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Messaggi - 0xdeadbeef

#736
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine della diseguaglianza
25 Settembre 2018, 20:53:20 PM
Citazione di: InVerno il 25 Settembre 2018, 20:43:39 PMCapire il passato non offre risposte "dirette" ne verso il presente ne verso il futuro, ma aiuta a mettere nel giusto ordine le idee della propria visione del mondo,
Concordo nel modo più assoluto (in realtà volevo dire una cosa che adesso risulterebbe di non troppo interesse
approfondire).
saluti
#737
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine della diseguaglianza
25 Settembre 2018, 20:45:03 PM
Citazione di: paul11 il 25 Settembre 2018, 18:27:08 PM
Il problema è se la diseguaglianza individuale di nascita viene esaltata dalla società competitiva interna, oppure se viene in qualche modo mitigata.( ed è un grosso problema tutt'oggi).

Stando a quanto afferma M.Liverani ("Antico Oriente") più il potere regale è debole più
marcati diventano l'individualismo e la diseguaglianza (tant'è che il potere regale ricostituito come suo
primo atto ha di norma la cancellazione della schiavitù per debiti).
Questo vale in misura maggiore per le comunità nomadi che non per le stanziali (nelle quali, probabilmente, la
specializzazione del lavoro agisce come ulteriore fattore di diseguaglianza).
Sicuramente le tecniche di conservazione del cibo, come del resto l'assegnazione in proprietà di terre,
determinano una progressiva disgregazione del monolitico tessuto comunitario originario, con il sorgere
di "clan" patriarcali sempre più distinti, nei quali la ricchezza viene trasmessa fra le generazioni (è questo
che, dice Liverani, produce il "culto degli antenati" - e delle relative sepolture).
Quella di Liverani, per ammissione dello stesso autore, è una ricostruzione molto "economicistica"...
Del resto, le medesime dinamiche sembrano verificarsi in Grecia (D.Musti), in India e in Cina (altri autori).
Ne parlavamo, mi pare, anche tempo addietro: laddove non vi è una "comunità" salda ed unita dai medesimi valori
etici l'individualismo prende il largo, e con esso prende il largo la diseguaglianza.
Non solo, a me sembra che la diseguaglianza (del resto solo "contenibile" in una misura eticamente accettabile)
sia favorita da periodi di scarse virtù (se così vogliamo chiamarle...) guerriere da parte dei membri della
comunità (o società, ma non è la stessa cosa). Così, almeno, mi pare ci dica la ricerca storica.
Questo è del resto facilmente intuibile, se pensiamo che la comunità unita e fortificata da vincoli assunti come
"sacrali" non può non agire da terreno di coltura per un'etica guerresca.
E' ad esempio noto come dall'"humus" costituito dalle comunità tribali germaniche (i "barbari") nacque quel mito
della "cavalleria" che vede il rapporto fra "forte" e "debole" non certamente all'impronta del sopruso (come d'altronde
ri-divenne non appena il mercantilismo tardo-medioevale obliò di nuovo la comunità in favore del multiculturalismo.
saluti
#738
Tematiche Filosofiche / Re:L'origine della diseguaglianza
25 Settembre 2018, 17:02:37 PM
Citazione di: InVerno il 25 Settembre 2018, 08:20:08 AM. E' necessario riportare la cultura e non l'economia come centro propulsore della società, per meglio capire il passato, il presente e il futuro.


Cioè è necessario rifare un'altra ri-voluzione (riproponendo il medesimo concetto che si intende superare)?
Per quel che mi riguarda credo invece necessario superare queste visioni dicotomiche tipiche della cultura
occidentale, rendendosi conto di come, per così dire, la "circolazione non avvenga mai a senso unico ma
solo e sempre a doppio senso" (struttura e sovrastruttura si confondono, tanto per usare una terminologia
marxiana).
E' dunque necessario considerare E la cultura E l'economia, non solo o principalmente una di esse.
Ma perchè, poi, cercare sempre l'origine delle cose come se da essa dipendesse interamente l'attualità?
Come se, in maniera speculare alla visione religiosa successiva, individuando l'origine si possa
individuare l'"errore" originario che dall'età dell'oro ha portato all'età del dissolvimento...
Bah, divagazioni a parte, io credo che l'origine della diseguaglianza risieda nella effettiva diseguaglianza
che c'è fra gli esseri umani...
Nella mia attività di "runner" dilettante mi trovo spesso a correre in gare cui partecipano atleti kenyani
(per dire dei più celebri). Beh, ragazzi miei non c'è partita: se se ne presentano cinque i primi cinque
posti sono regolarmente i loro.
La risposta alla domanda sull'origine della diseguaglianza è dunque banalissima; molto meno banale è semmai
il cercare di comprendere il PERCHE' si cerchi l'origine della diseguaglianza...
A tal proposito mi piace ricordare ciò che vidi anni addietro in una trasmissione televisiva, e che letteralmente
mi aprì gli occhi su di un problema che da tempo mi ero posto (spesso abbiamo davanti una montagna e non la
vediamo - soprattutto da giovani...).
C'era una anziana coppia nell'URSS ai tempi di Breznev, che viveva in un modestissimo appartamento.
Il marito era un reduce di guerra, ed era letteralmente "sepolto" delle massime decorazioni militari. Beh,
l'anziano era a dir poco orgogliosissimo del suo "status", e la moglie insisteva molto nel sottolineare
come venisse guardata con grande invidia dai vicini...
Mi chiedo e vi chiedo: è davvero necessario far parte di quell'1% della popolazione mondiale che
detiene l'80% della ricchezza complessiva per sentirsi "realizzati"?
Eppure quella coppia di anziani russi lo era con quattro patacche laccate (come io lo sarei se a certe
gare riuscissi ad arrivare tra i primi 500...), e non sto certo con questo facendo un'apologia del
socialismo "reale", come spero comprenderete...
Il problema allora non risiede tanto nell'origine della diseguaglianza (le disquisizioni sull'argomento,
che chiaramente è l'origine della diseguaglianza "politica", sono del resto molto interessanti, e mi
scuso per non avervi dato il mio contributo), quanto nella MISURA in cui la diseguaglianza debba
impattare sulla vita degli esseri umani.
saluti
#739
Tematiche Filosofiche / Re:L'egualitarismo
24 Settembre 2018, 18:52:34 PM
Citazione di: Socrate78 il 24 Settembre 2018, 17:31:34 PM
@Viator: E per quale motivo un'impresa dovrebbe chiudere solo perché è efficiente e giustamente guadagna di più? Non lo trovo affatto giusto, sarebbe come se un insegnante bocciasse un alunno studioso e molto più bravo degli altri solo perché con la sua efficienza oscura chi è più indietro! Il principio in piccolo è esattamente lo stesso, se quell'impresa è diventata così potente è perché prima si è data da fare, è riuscita a pensare a strategie per vendere al meglio i propri prodotti, ha investito in tecnologia, è abile più nelle altre nelle strategie pubblicitarie, quindi farla chiudere significa di fatto punire il merito, come farebbe quell'ipotetico insegnante descritto sopra. O sbaglio? E' assolutamente normale che, in un sistema competitivo, alla fine ci siano differenze anche di opportunità tra vincitori e vinti.



Ti dirò, a me quell'intervento dell'amico Viator è sembrato una provocazione (soprattutto dopo aver letto gli
altri suoi interventi)...
Comunque, noto che nei tuoi scritti ricorre sovente il concetto di "merito". Giusto, sono anch'io per premiare
chi merita, ma il problema (che nei tuoi scritti non rilevo) è quello della "misura" in cui questo merito
debba essere premiato.
Nell'ultimo mio intervento parlo di un 1% della popolazione che detiene, mi pare, l'80% delle ricchezze: è forse
questo un "giusto" premio al merito (e, specularmente, è forse questa la giusta punizione per il demerito del
restante 99% della popolazione mondiale)?
Dico questo, semplicemente, per sottolineare che nel sistema politico chiamato "liberalismo" (termine cui io
preferisco "mercatismo", per evidenziarne la differenza con la concezione classica otto-novecentesca) non
si dà "misura" alcuna, ed ogni "limite" tende ad essere scavalcato (non per una ideologia politica ma per
una legge economica, quindi per un supposto "razionalismo").
saluti
#740
Tematiche Filosofiche / Re:L'egualitarismo
24 Settembre 2018, 16:30:01 PM
Ad Anthony
Sì d'accordo, ma nel Cristianesimo è contenuta quella che è un pò l'essenza di ogni egualitarismo: gli uomini
sono fratelli in quanto tutti figli di Dio...
Distinguerei poi fra le varie confessioni cristiane che si sono viste nella storia. Sicuramente ciò che affermi
si addice molto al Protestantesimo; molto meno al Cattolicesimo...

A Viator
Scusami ma a me il problema di questa discussione non sembra affatto semplice (e questo, fra l'altro, la rende
assai interessante - per merito di chi l'ha iniziata).
Non trovo che tu l'abbia aperta con troppo "distacco mentale"; trovo anzi che, come dicevo, ne hai subito dato una
impronta molto, diciamo, "politicheggiante" (e questo ti ha portato ad andare incontro ad un amichevole
processo...).
A mio parere, se si intendeva dare a questa discussione una impronta più filosofica, occorreva innanzitutto
partire da termini diversi da "liberismo" e "egualitarismo" (io, ad esempio, avrei visto bene un inizio con la
dicotomia physis-nomos, per poi magari arrivare a delinearne gli sviluppi morali, ed infine giuridici e
politici - con la distinzione finale fra "liberalismo" ed "egualitarismo").
Mi chiedo come sia possibile riflettere nel profondo su questa dicotomia senza pensare all'inizio di questo
processo (inizio che, come accennavo, io vedo delinearsi nettamente - pur con importanti anticipazioni, intendiamoci-
nella contrapposizione fra la figura del sofista e quella del socratico).
Ripeto allora quanto andavo dicendo (sperando di sollevare un qualche interesse...): "perfetto liberista" è colui
che segue la propria natura, il proprio interesse ed il proprio utile.
Ogni "limitazione" (leggi: "ogni Legge") è vista dal liberista come un "male necessario", come un "laccio o
lacciuolo" (cito gli stessi termini in cui si esprimeva un liberista autentico: Ronald Reagan) che va ad
intralciare gli "animal spirits", e che deve perciò essere, nel tempo, rimossa non appena possibile.
Insomma: a me sembra che vi sia ormai molto di "rimosso", se è vero come è vero che l'1% della popolazione
mondiale detiene l'80% delle ricchezze (rischio di dire una inesattezza, ma comunque i numeri sono grossomodo
questi).
E la "forbice", con questi presupposti ideologici, è destinata a crescere ancora...
saluti
#741
Tematiche Filosofiche / Re:L'egualitarismo
23 Settembre 2018, 20:20:28 PM
A Viator
Prima di tutto due precisazioni...
A parer mio la dottrina più importante nella quale si è incarnato l'egualitarismo non è stata il comunismo
ma il cristianesimo...
Sull'esattezza del termine "liberismo" avrei molti dubbi, visto che questo si richiama direttamente al
liberalismo politico (di cui è la declinazione economica); quindi ad un qualcosa di molto, forse troppo,
definito (che finisce, a mio avviso, per dare a ciò che scrivi un'impronta decisamente politica - sembra,
in alcuni passaggi, di sentire note hayekiane o popperiane...).
Per ciò che mi riguarda, vedo una fondamentale anticipazione del "liberismo" nella filosofia sofistica,
la quale afferma: "è giusto che il lupo mangi la pecora" (Gorgia, se ben ricordo).
Non ritengo pertanto del tutto fuori luogo l'obiezione di "Donaldduck" ("Il perfetto liberista è il criminale
mafioso. La sua "etica" è "se desideri qualcosa, prenditela eliminando qualunque ostacolo, compresi gli altri
uomini che intralciano il tuo cammino verso la meta").
O, per meglio dire, è fuori luogo nel senso che il "perfetto liberista" potrebbe essere questo ma potrebbe
anche non essere questo. Diciamo allora che il "perfetto liberista" è colui che segue la propria "natura", il
proprio interesse e utile senza curarsi di alcunchè.
Da questo punto di vista, un criminale mafioso che segue la propria "natura", che fa il proprio interesse ed utile,
può essere eccome un "perfetto liberista".
Perchè mai non potrebbe esserlo? Chi dice chi è liberista e chi non lo è all'infuori di quell'istinto
a seguire la propria natura e fare il proprio interesse ed utile (che, per così dire, "segna i confini
filosofici del liberismo")?
E perchè mai si tirano in ballo le "leggi"? La legge, dunque, come "limite" al liberismo? Forse che il
lupo si pone un limite al numero di pecore che può sgozzare?
O forse siamo, per così dire, già al passo successivo (quello che all'aspetto filosofico fa seguire quello
della morale e, poi, del diritto)?
Anche se a quello si fosse (e non v'è dubbio che vi siamo, perchè l'"appeal" politico del tuo post era già
evidente in apertura), ti invito a considerare come il liberismo rifiuti per sua stessa natura qualsiasi
limite gli venga imposto (ti ricordo, ed è solo un piccolissimo esempio, la famosa metafora dei "lacci
e lacciuoli" di R.Reagan).
saluti
#742
Attualità / Re:Riforma della"LEGITTIMA DIFESA"
19 Settembre 2018, 17:29:26 PM
Citazione di: baylham il 19 Settembre 2018, 17:15:59 PM
Pistoria

Bella moglie: Era buio, non l'ho riconosciuto, pensavo fosse un ladro, ero spaventata, avevo paura, ho preso la pistola dal comodino e ho sparato all'impazzata. Sono distrutta dal dolore.

Commissario: Non si disperi signora, poteva capitare a tutti, è stato chiaramente un incidente. Le rinnovo le condoglianze per la morte del marito.

Giudice: Stia tranquilla, ha agito per paura, per difendersi. La legittima difesa è evidente, il caso è chiuso. Commissario, possiamo andare. Di nuovo condoglianze signora.

Commissario: Verrò a trovarla fra qualche giorno per vedere come sta, se ha bisogno di qualcosa mi chiami.

Ma sì, infatti, questo caso è "tipico" di quel che potrebbe succedere (e ahimè in qualche caso succede)
a tenere una pistola carica sopra il comodino (come del resto fanno in troppi...).
Conoscevo personalmente un tipo che teneva una 44 magnum degli anni 60 sopra il comodino (naturalmente
carica); una vera e propria bomba innescata, visto che un arma di quel tipo non ha nessun tipo di
sicura "moderna", e il colpo potrebbe partire solo urtandola (pensiamo poi che in casa c'era una bambina
piccola).
Fortunatamente, sono riuscito a convincerlo a vendermela (bel pezzo...) e a comprarsene una più moderna e
"sicura" (almeno questo).
Questo per dire che le armi vanno (ALMENO...) conosciute, perchè con esse la tragedia è veramente in agguato in ogni istante.
saluti
#743
Percorsi ed Esperienze / Re:La tragicità greca
19 Settembre 2018, 17:16:11 PM
Citazione di: sileno il 19 Settembre 2018, 14:05:49 PM
Può salvare la filosofia?



No, come Heidegger io dico che "solo un Dio ci può salvare".
La filosofia può aiutare a meglio, diciamo, "inquadrare" questo Dio; a toglierlo dalle prospettive delle
religioni storiche e tradizionali prospettandolo sotto una luce diversa. Ma, no, non può "salvare" essa.
Tutti i grandi filosofi che hanno "saputo e potuto" vivere la mancanza di Dio e il nichilismo fino in
fondo hanno sperimentato tragicamente su se stessi la tragedia più immane. Penso a Nietzsche come a
Leopardi, ma anche un pò a tutto l'Esistenzialismo (tanto per limitarci ai tempi moderni...)
saluti
#744
Attualità / Re:Riforma della"LEGITTIMA DIFESA"
19 Settembre 2018, 17:00:59 PM
Da possessore di armi (collezionismo, e qualche tiro al bersaglio cartaceo in poligono e nulla più), dico che
il problema risiede essenzialmente nella mancanza del potere deterrente della pena.
E' chiaro che, almeno a livello percettivo, i furti nelle abitazioni sono diventati una vera e propria
emergenza, e a questa emergenza lo stato non sta dando le dovute risposte.
Di fatto, il furto in abitazione (un reato in sè odioso, che nella vittima causa uno stato di instabilità psichica
piuttosto grave) è depenalizzato, in particolare ove non fosse accompagnato da violenza fisica. E questo è
incomprensibile.
Dunque lo stato torni ad essere "stato" (cioè a sanzionare severamente i reati), e non ci sarà alcun bisogno
di fare gli sceriffi e di avere "licenza di uccidere".
saluti
#745
A Davintro
Il "segno" è senz'altro un prodotto umano; ma non lo è l'oggetto che quel segno indica (in riferimento al tuo: "le
essenze che specificano i vari vissuti della coscienza non sono un prodotto umano, ma un dato che l'uomo intuisce
come necessario").
Anche qui, ritengo, è plausibile dire che l'oggetto non ancora indicato dal segno è un: "residuo della spoliazione
(riduzione fenomenologica) di tutti gli aspetti contingenti e dubitabili del fenomeno".
Perchè non dovrebbe esserlo (plausibile)? Nel mio ragionamento (mio per modo di dire, visto che è il medesimo di
Kant) l'oggetto non è una "convenzione arbitraria dell'uomo", ma un essente reale e necessario (necessario e
indubitabile, slegato dalla contingenza e dalla dubitabilità del segno che lo indica).
Ma dicevo del "giudizio estetico" kantiano come pretesa di oggettività e di universalità.
Come non vedervi importanti anticipazioni del concetto fenomenologico di "mappa" (o almeno così a me pare)?
Certo, parliamo di un prodotto umano (il segno; il fenomeno), ma un prodotto umano che "pretende" appunto di
avere oggettività, di "svelare" l'oggetto, il noumeno.
Non di "svelarlo", ed è questo il punto dirimente, restando all'interno di una mera "comunicabilità" (che
sarebbe restare sempre all'interno di un segno, visto che è della comunicabilità di un segno che staremmo
parlando); ma svelarlo nella sua vera e propria "ex-sistenza", cioè nel suo "stare saldamente fuori" dal segno.
E allora: come svelarlo in tal senso (un senso nel quale, sicuramente, la Semiotica va ben "oltre" Kant)?
Personalmente ho trovato estremamente interessante un documento di U.Eco (Il "Realismo negativo"), di cui
ti riporto un passo che trovo significativo:
"Tornando al cacciavite di Rorty si noti che la mia obiezione non escludeva che un cacciavite possa permettermi
infinite altre operazioni: per esempio potrei utilmente usarlo per uccidere o sfregiare qualcuno, per forzare una
serratura o per fare un buco in piú in una fetta di groviera. Quello che è sconsigliabile farne è usarlo per grattarmi
l'orecchio. Per non dire (il che sembra ovvio ma non è) che non posso usarlo come bicchiere perché non contiene cavità
che possano ospitare del liquido. Il cacciavite risponde di sí a molte delle mie interpretazioni ma a molte, e almeno
a una risponde di no".
Quindi, ecco, l'oggettività come uno "zoccolo duro dell'essere" che si pone al di là di ogni segno, fenomeno o
interpretazione: non mi sembrerebbe davvero un discorso riducibile a "segni e definizioni linguistiche".
Un saluto ed un ringraziamento per la risposta.
#746
Tematiche Filosofiche / Re:Questione sulla critica.
14 Settembre 2018, 20:31:54 PM
Citazione di: DeepIce il 14 Settembre 2018, 18:04:55 PM
Esatto. E qui sta la grande differenza tra dittatura e "sistemi democratici". I secondi sono esattamente una dittatura come i primi, tuttavia i primi non permettono voci di dissenso, mentre i secondi non solo le permettono, ma le incoraggiano e le finanziano (media, università, fondazioni etc.). Il fatto però che ci siano voci di dissenso non significa assolutamente che tale dissenso porti ad un cambiamento, anzi. Il tutto è un'illusione.


Beh, diciamo che la democrazia è necessariamente la scelta fra pappa e pan cotto (tanto per usare una efficace ed
immediata metafora)...
La democrazia (chiaramente parlo della democrazia costituzionale, visto che per la democrazia detta "giacobina"
valgono altre considerazioni) non può, per sua stessa essenza, permettere cambiamenti radicali.
E' per questo che la democrazia non teme la critica e il dissenso...
saluti
#747
Citazione di: bobmax il 14 Settembre 2018, 17:55:19 PM
E' inutile che io cerchi di girarci attorno. Se l'Assoluto è, io non posso proprio essere.





Questo, diciamo, se l'Assoluto ed io fossimo "nella" (o forse è il caso di dire "la") medesima "dimensione"...
Diciamo, anzi, che più che dire: "io non posso proprio essere" io vedrei più congruo dire: "io non posso proprio
esistere"...(questo perchè il "relativo" non può "essere").
Poi, certo, se l'Assoluto fosse "nella" (o "la") medesima dimensione dell'io non vi sarebbe libertà di quest'ultimo;
ma, ripeto, è forse necessario dire che l'Assoluto "vive" nella medesima dimensione dell'io?
Nel tuo discorso io vedo delle, come dire, "reminiscenze severiniane" (e, di conseguenza, heideggeriane).
Perchè mai (mi piacerebbe chiedere a Severino) l'accettazione del divenire esclude gli assoluti? Ah certo, non
è di assoluti "terreni" che stiamo parlando (cioè di assoluti che sono "nella/la" medesima dimensione dell'io).
Del resto, almeno mi parrebbe, lo stesso parlare di "assoluti" esclude l'ipotesi terrena... (Severino parla
appunto di assoluti terreni, ma a quale prezzo...con quale "pesantezza"...)
saluti
#748
A mio parere si può essere certissimi dell'esistenza del noumeno (poi, certo, la conoscenza è un'altra cosa...).
Se, tanto per usare la terminologia della Semiotica, esiste un segno che contraddistingue un oggetto (cioè il fenomeno),
allora DEVE esistere necessariamente anche l'oggetto da quel segno designato (il noumeno).
Quanto e in che misura essi possono essere conosciuti? Può certamente essere conosciuto il fenomeno, cioè il "segno";
non può essere conosciuto il noumeno, in quanto già il solo pensarlo significa inserirlo all'interno di una catena
segnica (cioè farlo diventare un fenomeno), come giustamente affermò C.S.Peirce.
Ora, quanto vi è di oggettivo nella conoscenza del segno, cioè del fenomeno?
Vi può essere poco o molto, dipende. Sicuramente il segno, o fenomeno, non può essere conosciuto del tutto, perchè
ciò significherebbe conoscere l'oggetto "primo", o noumeno (la conoscenza fenomenica può svolgersi solo ed esclusivamente
all'interno di un "contesto", o catena segnica che dir si voglia, non fuori da essa come sarebbe richiesto da una conoscenza
totale).
Inutile dire che, come dicevo nell'altra discussione, Kant aveva già intuito tutto questo nella "Critica del Giudizio"
(in particolare nel "giudizio di gusto", o "riflettente")
saluti
#749
Citazione di: davintro il 10 Settembre 2018, 20:34:25 PM

i contenuti fenomenici nella mia coscienza non sono prodotti arbitrari dell'Io, perché non sono il prodotto di una volontà di un Io, che liberamente decide di immaginare una certa cosa in un modo anziché in un altro, ma rappresentano l'essenza, il nucleo necessario della cosa, una volta spogliata, tramite l'epoche, degli aspetti che lo vincolerebbero a un determinato contesto empirico spaziotemporale, accidentale rispetto al suo senso. La sospensione del giudizio di esistenza spoglia la cosa di un attributo non necessario, per mettere in evidenza gli aspetti necessari ed essenziali. Torno sull'esempio con cui tempo  fa avevamo discusso, la memoria. Che ogni atto soggettivo noetico, l'atto del ricordare da parte di un Io, implica un contenuto oggettivo, il noema, il fenomeno oggettivo del "ricordato". La corrispondenza tra una noesi, ricordo, e un noema, un ricordato, non è una produzione soggettivistica e arbitraria dell'Io, ma una necessità strutturale dell'intenzionalità che caratterizza ogni coscienza, come ad ogni pensiero corrisponde un pensato, ad una percezione un percepito, ad un ricordo un ricordato. La dimostrazione di tale necessità è data dal fatto che essa è un residuo che resta presente anche una volta che, tramite riduzione fenomenologica, metto tra parentesi, cioè sospendo il giudizio circa la verità effettiva del ricordo, la corrispondenza fra rappresentazione mentale del ricordato e corrispondenza con l'effettiva realtà del passato: se anche fossi vittima di un'illusione circa il fatto che il mio ricordo  rappresenti un evento del passato realmente accaduto, resta il fatto che non posso dubitare di stare provando un'esperienza cosciente intenzionalmente riferita al passato, avente una qualità vissuta distinta da quelle vissute nella percezione di un fenomeno presente, o di un'immaginazione rivolta al futuro. Questa qualità vissuta rappresenta un dato oggettivo, anche se intracoscienziale, in quanto non posto arbitrariamente dall'Io, ma riconosciuto come essenza necessaria del ricordo, essendo residuo della radicalizzazione del dubbio che elimina gli aspetti non-necessari. Una volta individuate le varie distinzioni qualitative delle singole specie di atti con cui la coscienza attribuisce un senso alle cose del mondo, possiamo stilare una "mappa" (spero così di riuscire a chiarire meglio il punto anche per Oxdeadbeef, oltre che per me stesso) delle varie modalità in cui la coscienza entra in relazione con il mondo sulla base dei vari atti di esperienza vissuta, distinguibili sulla base delle differenze in cui i loro oggetti vengono vissuti in essa. Ad esempio, dalla distinzione qualitativa del ricordo rispetto al presente e al futuro, sarebbe possibile individuare una regione dell'Essere corrispondente alla conoscenza storica, cioè il modo in cui un Io si relaziona al passato, come ambito distinto dalle esperienze del presente e del futuro, e quindi dotata di caratteristiche, strutture e regole autonome.




Potremmo, se ben interpretto, dire la medesima cosa affermando che la corrispondenza fra il "segno" e l'oggetto
indicato dal segno non è una produzione soggettivistica, ma una necessità strutturale.
Il "problema", dal punto di vista semiotico (e, almeno per me, kantiano), è dire se e in quale misura il "segno"
rappresenta l'oggetto (non che la loro corrispondenza sia o non sia una necessità strutturale - evidentemente lo è).
Se, ad esempio, io dico "barca" ne avrò una certa immagine; magari un milionario immaginerà un lussuoso yacht e un
indigeno della Nuova Guinea una piroga: chiaramente si tratta di visioni diverse ma che non escludono un "contesto
comune", come ad esempio quello rappresentato da un qualcosa che galleggia sull'acqua.
E vengo dunque alla domanda: intendi forse un qualcosa di simile con i termini "mappa" e "ontologia regionale"?
Cioè intendi una ricerca di un qualcosa di "comune" nelle varie rappresentazioni (un qualcosa di comune che, voglio
dire, ne possa indicare in un certo qual modo l'"oggettività")?
saluti
(scusami l'insistenza ma l'argomento mii interessa assai)
#750
Ad Apeiron e Sgiombo
Mi chiedevo appunto in cosa consistesse questa "mappa" di cui parla l'amico Davintro (anzi, di cui parla Husserl,
a quanto sembra - purtroppo la mia conoscenza di Husserl e della Fenonenologia non è adeguata al livello della
discussione).
A quanto mi è dato di capire essa mi pare rimandi al "giudizio riflettente" di Kant (Critica del giudizio), come
dicevo. Così come del resto l'"ontologia regionale" mi sembra rimandare al concetto di "campo" di M.Gabriel (Nuovo
Realismo) come a quello di "contesto" (Severino, sempre sul "Nuovo Realismo).
A me, devo dire, la cosa sembra rimandare anche all'"io penso" kantiano (anche se, ammetto, non senza una forzatura...).
Comunque, tanto per proporre un punto di vista diverso del problema, all'interno del discorso sul "Nuovo Realismo"
Severino cita un punto (di Gentile) per lui inaggirabile: "ciò che chiamiamo fatto è pur sempre un pensato, e in
quanto pensato non può essere una realtà indipendente dal pensiero".
E allora ripeto quanto già accennavo: A Gabriel che parla di oggettività ("noumeno") all'interno di un "campo"
Severino risponde che un "campo" è un "contesto", e un "contesto" è un punto di vista interpretativo (quindi,
diremmo noi all'interno del nostro discorso, non può mutare lo "status" dell'oggetto in sè, del "noumeno",
che all'interno di un campo/contesto rimane un "fenomeno").
Sicuramente, quando parliamo di "fenomeno all'interno di un campo/contesto" non abbiamo a che fare con una mera
opinione... (se così pensassimo saremmo pronti ad equiparare l'opinione di un pazzo a quella di un saggio).
Altrettanto sicuramente non arriviamo con ciò a conoscere la "cosa in sè", l'oggetto la cui conoscenza è la medesima
a prescindere da ogni campo/contesto, che rimane inconoscibile per definizione IN QUANTO, come dice Peirce e la
semiotica, l'oggetto "primum assoluto" (il "non-segnato") non è a rigor di logica neppure pensabile.
saluti