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Messaggi - doxa

#736
Riflessioni sull'Arte / Re:"L'anno Sanzio"
04 Febbraio 2021, 16:37:26 PM
Secondo sonetto: Raffaello paragona se stesso  a Paolo di Tarso, quando il santo ebbe l'esperienza del mistero di Dio ma non riferì ad alcuno ciò che aveva visto; nello stesso modo l'urbinate ha coperto con un "velo" ogni pensiero "amoroso. Tutto ciò che ha visto, tutto ciò che ha compiuto in funzione della felicità, rimane chiuso  in lui,  diventerà vecchio senza aver sciolto l'obbligo di tacere. Quindi invoca la donna, affinché lo soccorra con la sua grazia, in quanto si sente morire a poco a poco.


"Como non podde dir d'arcana Dei
Paul, como disceso fu dal cielo,
così el mio cor d'uno amoroso velo
ha ricoperto tuti i penser miei.

Però quanto ch'io viddi e quanto io fei
pel gaudio taccio, che nel petto celo,
ma prima cangerò nel fronte el pelo,
che mai l'obligo volga in pensier rei.

E se quello altero almo in basso cede,
vedrai che non fia a me, ma al mio gran foco,
qua più che gli altri in la fervenzia esciede.

Ma pensa ch'el mio spirto a poco a poco
el corpo lasarà, se tua mercede
socorso non li dia a tempo e loco".
#737
Riflessioni sull'Arte / Re:"L'anno Sanzio"
04 Febbraio 2021, 16:35:28 PM
Adesso vi faccio leggere i cinque sonetti, con alcune parole rese comprensibili al nostro modo di parlare.


Primo sonetto:
Raffaello si rivolge ad Amore (Eros), che lo ha catturato  con la luce  degli occhi belli (di una donna), che ha la carnagione candida come la neve, il colore vivace di una rosa ed un bel modo femminile di parlare. 


L'artista afferma che arde d'amore al punto che né mari né fiumi "spegniar potrian quel focho",  ma ciò non gli spiace poiché, ardendo, egli si consuma e, consumandosi, lascia intendere l'artista, avrà il dono di non sentirsi più avvampare dalle fiamme.


Il Sanzio si rivolge alla donna ricordandole quanto sia doloroso (io sento mortal pena) sciogliersi dal "giogo" e dalla "catena" delle candide braccia  intorno al mio collo. Sciogliendo il nodo dell'abbraccio l'artista teme una pena mortale. Raffaello si astiene dall'aggiungere altri particolari, perchè parlare di tutto questo potrebbe avere gravi conseguenze, e perciò taccio "i pensir a te rivolti".


"Amor, tu m'envesscasti con doi lumi
de doi beli occhi dov'io me strugo e sface,
da bianca neve e da rosa vivace,
da un bel parlar in donneschi costumi.

Tal che tanto ardo, che né mar né fiumi
spegnar potrian quel foco; ma non mi spiace,
poiché 'l mio ardor tanto di ben mi face,
ch'ardendo ognior più d'arder me consumi.

Quanto fu dolce el giogo e la catena
de' toi candidi braci al col mio vòlti,
che, sogliendomi, io sento mortal pena.

D'altre cose io non dico, che fôr molti,
ché soperchia docenza a morte mena,
e però tacio, a te i penser rivolti".
#738
Riflessioni sull'Arte / "L'anno Sanzio"
04 Febbraio 2021, 16:30:13 PM
"L'anno Sanzio". La frase incuriosisce, fa chiedere al lettore se ha capito bene, si domanda se è un refuso del redattore (Anno Santo anziché Sanzio ?) invece la frase è corretta, è stata usata lo scorso anno dai mass media, perché il 2020 è stato dedicato a Raffaello Sanzio, nella ricorrenza del 500/esimo anniversario della sua morte, avvenuta a Roma il 6 aprile 1520. Aveva 37 anni. 


Purtroppo causa Covid le celebrazioni sono avvenute in sordina.


Il giovane Raffaello Sanzio dopo il soggiorno lavorativo a Firenze si trasferì  a Roma.


Tra il 1509 e il 1511 in Vaticano, nella "Stanza della Segnatura" dipinse la "Disputa del Sacramento" e il "Parnaso".



Raffaello Sanzio: "Disputa del Sacramento", dipinto in affresco, 1509, "Stanza della Segnatura", Musei Vaticani





Raffaello Sanzio: "Parnaso", affresco, 1510/1511, "Stanza della Segnatura", Musei Vaticani



Sul recto e sul verso di  alcuni cartoni preparatori con i disegni per gli affreschi nella "Stanza della Segnatura" Raffaello nel 1509 scrisse cinque sonetti di soggetto amoroso con correzioni e varianti, ma ne completò soltanto tre. 



Difficile è stabilire se questi sonetti furono ispirati da un sentimento provato in quel periodo per una donna o se fu un semplice cimentarsi in versi come fece anche Michelangelo in quello stesso periodo.


 
La seconda ipotesi è la più probabile se si tiene conto che in quel periodo era di moda scrivere versetti in stile petrarchesco; non si può quindi escludere che fosse il modo del Sanzio di mettersi alla prova anche come poeta.



Sotto ogni sonetto si trovano frasi appuntante separatamente e sono delle varianti al verso stesso.


 

#739
Tematiche Spirituali / Peccato e peccatori
31 Gennaio 2021, 17:38:48 PM
Nel 1764 il giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria (1738 – 1794) pubblicò il trattato "Dei delitti e delle pene", testo giuridico e politico, nel quale  analizza i motivi contro la tortura e la pena di morte, abolita nel 1786 nel Granducato di Toscana. 


In tale libro il giurista fa la distinzione tra peccato e reato,  ma ovviamente tale separazione fece intervenire la "longa manus" della Chiesa e il libro fu messo all'Indice dei libri proibiti.


Cesare Beccaria sosteneva che il reato è un danno fatto alla società e dalla società deve essere giudicato; il peccato invece è un'offesa recata a Dio e da Dio soltanto ha da essere giudicato e punito, giustificato o perdonato.

In un articolo sul quotidiano "l'Unità", pubblicato nel 2010, la filosofa e saggista  Francesca Rigotti scrisse: "L'azione della Chiesa cattolica, se da una parte ha dovuto accettare la separazione della giustizia dell'uomo da quella di Dio, ha dall'altra sovente cercato di evaderla, rivendicando la sottomissione della legge positiva ai dettami della legge divina: per esempio nel caso della bestemmia, peccato di offesa a Dio fino a non molto tempo fa considerata reato, o nel caso dell'adulterio femminile, punito anch'esso insieme all'aborto. Nel momento in cui la chiesa chiede allo Stato la soppressione dell'aborto, della ricerca sulle staminali embrionali, del testamento biologico, che cosa fa se non esigere che la legge civile riconosca alla contravvenzione di questi precetti religiosi lo statuto di reato?

Attenzione quindi alla recente posizione dei vertici della chiesa quando, dopo aver a lungo assegnato alla pedofilia e agli abusi sessuali degli ecclesiastici lo statuto di peccato, riservandosi giudizio, punizione ed eventuale perdono dei reprobi, cambiano strategia chiedendone il trattamento in quanto reati. La mossa è corretta in sé  ma potrebbe preludere a un nuovo attacco per estendere la richiesta di sottoporre al diritto positivo altri aspetti della vita umana condannati dalla legge divina, ritrasformando i peccati in reati: ma se i reati sono peccati, come già diceva il buon vecchio Hobbes, non tutti i peccati sono reati...".

Il marchese Beccaria, esponente dell'Illuminismo milanese, fu il padre di Giulia Beccaria (1762 – 1841)  la  mamma di Alessandro Manzoni.


Giulia, dopo un'infanzia passata nella casa paterna,  dal 1774 fu educata  in un collegio, dal quale uscì nel 1780, dopo aver compiuto i diciotto anni.


Ritornata nella casa paterna, Giulia si trovò immersa nell'ambiente dell'illuminismo milanese. Tra gli amici di famiglia la influenzò soprattutto  Pietro Verri, ma fu in contatto con molta parte dell'élite culturale milanese.


L'adolescente Giulia s''innamorò del conte Giovanni Verri (1745 – 1818), che aveva 17 anni più di lei ed era "un  affascinante uomo di mondo". Giovanni era un fratello minore dei più noti Pietro e Alessandro, i quali, non tenendo conto del sentimento d'amore della ragazza si dettero da fare per cercarle un marito economicamente agiato, perché i Beccaria in quel periodo erano in difficoltà finanziarie.


All'età di 20 anni  Giulia  subì un matrimonio combinato: sposò il nobile  e ricco lecchese Pietro Manzoni, che aveva 46 anni,  26 anni più di lei ed era vedovo. Lui si accontentò di sposare la giovane  con poca dote.


Il matrimonio fu celebrato il 20 ottobre del 1782, ma Giulia continuò ad incontrarsi con Giovanni Verri e forse da lui ebbe il figlio Alessandro, nato nel 1785. Dopo la nascita del bambino,  Giovanni cominciò a frequentare altre donne, disinteressandosi del (probabile) figlio naturale e  di Giulia. Tale evento scatenò la reazione indignata della giovane.


Niccolò Tommaseo scrisse che Alessandro parlava di Pietro Verri "con riverenza, tanto più ch'egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d'essere nepote di lui, cioè figliuolo d'un suo fratello".


Il 23 febbraio 1792  Giulia si separò da Pietro Manzoni, a cui restava affidato quel figlio verso cui aveva sempre mostrato uno scarso interesse.


In precedenza la donna  aveva cominciato da due anni una relazione amorosa con Carlo Imbonati, nobile colto e molto ricco.


Domanda finale: nel 1782 il matrimonio combinato per Giulia con un uomo  che non amava come si deve considerare ? Il consenso dell'illuminista ma non "illuminato" Cesare Beccaria come si deve considerare ? Peccato o reato ? In quel tempo non era né peccato né reato.


Anche il peccato evolve nel tempo.
#740
Tematiche Spirituali / Peccato e peccatori
30 Gennaio 2021, 18:16:28 PM
Nel "corpo mistico della Chiesa" (?) il precedente pontefice, Benedetto XVI, esasperò il concetto di "peccato" e quello di "reato" invertendone gli effetti.


Il peccato è di pertinenza della Chiesa, che assolve o condanna, alla luce del "perdono", riservato al peccatore che si pente, si confessa  dal sacerdote che valuta il  suo reale pentimento, lo assolve dai suoi peccati, gli commina la penitenza e lo riammette  nella comunità  dei credenti.


Va bene !


Ma è  superfluo ricordare che il reato è invece di pertinenza dello Stato, che tramite il giudice ne valuta la gravità alla luce dei codici penale e/o civile, e, sulla base di tale gravità commina la relativa pena.


Ma a Ratzinger e a numerosi della gerarchia vaticana tale la separazione tra peccato e reato  non fu gradita quando il parlamento italiano dovette  decidere come legiferare sulle unioni di fatto (non sancite dal matrimonio) e sulle unioni gay. Questi due fenomeni sociali la Chiesa li identifica come peccato, ma alcuni anni fa pretendeva che lo Stato italiano li considerasse come reati da punire, cancellando alcuni diritti riconosciuti alle coppie non sposate e conviventi,  considerate  dalla Chiesa come "pubblici peccatori".


Per la Chiesa il matrimonio religioso è un sacramento e ci tiene molto a celebrarlo, invece la convivenza  esclude  l'istituzione ecclesiastica.


Anche se l'Italia è una repubblica laica e democratica e non uno Stato teocratico controllato da diritto canonico, la Chiesa cattolica avendo sede nella penisola spesso interferisce sulle scelte politiche riguardanti l'etica. Non solo, tenta di imporre ai parlamentari cattolici di esprimere un voto non di coscienza ma di obbedienza alla curia vaticana.


Uno Stato non è composto di soli credenti in una stessa religione; uno Stato democratico è multireligioso, multirazziale, multiculturale.


Con Ratzinger è anche accaduto  che un reato di pedofilia, che la Chiesa avrebbe voluto ridurre a peccato, da discuterne nelle "sacre stanze" e da trattare nell'ambito del diritto canonico, anziché favorire alle vittime la giustizia dello Stato.


V'invito in proposito  a leggere la "Crimen sollicitationis" dell'allora cardinale Ratzinger, inviata ai vescovi americani.


https://it.wikipedia.org/wiki/Crimen_sollicitationis


ed anche il documento titolato "De delictis gravioribus"


https://it.wikipedia.org/wiki/De_delictis_gravioribus
#741
Tematiche Spirituali / Peccato e peccatori
29 Gennaio 2021, 22:14:02 PM
#742
Tematiche Spirituali / Peccato e peccatori
29 Gennaio 2021, 16:17:43 PM
Cos'è il peccato ? Chi sono i peccatori ?

Il peccato ? Questo sostantivo è connesso con la religione.  Il suo etimo dice che proviene dal latino "peccatum", parola che indica la trasgressione di un precetto, di una norma alla quale si attribuisce un'origine divina.


Nella Genesi c'è il "peccato", quello "originario",  compiuto da Adamo ed Eva e sanzionato dall'interdizione divina. Dio  creò questa coppia e la fece vivere nel giardino dell'Eden, ma proibì loro di non cogliere i frutti dall'albero della conoscenza del bene e del male. Perché  tale proibizione ? Per timore di essere deposto dall'immaginario "trono", come in effetti sta avvenendo con il progresso tecnico-scientifico ?.


L'ebraismo considera peccato la violazione di uno qualsiasi dei  comandamenti divini e insegna che il peccato è un atto sacrilego.


La legge (nómos) è da osservare in quanto dono di Dio; essa segnala il peccato alla coscienza dell'uomo, quando  ne fa un uso perverso.


Per la religione ebraica ci sono due tipi di peccato: le offese contro Dio e le offese contro altre persone.


Nell'ambito della religione cristiana il peccato è un'offesa a Dio, disobbedienza alla sua legge.


La Chiesa Cattolica elenca due specie di peccati: il peccato originale e il peccato attuale.
 
Il peccato originale si cancella col battesimo.

Il peccato attuale è quello  compiuto volontariamente da chi ha l'uso della ragione.

Il peccato attuale si commette in quattro modi: con pensieri, parole, opere ed omissioni.

Il peccato attuale è di due specie: mortale e veniale.

Il peccato mortale è una disobbedienza grave alla legge di Dio, eseguita con consapevolezza e deliberato consenso.


Il peccato veniale, invece,  è  disobbedienza alla legge di Dio  in cose  gravi e meno gravi ma compiuta  senza  la consapevolezza e il consenso.


La dottrina cristiana osserva tre leggi: legge naturale, legge antica (Antico Testamento) e legge nuova o evangelica (Nuovo Testamento).


La legge naturale permette di distinguere le azioni buone da quelle malvagie.


La legge antica è la legge mosaica con tutti i suoi articoli e i commenti della  torah, è la legge ebraica.


Infine la legge nuova o evangelica è quella insegnata da  Jesus.


Con la fede l'uomo si sottomette completamente al Dio in cui crede  la propria intelligenza e la propria volontà. La "Sacra Scrittura"  la definisce "obbedienza della fede". 


L'etica divina si fonda su una minaccia e un ordine  autoritari.


Il peccatore tramite la confessione dei propri peccati al presbitero ottiene la "remissio peccatorum", il sacerdote gli commina la penitenza, alla quale segue il perdono di Dio. La remissione dei peccati è un articolo di fede, che i credenti recitano nel Credo. Fa seguito la "riconciliazione" con la divinità. 


Dal punto di vista laico, invece, il peccato  e i peccatori non esistono. Il "peccato"  è denominato "crimen", che viene represso con "poenae humanae" come supporto al carattere espiatorio-retributivo del peccato-reato, per l'emendatio del reo.


Ho letto che l'impianto "teologico" del diritto penale pre-moderno deriva dallo "ius puniendi" d'estrazione religiosa, sviluppato dall'XI secolo. Ma su questo tema ho bisogno dell'aiuto sapienziale  del nick Eutidemo, se gradisce intervenire in questo topic. 
#743
Ultimo libro letto / Simulazione, dissimulazione
27 Gennaio 2021, 16:57:32 PM
A cura dello scrittore e critico letterario Salvatore Silvano Nigro  è stato ripubblicato recentemente (edizioni Otto/Novecento) il breve trattato titolato "Della dissimulazione onesta" , scritto da Torquato Accetto ed edito nel 1641.


Il titolo di tale saggio mi ha indotto ad approfondire l'etimo dei due verbi:

simulare= essere ciò che non si è;

dissimulare= fingere di non essere ciò che si è.


Sui due sostantivi  (simulazione, dissimulazione) Francesco di Bartolo, detto anche Francesco da Buti (1324 – 1406) eminente politico a Pisa e docente di lingua latina nella locale università, in un suo commento all'Inferno nella Divina Commedia scrisse: "Simulazione è fingere vero quello che non è vero; dissimulazione è negare quello che è vero".


Torquato Accetto nel suo  trattato così descrive i due non opposti atteggiamenti: "Io tratterei pur della simulazione e spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino; ma tanto è di mal nome che stimo maggior necessità il farne di meno, e, benché molti dicono: Qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione [...] Basterà dunque il discorrer della dissimulazione in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo".

Torquato Accetto, chi era costui ? Un filosofo e scrittore nato a Trani  nel 1588 circa  e morto ad Andria nel 1641. 


Nel 1612 si trasferì ad Andria per lavorare come segretario della nobile famiglia Carafa, ramo di Andria.


Nel 1618 era a Napoli, dove  frequentò l'Accademia degli Oziosi.


Per un breve periodo visse anche a Roma nel 1626.


La sua notorietà è dovuta al citato saggio "Della dissimulazione onesta", nel quale dice che la dissimulazione non è sinonimo di menzogna, ma cautela. Invita l'individuo  al silenzio per vivere la propria esistenza al riparo dai tormenti.


Meditando sul conformismo e sull'ipocrisia della società del suo tempo, il '600,  l'autore si interroga su quale possa essere la risposta e la reazione dell'uomo onesto.


Tra i personaggi esemplari da imitare cita il biblico Giobbe, noto per la sua pazienza nel sopportare le avversità.


Accetto dice che il segreto è nel "viver cauto", nel trovare il difficile equilibrio  tra dire e non dire, tra esternare pericolosamente i propri sentimenti o rifugiarsi in una laconica verità.


Egli differenzia la simulazione moralmente riprovevole, perché malevola, dalla dissimulazione difensiva, per  tutelarsi.


Accetto vuole dimostrare che la dissimulazione prudente, il "non dicibile"   serve per difendersi dall'oppressione dei potenti,   per tutelarsi nel rapporto con gli altri, perché le parole "agiscono anche dove tacciono".


Il  suo saggio quindi tratta della dialettica contrastante fra realtà e apparenza, mettendo in evidenza che il dissimulare non è dire il falso, bensì una virtù che ci permette di dimostrare meno cose di quello che dovremmo o vorremmo.


Il contrario è il simulare: dire cose in più, allontanandosi dalla realtà. La dissimulazione, comunque, non deve mai essere un'attività lunga e prolungata, soltanto un "breve riposo della mente", per non allontanarsi  dalla realtà.


Nell'elaborato di Accetto ci sono riferimenti  non espliciti a "Il Principe" (perché messo all'Indice) di Machiavelli.


Elementi in comune con messer Niccolò:  la mansione di segretario, scrive il suo  elaborato dopo aver avuto esperienze di mondo, mira alla concretezza.


Elementi differenti: Machiavelli si rivolge ai principi (argomentando di politica aiutandoli a  decidere per prendere il potere), mentre Accetto, parlando di morale e di come comportarsi, si indirizza al popolo, per aiutarlo a difendersi dai tiranni.


Il trattato, elogiato dai suoi contemporanei,  indica come il cortigiano, in particolare il "secretario" di qualsivoglia potente nei tempi presenti, visti come tempi di oppressione e di difficoltà, possa e debba avere l'abilità  nelle relazioni sociali fra le istanze poste dalla sua coscienza civile e cristiana e la necessità di sottrarsi alla censura e alla repressione imposta dalla legge per i dissidenti. Nel  suo saggio non ci sono allusioni al malgoverno spagnolo nel Regno di Napoli  e alla sua censura sociale, alle  limitazioni della libertà di espressione e l'eccessiva pressione fiscale.


S'intuisce dalle parole di Accetto anche la condizione dell'individuo nel confronto con un Dio che non parla, un Dio clandestino e latente, che promise di rivelarsi alla "fine dei tempi", nel giorno dell'Apocalisse, quando ogni velo sarà strappato e non sarà necessario nascondere, dissimulare.


Torquato Accetto non compose semplicemente un manuale per "dare riposo al vero". Andò oltre, trovando la formula per vivere senza soffrire, liberi dai vincoli.
#744
Due diversi paesaggi fanno da sfondo alle  figure femminili. Le sezioni sono divise dall'albero dietro il putto. Ogni sezione è abbinata a una delle due donne.

 
Sulla sinistra della donna vestita il paesaggio  è montuoso; un sentiero in salita viene percorso da un cavaliere  col cappello piumato  sul cavallo al galoppo che si dirige verso il borgo dove c'è il castello, del quale si vede il mastio; all'esterno dell'abitato c'è un gruppo di persone.



A destra, dietro la donna nuda,  il paesaggio è pianeggiante. Ci sono due uomini a cavallo che guardano i loro cani da caccia che corrono dietro una lepre che fugge; sulla radura  c'è il gregge al pascolo, controllato dal pastore che è in piedi, mentre un altro, poco distante, è seduto;  in lontananza ci sono le colline,  il fiume lambisce il centro abitato, dominato dal campanile cuspidato della chiesa. 





#745
La donna seminuda sulla destra è in posizione frontale ma il volto è di profilo; con il braccio sinistro sorregge l'ampio mantello rosso lungo fino ai piedi con un sinuoso drappeggio; un panno bianco è sulle cosce per nascondere la zona genitale; la mano destra è vicina ad una patera d'argento poggiata sul bordo della vasca; nella mano sinistra innalzata verso l'alto  ha una lucerna, simbolo religioso tra immanenza e trascendenza.




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#746



Guardando il dipinto, sulla sinistra c'è la giovane in procinto di diventare moglie; è seduta in posizione frontale  sul bordo della vasca; indossa un ampio abito nuziale di colore bianco. Il vestito è scollato, stretto in vita da una cintura dorata con fibbia;  le maniche sono di colore diverso, una è rossa,  l'altra  è bianca. La nubenda ha i guanti, con la mano destra sorregge un rametto con fiori (di mirto ?);  un altro fiore, una rosa, è poggiato sul bordo della vasca;  la ragazza ha sul capo il fermacapelli creato con bacche di mirto, il "myrtus coniugalis", simbolo di amore coniugale; le lunghe ciocche fulve sono raccolte verso la schiena;  la mano sinistra poggia su un catino, elemento  tipico dei corredi, utilizzato dopo il parto, e quindi leggibile come un augurio di fertilità. Allo stesso significato procreativo allude la coppia di conigli sulla sinistra della donna.





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#747
E
il piccolo Eros gioca con l'acqua



Lo stemma nobiliare in alto a destra sul fronte del sarcofago ha permesso di  collegare il dipinto alle nozze avvenute nel maggio del  1514 tra il veneziano Niccolò Aurelio (segretario del Consiglio dei Dieci, eletto  nel 1523  gran cancelliere della Repubblica Veneta) e Laura Bagarotto, figlia del  giureconsulto padovano Bertuccio Bagarotto.


Il quadro pervenne nelle collezioni Borghese nel 1608


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#748
Dopo la digressione con "Venere e Adone" del Canova, torno al tema  :)




Tiziano Vecellio, "Amor sacro e Amor profano", 1515 circa, olio su tela, Roma, Galleria Borghese.

Le due figure femminili con i capelli fulvi sono sedute sul bordo di un'antica urna sepolcrale, usato come vasca di raccolta per l'acqua. Il sarcofago è
  decorato sul fronte con un bassorilievo di stile classico.

Le due giovani sembrano avere la stessa fisionomia. Forse Tiziano volle alludere a due diversi tratti caratteriali nella stessa persona, "coincidentia oppositorum", Afrodite Urania e Afrodite Pandèmia ?


Gli alberi dipinti dietro alle ragazze  sono in controluce e le loro sagome paiono grandi macchie scure. Infatti il cielo che sovrasta il paesaggio riproduce l'alba a sinistra e il tramonto a destra.

Il dipinto ha diversi livelli di lettura, anche filosofico. 

E' notorio che spesso i filosofi con le loro elucubrazioni vanno fuori dal seminato e scambiano lucciole per lanterne, oppure si perdono in oscuri e astrusi meandri,  però in questo caso alcuni di loro che hanno esaminato il quadro mi sembra che siano rimasti "lucidi mentalmente".   :D


 
L' interpretazione filosofica neoplatonica vede nelle due donne la contrapposizione tra l'amore sacro (in senso metafisico, trascendentale e trascendente) e l'amore profano (in senso fisico, inteso come desiderio e piacere sessuale), l'Afrodite spirituale e l'Afrodite "umana". 

Amore "sacro" e amore "profano, continuamente si congiungono, si separano, si ricongiungono in dimensioni distinte ed antitetiche.  Se l'amore profano non può fare a meno del fisico, l'amore sacro non può fare a meno del metafisico.


La figura della donna nuda, sulla destra  guardando il quadro, la considerano la rappresentazione dell'Afrodite celestiale, nell'atto di sollevare verso l'alto  una piccola lucerna, variamente leggibile come simbolo di illuminazione spirituale o di conoscenza. 

Per contrapposizione la donna vestita che è sulla sinistra,   sarebbe l'Afrodite "umana", simbolo della forza generatrice della natura.
 

Tra le due donne c'è il piccolo Cupido, in questo caso mediatore tra la spiritualità e la concupiscenza, tra il Cielo e la Terra.


Il titolo attribuito  a questo dipinto di Tiziano è arbitrario. Non gli fu dato dall'autore né dal committente, forse non gli fu dato in origine, perciò definirlo rappresentazione dell'amor sacro e dell'amor profano  può essere fuorviante e far pensare alla mitologia greca, ad Afrodite Urania ed Afrodite Pandémia.


 
Nel tempo a quest'opera furono date diverse intestazioni a sfondo moralistico: "Beltà disornata e beltà ornata" (1613); "Tre Amori" (1650); "Amor profano e Amor divino" (1693); "Donna divina e donna profana" (1700). L'attuale  titolo fu attribuito al quadro nel 1792 dai curatori degli inventari e cataloghi della Galleria Borghese, dove il quadro è conservato, a Roma.


Secondo una delle interpretazioni più accreditate il quadro fu un dono di nozze e il tema è nuziale, allude con le due donne raffigurate a due aspetti del matrimonio: quello sessuale (voluptas) e quello  morale (pudicitia), tra loro uniti.


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#749
Buongiorno Sapa,


in questo topic, nel secondo capoverso del mio secondo post, ho scritto che l'Afrodite della mitologia greca fu un culto d'importazione, ed aggiungo,  dal Vicino o Medio Oriente.


Per quanto ne so, derivò dalla dea fenicia Astarte, affine alla dea semitica Ishtar. Queste, a loro volta, "discendenti" dalla "Grande Madre" o "Dea Madre", divinità femminile primordiale che venne materializzata in varie forme e in diverse civiltà.


La Grande Madre, dea della natura, miti e leggende la collegano al ciclo vitale nascita-morte, è a Lei che la vita ritorna per rinascere, come nei cicli della vegetazione.


Con l'evolversi delle civiltà, le competenze e gli attributi della Grande Madre  che inizialmente erano raggruppati soltanto in lei, cominciarono ad essere specializzati e moltiplicati in distinte divinità, come Astarte- Ishtar-Afrodite Pandémia,  dando a loro caratteristiche e simbologie.


La tartaruga è solo uno degli attributi della dea Afrodite-Urania: questo rettile fu considerato simbolo di connessione tra la Terra e il Cielo. Nella parte  esterna superiore del guscio, quella convessa, ci sono esagoni, e l'esagono è l'emblema dell'unione del Cielo con la Terra. Il suo carapece tondeggiante  rappresenta la cupola celeste, il Cielo, mentre la parte inferiore, dove poggia il corpo, evoca la Terra.


La mitologia greca spiegava la genesi dell'animale con la leggenda della ninfa Chelone, dalla quale la tartaruga prese  il nome.  Questa ninfa osò deridere Zeus ed Hedra nel giorno delle loro  nozze, e fu punita dagli dei: la trasformarono in tartaruga e la gettarono in mare, condannandola a recare sul dorso la propria casa. 


Ancòra la mitologia greca: al dio Hermes (Mercurio) erano stati assegnati come attributi simbolici anche due animali, il gallo e la tartaruga, oltre a quelli notori:  il suo borsellino di pelle, i sandali,  il cappello alato, il petaso, e il bastone da messaggero, il kerykeion.


La tartaruga era  pure diffusa nell'antica arte egizia.


In Mesopotamia la tartaruga era associata al dio Enki.


Dopo averti annoiato con la simbologia ti allieto la vista con l'immagine  del gruppo scultoreo che raffigura  Venere e Adone, realizzato da Antonio Canova.


#750
 
Afrodite Urania

Nell'antica arte greca Afrodite Urania veniva rappresentata su un cigno, oppure col piede su un globo o una tartaruga.

Fidia (o collaboratore), "Afrodite Urania", circa 430 – 420 a. C.; Berlino, Antikensammilungen
La dea è raffigurata col piede sinistro su una tartaruga.
Questa  scultura potrebbe essere quella che era nel tempio dedicato a lei ad Atene, costruito nel V sec. a. C..

Platone  considerava Afrodite Urania figlia del dio greco Urano, concepita e nata senza madre.

Secondo Esiodo la dea Afrodite nacque dai genitali recisi di Urano, divinità primordiale che personificava il cielo. 

La dea emerse dalla schiuma del mare. Era considerata protettrice dei marinai durante i loro viaggi. Alcuni suoi  tratti evocano l'antica dea orientale Astarte, sotto la cui protezione navigavano i Fenici, e alla Venus Iovia dell'epoca lucana e repubblicano-imperiale.

Afrodite Urania  veniva spesso associata ad Ares e rappresentata armata;  le sue sacerdotesse dovevano rimanere vergini.