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Messaggi - Phil

#76
Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 09:16:10 AMIl fine ideologico è convincerci a considerare positivamente la disumanità delle sollecitazione in quanto occasione di un adattamento che nessuno avrebbe pensato possibile.
"Ah, non sono morto! E chi l'avrebbe mai detto. Ma ciò che non mi uccide mi rafforza!".
[...]
Non è difficile cogliere la radice ideologica da cui prendono vita espressioni come "resilienza" o "essere imprenditori di se stessi", poi messi in circolazioni dai fedeli servitori della causa neoliberista.
La resilienza, in psicologia (per questo ho precisato: «resilienza, propriamente intesa») non è banalmente la capacità di incassare i colpi della vita, di "essere tosti", non è sinonimo di «resistenza» e non ha a niente a che fare con ideologie neoliberiste e manipolazioni delle masse. La resilienza (v. qui), studiata a livello clinico (non stabilita a tavolino da "dottori della propaganda"), va di pari passo con la rielaborazione "positiva", ossia non dannosa per l'individuo, di vissuti potenzialmente nocivi.
In pratica significa, come ricorda l'articolo, che se cresco con genitori schizofrenici non divento a mia volta schizofrenico o non alimento altre turbe psichiche, ma reagisco (la resilienza è essenzialmente reazione, non capacità di subire senza "rompersi") strutturandomi in modo "sano e funzionale". Se non fossi stato sufficientemente resiliente, sarei rimasto traumatizzato o magari avrei "assorbito e riprodotto" atteggiamenti schizofrenici. Questa non mi sembra un'idiozia né una strategia neoliberista, ma una risorsa utile per affrontare crisi interiori. O preferiamo appiattire tutto a «sono in crisi, governo ladro!»?
#77
Parlare di "crisi interiore" è sempre una questione delicata, soggettiva e difficilmente generalizzabile. Quantomeno è utile distinguere fra crisi che hanno origine soprattutto (non solo) esterna e quelle che hanno origine soprattutto (non solo) interna: è ovvio che tutte le crisi interiori hanno come "luogo critico" l'interiorità, tuttavia alcune vengono innescate da un evento esterno (un lutto, ad esempio, come accennato da niko), mentre altre si manifestano in assenza di rilevanti cambiamenti esterni, ma principalmente per la mutata attitudine o atteggiamento interno con cui si guarda e si vive la "solita realtà" (senso di alienazione, "claustrofobia esistenziale", ennui, desiderio di "sovversione" di cui parlava Koba altrove, etc.).
Solitamente l'esperienza di crisi interiore non credo sia in sé piacevole, mentre può essere piacevole guardare a posteriori come si è diventati dopo una crisi; chiaramente se invece la crisi segna l'individuo con tracce traumatiche indelebili o con danni psicologici (o peggio), se non c'è il "lieto fine" alla crisi, il dopo-crisi risulta solo un peggioramento esistenziale rispetto al pre-crisi.
Il modo in cui si affronta una crisi può fare la differenza (@koba non vedo dove sia l'idiozia della resilienza, se propriamente intesa), ma è anche vero che non tutte le crisi possono essere risolte con impegno e forza d'animo, alcune sono semplicemente troppo titaniche per il soggetto che si trova ad affrontale e che, di conseguenza, ne viene schiacciato (come capita quasi sempre a chi decide di piegare la realtà e/o il mondo alle proprie idee o utopie, e non viceversa). Ci sono soggetti che hanno un certo "involontario masochismo", per i quali l'essere in crisi è una condizione dissimulatamente desiderabile perché è sfidante, rende la vita un'impresa, scaccia la noia e l'ordinarietà (il loro uso del linguaggio è come sempre "sintomatico"); ci sono poi soggetti molto meno inquieti e "burrascosi" che invece vivono come crisi ogni fuori-programma che destabilizza la rassicurante routine esistenziale; e così via, si potrebbe parlare di altre soggettività che hanno un differente rapporto con la crisi interiore; non è un questione facile da generalizzare, essendo molto eterogenea la "natura" delle possibili crisi interiori (e in base a ciascuna "natura" si può cercare, se possibile, di tracciare una rotta per uscirne, ma non c'è di certo nessuna "mappa universale" e nessuna garanzia di uscirne "migliorati").
#78
Preferisco il digitale come fruizione, il cartaceo come "estetica" (tatto, odore, etc.). A suo modo, un libro digitale è un distillato così "essenzializzato" che non è più nemmeno tridimensionale, così che può essere facilmente alterato sia nella forma (ingrandimento del testo, regolazione contrasto e luminosità, capovolgimento, etc.) sia nel "paratesto di lettura" (si possono registrare note e scorrerle, mettere e togliere evidenziazioni, visualizzare nella pagina traduzioni o significati di parole sconosciute, etc.). Non sottovaluto nemmeno la possibilità di portare molti libri in poco spazio, soprattutto considerando che le batterie durano "secoli" e ormai fonti di ricarica elettrica, portabili o condivise, non sono una rarità.
#79
Percorsi ed Esperienze / Re: Desiderate la Vita Eterna?
26 Febbraio 2025, 11:41:58 AM
Citazione di: Adalberto il 26 Febbraio 2025, 06:59:18 AMRitengo elitaria  l'idea che solo la profondità del pensiero possa dare un senso alla vita (degli altri).
Secondo me più che elitaria è insensata, una "pagliacciata da vivi" come detto sopra. L'attribuzione di un possibile senso alla vita richiede riflessione, ma la profondità di tale riflessione non aggiunge o toglie nulla all'attribuzione. Il suddetto esempio del contadino è eloquente: nessun Kierkegaard o Heidegger, nonostante la maggior profondità delle loro riflessioni, potrà dire al contadino che si sbaglia, poiché tale senso non è un rebus di cui bisogna indovinare la soluzione o un tesoro nascosto in chissà quale profondo abisso. La vita del contadino ha il senso che egli gli attribuisce (e, prospetticamente, lo proietterà spontaneamente anche sugli altri) e fare una "classifica dei sensi" per profondità non significa farla secondo verità o qualità, proprio come constatare che qualcuno vive ad un'altitudine più elevata della nostra non significa pensare che costui sia più saggio o più "vicino agli dei" di noi (semplicemente a noi magari piace più il mare, magari lui preferisce la montagna).

Citazione di: Adalberto il 26 Febbraio 2025, 06:59:18 AMNon posso trasferire sulle altre persone il sistema di valori attraverso il quale io peso il senso della vita (mia).
Molti sono tentati a farlo (soprattutto i "pensatori forti", assiomatici), e di fatto è quello che fanno anche le varie ideologie, più o meno religiose o esistenziali che siano. Personalmente penso che il senso della vita sia essenzialmente individuale, così come è individuale la propria morte; le distinzioni di profondità sono solo un dettaglio "altimetrico", non veritativo (giacché l'unica certezza sul tema è "la livella", il fondo su cui si depositano tutte le possibili "profondità" di pensiero).
#80
Percorsi ed Esperienze / Re: Desiderate la Vita Eterna?
24 Febbraio 2025, 22:05:16 PM
Citazione di: Adalberto il 24 Febbraio 2025, 20:24:10 PMCapisco pure  quello che intendi, è legittimo e l'ho praticato anch'io.
Però con il passare degli anni mi imbarazza accostarmi ai sentimenti e alle emozioni altrui con l'idea di un confrontare le rispettive profondità.
Questo forse è un po' il fulcro del fraintendimento che ti ha portato a vedere elitarismo dove non c'era: la confusione fra giudizi di fatto e giudizi di valore. Avrai notato che non ho giudicato (giudizio di valore) migliore o peggiore chi si fa certe domande con una certa profondità, ho solo preso atto (constatazione di fatto) della presenza di persone, da sempre, che tali domande non se le fanno, o se le fanno in modo meno profondo o addirittura esagerano a farsele con i suddetti "virtuosismi teoretici". La differenza di profondità non credo sia troppo opinabile, nondimeno non è necessariamente qualitativa. Provo a spiegarmi con un esempio banale: secondo te, in generale, è meno profonda una riflessione filosofica sulla morte (scegli tu quale) o una poesia sulla morte (scegli tu quale), oppure un'esclamazione del tipo «tanto prima o poi moriamo tutti»? Credo concorderemo entrambi sulla risposta, pur senza scriverla.
Pensare che ciò comporti una preferenza o una migliore opinione di chi si pone un certo tipo di domanda in un certo tipo di modo, è una conclusione impropria, spesso negli occhi di chi legge, ma non in quello che è scritto. Ragioniamoci: quando ho scritto «non è dispregiativo notare che a qualcuno non interessano questioni esistenziali "profonde"...» etc. come lo hai interpretato? Frase retorica in nome del politicamente corretto, oppure intendevo semplicemente quello che ho scritto, ossia che per me non è dispregiativo distinguere fra i vari tipi di rapporto con certe tematiche? Perché "livellare" le profondità altrui con la propria quando, di fatto, la differenza di profondità è "tangibile"? Quando ci imbattiamo in una riflessione che ci colpisce per la sua profondità, non sappiamo forse riconoscerla? Non è una profondità assoluta, ovviamente, ma rispetto alla nostra (o a quella a cui siamo abituati), è di certo maggiore; altrimenti troveremo ovvia e scontata quella riflessione, essendo meno profonda della nostra.
La semplicità dei fatti è ciò che spesso sfugge, schiacciata dal peso di pregiudizi poco fattuali; la stessa semplicità con cui la morte livella tutti, compresi quelli che hanno compiuto le "pagliacciate" più filosoficamente ardite per elucubrare su sensi metafisici (per inciso: la mia visione della morte e della vita è più simile a quella del contadino citato sopra, che a quella dei filosofi dotti; eppure, anche qui, non giudico peggiore o migliore chi lancia la propria mente nell'iperuranio della teoresi esistenziale; a ciascuno la sua "pagliacciata", prima che la livella risolva, semplicemente, la questione).
#81
Percorsi ed Esperienze / Re: Desiderate la Vita Eterna?
24 Febbraio 2025, 11:18:55 AM
Citazione di: Adalberto il 24 Febbraio 2025, 10:11:38 AMPerchè questa concezione elitaria?
La risposta è proprio nel testo che hai citato: «Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive».
La morte è una livella, ma prima, da vivi, il piano è tutt'altro che liscio, ci sono valli e monti, pozzanghere e punti panoramici.
Non si tratta di una visione elitaria, ma di un'analisi fattuale: non è dispregiativo notare che a qualcuno non interessano questioni esistenziali "profonde", che qualcuno si affida a "orizzonti di senso" preconfezionati e risolutivi (v. religioni), che "i contadini muoiono sazi di vita" come tu stesso hai citato, etc.
Concordo che la morte livelli gli uomini, ma in vita distinguere fra le "pagliacciate" non è necessariamente elitarismo.
#82
Percorsi ed Esperienze / Re: Desiderate la Vita Eterna?
23 Febbraio 2025, 21:51:04 PM
Citazione di: Adalberto il 23 Febbraio 2025, 10:43:23 AMAbramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio e sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza».
Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la  morte è per lui un accadimento privo di senso.
Usare la "civiltà", la tecnologia, il capitalismo o simili, come capri espiatori di presunti svuotamenti di senso esistenziale, a mio avviso, è un mossa retorica falsificata dalla storia stessa, invocata impropriamente per preparare l'altare su cui sacrificare i suddetti capri.
Il contadino di oggi ha una visione del mondo e un "rapporto con la morte" davvero così differente da quello del contadino di mille anni fa? Coloro che invece hanno vissuto un'esistenza con "aneliti da metafisica", che siano vissuti prima delle macchine a vapore o abbiano lo smartphone in tasca, davvero non possono morire "sazi della vita" come il contadino?
Quanta differenza esistenziale c'è (se c'è) fra coltivare la terra e coltivare il proprio conto in banca? Siamo davvero sicuri che, al momento dell'ultimo sguardo, un vecchio contadino non possa guardare la sua terra proprio come un vecchio imprenditore guarda le sue azioni in borsa? Sono possibili certamente differenti tipi di sguardo; ma è davvero una questione di forme di mercato e orpelli tecnologici a fare la (eventuale) differenza esistenziale?
L'arte di preparasi alla morte, non è forse antica come quella di dare un senso alla vita? Non sono forse entrambe percorribili ancora oggi, da alcuni ma non da tutti (oggi proprio come ieri), per nulla intaccate dalle conoscenze acquisite?
Credo che tutte queste domande possano convergere in una risposta di questo tipo: se, dopo e nonostante l'alienazione capitalistico-tecnologica, qualcuno è ancora in grado di scorgere saggezza nel pensiero antico degli stoici o dei buddisti, mentre qualcuno (oggi come allora) si sazia con l'orizzontalità della sua vita quotidiana, allora questo significa che, esistenzialmente, le forme economiche e lo sviluppo tecnologico non influenzano le domande (e, soprattutto, le dinamiche) di senso che accompagnano l'uomo da secoli.
Oggi, esattamente come secoli fa, c'è chi si toglie la vita di sua scelta, chi muore col sorriso, chi fa della morte un culto, chi non pensa affatto alla morte, chi crede che la morte sia una nuova nascita, etc. le ore che si passano al lavoro, il tipo di lavoro, le strutture e sovra-strutture sociali, quanto lontano si arriva con una sonda nello spazio, etc. non mi pare smussino di una goccia di inchiostro i punti interrogativi delle domande esistenziali (per chi se le pone, ovviamente). 
Anche in filosofia, se scaviamo sotto i virtuosismi teoretici che sembrano distinguere la filosofia esistenziale moderna da quella più antica, troviamo le stesse domande; può cambiare la complessità delle risposte, ma non la loro "insufficienza" (proprio come il contadino ha cambiato con i secoli i suoi macchinari e le sue "filiere di vendita", ma non ha cambiato la  dipendenza dalla terra che lavora).
#83
Tematiche Filosofiche / Re: Capisco di non capire.
12 Febbraio 2025, 14:17:46 PM
Citazione di: iano il 06 Febbraio 2025, 23:59:55 PMQuello che non riesco a creare, non lo saprò mai capire.
Nell'aforisma di Feynman, direi che la creazione non è un elemento da ignorare. In un'ottica in cui «nulla si crea e tutto si trasforma», affermare che la capacità di capire è connessa a quella di creare, suona come un modo ironico per insinuare che non possiamo capire davvero nulla.
Il che sarebbe confermato dal fatto che ci stiamo da sempre arrovellando, non con poche difficoltà, per capire la Creazione, o più laicamente, la realtà sempre più in dettaglio; mentre se fosse qualcosa che avessimo creato noi, dovremmo averne una comprensione quantomeno un po' più facilitata (poi qui si potrebbe innestare la differenza fra creazione ontologica e "creazione" in senso cognitivo, come proiezione delle nostre categorie e del nostro linguaggio nella realtà, etc.).
Di certo la fisica e la scienza, se intese sperimentalmente, hanno bisogno di poter ri-creare un fenomeno per studiarlo e capirlo in modo approfondito; la fisica e la scienza che non possono "ri-creare per comprendere" restano sempre un po' in affanno, nonostante la dignità teoretica delle teorie che vengono create basandosi sull'osservazione "a presa diretta" (al netto di tutte le deformazioni e i limiti strumentali).
#84
Citazione di: Koba il 11 Febbraio 2025, 09:59:58 AML'ascetismo, che è la prima risposta naturale all'irruzione dell'Altro, può diventare però nel tempo una fuga e una soluzione completamente controproducente.
La "naturalità" della risposta, secondo me, sta nell'istintivo rifiuto della trascendenza, nel senso di non accettare che la divinità sia estranea alla cercabilità (e reperebilità) nel mondo; e in questo il fenomeno dell'incarnazione "confonde", per così dire, ancora di più il credente che asseconda tale naturale avversione (anche come timore, vertigine, etc.) per l'eccedenza extra-mondana. Il voler incontrare, o addirittura rapportarsi a Dio, stando sulla terra, da vivi, è il rifiuto della divinità in quanto divina e al contempo dei limiti della propria umanità, nella speranza che l'umano possa incontrare il divino umanamente, con chiarezza e certezza, quasi fosse qualcuno difficile da trovare, ma pur sempre qualcuno, non un dio. La richiesta di Dio all'uomo (a quanto pare) è invece di avanzare nella vita terrena come Orfeo, senza "voltarsi" e pretendere di vederlo in volto; ma la natura dell'uomo è quella del Tommaso che "se non vede, non crede" e quindi, proprio come Orfeo a cui la legge sovra-umana impone di camminare con accanto Euridice ma senza guardarla, se invece vogliamo guardare, è il nostro stesso sguardo (a suo modo "libidico") a condannarci al fallimento (in questo senso Dio è un po' come "il gatto di Schrödinger").
Questo significa che, se per cercare Dio ci allontaniamo dal prossimo, percorrendo via ascetiche, creandoci un nostro mondo di solipsistica ricerca divina in questo mondo, un nostro mondo il cui l'altro umano è poco più che una comparsa da non calpestare, allora il messaggio di fratellanza del Dio cristiano (e della sua incarnazione) è maldestramente tradito ed è quindi presunzione sperare che, abbandonando gli altri, Dio si riveli e ci venga a "fare compagnia" placando la nostra sete di Alterità (il Dio che parlava in prima persona ai prescelti è Antico Testamento).
Per altre religioni, l'ascetismo può essere magari un percorso più "coerente" (v. sufi, induismo e altri), ma per il cristianesimo, dato il messaggio "filantropico" (etimologicamente) di Cristo, l'egocentrismo che ambisce al rapporto personale con Dio e vede eventualmente l'altro solo come poco più che un'"esca" per ingraziarselo, chiaramente si presenta come una forzatura (fallimentare) della volontà di Dio, la cui legge non è "Trovatemi nella solitudine!", in una sorta di "nascondino esistenziale", ma di altro tipo (almeno stando a quanto Cristo pare abbia detto).
#85
Citazione di: Koba II il 05 Febbraio 2025, 11:50:12 AMnel Vangelo, la vita viene prima della Legge. Dunque, su cosa si basa la vita evangelica, ossia la prassi di Gesù e dei suoi discepoli, di Francesco e dei suoi amici? Sulla devozione alla Legge? No, perché l'eccesso della gioia e della carità – come si vede in molti episodi evangelici – trascende sempre la Legge.
Può esserci davvero un "eccesso di carità"? Un "eccesso di gioia", cristianamente intesa? Oppure l'attitudine gioiosa (cristiana) e la carità non sono altro che applicazione (e rispetto) della Legge del Padre, come esemplificato dal Figlio («amatevi l'un l'altro come...» etc.)?
Perché la carità è buona e giusta? Perché lo dice la Legge del Padre (e la Parola del Figlio), non certo l'istinto o la cultura. Perché la gioia cristiana è "vera gioia" solo se si tiene alla larga da certi comportamenti, da certi godimenti non cristiani? Perché lo dice la Legge.
Ogni religione (e ogni spiritualità) è anzitutto Legge che guida e dà valore (v. sopra) a un'esperienza; la vita viene prima della Legge solo come condizione di possibilità di applicazione della Legge, non come emendamento dalla Legge (per la legge umana, orizzontale, il discorso può invece anche essere differente).
#86
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM1) Si desidera ciò che ha l'altro (Girard).
Credo che fortemente connessa al desiderio sia la dinamica di assegnazione di valore (o di senso): se vedo l'altro che ha qualcosa, sospetto che quel qualcosa, a cui l'altro non rinuncia, che l'altro non abbandona, possa essere di valore, per questo lo desidero (non desideriamo gli scarti degli altri, ma ciò che pare essere di valore per gli altri).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM2) Si desidera il desiderio dell'altro, cioè si desidera che l'altro mi guardi, mi rispetti, mi ammiri, mi riconosca (Hegel).
Parimenti, se l'altro mi desidera, allora mi convinco di avere un valore; anche stavolta è l'altro ad assegnare un valore, ma il fatto che il valore sia un mia "proprietà" non comporta la quiete del godimento appagato, bensì il desiderio di più valore, più riconoscimento altrui (v. la "fame di fama", il fenomeno dei like sui social, etc.).
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM3) Si desidera ciò che è capace di suscitare il ricordo di qualcosa che si è perduto da sempre e che mai ritroveremo. Il desiderio come nostalgia di un oggetto primario mai recuperabile e sempre parzialmente riflesso nelle cose che suscitano desiderio.
Qui il valore è nel passato per svalutazione del presente; se stessi meglio ora che in passato, non desidererei il ritorno dell'elemento che dava valore in passato (e al passato); tuttavia il riconoscimento di quel valore può animare sia la speranza per il futuro che il rimpianto, a seconda dell'indole e della situazione.
Citazione di: Koba II il 04 Febbraio 2025, 15:37:26 PM4) Si desidera altro, cioè non si desidera l'Altro, non si desidera cioè ciò che ha o ciò che è l'altro, non si entra in relazione dialettica con l'Altro, ma si desidera tutt'altro, un'altra vita, un altro mondo etc.
Quando il valore non ci arriva dagli altri (casi 1 e 2), né dal passato o dall'attesa/impegno per il futuro (3), allora lo immaginiamo altrove, in un mondo possibile, in un'utopia, in una mistica alchimia ancora ignota, perché (questo è forse il movente inconscio della dialettica desiderio/valore) il valore deve esserci, affinché il desiderio si direzioni (desiderio che è essenzialmente pulsione vitale, all'azione volta al nutrimento, sia fisico che esistenziale).
Il Padre è colui che spinge, con l'esempio e con le norme, il Figlio al desiderio e al valore; l'hybris di sostituirsi al padre, di diventare a propria volta padre, non è altro che lo sviluppo auto-nomo della dialettica desiderio/valore, inevitabilmente decentrata dal ruolo dell'Altro.
Nel cristianesimo, è il Padre a dover lasciar punire il Figlio, cioè se stesso, per il decentramento verso l'Altro, ossia l'umanità; l'auto-nomia del Figlio, tesa e manipolata dal desiderio dell'Altro e per il bene dell'Altro, finisce con il ristabilirsi della legge paterna: la resurrezione chiude la parantesi umana del dio e conferma la Legge sovra-umana del Padre, che dopo essersi "abbassato" a giocare con i figli, facendosi anch'egli Figlio (e, apparentemente "perdendo la partita"), ristabilisce i ruoli e, appunto, i valori che ha voluto insegnare ed esemplificare con il farsi un (quasi) pari dei figli.
#87
Tematiche Filosofiche / Re: Ciò che non si può dire.
20 Gennaio 2025, 16:31:25 PM
Citazione di: iano il 20 Gennaio 2025, 14:27:38 PMIn sostanza si tratta di smettere di fare del logos un idolo per liberare tutte le potenzialità.
Tempo fa, parodiando (non parafrasando) un noto motto, scrissi che secondo me «di ciò di cui non si deve parlare, si può tacere»; ossia: se non si è in dovere, costretti dalle circostanze, a parlare di qualcosa, si può (non «si deve») anche tacerne. Forse prendo "in contropiede" il senso dei tuoi post, ma ho l'impressione che sia il saper non parlare ad essere "in difficoltà", negli ultimi tempi, e dico «saper non parlare» perché credo che anche il tacere sia un sapere (non in senso nozionistico, ovviamente, ma nel senso di sapere quando si può anche non parlare di qualcosa, quando non si deve farlo; «non si deve» sempre nel senso di non essere costretti a farlo, non nel senso di divieto morale o altro).
Probabilmente non sono l'unico a ricordarsi un tempo, prima degli smartphone e dei "minuti e giga infiniti", in cui parlare al telefono costava abbastanza (rispetto ad ora). La leva economica, come sempre, fa emergere il valore non economico di alcuni impulsi e presunte necessità (più o meno indotte). Le comunicazioni telefoniche "dell'epoca", essendo costose, erano forse (non si può certo generalizzare troppo) più significative e più autentiche, più ponderate e meno moleste (si pensi ai call center) di quanto lo siano ora (poi "prima" c'erano più relazioni faccia a faccia, meno solitudine, etc. ma non mi interessa quella direzione del discorso). Ora si può parlare a distanza senza pagare a consumo, quindi in generale "si parla" (Heidegger docet), tanto, spesso, non sempre ponendosi prima la domanda: devo davvero parlare? Perché devo parlare?
Passando alla scrittura: se i post sui social o sui forum fossero a pagamento, chiaramente (qualcuno starà già pensando) solo i ricchi potrebbero straparlare e strascrivere a vanvera (poiché per loro il denaro "vale meno"), mentre se non si paga nulla, tutti possono (anche, non solo) straparlare, oltre che comunicare, arricchirsi reciprocamente, solidalizzare, imparare, etc.; ed è bello così (perché mai solo i ricchi dovrebbero avere anche il privilegio, volendo, di poter persino oziare per telefono o bisbocciare in una chat?).
La nostra situazione di comunicazione "orizzontale" (potrei twittare anche con Musk o il papa, credo) e democratica, senza (quasi) filtri e demoscopica, è quindi "sicuramente" una vittoria per il popolo; ma lo è anche per il logos?
In estrema sintesi: se il logos è un idolo, mi pare stia facendo la fine degli altri idoli (e lo dico da postmoderno, non da nostalgico: l'analisi sociologica dei passato non è necessariamente nostalgia dei tempi andati).
#88
Tematiche Filosofiche / Re: Nietzsche e Zarathustra
19 Gennaio 2025, 12:51:13 PM
Credo sia necessario inquadrare attentamente il discorso: parliamo della prospettiva nietzschiana, della tua o della mia?
Se parliamo dell'autore:
Citazione di: niko il 19 Gennaio 2025, 12:09:03 PME finche' non moriamo, suicidi o non, superuomini o non, definiamo la quota di soffetenza che siamo disposti a  sopportare. In vita. In nome della libera creazione e della gioia.
l'eterno ritorno esclude la libera creazione; quello che crei non potevi non crearlo, era già scritto che tu lo creassi e lo creerai infinite volte, uno per ogni ciclo dell'eterno ritorno.
Citazione di: niko il 19 Gennaio 2025, 12:09:03 PMStento a credere, invece, che ti sia successo mille volte di morire.
[...]
A meno che tu non mi dica che, grazie all'eterno ritorno, sei anche morto, qualche milione di volte.
L'eterno ritorno nietzschiano, correggimi se sbaglio, significa esattamente questo: sono morto infinite volte, ma solo una per ogni ciclo. La mia morte non può essere un evento unico nell'eterno ritorno, che altrimenti non sarebbe tale (la mia morte deve tornare puntuale, è la necessità del fato e del ritorno).
Citazione di: niko il 19 Gennaio 2025, 12:09:03 PMMa volonta' non e' libero arbitrio, volonta' e' non essere determinati dal passato,
Sempre in un'ottica di eterno ritorno, la volontà è determinata dal passato e dal fato, non è affatto libera e farà infinite volte le stesse scelte (altrimenti che eterno ritorno dell'identico sarebbe?). In sostanza, come in ogni meccanicismo, l'eterno ritorno rende la volontà solo un ingranaggio, nulla di realmente creativo o che potrebbe anche volere altro (altrimenti, non si compierebbe l'eterno ritorno, ma ci sarebbe qualcosa di nuovo; inconcepibile in un'ottica di ritorno dell'identico).
Infine:
Citazione di: niko il 19 Gennaio 2025, 12:09:03 PMCerto, che la volonta' degli esseri e' il carburante dell'eterno ritorno.
sulla volontà del corpo l'esempio della malattia calza, poiché la "volontà genetica" dell'autoconservazione biologica non è la volontà della coscienza (il sistema immunitario, per nostra fortuna, funziona in modo in-volontario). Tuttavia, la volontà è solo quella puramente biologica? Non c'è forse una volontà che desidera, una volontà etica, etc? Quando vorresti qualcosa di cui senti il bisogno e non l'ottieni, o quando non vorresti che qualcosa accada, invece accade, questa volontà palesemente non è il carburante dell'eterno ritorno, perché non vorrebbe ciò che è. Faccio un esempio banale, non vorresti essere bocciato all'esame della patente, ma vieni bocciato, a tuo giudizio anche ingiustamente... questo tuo non volere la bocciatura va contro la corrente degli eventi (almeno quello della bocciatura in particolare); non credo possiamo dire che questa tua volontà, questo tuo volere altro da ciò che è, sia carburante dell'eterno ritorno. Subire un torto ti ha reso più forte? Di fatto, comunque, non lo volevi, ovvero la tua volontà non ha alimentato l'evento della bocciatura, perche non volevi la bocciatura.
Poi, chiaramente, niko e Phil possono avere una prospettiva personale che prende qualcosa di Nietzsche, ma non tutto; possiamo non prendere l'eterno ritorno, perché le sue conseguenze possono non piacerci, ma prendere altro; l'importante è chiarire se intendiamo capire o escplicitare il pensiero di Nietzsche o di niko o di Phil.
#89
Tematiche Filosofiche / Re: Nietzsche e Zarathustra
19 Gennaio 2025, 11:37:12 AM
Citazione di: InVerno il 19 Gennaio 2025, 00:03:07 AME' metaforico se cerca di evidenziare l'aspetto comportamentale, spesso però l'aspetto funzionale non è altrettanto metaforico. Per spiegarmi meglio rimando a questo estratto, che paragona l'uomo-leone di Stadel e il leone Peugeot.
Il paragone non è forse il fratello estroverso della metafora?
Detto altrimenti: la società a responsabilità limitata ha una sua esistenza formale (ontologicamente debole, che significa avere la stessa forza dei fantasmi: non puoi prenderli a pugni e non puoi ucciderli di nuovo) che gli consente di sopravvivere all'avvicendarsi del suo personale e dei suoi prodotti (ma non al fallimento economico); l'uomo-leone è invece un feticcio che ha una sua esistenza materiale "individuale" (ontologicamente forte, che significa avere la stessa debolezza di un vaso Ming: cade, si rompe, non esiste più in quanto vaso), potentemente allegorica, archeologicamente affascinante, tuttavia non rimanda ad altro da sé orizzontalmente (come fa la corporation che rimanda ai suoi mille prodotti, ognuno marchiato con il suo simbolo), ma in quanto feticcio, se rimanda, rimanda verticalmente ad un solo ente (che esso raffigura o di cui "incarna lo spirito").
Entrambi i leoni hanno forza identitaria e comunicano qualcosa (a chi sa decifrarli, a chi parla la loro lingua), tuttavia il simbolo non è il feticcio e, a prescindere, un'auto non è questione di idolatria, di velleità apotropaiche o di trascendimento della propria natura (metafore a parte, ovviamente).
#90
Tematiche Filosofiche / Re: Nietzsche e Zarathustra
19 Gennaio 2025, 00:03:32 AM
Qualche rapido spunto, per fare un po' l'avvocato del Diavolo (non certo di Cristo):
Citazione di: niko il 18 Gennaio 2025, 22:57:56 PMSi ma questo fato necessario non si manifesta contro la volontà dei singoli esseri che alla sua grande danza partecipano, ma con la loro volontà, insomma grazie ad essa.
Eppure ci sono anche esseri, almeno fra gli umani, che hanno una volontà antagonista al fato; costoro infinite volte si ritroveranno a non volere che accada ciò che temono (un qualunque evento sgradevole), ma ciò invece accadrà puntualmente, contro la loro volontà (credo sia capitato anche a te, almeno una volta nella vita). Non è la loro volontà il carburante dell'eterno ritorno.
Citazione di: niko il 18 Gennaio 2025, 22:57:56 PMIl suggello dell'eternità qui non scalfisce minimamente l'effimero, il che significa che di volta in volta il ciclo temporale potrebbe anche non compiersi, ma si compie.
Se prendiamo per buono l'eterno ritorno, quel «potrebbe anche non compiersi» sa quasi di nostalgia del libero arbitrio (o semplicemente avversione all'essere burattini del fato), di illusione che l'eterno ritorno non sia il ritorno dell'identico (come invece l'autore propone che sia).
Citazione di: niko il 18 Gennaio 2025, 22:57:56 PMQuello che è reso impossibile dell'eterno ritorno, non è tanto il nuovo, quanto l'unico. Niente di nuovo sotto il sole, significa niente di unico sotto il sole.
Direi che l'unico è piuttosto quello che caratterizza l'eterno ritorno: lo svolgersi degli eventi è sempre unico, sempre quello per ogni ciclo, come un film che viene riproiettato dall'inizio dopo la sua fine; sempre gli stessi attori, sempre le stesse battute, sempre quell'unico film con quell'unica trama; nulla di nuovo. Sarai sempre tu, sempre unico, non ci saranno mai altri proprio come te (nel senso che un altro te ti renderebbe meno unico se esistesse nel tuo medesimo arco temporale, ma  se l'intera esistenza viene resettata, allora tu sarai sempre unico, nel momento in cui sei; salvo qualcuno abbia memoria del tuo ciclo precedente... ma questa memoria inter-ciclo è prevista dal fato?).
Citazione di: niko il 18 Gennaio 2025, 22:57:56 PMQuesto mio dipendere da circostanze limitate, fa sì per altro, che per il mio "ritorno", per la mia immanente eternità, io non abbisogno, affatto, del ripetersi dell'intero anno cosmico, ma di una singola scureggia, ricadente in un mercoledì qualsiasi, presso un pianeta qualsiasi, durante il presunto anno cosmico se mai questo esista.
L'eterno ritorno, nel suo meccanicismo, non conosce il "qualsiasi" (proprio come il suddetto cucù non fa un suono qualsiasi quando rintocca la mezzanotte): il tuo ritorno sarà necessariamente su questo pianeta quando il copione del fato prevede che tu possa tornare; non sarà un giorno qualsiasi su un pianeta qualsiasi; questa nostra stessa conversazione non avverrà su un forum qualsiasi in un topic qualsiasi. Altrimenti non sarebbe un eterno ritorno dell'identico.
Citazione di: niko il 18 Gennaio 2025, 22:57:56 PMLa morte non ci distruggerà. Ma nemmeno ci porterà un briciolo di consolazione, nè tanto meno di riposo.
Non ci distruggerà per sempre ma ci ucciderà sempre, infinite volte; siamo come il fegato di Prometeo (o la fatica di Sisifo): rinasceremo identici per poi esser di nuovo sacrificati all'eterno ritorno.