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Messaggi - Koba

#76
Il male, al di fuori delle spiegazioni mediche, sociologiche o demonologiche, non può che avere il  volto incomprensibile e terribile di Chigurg.
Allora le riflessioni dello sceriffo Bell vanno lette come il sintomo del fallimento della cultura religiosa e della ragione illuministica.
La "nuova violenza" ci appare tale solo perché sprovvisti ormai di qualsiasi pensiero che possa ricondurre il male – il singolo episodio violento – nel mondo umano e renderlo leggibile. Così appare come una forza aliena. Da cui solo la fortuna può salvarci.
Non vedo però come in questa visione, che esprime un nichilismo di fatto, si possa sperare di ritrovare un rimedio attraverso la cura quotidiana contro l'avidità e l'invidia.
Semmai, liberandosi il più possibile da esse, si può solo sperare di avere un po' di fortuna e di non incontrare troppo da vicino i Chigurg.
Ma i Chigurg comunque esistono. I due killer di Fargo comunque esistono, per lavoro "producono" vittime. Curare la propria idiozia e la propria avidità non libererà il mondo dalla loro presenza, ma al massimo farà in modo che non passino a causa nostra per la città in cui viviamo, in modo che le probabilità nel lancio della monetina siano almeno un po' a nostro vantaggio.
#77
Una precisazione. Il protagonista di "Arancia meccanica", sia nel romanzo di Anthony Burgess che nel film di Kubrick, si chiama Alex. "Drughi" sono invece i compagni di avventura di Alex, un nome scelto dai traduttori italiani per il termine inventato da Burgess, nella lingua da lui creata, uno strano inglese antico con risonanze russe.
"Drugo" invece è purtroppo il nome che è stato scelto in modo totalmente scellerato da chi ha fatto il doppiaggio de "Il grande Lebowski". Il nome del protagonista, in originale "The Dude", tradotto quindi con "Drugo" anziché con "Coso". Impossibile capire il perché.

Riguardo a "Non è un paese per vecchi" aggiungo qualcosa. Dominante è il tema della violenza, del suo espandersi, del suo diventare sempre più grande, incomprensibile.
Nel libro di McCarthy le parti migliori sono proprio le riflessioni dello sceriffo, inserite nel testo come sezioni indipendenti a interrompere la cronaca nuda della vicenda. E in esse lo sceriffo pensa, a suo modo, alla trasformazione della società americana. Prima, una violenza comprensibile, "maneggiabile", ora non più. Una violenza talmente aliena che lui preferisce non scendere in campo contro di essa, non perché abbia paura di morire (cosa, dice, che chiunque sceglie il mestiere dello sceriffo deve accettare) ma perché ciò vorrebbe dire "contaminarsi", perdere l'anima (mi pare dica esattamente così). Infatti per contrastare ciò che in quella vicenda è incarnato da Chigurg si deve acquisire la stessa estraneità a qualsiasi regola d'ingaggio. Un gioco che non si può fare senza perdere qualcosa di fondamentale di se stessi (tema ripreso da un altro film sulla nuova violenza, "Il sicario", in cui il personaggio interpretato da Benicio Del Toro mostra proprio questo: chi vuole affrontare quella violenza cieca, deve diventare a sua volta un assassino, un sicario appunto).

Il film dei Coen lo metterei accanto a quello di Cronenberg, "A history of violence". All'inizio si vedono due spietati assassini che attraversano gli Usa lasciando una scia di sangue. La loro avventura finisce con la morte quando incontrano il proprietario di una piccola tavola calda di provincia che inaspettatamente mostra di conoscere molto bene la loro stessa violenza e per difendere clienti e dipendenti, reagisce e li uccide. La sua antica familiarità con la violenza, rimossa, emerge d'istinto. Il protagonista anni prima era stato nel deserto per cambiare vita, era tornato con un nome nuovo. Una nuova vita nella cittadina di Millbrook, Indiana. Negato il passato, che ora però ritorna. Quando sua moglie si rende conto con orrore di non avere idea di chi sia veramente il marito, il personaggio interpretato da Viggo Mortensen, dice sincero: ma io sono un'altra persona, non sono più Joey, sono Tom!
Tom dovrà tornare a essere Joey per un'ultima volta per risolvere la questione rimasta aperta da decenni con il fratello, pezzo grosso della mafia di Philadelphia.
Tornato a Millbrook, dalla sua famiglia, in una scena memorabile per intensità, arriva all'ora di cena, si siede a tavola in silenzio. Non si capisce se potranno essere ancora una famiglia, ma la figlia più piccola, di sei anni, porta piatto e posate anche per lui. Finale aperto.
#78
Proviamo a fare qualche distinzione.
Che cos'è la spiritualità? Ogni religione contiene anche una sua specifica spiritualità?
Prendo come esempio una delle religioni più recenti: Scientology.
Come ogni chiesa, anche Scientology esprime dei valori e contiene una sua teologia (per quanto sembri un racconto di fantascienza, ma del resto le stesse perplessità devono averle provate i filosofi greci di fronte ai racconti di Paolo).
Come tutti sanno all'inizio Scientology  si è presentata come una scuola psicologica alternativa. Ma da subito, contenendo elementi gnostici (l'ascesa alla perfezione, la gerarchia, la segretezza), si capiva bene dove si sarebbe finiti: in una comunità chiusa (nel senso di non disposta al confronto scientifico), o in una setta, o in una religione.
Ora Scientology esprime dei valori. Quali? Essenzialmente il valore del successo individuale, qualunque sia il campo in cui il soggetto ricerca tale successo (soprattutto la carriera, ma anche il matrimonio etc.).
Il valore dell'individuo, il fatto che ognuno di noi abbia delle straordinarie potenzialità, spesso offuscate dai fallimenti, dagli errori.
Insomma un'etica imperniata sulla costellazione dell'individualismo.
Ma contiene anche una spiritualità? Io penso di sì. È il pathos del cammino verso la purificazione (per diventare "Clear", per ripulirsi dai traumi, da quelle zone oscure che condannano le persone a compiere sempre gli stessi errori, a non sviluppare realmente i propri talenti etc.).
La spiritualità cioè tratta sempre del cambiamento, del passaggio dall'uomo antico a quello nuovo, dal peccatore al santo, dal soggetto confuso al Clear.
È anche possibile concepire una religione fondamentalista senza spiritualità: infatti si può pensare ad una religione che esprima una concezione forte della verità e dei valori etici indiscutibili che ogni devoto deve accettare una volta per tutte, senza alcun tentennamento, in modo che non ci sia alcuna dialettica tra vecchio e nuovo, tra errore e verità, ma solo un'adesione definitiva.
Ma si può pensare ad una spiritualità senza religione? Forse sì, a patto però di non essere bloccati da altre concezioni forti, come il materialismo. Cioè il cambiamento deve avere come meta un sogno, una speranza. Deve esprimere lo spirito utopistico, deve dar voce alla ricchezza interiore dell'uomo, al di là dei bisogni dell'animale. In questo ci deve essere la capacità di concedere tutta la libertà necessaria all'immaginazione.
#79
Se parliamo di vera e propria religione, non di ideologia o di metafisica (cui i post di Iano e Ipazia si riferiscono), la mia risposta è che bisognerebbe parlare di trasformazioni, non di fondazioni.
E queste sono in corso, anche ora, nella nostra secolarizzata Europa. E corrispondono a nuovi modi di reagire al mistero della presenza di Dio. Avrei potuto usare termini come "sensazione", "sentimento", "percezione" – di tale presenza. Trattandosi però di qualcosa di trascendente, che non si lascia trattenere e definire, sarebbe risultato paradossale. In effetti lo è. Probabilmente il sentimento religioso presuppone l'accettazione del paradosso. Fiducia nella propria intuizione ed essere aperti al paradosso, alla contraddizione.
Il fatto che negli ultimi decenni siano apparsi tanti libri di spiritualità laica (cioè, spiritualità per atei o agnostici) – libri di valore, non testi new age per sempliciotti –, il fatto che la tradizione stessa del cristianesimo si sia aperta a temi orientali, quali la consapevolezza del presente, la lotta contro il brusio dei pensieri, la battaglia contro la sofferenza, ecco, tutto questo mi fa pensare che ci sia un lavoro spirituale immenso, anche se disperso in tanti punti diversi, che però un giorno, forse, porterà a qualcosa di più unitario: appunto una nuova religione.
Non c'è però religione senza la capacità di lasciarsi guidare dall'immaginazione, dal sogno, dalla speranza impossibile. Le dottrine che si limitano a migliorare le condizioni interiori dell'uomo, per quanto utili e ingegnose, rimangono tecniche di benessere.
Ma l'uomo sensibile alla religione vuole altro. Non vuole solo smettere di soffrire.
#80
È l'idea stessa di perfezione a suscitare sospetti. Infatti non c'è esperienza umana che rimandi concretamente ad essa, in ambito naturale, sociale o della vita interiore. L'uomo fa piuttosto esperienza di trasformazioni, a volte positive a volte negative, che unendosi insieme, come gli affluenti di un fiume, conducono inesorabilmente, a valle, alla rovina (del corpo e dell'anima).
Quindi, se l'esperienza non rimanda in alcun modo alla perfezione, questa dovrà essere fondata, giustificata. Il riferimento alla logica, quindi alla perfezione come ordine, armonia, "igiene", è solo apparentemente più concreto delle giustificazioni religiose: la logica infatti è un sogno, il sogno di scarnificare il linguaggio dal suo corpo simbolico. Un linguaggio puro, immacolato, scevro dal potere evocativo della parola.
D'altro canto il cristianesimo si è fatto carico di mediare: con la sua antropologia dell'immagine e della somiglianza, su cui ha campato per un paio di millenni, da una parte si accetta la realtà scabrosa e approssimativa dell'essere umano, dall'altra si cerca di delineare un percorso di vera salvezza, il quale consiste in pratica nel diventare come Dio. Ma la materia, il corpo, i suoi processi, le sue debolezze, e poi i pensieri, le voci, la confusione, ... insomma, tutto concorre a rendere la salvezza un cammino sempre fallimentare. In cielo però sarà tutta un'altra storia (così per chi crede).
Penso ci possa essere una filosofia della perfezione solo nel caso in cui l'attenzione venga focalizzata su tentativi, sempre un po' disperati, di lavorare al cammino: per adesso concentriamoci sul prossimo passo, piede e gamba destra in avanti, ed evitiamo di precipitare nel dirupo, tutto qua, poi si vedrà...
Ma una roba del genere per dirla tutta non è più una filosofia della perfezione, piuttosto una filosofia della salvezza.
#81
Tematiche Filosofiche / Re: Dio vs caso.
17 Agosto 2025, 14:33:17 PM
I tuoi ultimi due post non sono sufficientemente chiari.
Come si fa a dissimulare una risposta in una nuova domanda?
Le relazioni tra i simboli che usiamo per descrivere la realtà, dici (credo), possono avere forme diverse ma equivalenti. Ci possono essere "traduzioni" da un sistema formale all'altro... è corretto? Però forme diverse indicano sostanze etiche differenti?
Cosa vorrebbe dire? E soprattutto: di che cosa stai parlando? Qual è il vero oggetto di questi post, quale pensiero vorresti comunicare?
#82
Citazione di: Duc in altum! il 16 Agosto 2025, 13:09:44 PMDalla Dei Verbum:
CAPITOLO III
L'ISPIRAZIONE DIVINA
E L'INTERPRETAZIONE DELLA SACRA SCRITTURA

Ispirazione e verità della Scrittura
11. Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv 20,31; 2 Tm 3,16); hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa [17] per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità [18], affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo [19], scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte [20].
Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture [21]. Pertanto «ogni Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfetto, addestrato ad ogni opera buona».


E se invece la religione non fosse altro che una forma d'arte?
Così se la letteratura soddisfa il bisogno di bellezza, la religione, con le sue immagini, i suoi simboli, risponderebbe alla sete di salvezza.
E come la bellezza è soggettiva, nel senso che ciascuno cerca nei grandi testi della tradizione letteraria qualcosa di specifico, chi la perfezione della forma, dell'espressione, chi la profondità psicologica delle figure rappresentate, chi semplicemente una storia in cui immergersi, etc., la salvezza è altrettanto personale (salvezza dalla morte, o salvezza da una vita incosciente, ottusa, che procede verso il suo esaurimento come un meccanismo cieco; e ancora: salvezza come recupero della vera umanità, di un respiro più profondo, etc.).
Le forme letterarie sono mutate nel tempo. Avrebbe senso dire che l'Odissea è letteratura ma Il processo di Kafka no?
Così anche nella religione io vedo trasformazioni, mutamenti, nuove forme che sostituiscono quelle più antiche, tentativi, slanci azzardati, o temporanei ripiegamenti.
#83
Tematiche Filosofiche / Re: Dio vs caso.
17 Agosto 2025, 10:24:49 AM
Citazione di: iano il 17 Agosto 2025, 09:41:22 AMLa mia personale domanda delle domande è: perché ci facciamo domande senza risposta.

Non "senza risposta", perché in fondo la storia della filosofia è la storia delle risposte che ogni generazione ha dato spesso alle stesse domande, ma "senza risposta definitiva". Che non ci sia una risposta definitiva, che fin dall'inizio la si debba escludere, non significa che il domandare sia un'attività inutile o paradossale.

Citazione di: iano il 17 Agosto 2025, 09:41:22 AMLe nostre domande non hanno risposta, perché ci facciamo domande sulle risposte che diamo alla realtà.


Le nostre domande non hanno risposte perché interroghiamo il paesaggio che siamo noi stessi ad aver inventato per dar conto di ciò che c'è la fuori? E' questo che intendi?
#84
Citazione di: niko il 16 Agosto 2025, 09:29:24 AMSe la sofferenza è educativa, io non voglio essere educato, né da Dio, né dagli uomini... e siccome io non ho chiesto, di esistere o di essere creato, a posteriori pretendo, di esistere, nelle migliori condizioni possibili. Da un genitore e creatore idealizzato onnipotente, come minimo mi aspetto felicita' fin da subito qui sulla terra, non compromessi.
Un essere amorevole e onnipotente non e' (minimamente) giustificato se ragiona in termini di:
> preparazione, attesa, compromesso, educazione,
mali minori, mali maggiori, fini e mezzi >
tutti termini, questi, che per loro stessa natura tradiscono un difetto, di potenza (che onnipotenza e'? Quella di Paperino? Chi e' onnipotente comanda e viene soddisfatto immediatamente, e quindi, anche, eternamente; egli non puo' avere, un principo di realta' in senso freudiano).
E nemmeno e' giustificato se crea, e mette al mondo, esseri talmente miserabili, da dover ragionare in questi termini. E' onnipotente, quindi potrebbe anche non metterli, al mondo.

Stavo leggendo un passo di padre Andrea Arvalli. Mi è venuto in mente che potrebbe essere una risposta alle tue obiezioni:

"Noi vorremmo un Dio che ascoltasse o realizzasse i nostri desideri, sogni, necessità, un Dio che ci gratifichi. Invece Dio vuole farci crescere liberandoci dalle nostre illusioni e coinvolgerci invece nei suoi progetti, e nel suo modo di condurre le cose. Vuole che cambiamo i nostri desideri, ed il nostro modo di vedere le cose. Pertanto la vera preghiera ha come frutto la torsione dei nostri desideri che nell'incontro con Lui, vengono profondamente trasformati dal Suo Cuore."

Naturalmente ci si chiede: sì, ma di fronte a certe esistenze che si bruciano subito, che sono fin dall'inizio senza speranza, disperate, quale sarebbe il disegno di Dio su di loro? Che senso avrebbe? Non è meschino anche soltanto parlarne?

D'altra parte l'idea che ci sia una forza che spinge affinché avvenga questa torsione dei nostri desideri, come l'opera di un Dio misterioso e in buona parte incomprensibile, ecco, questa cosa mi sembra così reale e radicata nell'essere umano che anche volendo rifiutare ogni immagine di Dio poi si rimane lo stesso con questo enigma che pretende di avere una risposta...
#85
Il test utilizzato da Deckard in Blade Runner non è un test di Turing. Nel libro di P. Dick viene chiamato da Rachael Rosen "test dell'empatia". Utilizza degli strumenti quali elettrodi e fasci di luce diretti alle pupille per misurare la reazione fisiologica involontaria provocata da descrizioni di situazioni che agli umani scatenano emozioni.
Gli androidi del libro e del film hanno anche un corpo in grado di simulare il comportamento dell'uomo. Cioè sono biologicamente in grado di mostrare cambiamenti quali arrossamento del viso, smorfia di disgusto etc. Ma questo accade solo se il loro sistema riesce a collegare velocemente il contenuto di una frase a quella che è la reazione che ci si aspetterebbe da un umano.
Se il test di Turing misura la capacità della macchina a non farsi riconoscere come tale nel corso di una conversazione testuale, con gli androidi di Blade Runner le cose sono ancora più complicate in quanto anche il loro aspetto e comportamento è del tutto in linea con quello umano.
Se poi si aggiunge che sono portatori di ricordi innestati dal loro costruttore, memorie fittizie che però ciascuno di loro ritiene essere come il segno della propria identità, esattamente come un umano (che si attacca alla sua storia, alle sue origini), allora viene da chiedersi quale sia la differenza. Chi può essere sicuro che il proprio passato non sia in realtà altro che finzione indotta da qualcuno o qualcosa? Il film gioca su questa ambiguità: assodato che Rachael è un androide, che dire di Deckard?
#86
Citazione di: Duc in altum! il 14 Agosto 2025, 12:43:59 PMPace&Bene @K.
Con il CVII non solo si è per sempre sepolta la "cristianità", ma anche il senso restrittivo o letterale del magisteriale: "extra ecclessiam nulla salus".
Infatti, la Gaudium et Spes [21] enuncia: E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.
Da ciò, il luogo naturale dell'incontro tra Dio e l'umanità, è nel cuore di ognuno...
Che poi nella Chiesa Cattolica Romana - per quanto se ne dica o se ne voglia dire - questo germe può essere più facilmente corroborato, io ne sono testimone (qualcosa ho già raccontato).
Per quel che riguarda la diminuzione dei devoti, è la giusta e normale conseguenza della morte della cristianità (accennata in precedenza).
Gli individui devono essere liberi di ricevere i sacramenti per loro spontanea volontà, e non come imposizione socio-politica o per tradizione o perché così fan tutti o perché non si sa mai!
L'unica domanda da farsi è semplicemente già presente nel Vangelo: «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
...e rende liberi, ma solo per chi lo vuole grazie alla propria fede!
Tu insisti molto su questa cosa dell'accettazione della Parola, come se fosse un evento singolo, che una volta fatto è fatto, e tutto il resto ne verrebbe di conseguenza.
A me le cose sembrano più difficili.
Primo: la Parola, come ogni parola, non ha un significato univoco. Il suo senso va decifrato. Come fosse per esempio la lettura di un testo su cui mettiamo le mani ogni cinque anni: ogni volta ci sembra qualcosa di nuovo, si ha proprio l'impressione di averlo compreso realmente solo ora, e che le nostre precedenti letture non siano state altro che fraintendimenti.
Quindi perché la Parola dovrebbe fare eccezione? È Parola di Dio solo nel senso di essere l'espressione di persone ispirate. Persone che quindi hanno cercato di esprimere la loro esperienza spirituale, o quello che credevano di avere vissuto.
Secondo: a meno di essere dei fondamentalisti (ma un europeo sano di mente può esserlo?), il dubbio e gli argomenti contro il dubbio sono il pane quotidiano di chi cerca Dio. Nel nostro tempo escludo ci possa essere ricerca di Dio senza un continuo lavoro critico finalizzato a dar conto della propria fede. Un continuo dar conto della sensatezza della propria ricerca.
Sarebbe più facile immaginarsi la Madonna in cielo in ascolto mentre tu reciti il rosario del venerdì. Sarebbe più facile pensare di potersi dire: ma è tutto vero! Tutto quanto!
Ma non sarebbe sincero.
#87
Citazione di: niko il 15 Agosto 2025, 09:09:30 AMPiccola postilla: un Dio che ti salva "dall'insensatezza della sofferenza", avendo il potere di salvarti, direttamente, dalla sofferenza (ricordate? E' onnipotente e onnisciente), e' sadico.
Un Dio paternalista e sadico.
E' come se essendo gravemente malato, andassi da un medico, e quello, mi annunciasse che lui, pur potendo, non mi salva dal cancro, no, bonta' sua mi salva "dall'insensatezza del cancro". Tirargli lo stetoscopio in testa, e cambiare medico, a quel punto, sarebbe il minimo.
La gente, con Dio, spesso questo piccolo atto dovuto, di tirare lo stetoscopio in testa e cambiare medico, non lo fa. Ma solo perche' Dio, e' un medico, che opera in regime di monopolio.
Hai ragione. Ma è l'uomo ad essersi convinto che Dio è onnipotente. È l'uomo, ossessionato dal potere, ad aver proiettato su Dio questa immagine di potenza sovrannaturale (le Scritture sono con evidenza l'espressione delle ossessioni di quelle generazioni).
Quindi o Dio non esiste, o Dio è tutt'altra cosa.
La domanda giusta da farsi è allora secondo me: perché continuare a cercare Dio, viste le numerosi contraddizioni?
Ecco la risposta: perché ateismo e materialismo da una parte e religione tradizionale dall'altra non sono in grado di sciogliere il mistero dell'uomo. L'enigma della santità, per esempio. L'enigma di un venticello sovrannaturale che non sposta affatto le montagne, al più sconvolge, rigira come un calzino, mostra la vita come un sogno...
Viene da chiedersi se non sia qualcosa di attiguo alla malattia mentale...
In un senso positivo, non polemico, viene da chiedersi se, al di là del loro sapore profondamente diverso, in entrambi i casi (follia e ricerca di Dio)  non ci sia una simile "negazione + apertura", un rigettare sofferto del mondo e poi un aprirsi al sogno, alla vera umanità (sentita come un sogno perché sempre sfuggente la vita concreta).
#88
Citazione di: Duc in altum! il 11 Agosto 2025, 09:59:57 AMBisogna sempre tenere a mente che l'espressione: il Regno di Dio, non è univoco... anche se tutte le realtà che esso indica, sono collegate da qualcosa in comune: l'Emmanuele, Dio-con-noi.

Quindi, ci sono milioni di persone che possono testimoniare che Dio è con loro adesso, quindi già vivono (non solo esistendo) in questo pellegrinaggio terrestre le tracce del Regno che verrà.

Anche se non penso siano milioni coloro che possono testimoniare in modo veritiero che Dio è con loro, ma solo poche migliaia, hai ragione: comunque sia qualcuno c'è. Questo è un fatto.
Tuttavia, tenendo presente che è la chiesa il luogo naturale dell'incontro tra Dio e l'uomo, e che quindi è lì che ci si aspetta qualcosa del Regno, osservando la costante diminuzione dei devoti, quasi una tendenza all'estinzione, qualche domanda bisogna pur farsela.
Ma anche qua le cose non sono semplici. Infatti come viene detto esplicitamente nel testo conciliare Dei Verbum, l'auto-manifestazione di Dio (oggettivata in Scrittura e tradizione) ci fa partecipi di una "verità che salva", non di una verità in generale, non della Verità (in un senso metafisico).
E come intendere la salvezza? Certo non come salvezza della sola anima, nel suo percorso ultraterreno, poiché siamo pure fatti di altro.
Così la salvezza che il Regno promette deve essere una salvezza integrale.
Come dicevi tu: salvarci dall'insensatezza della sofferenza.
Forse, anziché piegarsi al racconto che della manifestazione di Dio si è sempre fatto, in tempi lontani e profondamente diversi dai nostri, occorrerebbe oggi riguardare da capo tutta la faccenda tenendo ferma la frase "verità che salva".
#89
Citazione di: Jacopus il 10 Agosto 2025, 18:04:51 PMSono io che ringrazio voi. La stirpe umana e i suoi enigmi è davvero una definizione affascinante che si apre al mistero della vita, per la quale serviranno degli adepti e degli sciamani pronti a raccontare il mistero o deporlo sulla braccia di una potente divinità, oppure che mantiene un po' di odore di santità contro questa puerile e noiosa ricerca di tanti studiosi senza anima.
Nel quinto volume de "La mia battaglia" lo scrittore norvegese Karl Ove Knausgård racconta di quando alla prima lezione del corso di scrittura creativa a cui era stato ammesso in giovanissima età, il docente, prendendo la parola, si mette a spiegare l'importanza del saper leggere prima ancora di scrivere. Imparare a leggere, con attenzione, smontare le espressioni, sprofondare nelle motivazioni autentiche dell'autore, e via dicendo.
Curiosamente in un'intervista televisiva Dacia Maraini, che ha tenuto dei corsi di scrittura creativa, alla domanda se qualcuno dei suoi allievi avesse mostrato vero talento, lei, dopo aver confermato di sì, dice: "Ma il loro problema non è la scrittura, ma la lettura". Come se il loro sguardo fosse limitato non dalla tecnica, che si può sempre apprendere e sviluppare, ma dalla scarsa esperienza che viene da letture troppo convenzionali.
Insomma prima di scrivere sarebbe buona cosa imparare a leggere sul serio. Anche qui, con i post di questo forum.
#90
Citazione di: Duc in altum! il 10 Agosto 2025, 16:57:09 PMDifficoltà?!
Il problema del male (la sua presenza, la sua radicalità, il suo apparente "mistero") è già ben spiegato da un agnostico (forse ateo completo?! ...sicuro non credente!) di nome Albert Einstein: "il Male è l'assenza di amore, di pace o della presenza di Dio nei cuori umani".
Da cattolico, posso semplicemente sostenere che la risposta è in Cristo; infatti "Gesù non ci libera dalla sofferenza (o dal Male), ma dal non senso di questa (cioè dalla sua irrisolvibilità)".
Il Cristo risorge nella Croce, Gesù ci libera nella sofferenza... anche quella che noi stessi provochiamo!
Non ha alcuna importanza che il Cristo sia risorto, perché il male non è la morte. La morte è piuttosto la grande consolatrice, che ognuno di noi deve attendere con speranza e ottimismo. Il problema è la vita. Il problema è che in questa vita terrena non si vedono le tracce del Regno. Il Regno insomma non è venuto. Ogni tentativo di edificarlo è finito in asservimento. Nella ripetizione della violenza del mondo. Ecco perché tanti santi alla fine se ne andavano a vivere nelle tombe, nelle caverne. Capivano che il paradiso non è in cielo, ma nelle profondità della terra.