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Messaggi - Sariputra

#721
cit.Phil
Tuttavia, se hai davanti un piatto di carbonara e assaggi solo la pancetta/guanciale, non potrai certo sapere se la pasta è scotta o troppo salata... giudicare male un autore da pochi frammenti significa mangiare la pancetta/guanciale e dire "questi spaghetti fanno schifo!" (magari bisogna accertarsi di aver provato anche gli spaghetti, no?).
Visto che qui si parla di testi, direi che è la solita storia del libro e della copertina...


Oddio!...Solo copertina dici? Diciamo un buon 50% del testo. Nel caso dell'"Anticristo" e di " La Volontà di potenza" forse il 90%  è fatto di insulti, scoppi di rabbia e frasi esplicitamente razziste... ;D
Nel mio caso, per es., dopo aver letto due libri di N., e varie interpretazioni date, ho ritenuto di non leggere altro visto che, come scrivono nelle confezioni di medicinali, è opportuno abbandonare la cura se gli effetti collaterali sono superiori ai benefici... ;D
Sappiamo che N. ha vissuto due interpretazioni diverse. Fino agli anni trenta -quaranta era considerato dagli intellettuali cattolici, socialisti e marxisti come un pensatore con un legame, più o meno forte, con il nazismo, o quantomeno con un radicalismo aristocratico dispotico, violento e superomistico, anticipatore del delirio hitleriano. Questa tesi veniva sostenuta da gente come Thomas Mann, Ernst Bertram, Vilfredo Pareto, Benedetto Croce, Karl Löwith ("ha preparato la strada che lui stesso non percorse"), Ernst Bloch, György Lukács...
Dopo la fine della guerra e del nazismo è subentrato il tentativo di denazificare il filosofo, sostenendo soprattutto una tesi: che l'interpretazione nazista sarebbe stata resa possibile dalle falsificazioni della sorella del filosofo, Elisabeth, che avrebbe pubblicato i frammenti de "La volontà di potenza" dopo opportune manipolazioni, e dall'aver trascurato le numerose prese di distanza del filosofo dall'antisemitismo tedesco a lui contemporaneo.
Si dimentica però che "la volontà di potenza" venne pubblicata quando Hitler era ragazzino ed è difficile pensare ad una Elisabeth con doti di preveggenza... :-\
Nonostante sia stata considerato "denazificato" dai filosofi  postnazismo però, questa tesi, non ha trovato uguale accoglienza presso gli storici , propensi per lo più a sottolineare il contrario (da W. Shirer a Eric J. Hobswam, da Gerhard Ritter a Ernst Nolte e Arno Mayer ...).
Anche la tesi del N. anti-antisemita venne messe in discussione dagli storici quando si constatò che N. cercava di trovare un alleato per la trasvalutazione dei valori nella finanza ebraica, e la presenza tra i suoi principali traduttori, divulgatori ed estimatori, quando era ancora in vita, di molti ebrei, come Georg Brandes o Daniel Halévy.
Perché gli ebrei amavano N.? Bella domanda...Odio ebraico per il Cristianesimo? Chissà...
La tesi innocentista  è tornata ad essere messa in discussione negli ultimi decenni anche presso i filosofi, però.  In particolare  Domenico Losurdo ( che mi sembra sia morto di recente...), ordinario di storia della filosofia ad Urbino,  autore del ponderoso volume "Nietzsche, il ribelle aristocratico", tenta una ricostruzione del pensiero di Nietzsche non più 'disancorata' dal contesto storico appropriato: per Losurdo, per esempio, non si può fingere che quando il filosofo parla di "annientamento di milioni di malriusciti", di "popoli malriusciti", di "malaticci, infermicci, estenuati, da cui oggi l'Europa comincia ad essere ammorbata", di "menzogna dell'eguaglianza delle anime"... si tratti solo di metafore innocenti e fascinose, senza legame alcuno con la realtà dell'epoca, segnata dal diffondersi plateale della mentalità razzista e di quella eugenetica promossa anzitutto da Francis Galton (verso cui Nietzsche esprime in più occasioni, esplicitamente, la sua stima).
Quindi il dibattito è tutt'ora aperto e non certo così pacifico come sembra ...
N. non era un nazista ma sicuramente molte delle idee, da lui e da molti altri professate in quella Germania tardo-ottocentesca, in quel clima culturale, furono il brodo da cui trasse la sua forza e la sua ideologia il nazismo...
M.Heidegger invece fu dichiaratamente un vero nazista e antisemita. Non lo sapevo, ma mi sono informato di recente...ho letto qualcosa al riguardo...
Ciao

P.S. E' vero che il filosofo fa i conti con la filosofia e lo storico con la storia, ma il filosofo parla anche della storia e quindi la storia parla anche di un filosofo... ;)
#722
@oxdeadbeef
Confesso che sto facendo un pò fatica a seguire il tuo ragionamento.
Provo allora a farne un riassunto in base a quel che mi sembra di aver capito ( correggimi poi dove sbaglio...).
Mi pare tu sostenga che:
1. Il concetto di Dio è il 'cemento' che forma la comunità umana e viceversa.
2. L'etica è una sovrastruttura culturale.
3. Anche "Dio" è una sovrastruttura culturale (? non sono sicuro tu intenda questo...").
4. L'uomo non è né buono né cattivo ma però fondamentalmente egoista.
5.Il dio delle religioni (in particolare il dio giudaico-cristiano) è una falsità.
6. E'stato un bene che , negli ultimi due secoli, questa idea fasulla di Dio abbia perso forza.
7. C'è però una concezione di Dio meno ipocrita (più Dostoevskij e Kant che non Nietzsce il quale, quasi sicuramente, era ateo...).
8. Sulla base di questa nuova e meno ipocrita idea di Dio si può tentare di formare una comunità più giusta, meno individualista.
Naturalmente è una semplificazione brutale che faccio, tanto per capirsi insomma...
Mi sembra una posizione simile a quella sostenuta, su questo forum, anche da Green demetr il vacanziero...
Ti dirò che io amo profondamente Dostoevskij del quale ho letto tutti i romanzi, anche più di una volta. E per dire che cerco di non avere una visione "trita e meschina" di Dio posso portare a mia testimonianza vari interventi su questo forum negli anni, tra cui una discussione dal titolo "Sonja", proprio partendo dal noto personaggio di "Delitto e Castigo"...
In un precedente post di questa discussione ho parlato della consapevolezza dell'interdipendenza di tutte le cose e ovviamente, a maggior ragione, di tutti gli esseri.
La mia risposta al drammatico problema della 'chiusura' dell'uomo postmoderno nell'individualismo sempre più marcato ( e che con tutta probabilità andrà ad aumentare per lo sviluppo della civiltà digitale, che fornisce surrogati virtuali al bisogno di comunità...) la intravedo proprio nel lavoro che si può fare nell'aumentare questa consapevolezza dell'interdipendenza.
Temo infatti che una visione pur diversa del concetto di Dio, se priva di questa consapevolezza, porterebbe a esiti ininfluenti sulla società attuale con il rischio della nascita di una nuova forma di "chiesismo", non molto dissimile da quelle sperimentate storicamente.

Spero di non aver frainteso troppo... :(  
Ciao
#723
@davintro
Concordo in larga parte e ti faccio i complimenti per l'esposizione, come sempre chiara e pacata (cosa che ti invidio  spesso... :( ).
Uno dei motivi per cui  non ritengo il solipsismo molto sostenibile sta proprio in questo passo del tuo scritto:
Se fosse il mio Io la condizione di esistenza delle cose, allora sarebbero, per così dire, in mio possesso, avrei un totale dominio su di esse, e la mia volontà potrebbe decidere i contenuti da percepire, mentre in realtà gli stimoli della sensazione sono passivamente recepiti...

Infatti  l' "io" , che sorge in dipendenza  dal contatto, poi dalla percezione, quindi dalla sensazione che fa sorgere il desiderio, dalla volizione per ripetere la sensazione piacevole oppure fuggire la sensazione spiacevole, per quale motivo, se fosse il solo 'padrone' di questo processo dinamico, si autocreerebbe contatti e percezioni che poi sfociano in sensazioni spiacevoli?

Ciao
#724
@Oxdeadbeef scrive:
E che vuol dire moralità "autentica": forse che ne esiste una "inautentica"?


Certamente. la moralità autentica è quella che sorge spontanea dalla mente, l'inautentica quella che viene imposta dalla società, dai credi, ecc. ma che non viene percepita dal soggetto come salutare, come giusta. L'autentica è priva dell'elemento paura, l'inautentica vive dell'elemento paura.

Ora, vedi tu, nella storia, questi sentimenti di solidarietà e altruismo nei confronti di altre persone, di altre culture,
di altre nazionalità?  


Cosa intendi per "storia"? Quella che viene raccontata e commentata nei libri o quella fatta dagli infiniti gesti quotidiani della gente? Nella prima è difficile scorgere solidarietà e altruismo; nella seconda  se si vogliono vedere, sono esistiti, esistono ed esisteranno, a parer mio, infiniti gesti di solidarietà e altruismo ( se il mondo si regge in piedi ancora, ancorché traballante, probabilmente è proprio per questi...). Ti ricordi, solo come esempio, la storia di quell'extracomunitario che si è buttato nel fiume per salvare un'italiana, mentre gli italiani guardavano? E che cosa gliene veniva? Era anche di un'altra razza e cultura...

Non solo, li vedi tu, oggi, presenti come ieri nella nostra stessa società?

E' una cosa impossibile da valutare, secondo me. Non abbiamo elementi per giudicare la quantità e qualità di altruismo presenti un tempo e quella odierna. Purtroppo si va a "sensazione". Non saprei onestamente rispondere a questa domanda... :(

E come fai a dire una simile aggettivazione senza ricorrere a categorie "ab-solute", cioè metafisiche? Ti rendi conto che
parlare di una moralità "autentica" è equivalente a dire: "io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all'infuori di
me"?


Nient'affatto! Ho specificato sopra che la moralità autentica si distingue dall'inautentica per l'assenza dell'elemento "paura". L'elemento paura è un prodotto della mente , non occorre scomodare categorie metafisiche, a parer mio. Nel caso del credente che agisce per paura abbiamo perciò un credente inautentico, un falso credente.

Tempo fa, al bar del mio paese, ho sentito una persona (avrà fatto sì e no le elementari...) affermare: "il giorno che muoio 
io finisce il mondo".
Ora, a parte il fatto che costui ha espresso un pensiero in tutto degno di Nietzsche (a riprova che tutti sono capaci di
fare "grande" filosofia), ti rendi conto che una simile "forma-mentis" non può contemplare solidarietà ed altruismo?

Ma anche se 'tutta' la forma mentis di costui non contemplasse un briciolo di solidarietà e altruismo non significherebbe certo che tutti sono privi di solidarietà ed altruismo. Mi sembra una forma di generalizzazione un pò ingiusta e 'sommaria'. 
Mi sembri parecchio pessimista...scusa la franchezza ( anche se, ovviamente, ci sono pure buone ragioni per esserlo...) :(

Questo è forse l'esempio più lampante di quell'emersione prepotente dell'individuo che, dicevo, contrassegna l'intero
processo storico dell'occidente, e che oggi è probabilmente arrivato ad uno dei suoi punti più estremi.
E, no, quella persona non era e non è "cattiva". E' egoista, senz'altro, ma come ormai lo sono tutti...


Proprio oggi leggevo un libro di R,Venturini in cui invece approfondiva il problema che sembra proprio che sia l'Oriente ormai ex buddhista e taosta/confuciano che si stia votando ormai in massa al più bieco individualismo fondato sul consumo ossessivo, mentre proprio l'Occidente comincia ad interrogarsi ( per ora soltanto nei suoi elementi più consapevoli, purtroppo...) se questa non sia una strada senza uscita...da game over... :( il che è un bel paradosso e rompicapo che potrebbe , alla lunga, mettere in discussione molti ragionamenti che si son fatti...
Ciao  :)
#725
Se confrontiamo queste tesi con quel che afferma E.Durkheim sull'origine delle religioni (l'origine delle religioni è nel
totemismo, e perciò vi è una diretta corrispondenza fra l'idea di Dio e la comunità), vediamo che queste tesi possono avere
una loro validità, ma solo all'interno di una ben specifica comunità, o "cultura".


Ma , per caso, Durkheim ritiene ci sia stata un'epoca in cui l'uomo non è vissuto in comunità? E' evidente che alcuni aspetti della morale siano finalizzati al bene proprio , al bene della comunità, al bene di entrambi. Ma non si può imputare alla moralità se una certa comunità si scagliava contro un'altra., ma casomai all'assenza di moralità (autentica) all'interno di quella specifica comunità. Infatti la guerra, la violenza, lo sfruttamento, non cagionavano danno solo all'altra comunità, ma anche alla propria in quanto accrescevano il carattere insano di quella certa comunità aggressiva ( con gli effetti storici che abbiamo visto e vediamo..).
La morale salubre o insalubre non ha valore solo all'interno di una comunità ma anche, per es. , all'interno di un nucleo famigliare. Avrebbe lo stesso significato anche se fosse semplicemente il rapporto tra due soli individui (posso infatti cercare solo il mio vantaggio, solo il vantaggio dell'altro, oppure quello di nessuno dei due e viceversa cercare il mio, l'altrui e quello di tutti e due...).

E' in altre parole evidentissimo che solo all'interno di un gruppo umano ben "individuato" (da una cultura, da una lingua
come da una vera e propria etnia) possono stabilirsi rapporti fra i membri improntati alla solidarietà e all'altruismo.
Molto di rado (e se permettete gli esempi storici si sprecano...) questi rapporti si instaurano nei confronti di culture
diverse: del cosiddetto "altro".


Anche in questo passo mi sembra si faccia confusione. Infatti si fatica ad instaurare rapporti "improntati alla solidarietà e all'altruismo" con altre culture, non per effetto della moralità ma evidentemente per la sua assenza. Se l'Occidente  ha spadroneggiato ( e spadroneggia) sulle altre civiltà è perché, non comprendendo l'interdipendenza reciproca, non si cura del salutare altrui, ma solamente ed egoisticamente del proprio ( in modo miope e che gli si ritorcerà contro...).
Se una comunità fosse composta tutta da persone che hanno realmente a cuore il proprio bene e insieme l'altrui, realizzando così il bene di entrambi, non avremmo certo questo tipo di storia umana alle spalle...
Questa storia è il frutto dell'assenza di moralità autentica in coloro che governano e hanno governato i popoli, sostituita da una moralità fasulla, formale, di facciata, che serve solo a coprire il fatto che si persegua il proprio interesse e non l'altrui.

A parer mio in queste questioni vengono sempre e inopportunamente tirate in ballo le religioni così come esse si sono
formate nella storia.
Oppure vengono tirate in ballo questioni che solo apparentemente non hanno a che fare con le religioni "storiche",
come ad esempio quella di un uomo "buono per natura".


Mai affermato che l'uomo sia "buono per natura", ma nemmeno che sia "cattivo per natura"...come mi sembra sostieni tu. Credo sia evidente che , accanto a gesti egoistici, siamo ben capaci di gesti altruistici. Tutto questo ovviamente nella dinamica interiore di uno stesso soggetto, ché nessuno è bianco o nero, nessuno può tirarsi fuori dalla possibilità che ha di compiere malvagità, ma nondimeno neppure dalla possibilità che abbiamo e sentiamo di poter costruire e agire per ciò che è salutare...
Non ho tirato in ballo inopportunamente nessun tipo di religione formata nella storia. Son riflessioni personali...con tutti i limiti ovviamente  ;D
Ciao
#726
"Penso dunque che agli uomini giovi la sorte avversa più di quella prospera: questa, infatti, mostrandosi lusinghiera, inganna sempre con la parvenza della felicità, l'altra è sempre veritiera, mostrando la sua instabilità e la sua mutevolezza."
Anicio Manlio Severino Boezio


cit.Sgiombo
"La virtù é premio a se stessa" (e non ha alcun bisogno di paradisi di alcun genere; nè il vizio di inferni).


Concordo. Penso che non si tratta di stabilire a priori  degli imperativi, empirici o categorici, ma di sperimentare nella propria vita quali siano i vantaggi reali, concreti di un comportamento guidato dalla virtude. Se sostituiamo i termini "bene" e "male", che vengono percepiti dall'uomo moderno come carichi di valenza metafisica ( e perciò rifiutati...) con "effetti salutari" e "nocivi", sottolineiamo che un comportamento immorale non è tale perché va contro delle norme, ma perché è dannoso a se stessi, agli altri, a entrambi. A sua volta un comportamento morale è tale non perché obbedisce a norme o in funzione di un ipotetico premio 'divino', ma perché risulta benefico a se stessi, agli altri, a entrambi.
Se poi , come base di sotegno a questa virtù, inquadriamo il tutto nella consapevolezza del carattere di totale interdipendenza dei fenomeni e della loro impermanenza possiamo trovare risposta adeguata  pure all'obiezione: "Che possiamo dire di un'azione che è virtuosa per me nella misura in cui è dannosa per altri?"...
Infatti l'esperienza e la pratica di queste due qualità del reale, dovrebbero condurre allo sfaldamento del concetto di "io" separati. Il "mio" interesse non sarebbe in questo modo sempre e soltanto "mio", così come quello degli altri non sarebbe sempre e soltanto il "loro".
Tutto sarebbe vano se però la qualità mentale dell'equanimità non vigilasse sull'intero 'processo'. Equanimità in quanto capacità di distinguere e di scegliere in modo equilibrato.


Su Nietzsche e la V.di P. mi sono autocensurato... ;D  ;D ( a proposito di equanimità).
Ciao
#727
Se la realtà è una rappresentazione che ne fa il soggetto, anche l'esistenza di altri soggetti potrebbe benissimo far parte della rappresentazione che se ne fa un unico, ipotetico soggetto (io non credo ad un soggetto come entità fissa ed autonoma, ma piuttosto come un processo impermanente, condizionato e interdipendente, come tutti gli altri ...). Concordo quindi con Sgiombo sull'impossibilità di dimostrare razionalmente l'esistenza di altri soggetti, ma solo se ne può accettare ragionevolmente l'esistenza  "per fede irrazionale" (una specie di "sensazione",forse???...).
Anche la visione della "fine" di altri soggetti-altro-da sè è una rappresentazione che il soggetto si fa della morte, essendo impossibilitato a vedere l'opposto da sè, ossia la morte come non-soggetto, così come la lama di un coltello non può tagliare se stessa.
Cosa succede alla fine del soggetto è uno degli indecidibili (avyakrita). Problemi irrisolvibili per la razionalità.
Tenendo a mente che "fine" è solo un concetto utile e convenzionale. Ciò di cui il soggetto fa esperienza è sempre "trasformazione", mai fine.
Spero si capisca...l'afa che opprime Villa Sariputra mi ottenebra assai, in questi giorni... :(
#728
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 15:08:47 PMIo non sono ne' un suo discepolo ne' un suo detrattore. Non mi interessa difenderlo. Però quando mi avvicino alla sua opera riconosco che c'è qualcosa di grande. Basta avere un briciolo di istinto filosofico per sentirlo. Non ho nessuna intenzione di fare il gioco di cercare di giustificare parti della sua opera etc. Per capire il suo pensiero bisognerebbe prima chiedersi se si sono compresi i suoi concetti filosofici di base (volontà di potenza, eterno ritorno, genealogia, etc.). Del resto è quello che si farebbe normalmente se si decidesse di leggere per esempio la Fenomenologia dello spirito. Saremmo attenti a non confondere il significato specifico dei termini usati da Hegel con quelli del senso comune. Nella tua poesia sembravi confondere la volontà di potenza, che è un concetto filosofico, con il semplice desiderio e le sue oscillazioni. Non mi sembra un buon punto di partenza... Bisognerebbe chiedersi con onestà se si ha voglia di condurre una lettura critica e attenta e riuscire magari a tirar fuori qualche tesoro o rimanere fermi ai propri pregiudizi. Detto questo, ed essendomi reso conto che nel forum nei confronti di N. c'è poca generosità e giustizia, mi fermo qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti supporter...

Ti ringrazio per i franchi complimenti... ;D  ;D
Mi fa piacere che tu disponi di questo famigerato "istinto filosofico",,,di cui evidentemente son sprovvisto.
Non essendo interessato, per ovvi motivi,  a scavare nel letame per "tirar fuori qualche tesoro"... penso anch'io di fermarmi qui per non risultare troppo insistente ed essere confuso con i suoi violenti detrattori... ;)
Ciao
#729
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 12:35:25 PMQuello che voleva suggerire Deleuze è che l'uomo nobile di N. (così come per esempio l'uomo nobile di Eckhart), non può essere dedotto dai luoghi comuni della nostra vita pubblica. L'uomo nobile non è chi ha il potere politico o economico, per intenderci, ma chi vive con gioia la propria differenza, chi non ha risentimento e non ha alcun interesse a costringere gli altri a essere come lui, chi con serenità va avanti per la sua strada senza voler essere riconosciuto, interessato più alla sua gioia di creare che al vile godimento di sottomettere gli altri etc.. Bisogna cercare di allontanarsi dai soliti pregiudizi critici su N. altrimenti non si fanno che ripetere gli stessi secolari fraintendimenti. Se prendessimo come modello dell'uomo nobile di Eckhart l'aristocratico del suo tempo non capiremmo praticamente nulla del suo pensiero. Ma Eckhart, mi dirai tu, ha scritto saggi e sermoni che chiariscono la sua concezione. E Nietzsche no?

Eckhart chiarisce i suoi intendimenti, mentre N. afferma e poi contraddice quello che lui stesso afferma.
Il risultato è quello che vediamo: c'è chi lo definisce come vero cristiano e chi come ateo, chi come fautore di una vera morale autentica e chi come profeta dell'immoralità; chi lo vede ditaccato e chi lo vede incatenato ad un estremo desiderio di forza, ecc.
L'amante del baffone a questo punto dice: E' per via della sua grandezza. Era così grande che voi non potete capirlo (sottintendendo che lui lo capisce... ;D ).
Il denigratore del baffone a questo punto dice: E' per via che, poveretto, era malato e disturbato. Dice tutto e il contrario di tutto...
Io non credo che fingesse o che mistificasse ( come afferma non senza ragioni C.Pierini) ma che invece si credesse veramente un "profeta". Il modo narrativo stesso che sceglie e che usa, pesantissimo ( anche come stile...) negli ultimi lavori prima dell'internamento, lo afferma per me chiaramente.
Quindi  gli amanti del filosofo dovrebbero indicare i passi e i testi che sono l'autentico pensiero del nostro e quelli che non lo sono.
Perché se no, come vediamo nelle infinite interpretazioni, spesso contrarie le une alle altre, si rischia non di capire N. ma solo di cercare di capire le interpretazioni che se ne danno ( ovviamente condizionate dal fatto che piaccia o non piaccia...).
Come si deve intendere, per sempio, questo passo:

"L'ordinamento delle caste, la gerarchia,formula soltanto la legge suprema della vita stessa; la separazione  dei tre tipi è necessaria alla conservazione della società, affinché siano resi possibili i tipi superiori e sommi - la disuguaglianza dei diritti è la condizione prima perché ci siano in generale dei diritti.- Un diritto è un privilegio. ...
Un cultura elevata è una piramide:  essa può poggiare soltanto su una vasto terreno, essa presuppone in primo luogo la mediocrità, robustamente e sanamente (?)c consolidata. Il mestiere , il commercio, l'agricoltura, la scienza, la maggior parte dell'arte...si accorda perfettamente soltanto con una mediocrità nel potere e nel desiderare. Tale attività sarebbe fuori posto tra eccezioni, l'istinto che le compete contraddirebbe tanto l'aristocraticismo quanto l'anarchismo...
Chi odio io maggiormente tra la plebaglia di oggi? La plebaglia socialista,  gli apostoli dei Ciandala ( i senza casta, i reietti dell'ordine sociale hindu...n.d.S), i quali sovvertono lentamente l'istinto, il piacere,quel senso, nel lavoratore, di moderato appagamento del suo piccolo essere  - i quali lo rendono invidioso, gli insegnano la vendetta...Il suo torto non sta mai in diritti ineguali, sta nel pretendere "uguali" diritti...Che cos'è cattivo? Ma l'ho già detto: tutto quanto scaturisce da fiacchezza ( parla lui che notoriamente si spaccava la schiena nei campi...n.d.S.),
da invidia, da vendetta ...L'anarchico e il cristiano hanno un'identica origine..." **

 A parte che mi sfugge perché coloro che definisce come dotati di "piccolo essere" dovrebbere restare appagati e non, esercitando proprio la vdp, desiderare di essere migliori e diventare i "sommi" e quindi  "rovesciare i sommi dai troni" nei quali  questi ultimi si autoqualificano trovarsi...

Questo quale N. è: quello sano o quello ormai malato?   :-\
Istruitemi, fatemi capire... ;D
Ciao

** L'anticristo-cap. 57 -  corsivo rigorosamente come nel testo di N.
#730
Citazione di: Kobayashi il 17 Luglio 2018, 11:42:20 AMScrive Deleuze: "Non si insisterà mai troppo nel sottolineare quanto siano estranee a Nietzsche e alla concezione della volontà di potenza le nozioni di guerra, di rivalità o anche di confronto. Non che egli neghi l'esistenza della lotta, ma non la ritiene affatto creatrice di valori. Tutt'al più, i soli valori che essa crea sono i valori dello schiavo che trionfa: la lotta non è principio o motore della gerarchia, ma mezzo di cui lo schiavo si serve per rovesciare la gerarchia. La lotta non è mai espressione attiva delle forze o manifestazione di una volontà di potenza che afferma, e il suo risultato non esprime affatto il trionfo del signore o del forte. Al contrario, la lotta è il mezzo con cui i deboli, in quanto più numerosi, riescono a prevalere sui forti."

Mi sembra la solita morale aristocratica ( e un pò 'fascista'...). Ci sono i 'nobili', i forti, i pieni di vitalità,i creativi, quelli che non temono la vita ( i "pochi", i profeti della verità alla Nietzsche,insomma...) e poi la suburra, gli schiavi, i poveri di spirito, i codardi, i paurosi ( i più numerosi ) che si ribellano solo perché odiano i 'nobili' e i 'grandi', odiano i detentori della vera VdP, non di quella degenerata degli schiavi e vorrebbero essere come loro, visto che sono invidiosi e pieni di risentimento e non si accontentano di essere quel che sono, ossia 'schiavi'...
#731
La volontà di potenza da un altro punto di vista

Io potrei...
Ah!Se io potessi non essere così...
se potessi essere cosà...
Io potrei essere così?...
Potrei essere diverso...
Perché non posso essere così?...
Voglio essere così e non cosà...
Dovrei essere cosà e non così...
Sono stanco di essere così, sarò cosà...
Sono  deluso da essere cosà, ritornerò ad essere così...
Voglio essere di più di così...
Non voglio essere meno di cosà...
Oh!...Se infine potessi non pormi più queste domande moleste, tormentose. 
Se potessi trovare un luogo ove non debba sempre confrontarmi...
Puoi tu, se esiste, indicarmi questo luogo?...
Non è il mio utile continuare questo perpetuo confronto...
Non è piacevole questo sentirsi peggiori, uguali o migliori...
Di volta in volta...
Senza posa...
Di fronte a te...
#732
Citazione di: Kobayashi il 16 Luglio 2018, 15:26:52 PM
Citazione di: Sariputra il 16 Luglio 2018, 14:12:58 PMNon è solo una religiosità mal digerita che serve a rafforzare la propria individualità. Oggigiorno si usa anche, per esempio, comprarsi un Suv più grosso di quello del vicino.Ogni cosa che sentiamo come "mia" mi pare serva allo scopo... Insomma non è che sempre dobbiamo "sparare" addosso alla religiosità affibbiandogli tutte le colpe dell'andazzo ( anche perchè ormai l'influenza della spiritualità nel mondo consumistico attuale è assolutamente risibile...).[/font][/size][/font][/size][/color]
Nessuno sta sparando addosso al religioso. Il dubbio legittimo è che una spiritualità che ti porta a essere più intollerante (nei confronti di un bestemmiatore o del proprietario di un Suv) non serve assolutamente a niente. Chi ha fatto un certo percorso di distacco, di fronte al Suv si sorprende che qualcuno possa desiderare un'auto così grossa e costosa, non si sente afflitto per il confronto con la propria auto e bisognoso quindi di argomentazioni spirituali ad hoc per tornare a ristabilire dentro di se' un certo equilibrio. Così come di fronte al bestemmiatore convinto il "religioso sano" rimane affranto dal fatto che quell'uomo sia così lontano dalla pienezza e dalla gioia che sa donare il suo dio. Ma di sicuro non va a pensare che quelle parole siano un affronto alla sua persona. Soprattutto se si tratta di cristiani. Non si fa che ripetere della necessaria rinuncia a se' e poi, contemporaneamente si continua a interpretare ciò che ci circonda come un attacco alla nostra preziosa individualità?

Non è che si sia più intolleranti nei confronti di chi diispone di un Suv più grosso (almeno io non lo sono...). Si constata semplicemente che si usa il possesso di beni materiali , ritenuti dalla società come "più di prestigio e status" rispetto ad altri, come strumento per affermare la propria identità di fronte agli altri. Un tempo si brandiva la spada più lunga, adesso il suv più grosso...o altre cose che ti fanno ritenere e sentire come "migliore"- :)
Infatti si parla di male-educazione e non di "attacco". L'attacco è l'offesa diretta, esplicita.
Anch'io, come Freedom, non capisco perché equipari il fastidio che si prova davanti alla maleducazione con "la presunzione gnostica di essere migliori"...
Mi sembra che stai leggendo motivazioni inesistenti. Dietrologia?... >:(
#733
Hai ragione, è tutta questione di differenti punti di vista, e di diversi modi sentire.  
Quanto a James Joycese non mi piace l'eco che mi rimanda la vita, dopo vari vani tentativi le mando un ultimo messaggio (vaffa...), e poi smetto definitivamente di inviarle inutilmente ulteriori messaggi. 


Ma essendo un'eco è come se ti ci mandassi a vaf... ;D  ;D  ;D
#734
Credo che sia impossibile legiferare contro la bestemmia o la maleducazione in genere. Dovrebbe essere lasciato alla sensibilità, educazione e consapevolezza personale a meno che la bestemmia non si configuri come un'offesa direttamente ed esplicitamente diretta al credente che magari ci si trova davanti. Altra cosa ovviamente l'intercalare quasi inconsapevole che spesso si sente in persone di livello culturale basso...e però magari con  un cuore più generoso di molti "religiosi", o che si definiscono tali.
Esempio di basso livello: si può dire "Porco handicap" o "Handicap cane", ma non "Porco handicappato" o "Cane di un'handicappato".


Altrimenti siamo sempre lì con la religiosità che serve solo a rafforzare la propria identità.

Non è solo una religiosità mal digerita che serve a rafforzare la propria individualità. Oggigiorno si usa anche, per esempio, comprarsi un Suv più grosso di quello del vicino.Ogni cosa che sentiamo come "mia" mi pare serva allo scopo... Insomma non è che sempre dobbiamo "sparare" addosso alla religiosità affibbiandogli tutte le colpe dell'andazzo ( anche perchè ormai l'influenza della spiritualità nel mondo consumistico attuale è assolutamente risibile...).
#735
cit.Eutidemo
Non che nella vita non ci siano momenti piacevoli, ed anche di estrema felicità, ma, a mio parere, non bilanciano quasi mai quelli negativi; soprattutto se pensiamo alle condizioni in cui vivono nel terzo mondo centinaia di milioni di persone.

Secondo me invece è sempre una questione soggettiva. Nel mio caso, nonostante la vita non sia stata generosa dal lato salute fisica ( tralasciando l'altrettanto doloroso capitolo economico... :-[ ), vista la mia precocissima esperienza con la sofferenza vera, che ha poi però permesso lo sviluppo del mio interesse verso forme filosofiche  che mettono al centro proprio quest'esperienza, l'"estasi" che mi danno i momenti di percezione della Bellezza della vita sovrastano enormente quelli negativi. E mi rendo conto che, proprio perché ho vissuto molti momenti spiacevoli, apprezzo maggiormente quelli piacevoli. Anche durante i lunghi periodi spiacevoli fisicamente, mi ricordo che provavo un'emozione così forte e una così intensa capacità d'abbandono tale quasi da trovare, se così si può dire, del "piacevole nello spiacevole", e, in ogni caso, pur anelando ovviamente alla guarigione, furono i momenti più fecondi della mia misera esperienza 'spirituale'...

E' senz'altro vero che, sia la soglia del dolore sia quella sopportazione, variano da individuo ad individuo, e che non è possibile fare una statistica generale; però, almeno per la mia esperienza personale, posso garantirti che -nelle situazioni più gravi e disperate- ho visto quasi tutti invocare che la morte arrivasse al più presto...sebbene i medici facessero di tutto per tardarla (sembrava che tenessero più alla malattia, che al malato).

Sì, la sofferenza estrema può portarti ad invocare la morte. Ne ho fatto esperienza nei lunghi anni passati negli ospizi, che ormai sono diventati, per i tagli alla sanità, dei veri reparti di lungodegenza . In quei momenti, ovviamente, non fai ricordo degli innumerevoli momenti di gioia, serenità, pace e bellezza di cui hai goduto nel corso dell'esistenza. Spesso, per bimbi nati con gravi malattie per esempio, questi momenti possono essere stati pochissimi. La consapevolezza di questa possibilità mi spinge ad apprezzare maggiormente il fatto che, senza alcun merito, io ne abbia potuto gioire in abbondanza. Non imputo alla vita materiale alcuna colpa, visto che si tratta solo del prodotto di cause e condizioni il fatto di essere più o meno in salute, né ad alcuna divinità ritenuta più o meno ingiusta. Mi sforzo di "stare" con ciò che è. "Questo" è ciò che abbiamo come prodotto, anche noi, di cause e condizion...
Ciao  :)

P.S. Sembra che il numero di suicidi non sia determinato dalle condizioni economiche in cui si versa. Infatti uno dei pesi più ricchi e agiati del mondo, il Giappone, si trova al settimo posto nel ranking internazionale e il Belgio al 18esimo. In generale, nelle prime dieci posizioni, non troviamo nessun paese povero africano ( addirittura, ad una veloce lettura, mi sembra nemmeno nei primi cento...). Però, onestamente, bisogna dire che le statistiche in quei paesi non credo siano molto affidabili e che non si vada troppo a cavillare sul perché uno è morto... :(

P.S.II.  Spero si sia capito che i miei precedenti interventi erano tra il serio e il faceto...

Lascio un aforisma di James Joyce:
La vita è come un'eco: se non ti piace quello che ti rimanda, devi cambiare il messaggio che invii.