugna nel nostro profondo e che ci fa dire:" Non me ne frega niente del mondo e della sua cultura: Vorrei solo...essere amato per quello che posso dare"? Ecco perché la "rinuncia" è essenzialmente un dono che facciamo, a noi stessi e agli altri che ci circondano. La rinuncia diventa l'atto di fare spazio nel nostro cuore e lasciar spazio agli altri. Si parla spesso di rinuncia al "sè" ma poco di una altrettanto importante, ossia al "Mio". Il mio sapere. la mia cultura, la mia posizione, le mie infelicità, il mio benessere materiale...abbiamo un'infinità di "mio" che guidano la nostra vita. Ci aspettiamo che il "trascendente" sia una cosa meravigliosa, un'esperienza ineffabile, totalmente "altra" ad ogni altra esperienza e non ci accorgiamo che è sempre il solito gioco del "mio" in azione. Come pensiamo di accorgerci della presenza di "Dio" o dello stato del "Nirvana" se non ci accorgiamo nemmeno dell'infelicità e del dolore di quelli che diciamo di amare? Solo se incontriamo lo sguardo dell'altro e guardiamo nel colore del suo animo possiamo capire se ha un senso la parola "trascendenza". Scusate il predicozzo... :)

Macché predicozzo, direi che non ho mai letto nulla di più vero di quello che dici (sinceramente non ho mai trovato una persona con cui sono d'accordo più di te Sari  :)  ). Ecco più che una "rinuncia" al sé a mio giudizio è molto più interessante il pensiero della rinuncia al "Mio", come dici tu (ovviamente la mia posizione sull'Assoluto può essere pericolosa perchè diventerebbe un "mio" assoluto con cui vanagloriarmi). Infatti quando io parlavo di "rinunciare"e portavo l'esempio di San Francesco e Buddha volevo far cadere l'attenzione proprio su questo aspetto della "rinuncia". Rinunciare a pensare le cose (cultura compresa, teorie sulla realtà comprese) e gli esseri come "miei" libera sia me che l'altro. In particolar modo l'altro perchè se amo un altro senza considerarlo "mio" vuol dire amarlo per quello che è lui, non per le mie aspettative o i miei interessi. Questo secondo me significa "rinuncia" (è una bella cosa!). E da qui si capisce anche perchè alcuni dicono che è uno stato "naturale": semplicemente perchè contiene una verità: ossia che nessuna cosa o essere è di mio possesso.  In fin dei conti tutta questa rinuncia è facile eppure mi pare che pochi lo mettono in pratica. Tra quelli che se ne accorgono ci sono alcuni che finiscono per parlare secondo astrazioni, di parlare di "Nirvana" o di "Assoluto" cadendo nell'errore di creare di nuovo una scappatoia a quel sempre presente senso di Mio.

" Non me ne frega niente del mondo e della sua cultura: Vorrei solo...essere amato per quello che posso dare" Questa citazione racchiude una profonda verità: ci metteremo veramente a cercare, a costruire astrazioni, a cercare avventure ecc se fossimo davvero capaci di amare e se ci sentissimo davvero amati? Forse sì ma con una "foga" e un'ansia molto minore perchè non sentiremo che in noi "manca" qualcosa (o che siamo "sconnessi" dalla "realtà"). Quanto è vero quello che dici Sari: il tuo "predicozzo" esprime una semplice verità. La mancanza di spiritualità è certamente legato proprio a questo senso di "sconnessione", di "smarrimento" e di "mancanza". Quando questa "mancanza" è presente e non se ne è consapevoli il MIO diventa enorme, totalizzante ecc. Chi ne è consapevole invece cerca in tutti i modi di "riconnettersi" ma in questo tentativo a volte si comporta peggio con gli altri e con sé stesso di chi non è consapevole. Ma d'altronde è proprio questo che muove la filosofia, l'arte ecc. Questo senso di "sconnessione"... Purtroppo alcuni di questi sanno solo dare astrazioni, pensieri ecc. Sconnessi come sono finiscono per staccarsi da tutti e da tutto, compresa la loro stessa filosofia di vita (e talvolta finiscono di essere anche ipocriti). Se uno può dare solo astrazioni e nient'altro che astrazioni come....?

Come si può smettere di parlare della Via se non trovando la Via? E una volta che la Via si è perduta come è possibile ritornare?  Come è possibile smettere di "allontanarsi" dalla Via se non si riesce a trovare una risposta che davvero spegne questo "fuoco"?
P.S. Sono d'accordo con te che il termine "trascendenza" è improprio, perchè dopotutto parliamo di qualcosa di cui si può "avere esperienza" in un certo senso. Il trascendente per definizione è "fuori" (idem per l'immanenenza perchè l'immanente è qualcosa che si può "afferrare"). Sarebbe più corretto un termine che da solo richiude sia la trascendenza che l'immanenza ma non riesco a trovarlo.

Edit: con questo non voglio dire che tutti questi discorsi sono inutili o modi per "dimenticarsi" della realtà mascherati (e non penso che ciò era il messaggio del Sari, se non ho capito male). Ma volevo "mettere in guarda" (prima di tutto me stesso) che questa ricerca dell'"Assoluto" può finire o per creare un isolamento orribile (ossia preferire questa ricerca sulla capacità di amare) o ipocrisia (ossia non rendersi neanche conto di non amare chi si dice di amare, perchè si è troppo "immersi" nella ricerca). Purtroppo ahimé non è così facile (come diceva il Tao Te Ching: "le mie parole sono semplici, ma nessuno le intende e nessuno le mette in pratica") come "sembra". Piuttosto è meglio usare l'Assoluto per "costringersi" ad amare o per riconoscere la propria incapacità (che non è altro che un sano esercizio di umiltà). Come le altre cose anche le "posizioni" sull'Assoluto possono avere effetti opposti sulle persone.  Ecco: non intendevo dire che queste discussioni sono di per sé un "male" (anzi a volte è forse proprio l'unico modo per trovare il bene - o sforzarsi seriamente di trovarlo).
#711
ciao paul11,
Molto interessante questa tua riflessione sul "Logos", la "parola" o meglio la "ragione". Il rapporto nostro con "Dio" o l'"Assoluto" d'altronde è proprio questo, noi vogliamo una comprensione concettuale a tutti i costi. Così siamo convinti di comprendere "Dio" - quasi che "Dio" non solo si è "fatto" uomo ma è l'uomo. Così come dice Bragagnolo il rischio è che "umanizzando" "Dio" finiamo per proiettare noi stessi in "Dio" in modo che risulti una sorta di versione "onnipotente" di noi stessi, con le nostre caratteristiche. Questa tendenza la vedo nell'uomo "ideale" propinato dalla modernità ossia l'uomo sempre sorridente, pieno di amici, di successo sia nel lavoro che nella famiglia ecc. Come sapientemente dici tu ciò avviene perchè dimentichiamo che la nostra "ragione", il nostro "logos", è limitata e non riusciamo ad accettare che ci sia qualcosa che non può davvero essere capito. Quindi visto che la nostra esperienza e i nostri ragionamenti ci dicono ad esempio che la si sta meglio quando si è in salute, quando non si è tristi ecc allora proiettiamo l'uomo ideale come la somma di tutte queste caratteristiche. E poi finisce che "lasciandosi andare" si entra completamente in questo meccanismo, dimenticandosi in toto che quel prototipo di uomo ideale è "costruito" sulla base di come è impostata la società in un certo periodo (per esempio allo stesso modo nall'antica Grecia l'eroe era il "guerriero perfetto" - e gli dei dell'antica grecia erano di quanto più "umano" ci potesse essere nel senso che estremizzavano sia i pregi dell'uomo che i difetti. Su questo punto due diversi teologi che conosco mi hanno fatto notare che molte "idee" a loro giudizio errate che ci facciamo sul cristianesimo [ad esempio sul Giudizio Universale] deriva proprio dal fatto che noi abbiamo una mentalità molto "greco-romana" e non "ebraica" [mentre ovviamente i primi cristiani erano molto più vicini a questa mentalità ebraica]).
Quindi sì "lasciandosi andare" alla nostra tendenza di ritenerci "superiori" ecc provoca guai, in primo luogo a noi stesso perchè finiamo di non renderci conto che stiamo creando un "idolo" ad hoc.
Ovviamente il mio "lasciarsi andare" non voleva dire questo ma hai fatto bene a dirmi che è un'espressione ambigua e che può portare al contrario di quanto voluto. Concordo bene o male col tuo ultimo paragrafo.

Sul discorso "mente-corpo" non ho ancora sviluppato una "teoria" stabile. Al momento ritengo che mente e corpo sono due aspetti della stessa realtà (quindi bisognerebbe considerare - per capire questo problema - sia il corpo e la mente presi singolarmente sia il "corpo-mente", la loro unione) ma non ho raggiunto una posizione vera e proprio. Concordo poi il discorso che fai sullo yoga ecc. Sono stato ad una seduta di training autogeno e l'hanno "venduta" come "tecnica di rilassamento". Non che sia sbagliato ma è estremamente riduttivo. Questo tipo di tecniche aiutano davvero a comprendere sé stessi ossia hanno davvero un ruolo "conoscitvio" oltre che di "aiuto psicologico". Idem per i "disturbi mentali" e anche qua devo dire che l'oriente ci supera di molto perchè per noi sembra inconcepibile che la mente influenzi il corpo (e viceversa) mentre per loro niente affatto: basti pensare quanto per esempio si da importanza alla posizione del corpo nella meditazione  ;D per esempio l'atto del digiuno per noi sembra un "moralismo contro la vita", ma in oriente addirittura ti dicono che ha effetti positivi sul corpo (e non solo sulla mente) ::) - perfino il taoismo che è la più "affermatrice" del mondo tra le "vie di liberazione" consiglia varie tecniche di digiuno sostenendo che esso porti al benessere mentale e fisico (oltre che la longevità). Per natura cerchiamo il "meglio", ossia cercare il "meglio" è per noi il "modo naturale di vivere".Appreso questo concetto, quando quei saggi orientali dicono che la vita di "rinuncia" è "migliore" è chiaro che affermino che è "la via naturale" e che dicano che chi vive nella pienezze anche se segue gli istinti apparentemente naturali venga bollato come "folle" o "ignorante della propria natura" o "come persona che non segue la Via della Natura ma la Via degli uomini". La nostra mentalità ora è così distante da questi principi che ci sembra totalmente assurdo che un uomo viva con poco e niente e che sostenga che il suo stile di vita è "naturale". Finiamo per glorificarlo, per metterlo in un piedistallo e lui direbbe: "ma scusatemi, cosa mi mettete sul piedistallo che sto vivendo nel modo più "normale" possibile?". Così come è "naturale" per loro entrare nel samadhi, nelle jhanas e "folle" o "innaturale" non farlo  :)
#712
paul11, sul nesso tra benessere psicologico e ossessione del controllo si può discutere molto. Ritengo interessante questa cosa sul bipolarismo che hai citato, anche se a mio giudizio mi sarei aspettato che venisse a galla una sorta di disturbo paranoico in quei politici (se non erro Stalin era estreamemente paranoico per esempio, e in teoria se non erro lo era anche Hilter... non ho idea degli altri, ma non mi sorprenderebbe). Mi spiego meglio: chi è assuefatto da questa tendenza, come ben dici tu, vive una vita di costante paura delle altre persone, paura che d'altronde può essere anche "giustificata" da minacce, tradimenti ecc. Poi è anche vero che un "lavoro" di questo tipo espone a molta frustrazione e a un senso di onnipotenza (d'altronde essere il "capo" di uno stato, può far credere di essere la "persona più importante"...), sensazioni che si ritrovano nel bipolarismo (ma anche no).
La cosa interessante è i disturbi psicologici, specie d'ansia e d'umore, si ritrovano non solo nei politici ma anche in artisti, filosofi e personalità religiose. E anzi la religione può essere ricercata proprio per eliminare certi disturbi della psiche: d'altronde il malessere di cui parli è prima di tutto mentale ed è spesso l'incipit della spiritualità. In ogni caso posso essere d'accordo con te che oggi in un certo senso si cerca più la spiritualità di qualche secolo o millenio fa ma se si pone la questione in questi termini: la "massa" cerca sempre di meno, chi invece si stacca da essa cerca probabilmente ancora di più di quanto lo facevano i nostri antenati. Ma anche tra questi pochi molti finiscono per abbandonare la ricerca (e magari considerarla un errore) oppure per praticarla senza un minimo di serietà (vedi ad esempio https://www.riflessioni.it/logos/percorsi-ed-esperienze/l%27insoddisfazione/ sui "giovani bonzi buddisti con la cicca tra le labbra, occhiali da sole e selfie"). Pochi rimangono dei ricercatori e spesso questi ricercatori non seguono nessuna religione organizzata e questo ovviamente li espone all'isolamento, alla frustrazione, al senso di smarrimento ecc. Quindi oggi più che mai il disagio mentale può essere a volte in realtà un "buon segnale", quasi una sorta di sofferenza titanica dovuta sia all'andare contro-corrente sia ad una sincera e libera esplorazione della spiritualità stessa.
Semmai la cosa interessante è che mai come oggi l'investire su questa nostra predisposizione finisce per causare senso di smarrimento, crisi esitenziali e altre cose spiacevoli perchè da una parte la si affronta con un forte scetticismo e un forte senso del dubbio (cosa ovviamente che ha degli ovvi risvolti positivi perchè combatte la superstizione o cose simili...) e d'altro canto la maggior parte delle persone è completamente disinteressata a questo tipo di domande (perchè letteralmente pensano che questa trascendenza sia un errore della nostra natura umana). Semmai possiamo dire che sta continuando quel processo di distacco dalla spiritualità già evidenziato in altri post e oggi il fatto che chi cerca lo fa con un'intensità maggiore (talvolta patologica) è dovuto al fatto che ci sentiamo sempre più "sconnessi" e quindi "smarriti".
#713
paul11, ok più o meno siamo d'accordo allora su questo tema anche se direi che anche se è vero che la paura causa in parte il controllo, è anche vero che è proprio la "brama" a generare l'ossessione del controllo (poi questa e la paura si alimentano tra di loro e ciò genera "mostri"  ;D ). Infatti se ad esempio sono uno fissato con il potere politico (ossia se ho una brama di potere smisurata) finirò per fare di tutto per controllare questo potere. Nel contempo il pensiero che il mio potere possa venire meno mi genera paura, la quale aumenta la fissazione col controllo, la quale aumenta la paura ecc. Il "rinunciante" ha capito a mio giudizio due cose: (1) che la brama è insaziabile (2) che il fatto che sia insaziabile è paradossalmente un segnale che "qualcosa di meglio ci sia" perchè questa insaziabilità finisce per rendere le "cose mondane" (ossia "condizionate") meno appetibili. La "fede"/"speranza"/"sicurezza" allora deriva dal riconoscere che in un certo senso importante siamo già a "contatto" con questa "dimensione" (trascendente o immanente che sia) e che quindi quello che devo fare è smettere di allontanarmi da essa. Questo è il pensiero del rinunciante e in esso c'è molta verità, oggi completamente ignorata e considerata la verità di chi "nega la vita", del "moralista", del "disprezzatore dell'esistenza" ecc - quando in un certo senso è esattamente l'opposto di tutto questo (non a caso questo tipo di vita è , diciamo, consigliato dagli scritti di moltissimi filosofi e religiosi di ogni tempo). Così il risultato è che oggi la spiritualità sta un po' sparendo dal globo. Ma a mio giudizio la mentalità del rinunciante è in un certo senso anch'essa incompleta, perchè in fin dei conti con essa nessun progresso culturale, tecnologico ecc è possibile. Quindi secondo me bisognerebbe - per chi non sceglie la vita del rinunciante - aspirare alla moderazione, ossia cercare sì di "mutare il mondo", "aumentare il sapere" ecc ma allo stesso tempo ricordarsi che "il ritorno è il movimento del Dao" e che "il saggio desidera di non desiderare" (come dice il "Tao Te Ching" , ma è un discorso che credo accettano moltissimi saggi...).

Sul discorso di Dio... personalmente da "filosofo" credo nell'esistenza di una forma di Assoluto (per noi inconoscibile) o Incondizionato che in qualche modo è la "base" dell'esistenza condizionata (anche se non avrei idea di quale sia il rapporto) - l'esistenza di tale Incondizionato la giustifico proprio dal punto di vista della nostra predisposizione a "produrre" concetti che cercano di "afferrare" l'Assoluto (ossia l'Inafferrabile). A differenza del Sari non ho ancora accettato la filosofia della "via di mezzo" del buddismo (o più precisamente di moltissime scuole buddiste - anche se ritengo che il Buddha semplicemente non parlava dell'Assoluto perchè tutti i nostri concetti in fin dei conti non lo afferrano - parlarne avrebbe dato l'illusione che poteva essere possibile "afferrarlo" con qualche nostro sforzo. Quindi se il "vero messaggio" del Buddha è che "non possiamo "afferrare" nulla di Assoluto" allora sono d'accordissimo.) perchè non vedo la differenza tra tale concezione e una sorta di nichilismo (non a caso, ben pochi buddisti si sono dedicati a discipline come la matematica, la scienza ecc - storicamente infatti nell'India - ma anche altrove - la matematica e la scienza è sempre stata vista come la "prova" di una trascendenza, di una "dimensione" superiore - se non proprio di un Dio personale). Dal punto di vista religioso sono "agnostico" sulla questione del Dio Personale visto che in fin dei conti una posizione su questa questione esce completamente dalla filosofia (la quale al massimo può indicare l'Assoluto...) e rientra nell'esperienza personale. Dell'Assoluto in filosofia si può parlare solo negativamente (ossia chiarendo l'alterità rispetto al non-assoluto) o se proprio si è costretti a parlarne positivamente si usano termini "poetici" o "allusivi" (per chiarire la "superiorità", visto che ci è impossibile "capirlo", possiamo al massimo "averne un'idea distorta"). Di certo non possiamo "stabilire" se è "Persona". La "teologia" invece studia l'Assoluto quando si è già assunto che (1) esiste e (2) è personale. Ma la teologia NON è più filosofia.

P.S. (off-topic) sul discorso del Buddha preciso che: concordo che nega l'esistenza di un IO separato, eterno, "sostanziale" ma questo non significa che non ci sia un Assoluto - come ritiene il Sari. Per me l'assenza completa di ogni Assoluto conduce al nichilismo, se per il Sari questo non è vero, buon per lui ;D. (ovviamente scherzo Sari :) )
#714
paul11, dissento sulla questione del controllo (o forse ti fraintendo, quindi provo a spiegarmi meglio). L'uomo costruisce città, progredisce nella scienza, "migliora" la civiltà ecc per un unico fine, ossia per migliorare la condizione dell'umanità stessa, ossia per controllare per quanto possibile la Natura. Se non ci fosse bisogno di ripararci dalle intemperie e dagli animali feroci non ci sarebbero le case, se non ci fosse il bisogno di ripararci dal freddo, dal caldo ecc probabilmente a nessuno sarrebbe venuto in mente di vestirsi, e così via. Facciamo tutto questo perchè desideriamo di controllare la natura, per vivere meglio e così via. Il problema è che questo desiderio di controllo si basa sull'assunzione errata che davvero stiamo controllando le cose. Ma il problema è che le cose, l'esistenza "terrena" è instabile e incontrollabile: la sofferenza, la paura ecc nascono dal fatto che il nostro desiderio di controllo non è soddisfatto dalla realtà. Desidereremo per noi e per i nostri discendenti una vita senza problemi, una vita da "età dell'oro" ma poi guardiamo ai fatti e tutto questo non c'è - quindi spesso finiamo di lottare tra di noi per minime cose, perchè i nostri desideri non vengono soddisfatti. Tutto questo è perchè vogliamo il controllo. Poi vedi la storia di Buddha, di San Francesco e simili che pur vivendo nell'agiatezza (o nel lusso come nel caso del Principe Siddharta) alla fine scelgono la povertà volontaria perchè si rendono conto che l'agiatezza diventa un vincolo e mina la libertà dell'uomo. Così vedi questi uomini che "rinunciano" e cominciano un "cammino spirituale". Un San Francesco si affida completamente a Dio (ossia cerca di smettere di avere pretese di controllo e si abbandona alla "Volontà di Dio") mentre il Buddha rinuncia anche lui a tutte le pretese di controllo e di aggrapparsi ad un sé. In entrambi i casi ci è mostrato che secondo questi maestri è proprio questa nostra volontà di "controllo" che ci "allontana" dalla spiritualità "più vera". Entrambi è come se ci dicessero: troverai quella Pace che cerchi proprio se rinunci tu a volertela creare per te stesso. All'opposto vedi poveri che cercano sempre più ricchezza e ricchi che cercano di diventare sempre più ricchi, ognuno desidera il controllo perchè d'altronde c'è veramente poca gente che è come Buddha o San Francesco. Oserei dire che la maggior parte degli uomini nemmeno si rende conto che le sue brame sono "infinite" o anche se ne è consapevole finisce per continuare a seguire queste brame. Suggerirei una "via di mezzo", ossia seguire le brame (altrimenti la situazione al mondo non migliorerà mai e non potremo mai progredire nella comprensione anche di questi discorsi) ma allo stesso tempo limitarle, contemplando appunto questo discorso della "rinuncia".

E qui torniamo al discorso iniziale: il fatto che ci sia questa predisposizione è allo stesso tempo un "disastro" e un "dono". Un disastro perchè essendo noi umani in grado di pensare sempre al "meglio", "al di più", all'infinito ecc possiamo finire per far di tutto per "conquistare" questo infinito con disastri vari annessi a questo modo di vivere. E un "dono" perchè è proprio questa predisposizione che ci apre alla "trascendenza" e che ci suggerisce quanto in realtà sia sbagliata questa "ossessione di controllo". Siccome il "trascendente", la "realtà suprema", l'"incondizionato" sono fuori dalla nostra portata avviene una sorta di rovesciamento dialettico: ossia se impariamo ad "affidarci", "a smettere di controllare" ecc forse ci liberiamo da questa ossessione e troviamo la "pace". D'altronde se questa "predispozione" ha un qualche senso e non è un semplice "scherzo della natura" forse si riferisce a "qualche" "cosa" di "reale", la quale non può essere "raggiunta" con i nostri sforzi (ma semmai con i nostri sforzi svolti a finire di sforzarci, scusate il gioco di parole  ;D ). Ergo...

Un idea a questo proposito interessante potrebbe essere quella kantiana, secondo la quale la nostra mente per sua natura produce idee "incondizionate" (vorrei far notare la somiglianza con la distinzione tra condizionato e incondizionato nel buddismo), tipo quella di "Dio", "Infinito" ecc, le quali non si riferiscono al mondo dei fenomeni. Il problema dell'"ateo materialista moderno" è proprio questo: chiudendosi alla trascendenza tradisce quella sua stessa predisposizione e soprattutto essa risulta una sorta di scherzo beffardo della natura.
#715
Sinclair, sulla questione della capacità di argomentare in realtà mi è capitato anche a me di uscire dal tema della discussione e certamente non sono così tanto capace di scrivere. Ma entrambe le cose si migliorano secondo me con l'esperienza, quindi se un argomento ti interessa e vuoi dare il tuo contributo ti consiglio di scrivere (anche perchè non mi ricordo di post eliminati)...

Altra cosa: spesso quello che blocca è proprio l'impressione di non essere "a livello" (per esperienza personale fino all'anno scorso non ho mai pubblicato niente online per questo motivo) o di scrivere cose "fuori tema". Spesso è un'impressione e basta... d'altronde come possiamo sapere se è davvero come dici tu se non pubblichi? A volte capita di uscire ad esempio dal tema della discussione ma non ho mai visto post eliminati per questo motivo (anche perchè un nesso col tema della discussione in queste divagazioni c'è solitamente). Quindi ti consiglio almeno di provare: se non pubblichi mai non potrai mai sapere se è solo un'impressione o no  ;)
#716
davintro,
non mi ritengo nemmeno io un esperto di "buddismo", però ritengo che anche il buddismo sia compatibile con questa tua teoria della predisposizione (provo a rispondere al posto del Sari  :) ). D'altronde nel Canone Pali (senza scomodare le sutra più recenti) si parla del Nirvana (letteralmente "estinzione") come Incondizionato (o libero dalle condizioni), Senza Fine, Senza Morte,la Pace Suprema, Libertà, Rifugio, l'Oltre, l'Altra Riva, la Cessazione, (ciò che è) Senza Afflizioni ecc. Per esempio nella citazione che ho riportato prima il Nirvana viene definito come quella "dimensione" in cui non ci sono determinate cose - in particolare dove non ci sono "cose condizionate". L'utilizzo di questi termini suggerisce che ai tempi del Buddha chi ascoltava capiva, quindi secondo me concetti come "infinito", "eternità" sono centrali anche in questa tradizione: non a caso Buddha critica proprio la tendenza ad aggrapparsi alle cose mondane e al sé come se questi fossero eterni, non soggetti alla morte ecc e continua a far notare l'impermanenza e l'inevitabile declino delle cose in modo da creare nell'ascoltatore o nel lettore un senso di "shock" che dovrebbe fargli terminare la brama. Ma allo stesso tempo Buddha (o chi per lui) ancora più dei taoisti e dei vedantini continua a far notare che questa "dimensione" è completamente "altro" oltre che completamente "superiore" e quindi per evitare che ci si aggrappi ad un'idea errata di "Nirvana" rifiuta qualsiasi definizione precisa dello stesso perchè ogni concetto che abbiamo nella mente ci viene dall'esperienza del samsara e quindi necessariamente è inadeguato per esprimere il Nirvana.

In ogni caso direi che la predisposizione di cui parli è importantissima anche per i buddisti, almeno "negativamente", ossia nell'affermare che l'esistenza mondana non ha determinate caratteristiche...
#717
Riflessioni sull'Arte / Re:Cos'è per voi l'arte?
07 Agosto 2017, 23:10:06 PM
Premessa: per me "arte" comprende sia l'esperienza estetica (ossia "l'ispirazione" o la "contemplazione") sia la realizzazione dell'opera. Ma siccome la realizzazione dell'opera avviene in un secondo momento rispetto all'esperienza, l'arte è prima di tutto - secondo me - un'esperienza. Per questo motivo do più importanza rispetto all'esperienza rispetto al "lavoro" (anche se so benissimo che per fare una buona opera d'arte al 99,...% dei casi ci vuole moltissima fatica) e tendo ad accostare il termine stesso di "arte" all'esperienza estetica (se vogliamo è come per la filosofia: la filosofia è prima di tutto un'attività di pensiero e in un secondo luogo è la produzione di opere :) )   

Jacopus, ti rispondo a partire dall'ultima frase  ;D
L'arte a mio giudizio è "ispirazione" in quanto senza di essa non è possibile né l'apprezzamento vero e proprio di un'opera d'arte né la creazione di opere d'arte (come ho cercato di spiegare nei primi miei post). Tuttavia sono d'accordissimo con te che per fare un'opera d'arte di valore quello che conta è l'impegno, la fatica ecc. Quindi diciamo che per fare un'opera d'arte ben fatta - a parte rarissimi casi - il 5% è ispirazione e il 95% è fatica e duro lavoro (spesso sottopagato  ;D ).

Quello che segue è spiegato molto male, me ne rendo conto. Spero di riuscire a far passare il messaggio...

Schopenhauer dava una spiegazione metafisica (con cui non concordo ma l'ho trovata illuminante - ci torno fra poco...) per spiegare l'esperienza artistica. Come forse sai Schopenhauer aveva messo come principio metafisico la Volontà, la quale nella sua cieca ma continua attività di creazione generava tutte le cose: dalle cose materiali agli animali e infine l'uomo. Ma "prima" di ogni fenomeno, cose materiali comprese, Schopenhauer riteneva che la Volontà avesse creato anche le idee platoniche, ossia quelle forme "a priori" sulle quali i fenomeni sono a loro volta generati. Il principio individuationis è proprio quel principio per il quale la Volontà crea "cose distinte". In ogni caso per S. l'arte ci fa conoscere le idee platoniche "congelando" la Volontà e quindi tra le altre cose ha due effetti: ci fa capire meglio la realtà perchè ci fa osservare le forme su cui essa è modellata e congela la Volontà ego-centrica temporaneamente, dandoci così sollievo dal dolore. Ciò avviene perchè il processo stesso del "principium individuationis" viene bloccato visto che si vede l'universale nel particolare.
Quello che mi colpì non fu questa descrizione metafisica ma una versione dell'estetica che ho "intuito" io togliendo tutta la parte metafisica. Secondo me anche se la Volontà non è il Principio fondamentale del Tutto e anche se non ci sono davvero "forme platoniche", è pur vero che l'arte ci aiuta a comprendere la realtà. Infatti è pur vero che noi siamo mossi solitamente dalla "brama" individuale e per questo motivo generalmente abbiamo una prospettiva sulla realtà estremamente ego-centrica. Quando invece ad esempio vediamo un bel paesaggio a volte ci può capitare di rimare estasiati: ammiriamo il paesaggio e nello stesso tempo "congeliamo" la brama individuale. In questa situazione infatti tutta la nostra mente si "ferma", diventa per così dire un soggetto che riceve l'oggetto, e come "oggetto" ha solo il paesaggio. Lo vediamo così com'è, diamo ad esso più valore e a volte finiamo per "astrarlo" dal resto del mondo e lo contempliamo come se esso fosse una "cosa in sé" (ossia come se esso fosse una idea platonica) - tutte le preoccupazioni individuali sono sparite, comprese le aspettative su di esso. Se poi a differenza mia, questa esperienza la fa un pittore avviene che lui dipinge un paesaggio simile provocando in altri un senso di "bello" simile. Perciò quel paesaggio in quell'istante (ossia determinato spazio-temporaneamente) ora è impresso sulla tela e assume un carattere di universalità (di nuovo torna l'idea platonica): proprio per questo il processo ha invertito il "principium individuationis" che tende a dividere e distinguere le cose, vincolandole a determinati intervalli spaziali e temporali in quanto quel determinato paesaggio è stato impresso prima nella mente dell'artista e poi nel quadro e quindi magari nella mente di chi ammira l'opera. Il paesaggio ora si è "liberato" (parzialmente) dai suoi vincoli spaziali e temporali elevandosi all'universale.

La poesia di Brecht è anch'essa arte: cerca di elevare all'universale un'esperienza di vita o un'opinione dell'autore. Questa sua massima ora non è più "sua" ma è di "tutti". Inoltre come dici tu esprime un giudizio sulla civiltà materialista: in quella frase è infatti espresso ciò che connette molti comportamenti riprorevoli tipici di una società che si basa troppo sul "denaro". Quella semplice frase in sostanza  è un buon ritratto di quello che avviene comunemente.

Se vogliamo anche una legge della fisica nasce dal processo artistico: ossia cercare ciò che unifica i fenomeni. Per esempio il celebre esperimento di Galileo sul piano inclinato non è visto come quel semplice e particolare esperimento ma come il "prototipo" di tutti gli esperimenti sui gravi (e qui ritorna l'idea della forma platonica...).

(Spero che si sia capito con questi esempi, so di essermi spiegato abbastanza male ma per ora non riesco a trovare una spiegazione migliore)

Ovviamente p il mio approccio, ossia come cerco di spiegare io le varie esperienze comunemente dette "estetiche"...
#718
Riflessioni sull'Arte / Re:Cos'è per voi l'arte?
07 Agosto 2017, 14:48:23 PM
Jacopus preferisco ad entrambi gli approcci da te citati quello di Schopenhauer, descritto nella terza parte del Mondo Come Volontà e Rappresentazione, Vol 1. Per certi versi la posizione di Schop è simile a quella di Nietzsche e completamente diversa da quella di Adorno (che mi pare a quanto dici tu scambiare l'arte per demistificazione). Ma a differenza di Nietzsche per Schop l'arte non è consolatoria bensì è uno di quei metodi che ci aiutano a vincere il "principium individuationis". L'arte in questa concezione è un modo per comprendere meglio la verità più che una consolazione, un vedere meglio le cose come sono più che un rifiuto della realtà (cosa che è impossibile). 

Per questo ti domando, Jacopus, cosa ne pensi della conezione dell'arte di Schopenhauer?
#719
Concordo con te paul11 che si dovrebbe parlare di predisposizione più che di "reminiscenza". Ma appunto l'uomo di oggi è lontano dalla natura e con questo è sempre più "mondano" perchè ora la sua giornata è piena di burocrazia, tasse, tv, telefonini... e appunto in questa "mondanità" si è completamente staccato dalla "realtà naturale" nel senso che si è scisso dalla "base". E più si scinde più l'io si "gonfia" e aumenta d'importanza e più ci è difficile di contrastare questa tendenza. Ma proprio per questa difficoltà siamo costretti a gonfiarci sempre di più: facciamo progetti, siamo pieni di aspettative, guardiamo il riccone di turno e confrontiamo il suo "benessere" col nostro "malessere", ci interessiamo di politica e vogliamo capire tutti i vari intrighi, spesso studiamo per "accumulare conoscenza" invece di "istruirci". Perchè l'antico era più incline ad avere esperienze "mistiche": semplice aveva meno possibilità di "gonfiare" l'io, meno possibilità di creare discriminazioni e concettualizzazioni per il semplice fatto che la sua vita era a tutti gli effetti meno "complicata della nostra". Perciò non è che la natura dell'uomo sia cambiata: anche allora infatti l'uomo era ossessionato dal controllo e dalla tendenza a discriminare, distinguere ecc. Ma adesso è molto più facile per l'uomo cavalcare questa ossessione. E più "progrediamo" nella tecnologia più siamo al contempo "padroni" delle cose (perchè dopotutto le "possediamo" e le controlliamo) e "schiavi" di esse (visto che il possesso ci lega e più cose possediamo più siamo dipendenti dalle cose stesse) e così più limitiamo la nostra libertà. Questo è il paradosso del nostro progresso: ci sembra un progresso e un'affermazione del nostro vero "io" quando in realtà tutto questo è un colossale auto-inganno (così come è sbagliato ritenere che l'uomo di 3000 anni fa era più "saggio"... era più facile essere "saggi" perchè le cose che potevano "distrarre" erano meno).
#720
Già Sariputra... il problema dell'incomunicabilità. Ma aggiungo che oltre al problema dell'incomunicabilità queste esperienze hanno una seconda caratteristica. La "sensazione" (invero non è più una sensazione, piuttosto assomiglia all'assenza di sensazione) che si ha è che si è avuto contatto con una "dimensione" più "elevata". Parlare solo di incomunicabilità rischia di sottovalutare l'importanza di questa "elevazione", così infatti il Totalmente Altro (qualsiasi "assoluto" esso sia) non solo è "altro" ma è anche elevato, perchè non c'è niente che possa essere paragonato ad esso neanche nella nostra immaginazione, la quale pur essendo un interessante modo di "trascendere" la realtà empirica è pur sempre costretta ad essere ancorata ad essa. Quindi la "nudità" di Adam, ossia lo stato "pre-Caduta", non possiamo nemmeno immaginarla perchè anche con l'immaginazione non vediamo altro che "vestiti". Quello che facciamo è con le parole indicare nel miglior modo possibile tale "stato", ma con le parole non riusciamo a far nulla: il Totalmente Altro e Superiore ci sfugge perchè è "Superiore" ad ogni "altro" che ci può capitare nell'esperienza "ordinaria" o che possiamo immaginare e allo stesso tempo è "Altro" rispetto ad ogni "superiore" che possiamo concepire. Per questo motivo quando leggiamo gli scritti di questi mistici ci sembrano assurdi: cosa vuol dire che "per gli uomini antichi le cose non esistevano o esistevano ma senza confini" (parafrasi della citazione di Chuang-tzu)? Nulla perchè d'altronde l'albero e la sedia sono due cose diverse (quindi esistono e sono ben confinate, ben distinte). Eppure quando sentiamo queste parole mettiamo in discussione il nostro distinguere, il nostro "principium individuationis" come un errore, un "peccato", che ci allontana da uno stato al contempo "superiore" ed "altro". Per esempio Buddha nel descrivere il Nirvana disse: "Vi è quella dimensione dove non c'è terra, né acqua, né fuoco, né vento; non vi è la dimensione dell'infinità dello spazio, né la dimensione dell'infinità della coscienza, né la dimensione del nulla, né la dimensione di 'né-percezione-né-non-percezione'; non vi è questo mondo, né un altro mondo, né sole, né luna. E lì, io dico, non vi è giungere, né andare, né rimanere; né scomparire né sorgere: non è fisso, né si evolve, senza sostegno (oggetti mentali). Questa, solo questa, è la fine della sofferenza." Non c'è né Sole nè Luna, né fissità né evoluzione, non vi è né giungere, né rimanere, né andare. In poche parole ogni concettualizzazione (ossia ogni "confine", ogni distinzione, ogni discriminazione) è una sorta di ostacolo, un "allontanamento" da questa "dimensione" - che siccome non è ni-ente, nessun ente, nessuna "cosa" è invero per la nostra ragione il "nulla". Ma quando ascoltiamo queste parole sappiamo che l'errore non è di questi visionari bensì è proprio della nostra limitata ragione.

Tuttavia tra di noi dobbiamo comunicarci anche questo tipo di esperienze e quindi dobbiamo "concettualizzare" ciò che non può essere concettualizzato, altrimenti saremmo completamente smarriti, saremmo senza speranza, saremmo completamente "caduti". Così ci tocca "tradurre" con il nostro linguaggio anche queste esperienze e spesso tutto ciò produce affermazioni senza senso che servono come "indicazioni"... Il positivismo sbaglia proprio quando afferma che è la nostra ragione a creare la "trascendenza" non rendendosi conto che la trascendenza per la ragione è proprio il niente visto che la nostra ragione è basata sull'esperienza ordinaria. Infatti è proprio dal collasso di ragione e linguaggio che possiamo "intuire" che c'è davvero l'Oltre...