Perché il tema del distacco viene trattato spesso insieme a temi teologici che descrivono Dio come il tutto e il mondo come il niente?
Perché distacco significa, in un senso più antropologico che spirituale, abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo. Distacco è "abbandono", è "resa", è ricerca di una tregua rispetto a ciò che ci lega alla realtà.
Nell'esercizio del distacco non c'è nessun incremento conoscitivo, di verità. Cioè non si arriva alla scelta di questo esercizio tramite un percorso conoscitivo filosofico. Se ciò accade è perché alla fine l'esigenza di sopravvivere psicologicamente ad una vita dolorosa ha piegato il pathos "puro" della filosofia, la sua prerogativa di conoscenza disinteressata (sempre che poi tale prerogativa esista realmente...), ne ha fatto lo strumento dialettico per edificare una forma di vita che va contro la natura delle cose.
Inutile girarci attorno, tutti lo intuiscono (per poi percorrere la cultura filosofica e spirituale nel disperato tentativo di dimenticarsene): la vita è un fenomeno effimero, consiste nella progressiva perdita di pezzi, si conclude nella morte, si vivono anni di stupidità bilanciati da pochi istanti di bellezza e lucidità.
È pazzia ribellarsi a questo destino cercando di avere tutto, consumandosi nel tentativo di arraffare tutto, è altrettanto pazzia rinunciare a tutto per una felicità che sarebbe costretta a manifestarsi proprio a causa della rinuncia, aperture di senso miracolose che avverrebbero sotto il ricatto di un pensiero che nega ciò che c'è di più naturale nella vita.
Infatti il cristianesimo è pazzia (per quanto Duc in altom! si sforzi di rifilarci un'apologetica razionale sul modello del suo amato Ratzinger...).
Perché distacco significa, in un senso più antropologico che spirituale, abbandono dello sforzo di avere il controllo su se stessi e sulle cose del mondo. Distacco è "abbandono", è "resa", è ricerca di una tregua rispetto a ciò che ci lega alla realtà.
Nell'esercizio del distacco non c'è nessun incremento conoscitivo, di verità. Cioè non si arriva alla scelta di questo esercizio tramite un percorso conoscitivo filosofico. Se ciò accade è perché alla fine l'esigenza di sopravvivere psicologicamente ad una vita dolorosa ha piegato il pathos "puro" della filosofia, la sua prerogativa di conoscenza disinteressata (sempre che poi tale prerogativa esista realmente...), ne ha fatto lo strumento dialettico per edificare una forma di vita che va contro la natura delle cose.
Inutile girarci attorno, tutti lo intuiscono (per poi percorrere la cultura filosofica e spirituale nel disperato tentativo di dimenticarsene): la vita è un fenomeno effimero, consiste nella progressiva perdita di pezzi, si conclude nella morte, si vivono anni di stupidità bilanciati da pochi istanti di bellezza e lucidità.
È pazzia ribellarsi a questo destino cercando di avere tutto, consumandosi nel tentativo di arraffare tutto, è altrettanto pazzia rinunciare a tutto per una felicità che sarebbe costretta a manifestarsi proprio a causa della rinuncia, aperture di senso miracolose che avverrebbero sotto il ricatto di un pensiero che nega ciò che c'è di più naturale nella vita.
Infatti il cristianesimo è pazzia (per quanto Duc in altom! si sforzi di rifilarci un'apologetica razionale sul modello del suo amato Ratzinger...).
