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Messaggi - maral

#721
CitazioneA circa un secolo dall'avvento della meccanica o, meglio, fisica quantistica, come mai sopravvive la consueta rigidità oggettivistica nel pensiero scientifico e persino teologico?
Si potrebbe dire perché le superstizioni sono dure a morire e in questo caso la superstizione è che l'oggetto possa sussistere senza il soggetto che lo osserva traducendolo continuamente in significato o, in ambito opposto, quello di un soggettivismo estremo, che possa sussistere un soggetto senza alcun oggetto che lo rifletta nel suo significato di soggetto. In altre parole che esista una separazione netta e invalicabile (o sempre perfettamente e staticamente definibile) tra soggetto e oggetto, tra cosa e significato, tra fuori di me e dentro di me. In realtà, se da un lato, è in noi che le cose appaiono mostrandosi per ciò che (in parte) sono, è il nostro operare su di esse che produce ciò che siamo a partire dal significato che l'operare tecnico ci conferisce. Noi, come soggetti, ci veniamo così a essere espressi dagli stessi strumenti che usiamo per conoscere il mondo e manipolarlo e il dentro e il fuori viene così sempre a coincidere in ciò che accade.
La meccanica quantistica ha compromesso l'ingenua visione realistica di un determinismo che immaginava un osservatore separabile a mezzo del metodo appropriato da ciò che osserva, come se ci si potesse collocare dietro uno schermo invalicabile: da una parte io osservatore, dall'altra il fenomeno osservato, com'è in sé e per sé. Ma, visto che questo schermo non c'era, per poter continuare a trattare scientificamente il fenomeno quantistico, ossia secondo l'esattezza della ripetibilità del numero, è stato necessario adottare una visione probabilistica dell'essenza e la realtà prima è così diventata probabilità, svanita in una precisissima nuvola di probabilità in linea di principio sempre calcolabile.
Ma la meccanica quantistica è stata resa a sua volta possibile da un certo modo di pensare il mondo che a sua volta, la strumentazione introdotta dalla fisica quantistica e il suo modo tecnico operativo ha a sua volta modificato, modificando il significato delle cose e quindi il nostro modo di pensare e di pensarci, di percepire e di sentire noi stessi. Siamo noi in questo grande fluire che è come una sorta di pulsazione continua, siamo noi stessi in ogni atomo questa stessa pulsazione pulsante, questo è ciò che solo oggettivamente ci resta.
#722
Tematiche Filosofiche / Che cos'è la verità?
24 Maggio 2016, 15:17:26 PM
I Greci chiamavano la verità aletheia ove quell' a è alfa privativo, quindi la parola significa in negativo: non-latenza, non-velato. Vero è qui il negativo di ciò che  si nasconde e la verità sta nel nudo apparire delle cose, nel loro darsi spontaneo in superficie, senza maschere a sovrapporsi. Heidegger, proprio riprendendo il pensiero greco partendo dalla fenomenologia,  intenderà la verità come radura dell'essere corrispondente all'ente. L'ente come ente (corrispondente propriamente per Heidegger solo all'uomo) è lo svelarsi dell'essere, dunque aletheia, verità.

Ben diverso da quello greco classico è il concetto che maturerà sulla verità il pensiero filosofico posteriore, cristiano e poi scientifico. La verità (intesa non più nell'accezione greca, ma in quella latina di veritas): diventerà sotterranea, recondita e profonda, essa abiterà l'interiorità sotto la superficie per cui occorrerà scavare per trovarla sotto una miriade di mascheramenti e superficiali apparenze ingannevoli messe in atto dalla natura nel mondo e nell'uomo. La verità non è più aletheia, ma prodotto risultante da una ricerca fatta per costringere la natura a svelarsi usando un preciso metodo di interrogazione (come fa il giudice in tribunale, dice Kant) e con mezzi di indagine e tortura sempre più sofisticati. La verità non è più un nudo mostrarsi spontaneo, ma un denudare la natura refrattaria per poi usarle violenza.

Cosa ha determinato nella storia del pensiero occidentale il passaggio della verità da uno stato di spontaneo naturale manifestarsi allo scavo che costringe la natura a manifestarla? Dall'apparire della nudità all'apparire del nascondimento che occorre sistematicamente forzare?
E dove e quanto della verità come aletheia è in realtà ancora tra noi?
#723
Mi sono spiegato male.
Non vi è dubbio che vi sia una responsabilità attuale verso le generazioni future, ossia per le condizioni di esistenza delle generazioni future, rientra nel principio di cura verso ciò che è o sarà. Se oggi si decidesse ad esempio di riprendere la corsa agli armamenti atomici si determinerebbe senza dubbio una responsabilità anche verso chi nascerà domani e verrà esposto al rischio di utilizzo di tali armi e, valutando inevitabile questo rischio specifico, qualcuno potrà oggi anche decidere di non fare figli. Ma il rischio in questione non è dato dall'esistenza stessa in quanto tale, ma da una condizione specifica di essa ben determinata.
E' chiaro che l'esistenza significa di per se stessa inevitabilmente il poter essere infelici per un motivo o l'altro, ma non trovo alcuna responsabilità verso il non ancora esistente per un'infelicità espressa in questi termini, non specifici come nel caso di una guerra atomica, ma generalissimi, ontologici in quanto l'esistenza è matrice di ogni rischio e di ogni decisione, fosse pure anche quella di procreare o meno, poiché nel momento in cui decido di non procreare, resto pur sempre solo io a decidere e dunque paradossalmente a prevaricare comunque su chi, non esistendo, di nulla decide.
L'esistenza di per se stessa non è né buona né cattiva, né bella né brutta, perché è la condizione preliminare di ogni buono e cattivo, di ogni bello e brutto, di ogni giusto e ingiusto ecc. o si esiste o non si esiste, senza scelta perché è solo a partire da essa che si può quanto meno avere un'impressione, a volte, di scegliere. Per questo si sarà responsabili per la qualità che i propri atti determinano sui futuri esseri viventi, non per la loro esistenza in quanto esistenza. Se oggi mi sento responsabile per il futuro dei miei pronipoti è comunque a partire dalla qualità di come mi si prospetta la loro futura vita, il senso che potrà avere, è per questo che sento la responsabilità delle mie scelte attuali per come potrebbero condizionarla, non per un'esistenza in sé.
Non so se sono riuscito a spiegarmi.
#724
Sgiombo, la responsabilità non sussiste in sé, ma sussiste a carico di qualcuno verso qualcuno. Ma verso chi va quella responsabilità se quel qualcuno non esiste?  chi viene caricato del rischio di esistere, se non c'è proprio nessuno, poiché i figli non ci sono? Certo che il padrone degli schiavi è responsabile verso i figli generati dai suo schiavi, ma dopo che questi sono nati, è responsabile verso di loro in quanto essi esistono, altrimenti è responsabile solo verso gli schiavi che esistono, ossia i loro potenziali genitori.
Certo, e in questo senso posso capire la tua posizione, si può valutare il rischio dell'esistenza, alla luce della coscienza che si è maturato su di essa, come troppo elevato per essere corso da chiunque esista, ma questo non ha a che vedere con un "senso di responsabilità", semplicemente si valuta l'esistenza come tale per tutti svantaggiosa, poiché si sente che ci si perde sempre, ma senza mascherare la propria intima stanchezza o il senso di umana sconfitta con il nome di responsabilità per farne quasi una sorta di etica. Non c'è proprio alcuna responsabilità, la responsabilità si attua verso chi, nascendo, esiste, con il prendersene cura (e certo, anche valutando le proprie possibilità e capacità di offrire a chi verrà ad esistere una sufficiente cura), in assenza dell'esistente c'è solo il proprio sentimento verso la vita, positivo o negativo che sia.
Sarà per questo che mi è sempre suonato estremamente falso quando sento qualcuno, in nome di un preteso "senso di responsabilità" proclamare di non volere figli: responsabilità verso chi? In questa proclamata responsabilità etica c'è invece al contrario solo il rifiuto a priori di ogni reale responsabilità in quanto non ci si sente in grado di assumerla. E, se lo si ammettesse, andrebbe benissimo così, ma ci si vuole sentire persone coscientemente responsabili!

Se, come disse Sileno, sarebbe meglio per i mortali non essere mai nati o, quanto meno, sperare di morire prima possibile, non è per senso di responsabilità che lo si può dire o pensare, ma per come si sente in coscienza  il significato dell'esistenza propria, ossia del proprio essere tutti comunque destinati a morire.
#725
paul11
Non so, mi pare evidente che l'attività cosciente non è in atto nel sonno profondo (mentre lo è nel fase in cui si sogna), questo non significa che il corpo non continui a funzionare e non mantenga la possibilità di essere cosciente una volta che si sveglia o che si comincia a sognare. C'è un mare di cose del nostro corpo di cui non siamo coscienti e che pur tuttavia sussistono continuamente: i globuli rossi che circolano nel sangue, gli scambi osmotici delle cellule, tutta l'attività cellulare, compresa la morte continua delle nostre cellule e la produzione di nuove, la stessa trasmissione degli impulsi nervosi... noi vediamo solo il risultato di tutto questo e a partire da questo risultato interpretiamo tutto il resto, siamo sempre solo sulla superficie dell'iceberg, quando ci siamo.
La coscienza è un particolare tipo di attività che necessita di un cervello, di un corpo e di un ambiente in cui quel corpo vive e di cui partecipa in un certo modo, come camminare che è un altro tipo di attività che non si effettua quando si sta seduti. Definire la coscienza come ciò che viene a mancare nel sonno profondo è come definire il camminare come ciò che non accade quando si sta seduti, il che non comporta che quando ci si rialza non ci si possa rimettere in cammina, semplicemente quell'attività resta latente.

CVC
La coscienza è perfettamente osservabile, è la cosa che osserviamo come continua presenza di noi stessi. Questo non significa che sia comprensibile o definibile dall'attuale neurologia, ma non esclude che la neurologia non ne possa dare interpretazione. La coscienza non è un oggetto, ma un'attività soggettiva di cui il neurologo tenta di descrivere il meccanismo con il suo linguaggio che necessita di una topografia. La cosa eccezionale è che qui il neurologo non prende un cadavere per esplorare l'attività cosciente, non fa nessuna autopsia, ma può vederla proprio mentre questa è in atto, lo può fare su un corpo vivente e cosciente e descriverla di conseguenza. Ed è molto interessante che venga a descriverla nei termini di un'interazione reiterata che ha per oggetto di riferimento costante la biostasi del corpo preso come un intero, l'immagine del mantenimento invariato della biostasi corporea per come essa viene a raffigurarsi a livello corticale. Questa descrizione ha un significato profondo (anche in termini filosofici) che ricollega, nella coscienza, l'attività neurale fino alla corteccia cerebrale all'attività di tutto il corpo nell'ambiente in cui vive e alla sua storia vissuta.
Certo, il tipo di linguaggio è riduttivo, la topologia che il neurologo adotta è riduttiva, non può non esserlo, ma questo vale per qualsiasi linguaggio con il quale si tenti di descrivere il fenomeno, a meno di non mantenersi in un ambito di termini del tutto vaghi e generali.
#726
Citazione di: Loris Bagnara il 21 Maggio 2016, 09:28:50 AM
L'osservatore che sta al centro della sfera di Dyson può osservare il treno in una condizione di perfetta simmetria (simmetria polare): ogni punto del treno è equivalente all'altro. Ma se vige questa condizione di perfetta simmetria polare, non è possibile individuare alcun punto in cui il treno dovrebbe disintegrarsi. O meglio, tutti i punti dovrebbero essere punti di disintegrazione, altrimenti la simmetria polare sarebbe incomprensibilmente violata. Ma che significa che il treno si disintegra in tutti i punti contemporaneamente, continuando a percorrere il suo binario che è di lunghezza stabilita? Significa solo che non può disintegrarsi...
Il fatto che l'osservatore veda il treno secondo una perfetta simmetria, non significa che tutti i punti del treno, se il treno è reale, siano perfettamente equivalenti. Il punto di vista dell'osservatore, pur modificando lo spazio, non modifica il rapporto delle singole strutture componenti il treno. Se il treno è una circonferenza geometrica allora sì che tutti i punti sono in essa perfettamente equivalenti, ma in questo caso puramente astratto, possiamo ammettere che la conferenza si disintegri simultaneamente nei sui punti.

Citazionein ogni caso io non saprei come calcolare gli effetti di un campo gravitazionale del genere...
Nemmeno io, ci vorrebbe un esperto del calcolo delle formule della relatività generale.
CitazioneC'è anche da dire che è solo il viaggiatore sul treno a sperimentare l'effetto gravitazionale (equivalente), secondo il suo punto di vista. Ma per l'osservatore al centro della sfera di Dyson, non esiste alcuna gravità, esiste solo un oggetto che si muove di moto circolare e soggetto ad accelerazione.
Sì, il campo lo sperimenta il viaggiatore con i suoi sensi, ma c'è anche per l'osservatore come entità fisicamente descrivibile e reale, se il treno si muove sul binario è comunque soggetto alla forza centrifuga inerziale.
CitazioneInfine c'è un'ulteriore considerazione da fare. Mettiamoci nei panni di un viaggiatore sul treno, il quale ha tutto il diritto di descrivere ciò che accade secondo il suo sistema di riferimento. Egli vede le rotaie scorrere sotto di sé, mentre sente di essere soggetto ad un'ordinaria forza gravitazionale (equivalente).
Ora, per quale motivo, dal suo punto di vista, il treno su cui sta viaggiando dovrebbe disintegrarsi?
Non c'è alcun motivo, dal suo punto di vista.
In realtà c'è, perché proprio dal suo punto di vista il viaggiatore non vede il treno muoversi, il treno per lui è fermo ed è presente una certa forza di gravità, mentre è il binario sotto che si muove a una velocità relativisticamente significativa. Per lui quindi è il binario che ruotando si contrae e contraendosi causa la disintegrazione del treno fermo su di esso. Alla fine il viaggiatore e l'osservatore vedono lo stesso fenomeno, la disintegrazione del treno, anche se lo spiegano in termini diversi


CitazioneIl paradosso di Ehrenfest era stato formulato proprio suggerendo l'idea paradossale che il disco si sarebbe frantumato, arrivando ad una certa velocità. Sono passati più di cent'anni e gli scienziati ne stanno ancora discutendo, il che significa che non è proprio tutto così chiaro...
Sono d'accordo che in realtà la cosa non sia così semplice da risolvere.
#727
Trovo più convincente una posizione che riconosce l'esistenza di materia e coscienza, ma le vede una espressione dell'altra, in un rapporto reciproco che le presenta come originaria unità.
In tal modo il dualismo si risolve nel monismo, poiché né l'una né l'altra possono essere prese originarie e separate.
#728
Citazione di: sgiomboChi é felice non può che esserne grato (ai genitori ed eventualmente a Dio, al destino, il determinismo, il caso o chi per essi); ma chi  é infelice non può che maledirli come prevaricatori che gli hanno imposto la sua vita rivelatasi infelice senza (nemmeno potergli) chiedere il suo consenso a correre il rischio dell' infelicità stessa.
Secondo me non ha senso logico né l'essere grati per la nostra felicità a chi ci ha semplicemente procreato , né maledirli per la nostra infelicità. Non ha senso cioè biasimarli per averci esposti facendoci esistere a un rischio di infelicità, poiché quel rischio coincide con la nostra esistenza stessa e prima di essa, in quanto non esistevamo, non c'era alcun soggetto verso cui essere responsabili.
La responsabilità semmai viene dopo, ossia quando già nati ed esistenti, chi ci ha procreato, facendoci nascere, è chiamato a prendersi cura di chi è stato generato.
La faccenda di un Dio onnisciente e onnipotente è diversa, qui è proprio l'onniscienza che determina la responsabilità del Creatore per il quale ciò che egli concepisce in potenza, teologicamente parlando, è già in atto. Ma qui, nel rapporto tra Creatore e creatura, si innescano delle contraddizioni ardue da dipanare che lascerei ai teologi.
#729
Ma questa assunzione che fai di una coscienza di cui non siamo coscienti implicherebbe che qualsiasi meccanismo (o programma che lavora in un computer) è coscienza e le cose si confondono parecchio. Sarebbe cosciente una pianta di quanto avviene nelle sue radici e nelle sue foglie, semplicemente perché vi sono dei meccanismi in atto per la sua autoconservazione, come c'è una coscienza durante la fase del sonno profondo (senza sogni, dunque senza produzioni simboliche di alcun tipo con i significati che ad essi competono nel soggetto), ci sarebbe coscienza in ogni singola cellula del mio corpo che proprio in questo momento sta attuando meccanismi autoconservativi di cui pur tuttavia non sono per nulla cosciente, ma in virtù della mia coscienza posso immaginare e presupporre. E' chiaro che noi parlando di sonno profondo parliamo dal punto di vista della nostra coscienza, ma ne possiamo parlare, ne possiamo essere coscienti, solo da desti, ossia solo in quanto ora non ci troviamo immersi in un sonno profondo ed, essendo desti, lo consideriamo e lo immaginiamo nel suo significato dalla nostra posizione di persone deste che, solo in quanto deste, sono coscienti.
Quando si esce da un'anestesia totale, mi è stato detto, ciò di cui si ha coscienza è solo un vuoto temporale. Certo, capita anche che, in fase di risveglio, si presentino delle immagini, come di una realtà diversa, ma queste sono già proprie di uno stato aurorale di coscienza, non si tratta più di un coma profondo che esprime solo (all'individuo tornato vigile) una totale assenza, poiché in essa nessun significato si presenta, nemmeno allo stato primario di pura emozione, esattamente come, possiamo ritenere, in una macchina algoritmicamente programmata fosse pure per il suo solo funzionare del tutto autoreferente (per il suo mantenersi accesa).
La coscienza è ciò che presenta la cosa come significato di modo che essa possa apparire. Come questo possa accadere la scienza tenta di spiegarlo a partire da ciò che a sua volta interpreta come significativamente osservabile nei suoi termini, ossia alla luce della forma di coscienza che essa instaura a partire dal substrato emotivo originario, prima che dai neuroni.
#730
Citazione di: sgiombo il 20 Maggio 2016, 12:30:56 PM
Per me l' uomo può arrivare all' estinzione "prematura e di sua propria mano" perché non supera per tempo l' organizzazione sociale capiatlitica che impone inevitabilmente la produzione e il consumo illimitato di merci in presenza di risorse naturali realisticamente (e non fantascientificamente) disponibili limitate: ci impone inevitabilmete di "segare il ramo su cui siamo seduti".

Oppure perché, superata per tempo (prima di autodistruggersi) questa "strettoia storica", una prevedibile superiore (all' attuale) coscienza morale generalmente diffusa gli impone di non riprodursi per evitare di costringere ingiustamente, forzatamente altri a correre il rischio di incorrere in una vita infelice, nell' impossibilità di chieder loro preventivamente se siano o meno disposto ad accettarlo.
Peraltro (se vogliamo continuare in quesa ipotesi alquanto vaga e non certamente attuale) probabilmente si disporrebbe della possibilità di consentire a chiunque di usufruire facilmente e rapidamente dell' eutanasia se la ritenesse necessaria, riducendo comunque moltissimo per lo meno la durata della propria eventuale infelicità).
Nel primo caso il discorso mi è chiaro: la coscienza, intesa nel suo aspetto implicante l'affermazione appropriativa dell'io che la incarna, determina l'estinzione di ogni io (e alla fine pure di me stesso).
Il secondo mi pare più problematico da inquadrare (sarà effetto dei tempi). Se il genere umano, in virtù di uno scrupolo di coscienza, cesserà di riprodursi in quanto la vita espone a un rischio di infelicità chi, senza poter scegliere, la riceve presuppone pensare che il soggetto che si trova gettato nella sua vita sia pre esistente a quella vita stessa, per cui si commette verso di lui un atto di scelta indebito facendolo esistere. In realtà, con un simile ragionamento non si tiene conto che quella vita che lui vive è lui stesso e che si può parlare di un soggetto solo in quanto vivente e non collocandolo in uno stato di pre-esistenza. In questo senso mettere al mondo qualcuno non significa compiere un arbitrio su una sorta di ente pre esistente alla sua stessa vita, al suo esserci, ma fare sì che un ente esista come l'ente che è nella possibilità, che è data solo dall'esistenza in atto, di aderire o meno a se stesso (e quindi di essere felici o meno). Generare  non significa prevaricare con la propria scelta la possibilità di scelta del generato se esistere o meno proprio perché ogni scelta del generato è possibile solo se è stato generato. Nessuno sceglie se esistere o meno, ma solo dal momento che esiste, nella misura e nel modo in cui concretamente esiste, vivendo il significato della sua vita può scegliere.
#731
CitazioneLB è perplesso: i calcoli gli dicono che il treno, nella sua interezza, dovrebbe essere più corto di quasi 17 milioni di vagoni... ma non può esserlo, perché se fosse più corto non riuscirebbe a completare la circonferenza, cioè si dovrebbe "aprire da qualche parte"; ma egli vede bene, col telescopio, che non è così: il treno, naturalmente, è ancora integro, ogni vagone collegato al successivo e al precedente.
non capisco perché dovrebbe vedere il treno ancora integro: se l'effetto è fisico il treno non potrà che disintegrarsi dato che il suo spazio si è ristretto per effetto relativistico, mentre il binario su cui corre necessariamente vincolato, poiché è fermo, è rimasto della medesima lunghezza.
Però, ora che ci penso, qui ci troviamo non in presenza di un moto rettilineo uniforme, come quello trattato nella relatività ristretta, ma il treno è sottoposto all'azione di una forza inerziale determinante l'equivalente di un campo gravitazionale che deforma lo spazio tempo  che comprende treno e  binario per cui si rientra nella relatività generale complicando le cose.
#732
CitazioneOltretutto la sua definizione fisica di coscienza nonmi soddisfa, Damasio dice che nel sonno profondo senza sogno  e nel coma non c'è coscienza. nel sonno ci sono periodi stabiliti ,un metabolismo del sonno,e hanno durata abbastanza precisa in cui le onde alfa,beta, teta e gamma si alternano.E' ristoratore il sonno proprio perchè l'onda elettromagnetica cambia forme. Damasio mi sembra ancora troppo "locale"
In questa definizione negativa della coscienza (la coscienza è quello che non c'è nel sonno profondo o sotto anestesia totale), evidentemente Damasio  parte da una posizione fenomenologica soggettiva del tutto evidente (e peraltro appropriata al fenomeno coscienza che di base è un fenomeno di pertinenza esclusiva del soggetto che lo oggettivizza proiettandolo in altri soggetti a lui simili, applicando senza saperlo, il test di Turing). 
Durante il sonno profondo la mancanza di coscienza è data da una discrepanza evidente nella consequenzialità temporale tra gli stati di coscienza, una sorta di inspiegabile lacuna di memoria che non dà ragione del tempo oggettivamente trascorso. L'associazione coscienza-memoria si mostra così fondamentale. Sarebbe interessante vedere per imaging (certamente sarà già stato fatto) e studiare quali percorsi restano attivi nel cervello durante il sonno profondo, quali aree cerebrali si trovano ancora in comunicazione e quali no (quelle della memoria ad esempio, ammesso che ve ne sia una localizzazione precisa, o quelle della rielaborazione percettiva). In quegli stadi, che la mente cosciente interpreta come assenza della propria coscienza, il corpo continua a reagire in automatico, quindi l'attività dei neuroni continua a sussistere pur non "accendendo" alcuna coscienza. Credo comunque che una localizzazione topografica del fenomeno sia indispensabile per darne una lettura scientifica. Questo ovviamente non significa che il fenomeno sia riducibile a una topografia, ma che occorre partire da una topografia per poterlo scientificamente descrivere localizzando le parti che entrano in gioco e il ruolo che svolgono.
La posizione del tronco encefalico (che mi ricorda un po' quello della ghiandola pineale di Cartesio: il punto fisico ove il corpo incontra l'anima) è significativo nell'ipotesi di Damasio, perché da lì passano tutte le afferenze che provengono da ogni parte del corpo e che nel complesso garantiscono che esso sta mantenendo invariante la propria costante e unitaria omeostasi. E' interessante, perché in questo senso il sé altro non sarebbe che immagine di questa omeostasi corporea per come trova proiezione a livello corticale. Il protagonista che dà senso unitario al filmato che la corteccia cerebrale produce continuamente non sarebbe allora altro che la raffigurazione virtuale dell'omeostasi biochimica del corpo che mantiene stabile i parametri essenziali della propria unità pur mutando continuamente e la coscienza di sé risulterebbe la rilevazione di questa costanza rispetto al mantenimento su base mnestica della sua raffigurazione.
#733
Direi che la permanenza del sé è una problematica molto importante anche in termini neurologici. Nell'altro 3D ho linkato il video di Damasio (che si può sottotitolare, se non si conosce l'inglese), così puoi sentire direttamente dalla sua presentazione, assai più competente di ogni mio discorso. Se poi vuoi approfondire "Emozione e coscienza" dello stesso autore è un testo senz'altro utile e stimolante.
#734
Ricordo da vecchi studi che la trasmissione sinaptica è comunque regolata dal trasporto di ioni e che tra le sinapsi vi è in genere uno spazio vuoto in cui vengono rilasciate le molecole dei neurotrasmettitori che attivano il recettore "accendendolo" (anche se vi sono anche delle sinapsi collegate che trasmettono segnali solo elettrici molto più rapidamente, come nei riflessi automatici).

Difficile dire cosa configura la rete sinaptica, di sicuro (come per la rete dei capillari) il DNA non contiene un messaggio così specifico e dettagliato, sicuramente intervengono fattori chimici, condizionati in qualche modo da aspetti ambientali di contesto rispetto al cervello e dalle sollecitazioni che producono. Probabilmente lo sviluppo dell'intelligenza è determinata ben di più da questi fattori, piuttosto che preordinata dal genoma, anche se è questo che stabilisce l'hardware della struttura generale con lo sviluppo delle aree mediane e corticali che, interagendo reiterativamente con le zone più primitive dell'encefalo, permettono l'apparire della coscienza fondata su un'immagine stabile del sé. In fondo la coscienza prende avvio dall'emozione, l'emozione è già coscienza in potenza, il suo materiale primigenio.
Certamente non è una questione topografica, anche se inquadrarla topograficamente aiuta a chiarirne i meccanismi.
Pensare a una sorta di nube elettromagnetica che alberga nel cervello mi pare piuttosto azzardato e che aiuta poco a comprenderne i meccanismi effettivi. Credo che per capire la coscienza andrebbero studiati i meccanismi con cui si crea una memoria a partire dalle emozioni più semplici, senza memoria non può esservi coscienza.
#735
In proseguimento al tema di discussione nella sezione filosofica "Come dimostrare logicamente l'esistenza della coscienza?", apro questa riflessione su come le neuroscienze affrontano la questione della coscienza e in particolare quella del sé, proponendo per iniziare questa presentazione di Antonio Damasio (neurologo di fama mondiale e autore di importanti libri di divulgazione come "L'errore di Cartesio", "Emozione e coscienza"...) a TED.
http://www.ted.com/talks/antonio_damasio_the_quest_to_understand_consciousness
Trovo molto interessante come la coscienza viene qui descritta a mezzo di meccanismi ciclici reiterativi e l'identità permanente del sé come il risultato rappresentativo dell'esigenza di un mantenimento quanto più costante possibile (e costantemente ripetuto) della biostaticità dei parametri fisiologici dell'organismo vivente.
Quali sono, a vostro parere, le possibilità, gli agganci transdisciplinari e i limiti che questo modello neurologico presenta per una migliore comprensione del sé e della coscienza di sé?